N. 501 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 1989

                                 N. 501
    Ordinanza emessa il 26 luglio 1989 dal tribunale amministrativo
     regionale per l'Emilia-Romagna sul ricorso prprosto da Schiuma
         Giuseppe ed altri contro il comune di Bologna ed altri
 Imposta  comunale  per l'esercizio di imprese e di arti e professioni
 (Iciap) - Capacita' contributiva desunta  per  classi  di  superficie
 utilizzata  per  le  attivita' produttive e per ubicazione dei locali
 anziche' dal reddito percepito - Identita' di prelievo a  parita'  di
 superficie  anche  per  attivita' diverse - Diversita' di imposizione
 per superfici e attivita' eguali ma esercitate in  luoghi  diversi  -
 Duplicazione  dell'imposizione  tributaria su redditi gia' sottoposti
 all'Irpef o all'Irpeg - Eccessiva discrezionalita' per i comuni nella
 scelta  dell'aliquota,  nonche' nell'applicazione della maggiorazione
 del 15% in relazione all'ubicazione degli esercizi  nelle  c.d.  zone
 speciali   Conseguente   disparita'  di  trattamento  per  situazioni
 analoghe e omogenee.
 (Legge 24 aprile 1989, n. 144, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e tab. all.).
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.42 del 18-10-1989 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del
 26 luglio 1989 sul ricorso proposto da:
 dott.  proc.  Giuseppe  Schiuma  in  proprio  e  quale  procuratore e
 difensore dell'avv. Franco Balli, avv. Paolo Bonetti,  avv.  Maurizio
 Mimmi,  avv.  Gilberto Gualandi, avv. Benedetto Graziosi, avv. Andrea
 Legnani, avv. Piero Serra,  avv.  Gianantonio  Massari,  dott.  proc.
 Cristina Balli, dott. proc. Paolo Campogrande, dott. proc. Alessandro
 Mei, dott. proc. Sandro Callegaro e dott. Gabriele  Perdomi,  nonche'
 dei  Commercialisti dott. Antonio Tierzi, dott. Paolo Castorina, rag.
 Giuseppe Chieffo e Studio  professionale  Associato  dott.  Antonello
 Montanari   e  dott.  Antonella  Cecchetti,  rappresentati  e  difesi
 dall'avv. Schiuma ed elettivamente domiciliati a Bologna in  via  del
 Carro  n.  4  presso  lo  studio  dello  stesso,  contro il comune di
 Bologna, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato  e  difeso
 dagli   avvocati   G.A.  Ferrerio  e  F.  Michetti  ed  elettivamente
 domiciliato a Bologna in piazza Nettuno n. 1, palazzo Re Enzo, presso
 l'ufficio  legale  del  comune,  con  l'intervento  di:  Associazione
 sindacale  avvocati  e   procuratori,   Bologna;   C.O.N.S.I.L.P.   -
 Confederazione  nazionale  sindacati  italiani liberi professionisti;
 Sidacato  ragionieri  professionisti  di  Bologna,  in  persona   dei
 rispettivi   legali  rappresentanti,  rappresentati  e  difesi  dagli
 avvocati G. Gualandi e M.A. Alberti ed  elettivamente  domiciliati  a
 Bologna  in  piazza  S.  Francesco  n.  2, per l'annullamento, previa
 sospensione, della deliberazione della giunta municipale n.  971  del
 31  marzo  1989 (R.G. n. 16149/89) avente per oggetto "Determinazione
 per l'anno 1989 della misura dell'imposta comunale per l'esercizio di
 imprese  e  di  arti  e professionisti - Conferma della deliberazione
 proconsiliare  n.  603  adottata  il  28  febbraio  1989";  e   della
 conseguente delibera del consiglio comunale di Bologna n. 1016 del 26
 maggio 1989 di ratifica della pecedente;
    Visto  il ricorso con i relativi allegati e la contestuale domanda
 di sospensiva;
    Visto  l'atto  di costituzione in giudizio dell'intimato comune di
 Bologna;
    Visti gli atti di intervento proposti dai soggetti suindicati;
    Visti gli atti e i documenti tutti della causa;
    Udita  nella  camera  di consiglio del 26 luglio 1989 la relazione
 del cons. Lucio Sinagra e uditi, alltresi', gli avvocati Callegaro in
 sostituzione  dell'avv.  Schiuma  per  i  ricorrenti, Ferrerio per il
 comune di Bologna e G. Gualandi per le parti intervenute;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con ricorso a questo t.a.r., notificato al comune di Bologna il 21
 luglio 1989 e depositato in segreteria il 22 luglio 1989  le  persone
 indicate  in  premessa  impugnano  le  deliberazioni comunali pure in
 premessa indicate e ne chiedono l'annullamento per:
      1)  violazione dell'art. 2, primo comma, del d.l. 2 marzo 1989,
 n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144;
      2)   violazione   dell'art.  140  del  testo  unico  comunale  e
 provinciale r.d. 4 febbraio 1915, n. 148;
      3)  violazione  dell'art.  2,  secondo  comma, del d.l. 2 marzo
 1989, n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144;
      4) violazione dell'art. 3 e 53 della Costituzione.
    In  sintesi,  i  ricorrenti  deducono  anzitutto,  quale  vizio di
 legittimita', il fatto che la delibera di determinazione dell'imposta
 sia  stata  adottata dalla giunta comunale, quando la legge ne affida
 la competenza al consiglio comunale; lamentano che  la  giunta  abbia
 provveduto in via d'urgenza, in luogo del consiglio e con i poteri di
 questo,  senza  che  ricorressero  le  condizioni  richieste  per  le
 iniziative  deliberative  della  giunta  dall'art.  140  del  r.d.  4
 febbraio 1915, n. 148; si dolgono inoltre del fatto che il comune  di
 Bologna,  dopo avere determinato nella misura massima l'ammontare del
 tributo (art. 2, primo comma, della legge istitutiva), abbia poi, sul
 livello   massimo   cosi'   stabilito,   preteso   di   applicare  la
 maggiorazione del 15 per cento prevista come facolta' dei comuni  dal
 comma  secondo  del  detto  articolo  di legge per le cosiddette zone
 speciali nel centro edificato.
    Infine,   quale   ultimo  motivo  di  impugnazione,  i  ricorrenti
 sollevano questione di legittimita' costituzionale dell'intero  testo
 normativo  della  legge  24  aprile  1989,  n.  144, istitutiva della
 I.c.i.a.p. (Imposta comunale per l'esercizio di arti, professioni  ed
 imprese), in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
    In  particolare  sostengono  anzitutto  i  ricorrenti che le norme
 della legge tributaria in  commento  violerebbero  ambedue  le  norme
 costituzionali  - delle quali la seconda costituirebbe proiezione del
 princio espresso dallla prima, nella materia  tributaria  -  laddove,
 diversificando fra situazioni fra di loro omogenee, in funzione di un
 prelievo fiscale, introdurrebbero una disparita' di  trattamento  non
 ancorata a manifestazioni di diversa capacita' contributiva.
    Ancora  sostengono  che  la  disciplina  legislativa dell'imposta,
 introdotta con la legge n. 144/1989,  porterebbe  ad  una  possibile,
 differente  determinazione  della  misura  dell'imposta,  da parte di
 comuni diversi.
    Nessun  argomento razionale puo' giustificare la diversificazione,
 operata   dalla   legge,   del    prelievo    fiscale    a    seconda
 dell'appartenenenza  dell'attivita'  considerata  ad  una  o ad altra
 categoria e nemmeno si giustifica, sul  piano  della  razionalita'  e
 della   logica   giuridica,  la  distinzione  a  quel  fine  prevista
 all'interno di ciascuna categoria di soggetti obbligati.
    E  non  si comprende come possa essere manifestazione di capacita'
 contributiva un dato  astratto  ed  oggettivo,  quale  la  classe  di
 supeficie utilizzata.
    Richiamato  l'insegnamento  della Corte costituzionale, secondo il
 quale  capacita'  contributiva   e'   l'idoneita'   soggettiva   alla
 obbligazione  di  imposta,  rilevata  dal  presupposto  al  quale  la
 prestazione  e'  collegata,  con  la  necessita'  di   un   effettivo
 collegamento  fra l'indice di capacita' contributiva e l'obbligazione
 tributaria,  i  ricorrenti  concludono,  escludendo  che   la   legge
 istitutiva dell'imposta in questione fornisca indici sicuri, idonei a
 differenziare razionalmente le varie situazioni soggettive.
    I  ricorrenti  hanno  chiesto  la  sospensione dell'esecuzione dei
 provvedimenti comunali impugnati  assumendo  che  dall'esecuzione  di
 essi deriverebbero loro pregiudizi gravi e irreparabili.
    Si  e'  costituito in causa l'intimato comune di Bologna, il quale
 contesta la fondatezza giuridica dei dedotti motivi di impugnazione e
 reputa   insussistente   la   denunciata   violazione   delle   norme
 costituzionali  da  parte  della   legge   istitutiva   dell'imposta;
 pregiudizialmente  eccependo  la intempestivita' del proposto ricorso
 giurisdizionale.
    Hanno  proposto domanda di intervento ad adiuvandum l'associazione
 sindacale degli avvocati  e  procuratori  di  Bologna;  il  Sindacato
 ragionieri  professionisti  di  Bologna;  la Confederazione nazionale
 sindacati italiani liberi professionisti di Bologna, i quali chiedono
 l'accoglimento   del  ricorso  e  anch'essi  formulano  questione  di
 legittimita' costituzionale della legge istitutiva della "I.c.i.a.p."
 in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
    In particolare sostenendo che la legge, per il fine di risanare la
 finanza locale, chiama a contribuire le spese pubbliche  solo  alcune
 categorie  di  soggetti  e  non altre; che la legge pone una evidente
 disparita' di trattamento, diversificando fra situazioni similari con
 criteri  che  non  appaiono  collegati  con  sicuri indici di diversa
 capacita' contributiva; che  essa  legge  penalizza  ingiustamente  e
 ingiustificatamente   la   categoria  dei  liberi  professionisti  in
 relazione, ad esempio, agli imprenditori  agricoli  ed  alle  imprese
 industriali.  Anche  in  relazione  con il criterio di progressivita'
 della  imposizione,  di  cui  all'art.  53,  secondo   comma,   della
 Costituzione,   gli   intervenienti   osservano  come  non  sia  dato
 comprendere per  quale  ragione  all'interno  di  ogni  categoria  di
 soggetti  obbligati debbasi operare una differenziazione in base agli
 spazi occupati.
    In  ogni caso, la legge conterrebbe una duplicazione della imposta
 sui redditi (Irpef e Irpeg), indebita anche perche'  posta  a  carico
 soltanto di alcune categorie di contribuenti.
    Nella  camera di consiglio odierna questo tribunale amministrativo
 provvede sulla domanda di sospensione dell'esecuzione delle impugnate
 deliberazioni   del   comune  di  Bologna,  con  apposita  ordinanza.
 Contestualmente decide di  rimettere  alla  Corte  costituzionale  la
 questione   di  legittimita'  costituzionale  delle  norme  di  legge
 applicabili  nella  fattispecie,  precisate  nella  motivazione   del
 presente  provvedimento, in relazione ai precetti di cui agli artt. 3
 e 53 della Costituzione, riconoscendone la rilevanza  ai  fini  della
 decisione  del  proposto  ricorso  giurisdizionale e la non manifesta
 infondatezza, per i motivi che vengono esposti nella
                         MOTIVAZIONE IN DIRITTO
    Il  collegio  ravvisa  opportuna  una visione unitaria delle norme
 della legge istitutiva dell'imposta comunale per l'esercizio di arti,
 professioni  ed  imprese, che poi sono contenute negli artt. da 1 a 6
 della legge stessa; e cosi' una trattazione unitaria di  quelli  che,
 ad  avviso  di  questo  giudice amministrativo, appaiono i profili di
 illegittimita' costituzionale di quelle disposizioni di legge.
    Il  tribunale ritiene, preliminarmente, di riferirsi alla legge di
 conversione 24 aprile 1989, n. 144, che ha convertito in  legge,  con
 modificazioni,   il  decreto-legge  2  marzo  1989,  n.  66,  recante
 disposizioni urgenti in materia di autonomia  impositiva  degli  enti
 locali  e  di  finanza  locale.  L'atto  legislativo infatti al quale
 occorre, in ogni caso, aver riguardo, e percio' anche in questa sede,
 e' soltanto la legge di conversione di un decreto-legge, infatti, che
 contenga  o  meno  emendamenti,  e'  una  vera  e  propria  novazione
 legislativa soggettiva del decreto-legge e delle disposizioni in esso
 contenute. Essa e' una legge, oltreche' formale anche  una  legge  in
 senso materiale.
    Il  potere legislativo appartiene alle Camere parlamentari e non a
 caso l'art. 77 della Costituzione  qualifica,  all'inizio  delle  sue
 formulazioni, comunque "provvisori" i provvedimenti che il Governo in
 determinate situazioni di necessita' e di urgenza, e' autorizzato  ad
 emanare  con  forza  di  legge.  Il  decreto-legge,  dopo la legge di
 conversione, non ha piu' esistenza ne' rilevanza autonoma.
    D'altra,  parte, ove la Corte costituzionale dovesse accogliere la
 eccezione  di  incostituzionalita'  delle  norme   della   legge   di
 conversione,   ne   conseguirebbe   automaticamente   la   definitiva
 inefficacia, fin dall'origine, del decreto-legge. Da  qui  anche,  la
 non  necessita',  in sede di impugnativa costituzionale, di riferirsi
 anche  al  decreto-legge,  nonostante  qualche   isolata,   ancorche'
 autorevole, voce dottrinaria difforme.
    Il  tribunale  adesso,  nei  limiti  segnati  dalla legge alla sua
 valutazione ed al  suo  sindacato,  segnalera'  e  illustrera'  quali
 appaiono gli aspetti di illegittimita' costituzionalle della legge 24
 aprile 1989, n. 144, piu' precisamente delle norme di cui agli  artt.
 da 1 a 6 della legge stessa, che poi, nel corpo della legge, e con la
 tabella alla legge stessa allegata, esauriscono il dettato  normativo
 sulla imposta comunale in questione.
    Dette  norme  di legge effettivamente contrastano con il principio
 enunciato nell'art. 53, primo comma, della Costituzione, per il quale
 "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
 loro capacita' contributiva"; esse appaiono altresi'  violare  l'art.
 3,  primo comma, della Costituzione, del cui principio di eguaglianza
 giuridica la regola posta dall'art. 53 costituisce, nel  suo  aspetto
 fondamentale,  una  peculiare,  ulteriore  espressione  nella materia
 tributaria.
    Fondamentalmente,  le norme della legge in questione, che appaiono
 costituzionalmente illegittime, sono quelle contenute negli artt.  1,
 intitolato  "Istituzione,  presupposto,  soggetti  attivi e passivi e
 commisurazione dell'imposta" e 2,  intitolato  "Determinazione  della
 misura dell'imposta".
    Ma riesce evidente che la sospettata illegittimita' costituzionale
 non puo' non concernere, in una necessaria visione  d'insieme,  anche
 le  disposizioni  di  legge  sui vari momenti e sulle varie, previste
 operazioni del procedimento  tributario,  e  cosi'  precisamente  gli
 artt.  3  "Denuncia  e  versamento  dell'imposta"; 4 "Liquidazioni ed
 accertamenti  in  rettifica  o  d'ufficio   dell'imposta,   rimborsi,
 riscossione  coattiva  e  contenzioso";  5 "Sanzioni ed interessi per
 l'imposta"  e  6   "Disposizioni   particolari   per   l'applicazione
 dell'imposta  e  varie",  in  una  parola tutto il titolo primo della
 legge 24 aprile 1989, n. 144 "Imposta  comunale  per  l'esercizio  di
 imprese  e  di  arti  e  professioni", l'intero testo normativo cioe'
 della imposta con quella legge istituita,  compresa,  ovviamente,  la
 "tabella  delle misure annue dell'imposta comunale per l'esercizio di
 imprese e di arti e professioni",  allegata  alla  legge  e  di  essa
 facente parte, formalmente e sostanzialmente.
    La  capacita' contributiva, come idoneita' soggettiva a sopportare
 ed a corrispondere la prestazione patrimoniale imposta  dalla  legge,
 va  posta  in  relazione  con  il  presupposto  della imposizione, la
 specifica  situazione  soggettiva  cioe'  individuata  e   presa   in
 considerazione  dalla  norma  tributaria  ed  e'  da quel presupposto
 rivelata, nel senso che debba sussistere  ed  evidenziarsi  un  nesso
 effettivo  e  reale, un effettivo e coincidente indice rivelatore fra
 il presupposto medesimo e la sfera economica del soggetto  obbligato,
 anche per determinare la quantita' del tributo che si puo' richiedere
 a ciascun debitore d'imposta.
    Quando si parla di presupposto, va in altri termini osservata, non
 la concreta capacita'  del  soggetto  considerato,  ma  la  relazione
 osservabile fra la situazione economica dell'obbligato d'imposta e la
 situazione (atto, fatto, rapporto, qualita'  della  persona),  qualle
 descritta   dalla   norma   di   legge  e  percio'  gli  elementi  di
 sussumibilita' della prima nell'ambito di applicazione della seconda.
    Se,  pertanto,  questa effettivita' manchi, se manchi la effettiva
 possibilita' di  sussumere  nel  presupposto  quale  descritto  dalla
 normativa  tributaria  la  posizione  e  la  capacita'  economica del
 soggetto d'imposta, in tal caso non emerge e non si individua,  anche
 sul   piano  della  logica  giuridica  e  della  ragionevolezza,  una
 autentica idoneita'  dell'obbligato  alla  prestazione  tributaria  e
 percio'  alla sua soggezione alla relativa imposizione; in definitiva
 non si delinea e non emerge,  nella  sua  essenza,  quella  capacita'
 contributiva,  alla  cui effettiva presenza soltanto, la Costituzione
 si richiama per la legalita' dell'imposizione e alla cui  presenza  e
 specifico  rintracciamento  la  norma  costituzionale  riallaccia  la
 previsione ed il sorgere di una obbligazione tributaria.
    La capacita' contributiva, vista non come mera capacita' economica
 e cioe' non come produzione di  un  qualsiasi  reddito  del  soggetto
 obbligato,  ma  come peculiare ed individuata disponibilita' di mezzi
 economici per far fronte alla prestazione fiscale, costituisce quindi
 un   indefettibile  presupposto  di  legittimita'  della  imposizione
 tributaria; e, soltanto se essa sia  presente,  cioe'  risulti  dalla
 norma  di  legge  nei  sensi  sopra illustrati, solo in tal caso puo'
 valere anche come parametro di commisurazione e di determinazione del
 prelievo fiscale.
    In  relazione  a questo secondo aspetto ed effetto della capacita'
 contributiva, va sottolineata altresi' la necessita', sul piano della
 discriminazione  costituzionale,  di  una  disciplina  normativa  che
 regoli e preveda in modo uniforme,  quanto  alla  determinazione  del
 tributo,  situazioni fra loro identiche o simili o che tali possano o
 debbano logicamente  presumersi  o  intendersi  e  che,  alla  stessa
 maniera  e  con  i medesimi strumenti di osservazione, regoli in modo
 difforme situazioni giuridiche  (presupposti)  differenti;  in  altri
 termini  non  allontanandosi  dall'esigenza di regolare e graduare in
 modo uniforme o  difforme  le  prestazioni  tributarie,  secondo  che
 vengano   prese   in   considerazione,   nella  realta'  della  norma
 impositiva,  identiche  o  diverse  capacita'   contributive,   cioe'
 identiche o diverse idoneita' alla prevista prestazione tributaria.
    Cio'  premesso,  quale interpretazione da assegnare secondo questo
 giudice amministrativo alla norma dell'art. 53,  primo  comma,  della
 Costituzione,  secondo  quello  che e' stato il punto di arrivo della
 giurisprudenza della Corte sulla nozione e  sui  vari  aspetti  della
 capacita'  contributiva, va rilevato che il pretendere di riferire un
 esercizio di professione, arte od impresa ed il reddito derivante  da
 tali  attivita'  produttive,  a parametri e ad indici di rilevazione,
 quali la superficie dei locali utilizzati per detto esercizio o delle
 aree  attrezzate  per  lo  svolgimento  di  esso; alla superficie dei
 locali (art. 1 della legge) ovvero alla  ubicazione  (art.  2)  dello
 studio,  della  bottega, del negozio o dell'impresa, e' assolutamente
 illogico, arbitrario, iniquo e incostituzionale, giacche' tali indici
 e  tali  elementi, previsti ed indicati dalla legge, non sono affatto
 elementi rivelatori di un reddito e percio' della effettiva capacita'
 contributiva del soggetto obbligato all'imposta.
    Il  reddito,  e  la  sua  entita', derivante dall'esercizio di una
 impresa, di un'arte o di una professione, non e' certo manifestato  o
 quanto  meno  si  tratta  di  manifestazioni del tutto insufficienti,
 assai scarsamente indicative e percio' assolutamente approssimative e
 rudimentali  -  dall'ampiezza  dei  locali  utilizzati  o  dalla loro
 ubicazione in una piuttosto  che  in  un'altra  zona  del  territorio
 comunale.
    Un  parametro  scelto,  quindi,  in  modo  illogico, immotivato ed
 irrazionale, poiche' invero non e' affatto detto che un negozio o uno
 studio  professionale o un bar di maggiore superficie ritraggano, per
 cio'  solo,  maggiori  introiti  rispetto  ad  un   negozio,   studio
 professionale od altro esercizio pubblico di minori dimensioni.
    Altri   sono  infatti  i  criteri  da  seguire,  per  logica,  per
 diversificare i redditi e con essi i tributi,  e  derivano  da  altri
 fattori,  attraverso  i  quali  immaginare  e  stabilire  i  guadagni
 (quantita' e qualita'  della  clientela;  abitualita'  della  stessa;
 competenza  professionale  del  titolare  e  dei  suoi collaboratori;
 organizzazione dell'attivita'  o  del  servizio;  tipo,  soprattutto,
 dell'attivita'   o   del   servizio   esercitato,   per  vari  motivi
 maggiormente richiesto o remunerato, ed altri ancora).
    Un  presupposto  quindi, quello individuato e indicato dalla legge
 con la pretesa di vedervi  o  di  desumerne  il  reddito,  ovvero  un
 reddito  piu'  o meno elevato, invece assolutamente non indicatore di
 una  effettiva  idoneita'  economica  al  pagamento  dell'imposta,  e
 percio'  di  una effettiva capacita' contributiva e non idoneo ad una
 razionale e logica commisurazione del carico tributario, con evidente
 ingiustificato   abbandono,  altresi',  di  ogni  principio  di  pari
 trattamento e di razionalita' ed  intrinseca  giustizia  ed  equita'.
 Pretendendosi  di  diversificare  nella  determinazione  dei  livelli
 minimo  e  massimo,  fra  situazioni  fra  di  loro  omogenee   -   o
 possibilmente  omogenee  -  nello  stesso settore di attivita', sulla
 base di elementi estranei, quali la superficie dei locali  utilizzati
 o la loro ubicazione, elementi con i quali la effettiva produzione di
 un  reddito  e'  assolutamente  priva  di  ogni  logico  e  razionale
 collegamento  e  dai quali certo non puo' desumersi ne' presumersi la
 produzione di un reddito e quindi la idoneita' del soggetto obbligato
 a corrispondere la prestazione tributaria.
    Ed    ancora    pretendendosi    di    diversificare   la   misura
 dell'imposizione tributaria fra  le  diverse  categorie  di  soggetti
 obbligati,  senza  alcuna  giustificazione  del  diverso  trattamento
 tributario, fatto con  gli  ancora  differenziati  livelli  minimo  e
 massimo,  se  non  quella, assolutamente illogica e irrazionale e del
 tutto inefficiente, della appartenenza ad una ovvero ad altra  classe
 di   superficie;  poiche'  non  e'  affatto  detto  che  un  soggetto
 appartenente ad una certa categoria sia piu' o meno abbiente rispetto
 al   soggetto   appartenente  ad  un  diverso  settore  di  attivita'
 produttiva, soltanto perche' appartenente ad una o ad altra classe di
 superficie.
    E  nello  stesso  tempo  e  allo  stesso  modo,  pretendendosi  di
 disciplinare l'obbligazione di imposta in modo  unitario  e  uniforme
 per soggetti appartenenti alla stessa categoria solo perche' operanti
 nella stessa classe di superficie, quando non solo, come si e'  detto
 sopra, tale elemento non e' assolutamente indicatore di una capacita'
 contributiva e di una diversa  capacita'  contributiva,  ma  altresi'
 quando  fra  soggetti  appartenenti alla indicata medesima categoria,
 che pero' esercitano attivita' fra di loro  differenti  e  peculiari,
 possono darsi e si danno redditi in realta' ben differenti.
    L'art.  2,  primo  comma,  della  legge  infatti stabilisce che la
 misura dell'imposta e' determinata dal comune nell'ambito dei livelli
 minimo  e massimo indicati nella tabella allegata alla legge stessa e
 rispettando i rapporti fra le classi di superficie e tra i settori di
 attivita'. Secondo la formulazione della norma di legge quindi, vanno
 rispettati i rapporti fra le classi di superficie, fra di loro, e fra
 i  settori  di attivita' produttiva, fra di loro: ma, ad esaminare la
 tabella  che  e'  legge  anch'essa,  in  ambedue  le  relazioni,   la
 previsione  normativa  e' sempre unitaria ed e' una sola, una sola e'
 la relazione da considerare e da tenersi  presente  ed  uno  solo  il
 parametro  normativo: quello della appartenenza dell'attivita' ad una
 o ad altra classe di superficie utilizzata. Variano i livelli  minimo
 e  massimo della misura del tributo, ma l'imposizione va in ogni caso
 messa in relazione  con  la  superficie  dei  locali  utilizzati  per
 l'esercizio  dell'attivita'.  Una relazione che non e' affatto idonea
 ad indicare la capacita' contributiva.
    La  legge  d'imposta,  per  essere  conforme  alla  Costituzione e
 l'imposizione  per  essere   legittima   costituzionalmente,   devono
 indicare,  fra gli elementi essenziali dell'imposizione, la relazione
 del soggetto passivo dell'imposta con  il  presupposto  oggettivo  di
 questa,  dalla  legge  stessa  indicato:  ora  nella  fattispecie, la
 relazione appare travisata, e percio' insussistente  ed  inesistente,
 perche'  la  legge  indica  soltanto  una  relazione  fra il soggetto
 obbligato e l'ampiezza (o anche  l'ubicazione,  art.  2)  dei  locali
 utilizzati   per  l'esercizio  della  sua  attivita',  e  non  altra,
 pretendendo  di  ravvisarvi  una  relazione   con   il   reddito   da
 quell'esercizio ricavato, relazione che, invece, per le ragioni sopra
 dette, e' solo immaginata ma oggettivamente non esiste.
    E  cosi'  poi  consentendo,  nella  scelta fra il livello minimo e
 quello  massimo,  l'arbitrio  dell'ente   impositore.   Ed   altresi'
 affidando   la   determinazione   della   misura   dell'imposta  alla
 prevedibile, differente scelta di livello da parte di comuni diversi,
 con  la conseguente disparita' di trattamento per situazioni analoghe
 ed omogenee, solo perche' esistenti e operanti in comuni diversi  del
 territorio  nazionale,  e  cosi'  con  la  rimessione all'arbitrio di
 ciascun comune della determinazione della misura del tributo.
    Come,   per   finire,   si   lascia  all'arbitrio  del  comune,  e
 all'arbitrio di ciascun singolo comune, fra quelli indicati nell'art.
 2,  la  facolta'  di  applicare  la maggiorazione del 15% sul livello
 determinato dell'imposta, in relazione ad un altro  elemento,  quello
 della  ubicazione  dell'esercizio nelle zone cosiddette speciali, che
 non ha alcuna rilevanza  ne'  consistenza,  poiche'  il  trovarsi  un
 esercizio  o  uno  studio  professionale  o una impresa o una bottega
 artigiana nel centro edificato, o meno, non ha - o puo' benissimo non
 avere  -  alcuna  incidenza  ne'  attinenza  con  i suoi guadagni. Un
 elemento che con il reddito, e con un reddito piu'  o  meno  elevato,
 non  ha  davvero  nulla  da spartire nella realta' delle cose e della
 vita sociale ed economica. Mentre non e' vero e non e' esatto che  un
 esercizio  o  impresa  o  studio  professionale possieda una maggiore
 potenzialita' economica solo perche' situato nel centro cittadino,  a
 parte  la  difficolta'  poi,  di  intendere  il  sicuro  concetto  di
 "particolare  importanza  economica  e  centralita'"  di   una   zona
 cittadina,  secondo la assai relativa definizione della legge. Ne' si
 comprende esattamente che cosa  la  legge  (art.  2,  secondo  comma)
 voglia  dire, con la imprecisa e generica espressione "a piu' elevata
 imposizione".
    Un  gioielliere  con  il  negozio  piccolo  o  periferico avra' un
 reddito  sicuramente  piu'  consistente  di  quello  ricavato  da  un
 artigiano  o  da  un  fabbro-ferraio  con una superficie piu' ampia o
 collocata nel centro della citta'. E una officina di autoriparazioni,
 collocata  in periferia in un punto strategicamente indovinato per il
 passaggio delle autovetture, potra' conseguire un  guadagno  maggiore
 di  una  analoga  attivita' esercitata in una poco frequentata e poco
 visibile strada del centro edificato.
    Una imposta quindi, per concludere, rudimentale e retriva, fondata
 su presupposti inidonei, illogici  e  irrazionali,  che  pretende  di
 desumere   il   reddito   del   professionista,  dell'imprenditore  o
 dell'artigiano da indici, quali la classe di superficie utilizzata  o
 la ubicazione dei locali, indici di osservazione invece non veritieri
 e falsanti e fuorvianti, per nulla significativi e rivelatori.
    Ed  a  quel  proposito  va  sottolineato  un  ulteriore profilo di
 illegittimita'  costituzionale  della  legge  in  esame,  sempre   in
 relazione con il principio enunciato dall'art. 53, primo comma, della
 Costituzione; quello della  duplicazione  dell'imposizione  che  essa
 realizza,  con l'assoggettare ad un ulteriore prelievo fiscale quegli
 stessi redditi gia' sottoposti all'imposta  sul  reddito  complessivo
 delle persone fisiche o giuridiche (Irpef e Irpeg), muovendo da altri
 indici (di cui si e' detta  la  insufficienza  e  la  inidoneita')  o
 presupposti,  colpendo  cosi' due volte lo stesso reddito e la stessa
 capacita' contributiva, in favore di altro ente impositore.
    Il  reddito  colpito  dalla  "Iciap" e' quello stesso reddito che,
 come reddito d'impresa o reddito di lavoro autonomo, e'  assoggettato
 all'imposta sui redditi.
    Il  contrasto  con  l'art.  53, primo comma, della Costituzione e'
 evidente.
    Nessuna  dichiarata  esigenza di conferire autonomia impositiva ai
 comuni o di assicurare agli enti  locali  i  necessari  finanziamenti
 puo'  mai  giustificare  il  ricorso  ad  una  legge  chiaramente  in
 contrasto con i principi e le norme costituzionali.
    Il tribunale confida di avere adeguatamente esposto le ragioni per
 le quali dubita della legittimita' costituzionale delle  norme  della
 legge  24  aprile  1989, n. 144, istitutiva dell'imposta comunale per
 l'esercizio di imprese, arti  e  professioni  ed  illustrato  la  non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 di dette norme di legge - gli artt. da 1 a 6 della legge  suddetta  e
 l'allegata  "Tabella"  -  in  relazione  agli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione.
    Quanto  alla  rilevanza  della sollevata questione di legittimita'
 costituzionale   per   la   definizione   del    presente    giudizio
 amministrativo,  soccorrono  due  ordini  di considerazione: in primo
 luogo, l'eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
 delle  norme  di  legge  denunciate  condurrebbe alla invalidita' dei
 provvedimenti comunali impugnati con il ricorso  giurisdizionale  che
 di  quelle  norme  di  legge  hanno  fatto  applicazione,  ed al loro
 annullamento,    con    l'accoglimento    del    proposto     ricorso
 giurisdizionale;  in  secondo  luogo,  con  due dei dedotti motivi di
 impugnazione si denunciano violazioni  dell'art.  2  della  legge  n.
 144/1989  ed occorre che il tribunale sappia se la detta disposizione
 di legge e' conforme o meno ai principi e alle norme  costituzionali,
 avanti di darvi applicazione.
                                P. Q. M.
    Visti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11  marzo  1953,
 n. 87;
    Ritenuta   la   questione   di   legittimita'  costituzionale  non
 manifestamente infondata e rilevante ai fini  della  decisione  della
 causa;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli   atti  alla  Corte
 costituzionale per  la  decisione  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  da 1 a 6 della legge 24 aprile 1989, n.
 144, e della tabella allegata alla legge stessa,  in  relazione  agli
 artt. 3 e 53 della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Manda  alla  segreteria  della  sezione  di notificare la presente
 ordinanza alle parti in causa, nel loro domicilio di elezione,  e  al
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Manda  alla  segreteria  della  sezione  di comunicare la presente
 ordinanza al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del
 Senato della Repubblica.
    Cosi'    deciso    in   Bologna   dal   tribunale   amministrativo
 dell'Emilia-Romagna, sezione seconda, nella camera di  consiglio  del
 26 luglio 1989.
                    Il presidente estensore: SINAGRA

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