N. 454 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio - 26 settembre 1989

                                 N. 454
 Ordinanza   emessa   il   25   gennaio  1989  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 26 settembre  1989)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale dell'Umbria sul ricorso proposto da Biscarini Pietro contro
 il Ministero di grazia e giustizia ed altro.
 Ordinamento  giudiziario  -  Trattamento  economico  dei magistrati -
 Aumenti periodici dello stipendio  -  Spettanza  ai  soli  magistrati
 della   Corte   dei  conti  -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 413/1988, di infondatezza  di  identica  questione,
 ritenuta superabile dal giudice rimettente.
 (Legge  2  aprile 1979, n. 97, art. 9, secondo comma, in relazione al
 d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, art.  5,  ultimo  comma;  legge  16
 dicembre  1961, n. 1308, art. 2, lett. d); legge 20 dicembre 1961, n.
 1345, art. 10, ultimo comma, come interpretato dalla legge  6  agosto
 1984, n. 425, art. 1, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 36, 102 e 103).
(GU n.41 del 11-10-1989 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 594/1987
 proposto da Biscarini Pietro rappresentato e difeso dall'avv.  Renato
 Cesarini,  presso  cui e' elettivamente domiciliato in Perugia, viale
 P. Pellini n. 31 giusta procura a margine del  ricorso  introduttivo,
 contro  il  Ministero di grazia e giustizia, il Ministero del tesoro,
 in persona  dei  rispettivi  ministri  pro-tempore,  rappresentati  e
 difesi  ex  lege  dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia
 presso cui sono domiciliati in Perugia,  per  il  riconoscimento  del
 trattamento  economico di cui all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28
 dicembre 1970, n. 1080, e la condanna delle amministrazioni  intimate
 al  pagamento di quanto dovuto con rivalutazione monetaria, interessi
 compensativi e per l'accertamento del diritto alla liquidazione della
 buonuscita anche su tali emolumenti;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri di grazia e
 giustizia e del tesoro;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica udienza del 25 gennaio 1989 la relazione del
 referendario avv. C. Zucchelli e uditi, altresi',
 l'avv.   Cesarini   per   il  ricorrente  e  l'avv.  Melelli  per  le
 amministrazioni resistenti;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                          ESPOSIZIONE IN FATTO
    Il  ricorrente, magistrato ordinario collocato a riposo, ha fruito
 durante il servizio degli aumenti periodici  di  cui  alla  legge  16
 dicembre  1961, n. 1308, pari al 2,50% per ogni biennio di permanenza
 nella stessa funzione e qualifica.
    Con  decisione n. 27 dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato
 del 10 dicembre 1983, sul  presupposto  della  abrogazione  ad  opera
 dell'art. 18 della legge 2 aprile 1979, n. 97, dell'art. 3 del d.P.R.
 28  dicembre  1970,  n.  1080,  e'  stato  ritenuto  applicabile   ai
 magistrati  ordinari  il  meccanismo di cui all'art. 5, ultimo comma,
 del  d.P.R.  28  dicembre  1970,  n.  1080,  il  quale   prevede   la
 riliquidazione, nelle qualifiche superiori via via raggiunte, dei sei
 anni  di  anzianita'  figurativa  concessi  al  raggiungimento  della
 qualifica  di  primo  referendario  della  Corte  dei conti, e cio' a
 partire dalle qualifiche dell'ordine giudiziario corrispondenti.
    Dopo  l'entrata  in vigore della legge 6 agosto 1984, n. 425, e la
 sentenza della Corte costituzionale n. 1234 del  7  aprile  1987,  il
 ricorrente  adisce  questo  tribunale  per  il  riconoscimento  degli
 emolumenti risultanti dall'applicazione del detto art. 5  lamentando:
      1)  premesso  il carattere vincolante delle norme legislative di
 interpretazione autentica, osserva il ricorrente che ove la norma non
 dovesse  assumere  il significato di una migliore lettura della norma
 esistente,  ad  essa  dovrebbe  attribuirsi  il  significato   e   la
 intenzione   di  normativa  tendente  ad  influire  sulla  necessita'
 contigente, con cio' non sfuggendo ai  dubbi  di  incostituzionalita'
 gia'  prospettati con l'ordinanza dell'A.P. del C.d.S. del 23 ottobre
 1984;
      2)  lamenta  inoltre la incostituzionalita' dell'art. 1, secondo
 comma, della legge 6 agosto  1984,  n.  425,  in  quanto  diretta  ad
 eludere  il  diritto  alla  difesa  del  cittadino ed a perpetuare la
 differenza di trattamento tra le categorie di magistratura  ordinaria
 e contabile. Osserva comunque che, come rilevato dall'ordinanza della
 IV sez. del C.d.S.  del 23 ottobre 1984, n. 141, l'alternativa poteva
 consistere  solo  nel riconoscimento della parita' di trattamento tra
 le due categorie di magistrati o nell'invio alla Corte a seguito  dei
 dubbi  di  costituzionalita',  ma  che  risolti  questi ultimi in via
 interpretativa  non  resta  che  l'accoglimento  delle  pretese   dei
 ricorrenti,  ovvero,  ostando  a cio' l'interpretazione autentica, la
 riproposizione di dubbi costituzionali.
    Cio' in particolare, riguardo alla differenziazione di trattamento
 economico tra magistrati ordinari e contabili in relazione agli artt.
 3 e 36 nonche' 101 e 113 della Costituzione;
      3)  lamenta,  infine,  la  incostituzionalita' dell'art. 3 della
 legge n.  425/1984  nella  parte  in  cui  attua  una  disparita'  di
 trattamento  tra  magistrati  in  servizio  e  quelli a riposo dal 1
 gennaio 1979.
    Con  successiva  memoria  ribadisce  il  ricorrente  le censure di
 incostituzionalita' degli artt. 1, secondo comma, e 3 della legge  n.
 425/1984  chiedendo  la  remissione  alla  Corte per la soluzione del
 giudizio incidentale.
    Si  costituiscono  in giudizio i Ministeri di grazia e giustizia e
 del tesoro eccependo:
      1)  che  la Corte costituzionale ha gia' respinto l'eccezione di
 incostituzionalita' circa l'art. 1, secondo  comma,  della  legge  n.
 425/1984,  riconoscendone  l'indubbio  valore interpretativo, rivolto
 per altro al  passato  e  non  alle  situazioni  future  disciplinate
 mediante la stessa legge;
      2) che anche dopo l'emanazione della legge 2 aprile 1979, n. 97,
 occorre riferirsi, nella definizione di norme di  carattere  generale
 relative  al  trattamento  economico,  alla  disciplina  generale sul
 pubblico  impiego  e  non  a  norme   speciali   relative   categorie
 specifiche, come quella dei magistrati della Corte dei conti;
      3)  che la questione di incostituzionalita' dell'art. 1, secondo
 comma, della legge n. 425/1984 e' stata rigettata con sentenza n. 413
 del 24 marzo-7 aprile 1988 della Corte costituzionale;
      4)  che  rientra  infine  nella  discrezionalita' legislativa la
 determinazione di progressioni economiche  e  di  carriera  legate  a
 decorrenze determinate, senza che cio' violi precetti costituzionali.
    Premesso quanto sopra, il collegio, rilevato:
      che  il ricorrente, magistrato, ha adito questo tribunale per il
 riconoscimento dei sei aumenti periodici figurativi  sullo  stipendio
 base  della  qualifica a quella data posseduta, nonche' gli ulteriori
 aumenti periodici ex art. 1, quinto comma,  del  d.P.R.  28  dicembre
 1970, n. 1080;
      che  il ricorrente prospetta che la limitazione di tali benefici
 retributivi  ai  soli  magistrati  della  Corte  dei   conti   appare
 contrastare  con  i  principi,  espressi  nella Carta costituzionale,
 della visione unitaria della magistratura;
      che il disposto dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto
 1984, n. 425, che ribadisce la spettanza di  tali  benefici  ai  soli
 magistrati della Corte dei conti, appare contrastare con il principio
 unitario riconosciuto costituzionalmente;
      che   la   questione   di  illegittimita'  costituzionale  della
 disposizione  della  legge  n.  425/1984  non  appare  manifestamente
 infondata,   considerati   i   principi   stabiliti  dal  legislatore
 costituzionale;
      che,  invero, nel titolo IV della parte prima della Costituzione
 l'ordinamento giudiziario viene unitariamente considerato;
      che,   si   afferma,   sub   art.  101,  l'unitarieta'  di  tale
 ordinamento,  sviluppantesi  in   quattro   organismi:   1)   giudice
 ordinario;  2)  giudice  amministrativo;  3)  giudice  contabile;  4)
 giudice militare, distinguentisi solo funzionalmente (art. 107, terzo
 comma);
      che  la considerazione unitaria dell'ordinamento giurisdizionale
 e' ulteriormente evidenziata dalla disposizione dell'art.  102  della
 Costituzione,  che, al secondo comma, vieta la istituzione di giudici
 straordinari o di giudici speciali, attraverso, ancora, l'espressione
 di  principi comuni a tutto l'organismo giudiziario, relativi al loro
 status, con l'affermazione del costituire la magistratura  un  ordine
 autonomo   ed   indipendente  (art.  104,  primo  comma),  della  sua
 indipendenza  e   della   riserva   legislativa   (art.   108),   con
 l'affermazione   per   tutti   i   provvedienti   della  magistratura
 dell'obbligo della motivazione, con  la  distinzione  dei  magistrati
 "soltanto per la diversita' di funzioni" (art. 107, terzo comma);
      che  questa configurazione unitaria dell'ordinamento giudiziario
 ha evidenti riflessi sul  trattamento  economico  della  magistratura
 tutta;
      che,   infatti,  gia'  nella  sentenza  n.  1/1978  della  Corte
 costituzionale  si  evidenziava  la   costante   preoccupazione   del
 legislatore  "di garantire un parallelismo economico con i magistrati
 ordinari" degli altri appartenenti all'ordine giudiziario;
      che   l'ordinamento   giudiziario,   cosi'  come  delineato  dal
 legislatore  costituzionale,  comprende  non   solo   gli   organismi
 giudiziari  in  senso  stretto, il giudice ordinario, ma anche quello
 amministrativo, contabile, militare (Cons. Stato, ad.  plenaria  dec.
 16 dicembre 1983, n. 27);
      che tale concezione impone l'identita' del trattamento economico
 di tutti gli appartenenti all'ordinamento giurisdizionale;
      che,  invero,  la  ratio  legis,  che  abbraccia l'insieme delle
 singole disposizioni legislative mira a  sancire  l'equilibrio  delle
 retribuzioni   per   tutte  le  categorie  dei  magistrati  ordinari,
 amministrativi, contabili, militari (Corte costituzionale sentenza n.
 413/1988);
      che tale identita' ha informato la legge n. 425/1984;
      che,  pertanto, talune disposizioni di questa legge non appaiono
 consone ne' rispecchiare tale ratio, quale quella del  secondo  comma
 dell'art.  1,  sopra  riportato, ribadente una posizione privilegiata
 per i magistrati della Corte dei conti;
      che tali norme, quindi, appaiono contrastare con le disposizioni
 sopra riportate del titolo IV, parte prima, della Costituzione e  non
 rispettano  i  principi  di ragionevolezza, non essendo adeguate alla
 ratio legis che vuole l'equilibrio delle  retribuzioni  di  tutte  le
 categorie dei magistrati;
      che  con  ordinanze in data 16 ottobre 1987 e 4 febbraio 1988 il
 C.d.S. ha rimesso alla Corte costituzionale la questione  riguardante
 il  contrasto  del  ripetuto  art.  1  con  gli  artt.  3  e 36 della
 Costituzione nonche' dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile
 1979,  n.  97, in relazione agli artt. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28
 dicembre 1970, n. 1080, art. 2, lett. d),  della  legge  16  dicembre
 1961,  n.  1308, art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961,
 n. 1345, per violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione;
      che  in  tale  sede  si  osservava  come  il  legislatore con la
 dispozione di cui all'art. 1, secondo comma,  della  legge  6  agosto
 1984,  n.  425, non ha voluto ristabilire in via generale, astratta e
 tendenzialmente permanente una disciplina in ipotesi  male  intesa  o
 male  applicata dai giudici: che' anzi, tutto al contrario, quando ha
 voluto disporre in via generale, astratta e  permanente  ha  statuito
 proprio in senso conforme alla giurisprudenza, e piu' precisamente in
 senso  assolutamente  identico  alle  sentenze,  relativamente   alla
 questione  della  indennita'  speciale  ed  in  senso  analogo  sulla
 questione degli "scatti" di anzianita' (recependo cioe' il  principio
 dell'identita' di disciplina tra i magistrati della Corte dei conti e
 tutti gli altri);
      che,  pertanto, traspare l'inesistenza di una volonta' diretta a
 ristabilire l'ordine giuridico nell'interesse pubblico generale, e si
 rivela,   all'opposto,   una   volonta'   diretta  esclusivamente,  o
 prevalentemente, a svalutare la funzione giurisdizionale e, con essa,
 il  diritto  alla  difesa costituzionalmente garantito (art. 24 della
 Costituzione);
     che quel sacrificio della funzione giurisdizionale, che e' insito
 in  ogni  intervento   d'interpretazione   autentica,   puo'   essere
 accettabile  e  giustificato  quando  la  sua  finalita' e' quella di
 chiarire e precisare, per il passato e per il futuro, la  regola,  o,
 al  limite,  di  modificarla  sub specie d'interpretazione; non lo e'
 piu', o non altrettanto,  quando  la  finalita'  e'  solo  quella  di
 smentire  i giudizi, togliere effetto alle sentenze gia' pronunciate,
 e alterare il  corso  prevedibile  dei  giudizi  pendenti,  il  tutto
 peraltro nel contesto di un intervento di piu' ampio contenuto il cui
 risultato  finale  "a  regime",  e'  ispirato  agli  stessi   criteri
 dell'interpretazione giurisprudenziale;
      che  si  denuncia,  dunque,  un  contrasto  con  l'art. 24 della
 Costituzione, nella forma della violazione del  diritto  dei  privati
 interessati di agire e difendersi in giudizio;
      che  insieme  all'art.  24,  sembra  violato  anche il combinato
 disposto degli artt. 102 e 103 della Costituzione,  intesi  nel  loro
 insieme  come  fondamento  e garanzia di una funzione giurisdizionale
 (articolata  in  giustizia  ordinaria  e  giustizia   amministrativa)
 distinta  da quella legislativa e di uguale dignita' ed originarieta'
 rispetto ad essa;
      che  generalmente  si  ammette che l'interpretazione legislativa
 autentica non costituisca violazione del principio della  separazione
 dei  poteri; ma cio' si e' sempre detto rispetto al fenomeno normale,
 cioe' quello del legislatore  che  stabilisce  (o  ristabilisce)  una
 regola valevole essenzialmente per il futuro, e solo accessoriamente,
 derivatamente, resa applicabile anche  nelle  controversie  pendenti;
 mentre il caso in esame, come si e' gia' detto, e' diverso;
      che  la violazione e' delle suddette norme (artt. 24, 102 e 103)
 ricorre dunque nella figura dell'eccesso di potere legislativo, cioe'
 nella   figura   dell'uso   distorto  (come  si  palesa  grazie  alle
 circostanze di fatto ed all'ambito ristrettissimo, quasi una  tantum,
 della  applicazione)  di  un  potere astrattamente compatibile con la
 Costituzione, quale il potere d'interpretazione autentica;
      che  la  vicenda  giudiziaria  culminata con la decisione del 10
 dicembre  1983,  n.  27,  dell'adunanza  plenaria  (cit.),  e'  stata
 dominata  proprio  dalle questioni di costituzionalita' relative alle
 leggi  che  i  giudici  amministrativi  erano  allora   chiamati   ad
 interpretare;
      che le questioni di costituzionalita' sono state accantonate non
 perche' ritenute irrilevanti o infondate, ma, al  contrario,  perche'
 e' stato ritenuto possibile superarle per via interpretativa;
      che   ora  il  legislatore  afferma,  invece,  forte  della  sua
 autorita' d'interprete autentico, che le leggi de  quibus  non  erano
 suscettibili  dell'interpretazione  accolta dai giudici, ma (solo) di
 quella sostenuta dall'amministrazione  dello  Stato,  ridando  allora
 vita  a  quelle  questioni di costituzionalita' che si era creduto di
 poter superare;
      che  anche  per  la  questione relativa al modo di calcolare gli
 aumenti periodici ("scatti") di stipendio o, se si vuole, ai  criteri
 di applicazione degli "scatti" in relazione ai passaggi di qualifica,
 il principio di fondo dev'essere quello della parita' di  trattamento
 fra le varie magistrature;
      che  se  e'  vero  che e' inequivoca la volonta' della legge del
 1984  di  mantenere  una  certa  difformita'  di  trattamento  fra  i
 magistrati della Corte dei conti e tutti gli altri, e' anche vero che
 in realta'  quella  distinzione  non  si  fonda  sopra  un  esplicito
 disposto  normativo  di  cui si possa, sic et simpliciter, denunciare
 l'incostituzionalita',  bensi'  sopra   una   prassi   interpretativa
 assurta, per i magistrati della Corte dei conti, al rango di "diritto
 vivente",  fondata  sul   complesso   delle   norme   "autenticamente
 interpretate"  dal secondo comma dell'art. 1 della legge n. 425/1984,
 ma non direttamente desumibile da esso;
      che,  d'altro  canto,  l'adunanza plenaria (dec. n. 27 del 1983)
 non ha affermato  che  le  norme  "autenticamente  interpretate"  dal
 legislatore  fossero  da  intendere  come dettate per altri che per i
 magistrati della Corte dei conti, anzi ha riconosciuto che tale  era,
 in effetti, l'originario ambito applicativo di quelle leggi, tanto e'
 vero che la loro applicazione analogica alle  altre  magistrature  e'
 stata  ritenuta possibile solo a decorrere dal 1 gennaio 1979, e non
 anteriormente;
      che  la decorrenza 1 gennaio 1979 e' stata individuata, perche'
 quello era l'inizio dell'applicazione del nuovo  sistema  retributivo
 introdotto   con   legge   2  aprile  1979,  n.  97,  mai  i  giudici
 amministrativi hanno ritenuto che quel nuovo sistema retributivo, pur
 mantenendo  esplicitamente  (art.  9, secondo comma) l'istituto degli
 aumenti periodici, non ne contenesse pero' la disciplina e che questa
 non  fosse  piu' desumibile, come per l'innanzi, mediante il rinvio a
 quella propria dei dirigenti amministrativi statali;
      che  da  cio' deriva la necessita' di una integrazione analogica
 grazie al richiamo della disciplina in uso presso la Corte dei  conti
 attesa l'impossibilita' di ravvisare alcun motivo di ordine giuridico
 o razionale per differenziare,  sotto  questo  specifico  profilo,  i
 magistrati della Corte dei conti da tutti gli altri;
      che da cio' consegue che l'art. 1, secondo comma, della legge n.
 425/1984, ponendosi  esplicitamente  come  interpretazione  autentica
 dell'art.  5,  ultimo  comma,  del d.P.R. 28 dicembre 1970', n. 1080,
 dell'art. 2, lett. d), della legge  16  dicembre  1961,  n.  1308,  e
 dell'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, va
 inteso come diretto ad interpretare autenticamente, altresi',  l'art.
 9,   secondo  comma,  della  legge  n.  97/1979,  e  precisamente  ad
 interpretarlo nel senso che esso conserva, per i  magistrati  diversi
 dalla  Corte  dei  conti, un regime degli aumenti periodici diverso e
 deteriore rispetto a  quello  riservato  ai  magistrati  della  Corte
 stessa;
      che,  pertanto,  se  oggi  si vuol denunciare una irrazionale ed
 ingiusta disparita' di trattamento, la fonte di essa  va  individuata
 non  solo  e  non  tanto nelle leggi n. 1308 e n. 134 del 1961, e nel
 d.P.R. n. 1080/1970, quanto e soprattutto  nella  legge  n.  97/1979,
 beninteso  secondo l'interpretazione che degli uni (esplicitamente) e
 dell'altra (implicitamente) ha dettato la legge del 1984;
      che  emerge  la mancanza di qualsivoglia giustificazione legale,
 etica e razionale. Non puo' parlarsi,  infatti,  di  inconsistenza  o
 insufficienza delle giustificazioni ipoteticamente adducibili, quanto
 di vera e propria impossibilita'  di  avanzare  una  sia  pur  dubbia
 ipotesi di giustificazione;
      che  il  parametro di costituzionalita' da invocare e', anche in
 questo caso, l'art.  3  con  particolare  riferimento  al  principio,
 costantemente  osservato dal legislatore, tranne in questa occasione,
 di una sostanziale parita' di  trattamento  economico  fra  le  varie
 carriere di magistratura (ivi compresa l'avvocatura dello Stato);
      che  la  Corte  costituzionale,  con sentenza 17 luglio 1975, n.
 219,  ha  affermato  che,  pur,  nel  quadro  della  discrezionalita'
 legislativa  in  ordine alla determinazione del trattamento economico
 di  carriere  distinte,  rappresenta  violazione  del  principio   di
 uguaglianza l'immotivata differenziazione retributiva di carriere per
 l'innanzi considerate  costantemente  meritevoli  di  un  trattamento
 conforme;
      che  si  deve  ancora  osservare  che  la  (sospetta) violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione,  ridonda   anche   in   (sospetta)
 violazione    dell'art.    36   (principio   dell'adeguatezza   della
 retribuzione alla qualita' e quantita' del lavoro prestato);
      che   le  questioni  sopra  evidenziate  sono  state  dichiarate
 manifestamente infondate dalla Corte costituzionale con ordinanza  n.
 1083  del  24  novembre-6  dicembre 1988 in Gazzetta Ufficiale, serie
 speciale, n. 50 del 14  dicembre  1988  sul  presupposto  della  gia'
 avvenuta declaratoria di non fondatezza ad opera della sentenza della
 Corte costituzionale n. 413/1988;
      che  al  contrario  le questioni stesse, lungi dall'essere state
 risolte mediante la sentenza or ora citata non vennero in  tale  sede
 neppure  affrontate,  essendosi in tale occasione la Corte limitata a
 ribadire la ratio del futuro delle norme innovative  della  legge  n.
 425/1984, senza evidenziare i motivi per cui le norme interpretative,
 che operavano sulle situazioni pregresse,  non  collidessero  con  il
 dettato costituzionale;
      che,  pertanto,  non  appaiono  allo  stato  risolti  i dubbi di
 costituzionalita' evidenziati dal C.d.S. nelle ordinanze succitate  e
 riassunti nella presente ordinanza;
      che   appare,   quindi,  indispensabile  richiedere  alla  Corte
 costituzionale un'ampia disamina  ed  una  conseguente  decisione  in
 ordine  alle  questioni di costituzionalita' che implicano allo stato
 il pericolo di una grave rottura dell'equilibrio costituzionale tra i
 poteri legislativo e giurisdizionale;
      che  le  questioni enunciate appaiono rilevanti per la decisione
 della presente controversia.
                                P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 2
 aprile  1979,  n.  97,  in  relazione agli artt. 5, ultimo comma, del
 d.P.R. 28 dicembre 1970,  n.  1080;  2,  lett.  d),  della  legge  16
 dicembre  1961,  n.  1308;  10, ultimo comma, della legge 20 dicembre
 1961, n. 1345, cosi' come interpretato dall'art.  1,  secondo  comma,
 della  legge  6  agosto 1984, n. 425, per contrasto con gli artt. 3 e
 36, 24, 102 e 103 della Costituzione;
    Ordina  la  sospensione  del  giudizio  e l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria  la presente ordinanza sia
 notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 che  venga,  altresi',  comunicata  al  Presidente  del  Senato della
 Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso  in Perugia nella camera di consiglio del 25 gennaio
 1989.
                           (Seguono le firme)

 89C1023