N. 501 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 1989
N. 501 Ordinanza emessa il 26 luglio 1989 dal tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sul ricorso prprosto da Schiuma Giuseppe ed altri contro il comune di Bologna ed altri Imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni (Iciap) - Capacita' contributiva desunta per classi di superficie utilizzata per le attivita' produttive e per ubicazione dei locali anziche' dal reddito percepito - Identita' di prelievo a parita' di superficie anche per attivita' diverse - Diversita' di imposizione per superfici e attivita' eguali ma esercitate in luoghi diversi - Duplicazione dell'imposizione tributaria su redditi gia' sottoposti all'Irpef o all'Irpeg - Eccessiva discrezionalita' per i comuni nella scelta dell'aliquota, nonche' nell'applicazione della maggiorazione del 15% in relazione all'ubicazione degli esercizi nelle c.d. zone speciali Conseguente disparita' di trattamento per situazioni analoghe e omogenee. (Legge 24 aprile 1989, n. 144, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e tab. all.). (Cost., artt. 3 e 53).(GU n.42 del 18-10-1989 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 26 luglio 1989 sul ricorso proposto da: dott. proc. Giuseppe Schiuma in proprio e quale procuratore e difensore dell'avv. Franco Balli, avv. Paolo Bonetti, avv. Maurizio Mimmi, avv. Gilberto Gualandi, avv. Benedetto Graziosi, avv. Andrea Legnani, avv. Piero Serra, avv. Gianantonio Massari, dott. proc. Cristina Balli, dott. proc. Paolo Campogrande, dott. proc. Alessandro Mei, dott. proc. Sandro Callegaro e dott. Gabriele Perdomi, nonche' dei Commercialisti dott. Antonio Tierzi, dott. Paolo Castorina, rag. Giuseppe Chieffo e Studio professionale Associato dott. Antonello Montanari e dott. Antonella Cecchetti, rappresentati e difesi dall'avv. Schiuma ed elettivamente domiciliati a Bologna in via del Carro n. 4 presso lo studio dello stesso, contro il comune di Bologna, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G.A. Ferrerio e F. Michetti ed elettivamente domiciliato a Bologna in piazza Nettuno n. 1, palazzo Re Enzo, presso l'ufficio legale del comune, con l'intervento di: Associazione sindacale avvocati e procuratori, Bologna; C.O.N.S.I.L.P. - Confederazione nazionale sindacati italiani liberi professionisti; Sidacato ragionieri professionisti di Bologna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dagli avvocati G. Gualandi e M.A. Alberti ed elettivamente domiciliati a Bologna in piazza S. Francesco n. 2, per l'annullamento, previa sospensione, della deliberazione della giunta municipale n. 971 del 31 marzo 1989 (R.G. n. 16149/89) avente per oggetto "Determinazione per l'anno 1989 della misura dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professionisti - Conferma della deliberazione proconsiliare n. 603 adottata il 28 febbraio 1989"; e della conseguente delibera del consiglio comunale di Bologna n. 1016 del 26 maggio 1989 di ratifica della pecedente; Visto il ricorso con i relativi allegati e la contestuale domanda di sospensiva; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimato comune di Bologna; Visti gli atti di intervento proposti dai soggetti suindicati; Visti gli atti e i documenti tutti della causa; Udita nella camera di consiglio del 26 luglio 1989 la relazione del cons. Lucio Sinagra e uditi, alltresi', gli avvocati Callegaro in sostituzione dell'avv. Schiuma per i ricorrenti, Ferrerio per il comune di Bologna e G. Gualandi per le parti intervenute; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso a questo t.a.r., notificato al comune di Bologna il 21 luglio 1989 e depositato in segreteria il 22 luglio 1989 le persone indicate in premessa impugnano le deliberazioni comunali pure in premessa indicate e ne chiedono l'annullamento per: 1) violazione dell'art. 2, primo comma, del d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144; 2) violazione dell'art. 140 del testo unico comunale e provinciale r.d. 4 febbraio 1915, n. 148; 3) violazione dell'art. 2, secondo comma, del d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144; 4) violazione dell'art. 3 e 53 della Costituzione. In sintesi, i ricorrenti deducono anzitutto, quale vizio di legittimita', il fatto che la delibera di determinazione dell'imposta sia stata adottata dalla giunta comunale, quando la legge ne affida la competenza al consiglio comunale; lamentano che la giunta abbia provveduto in via d'urgenza, in luogo del consiglio e con i poteri di questo, senza che ricorressero le condizioni richieste per le iniziative deliberative della giunta dall'art. 140 del r.d. 4 febbraio 1915, n. 148; si dolgono inoltre del fatto che il comune di Bologna, dopo avere determinato nella misura massima l'ammontare del tributo (art. 2, primo comma, della legge istitutiva), abbia poi, sul livello massimo cosi' stabilito, preteso di applicare la maggiorazione del 15 per cento prevista come facolta' dei comuni dal comma secondo del detto articolo di legge per le cosiddette zone speciali nel centro edificato. Infine, quale ultimo motivo di impugnazione, i ricorrenti sollevano questione di legittimita' costituzionale dell'intero testo normativo della legge 24 aprile 1989, n. 144, istitutiva della I.c.i.a.p. (Imposta comunale per l'esercizio di arti, professioni ed imprese), in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione. In particolare sostengono anzitutto i ricorrenti che le norme della legge tributaria in commento violerebbero ambedue le norme costituzionali - delle quali la seconda costituirebbe proiezione del princio espresso dallla prima, nella materia tributaria - laddove, diversificando fra situazioni fra di loro omogenee, in funzione di un prelievo fiscale, introdurrebbero una disparita' di trattamento non ancorata a manifestazioni di diversa capacita' contributiva. Ancora sostengono che la disciplina legislativa dell'imposta, introdotta con la legge n. 144/1989, porterebbe ad una possibile, differente determinazione della misura dell'imposta, da parte di comuni diversi. Nessun argomento razionale puo' giustificare la diversificazione, operata dalla legge, del prelievo fiscale a seconda dell'appartenenenza dell'attivita' considerata ad una o ad altra categoria e nemmeno si giustifica, sul piano della razionalita' e della logica giuridica, la distinzione a quel fine prevista all'interno di ciascuna categoria di soggetti obbligati. E non si comprende come possa essere manifestazione di capacita' contributiva un dato astratto ed oggettivo, quale la classe di supeficie utilizzata. Richiamato l'insegnamento della Corte costituzionale, secondo il quale capacita' contributiva e' l'idoneita' soggettiva alla obbligazione di imposta, rilevata dal presupposto al quale la prestazione e' collegata, con la necessita' di un effettivo collegamento fra l'indice di capacita' contributiva e l'obbligazione tributaria, i ricorrenti concludono, escludendo che la legge istitutiva dell'imposta in questione fornisca indici sicuri, idonei a differenziare razionalmente le varie situazioni soggettive. I ricorrenti hanno chiesto la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti comunali impugnati assumendo che dall'esecuzione di essi deriverebbero loro pregiudizi gravi e irreparabili. Si e' costituito in causa l'intimato comune di Bologna, il quale contesta la fondatezza giuridica dei dedotti motivi di impugnazione e reputa insussistente la denunciata violazione delle norme costituzionali da parte della legge istitutiva dell'imposta; pregiudizialmente eccependo la intempestivita' del proposto ricorso giurisdizionale. Hanno proposto domanda di intervento ad adiuvandum l'associazione sindacale degli avvocati e procuratori di Bologna; il Sindacato ragionieri professionisti di Bologna; la Confederazione nazionale sindacati italiani liberi professionisti di Bologna, i quali chiedono l'accoglimento del ricorso e anch'essi formulano questione di legittimita' costituzionale della legge istitutiva della "I.c.i.a.p." in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione. In particolare sostenendo che la legge, per il fine di risanare la finanza locale, chiama a contribuire le spese pubbliche solo alcune categorie di soggetti e non altre; che la legge pone una evidente disparita' di trattamento, diversificando fra situazioni similari con criteri che non appaiono collegati con sicuri indici di diversa capacita' contributiva; che essa legge penalizza ingiustamente e ingiustificatamente la categoria dei liberi professionisti in relazione, ad esempio, agli imprenditori agricoli ed alle imprese industriali. Anche in relazione con il criterio di progressivita' della imposizione, di cui all'art. 53, secondo comma, della Costituzione, gli intervenienti osservano come non sia dato comprendere per quale ragione all'interno di ogni categoria di soggetti obbligati debbasi operare una differenziazione in base agli spazi occupati. In ogni caso, la legge conterrebbe una duplicazione della imposta sui redditi (Irpef e Irpeg), indebita anche perche' posta a carico soltanto di alcune categorie di contribuenti. Nella camera di consiglio odierna questo tribunale amministrativo provvede sulla domanda di sospensione dell'esecuzione delle impugnate deliberazioni del comune di Bologna, con apposita ordinanza. Contestualmente decide di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale delle norme di legge applicabili nella fattispecie, precisate nella motivazione del presente provvedimento, in relazione ai precetti di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, riconoscendone la rilevanza ai fini della decisione del proposto ricorso giurisdizionale e la non manifesta infondatezza, per i motivi che vengono esposti nella MOTIVAZIONE IN DIRITTO Il collegio ravvisa opportuna una visione unitaria delle norme della legge istitutiva dell'imposta comunale per l'esercizio di arti, professioni ed imprese, che poi sono contenute negli artt. da 1 a 6 della legge stessa; e cosi' una trattazione unitaria di quelli che, ad avviso di questo giudice amministrativo, appaiono i profili di illegittimita' costituzionale di quelle disposizioni di legge. Il tribunale ritiene, preliminarmente, di riferirsi alla legge di conversione 24 aprile 1989, n. 144, che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, recante disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale. L'atto legislativo infatti al quale occorre, in ogni caso, aver riguardo, e percio' anche in questa sede, e' soltanto la legge di conversione di un decreto-legge, infatti, che contenga o meno emendamenti, e' una vera e propria novazione legislativa soggettiva del decreto-legge e delle disposizioni in esso contenute. Essa e' una legge, oltreche' formale anche una legge in senso materiale. Il potere legislativo appartiene alle Camere parlamentari e non a caso l'art. 77 della Costituzione qualifica, all'inizio delle sue formulazioni, comunque "provvisori" i provvedimenti che il Governo in determinate situazioni di necessita' e di urgenza, e' autorizzato ad emanare con forza di legge. Il decreto-legge, dopo la legge di conversione, non ha piu' esistenza ne' rilevanza autonoma. D'altra, parte, ove la Corte costituzionale dovesse accogliere la eccezione di incostituzionalita' delle norme della legge di conversione, ne conseguirebbe automaticamente la definitiva inefficacia, fin dall'origine, del decreto-legge. Da qui anche, la non necessita', in sede di impugnativa costituzionale, di riferirsi anche al decreto-legge, nonostante qualche isolata, ancorche' autorevole, voce dottrinaria difforme. Il tribunale adesso, nei limiti segnati dalla legge alla sua valutazione ed al suo sindacato, segnalera' e illustrera' quali appaiono gli aspetti di illegittimita' costituzionalle della legge 24 aprile 1989, n. 144, piu' precisamente delle norme di cui agli artt. da 1 a 6 della legge stessa, che poi, nel corpo della legge, e con la tabella alla legge stessa allegata, esauriscono il dettato normativo sulla imposta comunale in questione. Dette norme di legge effettivamente contrastano con il principio enunciato nell'art. 53, primo comma, della Costituzione, per il quale "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva"; esse appaiono altresi' violare l'art. 3, primo comma, della Costituzione, del cui principio di eguaglianza giuridica la regola posta dall'art. 53 costituisce, nel suo aspetto fondamentale, una peculiare, ulteriore espressione nella materia tributaria. Fondamentalmente, le norme della legge in questione, che appaiono costituzionalmente illegittime, sono quelle contenute negli artt. 1, intitolato "Istituzione, presupposto, soggetti attivi e passivi e commisurazione dell'imposta" e 2, intitolato "Determinazione della misura dell'imposta". Ma riesce evidente che la sospettata illegittimita' costituzionale non puo' non concernere, in una necessaria visione d'insieme, anche le disposizioni di legge sui vari momenti e sulle varie, previste operazioni del procedimento tributario, e cosi' precisamente gli artt. 3 "Denuncia e versamento dell'imposta"; 4 "Liquidazioni ed accertamenti in rettifica o d'ufficio dell'imposta, rimborsi, riscossione coattiva e contenzioso"; 5 "Sanzioni ed interessi per l'imposta" e 6 "Disposizioni particolari per l'applicazione dell'imposta e varie", in una parola tutto il titolo primo della legge 24 aprile 1989, n. 144 "Imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni", l'intero testo normativo cioe' della imposta con quella legge istituita, compresa, ovviamente, la "tabella delle misure annue dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni", allegata alla legge e di essa facente parte, formalmente e sostanzialmente. La capacita' contributiva, come idoneita' soggettiva a sopportare ed a corrispondere la prestazione patrimoniale imposta dalla legge, va posta in relazione con il presupposto della imposizione, la specifica situazione soggettiva cioe' individuata e presa in considerazione dalla norma tributaria ed e' da quel presupposto rivelata, nel senso che debba sussistere ed evidenziarsi un nesso effettivo e reale, un effettivo e coincidente indice rivelatore fra il presupposto medesimo e la sfera economica del soggetto obbligato, anche per determinare la quantita' del tributo che si puo' richiedere a ciascun debitore d'imposta. Quando si parla di presupposto, va in altri termini osservata, non la concreta capacita' del soggetto considerato, ma la relazione osservabile fra la situazione economica dell'obbligato d'imposta e la situazione (atto, fatto, rapporto, qualita' della persona), qualle descritta dalla norma di legge e percio' gli elementi di sussumibilita' della prima nell'ambito di applicazione della seconda. Se, pertanto, questa effettivita' manchi, se manchi la effettiva possibilita' di sussumere nel presupposto quale descritto dalla normativa tributaria la posizione e la capacita' economica del soggetto d'imposta, in tal caso non emerge e non si individua, anche sul piano della logica giuridica e della ragionevolezza, una autentica idoneita' dell'obbligato alla prestazione tributaria e percio' alla sua soggezione alla relativa imposizione; in definitiva non si delinea e non emerge, nella sua essenza, quella capacita' contributiva, alla cui effettiva presenza soltanto, la Costituzione si richiama per la legalita' dell'imposizione e alla cui presenza e specifico rintracciamento la norma costituzionale riallaccia la previsione ed il sorgere di una obbligazione tributaria. La capacita' contributiva, vista non come mera capacita' economica e cioe' non come produzione di un qualsiasi reddito del soggetto obbligato, ma come peculiare ed individuata disponibilita' di mezzi economici per far fronte alla prestazione fiscale, costituisce quindi un indefettibile presupposto di legittimita' della imposizione tributaria; e, soltanto se essa sia presente, cioe' risulti dalla norma di legge nei sensi sopra illustrati, solo in tal caso puo' valere anche come parametro di commisurazione e di determinazione del prelievo fiscale. In relazione a questo secondo aspetto ed effetto della capacita' contributiva, va sottolineata altresi' la necessita', sul piano della discriminazione costituzionale, di una disciplina normativa che regoli e preveda in modo uniforme, quanto alla determinazione del tributo, situazioni fra loro identiche o simili o che tali possano o debbano logicamente presumersi o intendersi e che, alla stessa maniera e con i medesimi strumenti di osservazione, regoli in modo difforme situazioni giuridiche (presupposti) differenti; in altri termini non allontanandosi dall'esigenza di regolare e graduare in modo uniforme o difforme le prestazioni tributarie, secondo che vengano prese in considerazione, nella realta' della norma impositiva, identiche o diverse capacita' contributive, cioe' identiche o diverse idoneita' alla prevista prestazione tributaria. Cio' premesso, quale interpretazione da assegnare secondo questo giudice amministrativo alla norma dell'art. 53, primo comma, della Costituzione, secondo quello che e' stato il punto di arrivo della giurisprudenza della Corte sulla nozione e sui vari aspetti della capacita' contributiva, va rilevato che il pretendere di riferire un esercizio di professione, arte od impresa ed il reddito derivante da tali attivita' produttive, a parametri e ad indici di rilevazione, quali la superficie dei locali utilizzati per detto esercizio o delle aree attrezzate per lo svolgimento di esso; alla superficie dei locali (art. 1 della legge) ovvero alla ubicazione (art. 2) dello studio, della bottega, del negozio o dell'impresa, e' assolutamente illogico, arbitrario, iniquo e incostituzionale, giacche' tali indici e tali elementi, previsti ed indicati dalla legge, non sono affatto elementi rivelatori di un reddito e percio' della effettiva capacita' contributiva del soggetto obbligato all'imposta. Il reddito, e la sua entita', derivante dall'esercizio di una impresa, di un'arte o di una professione, non e' certo manifestato o quanto meno si tratta di manifestazioni del tutto insufficienti, assai scarsamente indicative e percio' assolutamente approssimative e rudimentali - dall'ampiezza dei locali utilizzati o dalla loro ubicazione in una piuttosto che in un'altra zona del territorio comunale. Un parametro scelto, quindi, in modo illogico, immotivato ed irrazionale, poiche' invero non e' affatto detto che un negozio o uno studio professionale o un bar di maggiore superficie ritraggano, per cio' solo, maggiori introiti rispetto ad un negozio, studio professionale od altro esercizio pubblico di minori dimensioni. Altri sono infatti i criteri da seguire, per logica, per diversificare i redditi e con essi i tributi, e derivano da altri fattori, attraverso i quali immaginare e stabilire i guadagni (quantita' e qualita' della clientela; abitualita' della stessa; competenza professionale del titolare e dei suoi collaboratori; organizzazione dell'attivita' o del servizio; tipo, soprattutto, dell'attivita' o del servizio esercitato, per vari motivi maggiormente richiesto o remunerato, ed altri ancora). Un presupposto quindi, quello individuato e indicato dalla legge con la pretesa di vedervi o di desumerne il reddito, ovvero un reddito piu' o meno elevato, invece assolutamente non indicatore di una effettiva idoneita' economica al pagamento dell'imposta, e percio' di una effettiva capacita' contributiva e non idoneo ad una razionale e logica commisurazione del carico tributario, con evidente ingiustificato abbandono, altresi', di ogni principio di pari trattamento e di razionalita' ed intrinseca giustizia ed equita'. Pretendendosi di diversificare nella determinazione dei livelli minimo e massimo, fra situazioni fra di loro omogenee - o possibilmente omogenee - nello stesso settore di attivita', sulla base di elementi estranei, quali la superficie dei locali utilizzati o la loro ubicazione, elementi con i quali la effettiva produzione di un reddito e' assolutamente priva di ogni logico e razionale collegamento e dai quali certo non puo' desumersi ne' presumersi la produzione di un reddito e quindi la idoneita' del soggetto obbligato a corrispondere la prestazione tributaria. Ed ancora pretendendosi di diversificare la misura dell'imposizione tributaria fra le diverse categorie di soggetti obbligati, senza alcuna giustificazione del diverso trattamento tributario, fatto con gli ancora differenziati livelli minimo e massimo, se non quella, assolutamente illogica e irrazionale e del tutto inefficiente, della appartenenza ad una ovvero ad altra classe di superficie; poiche' non e' affatto detto che un soggetto appartenente ad una certa categoria sia piu' o meno abbiente rispetto al soggetto appartenente ad un diverso settore di attivita' produttiva, soltanto perche' appartenente ad una o ad altra classe di superficie. E nello stesso tempo e allo stesso modo, pretendendosi di disciplinare l'obbligazione di imposta in modo unitario e uniforme per soggetti appartenenti alla stessa categoria solo perche' operanti nella stessa classe di superficie, quando non solo, come si e' detto sopra, tale elemento non e' assolutamente indicatore di una capacita' contributiva e di una diversa capacita' contributiva, ma altresi' quando fra soggetti appartenenti alla indicata medesima categoria, che pero' esercitano attivita' fra di loro differenti e peculiari, possono darsi e si danno redditi in realta' ben differenti. L'art. 2, primo comma, della legge infatti stabilisce che la misura dell'imposta e' determinata dal comune nell'ambito dei livelli minimo e massimo indicati nella tabella allegata alla legge stessa e rispettando i rapporti fra le classi di superficie e tra i settori di attivita'. Secondo la formulazione della norma di legge quindi, vanno rispettati i rapporti fra le classi di superficie, fra di loro, e fra i settori di attivita' produttiva, fra di loro: ma, ad esaminare la tabella che e' legge anch'essa, in ambedue le relazioni, la previsione normativa e' sempre unitaria ed e' una sola, una sola e' la relazione da considerare e da tenersi presente ed uno solo il parametro normativo: quello della appartenenza dell'attivita' ad una o ad altra classe di superficie utilizzata. Variano i livelli minimo e massimo della misura del tributo, ma l'imposizione va in ogni caso messa in relazione con la superficie dei locali utilizzati per l'esercizio dell'attivita'. Una relazione che non e' affatto idonea ad indicare la capacita' contributiva. La legge d'imposta, per essere conforme alla Costituzione e l'imposizione per essere legittima costituzionalmente, devono indicare, fra gli elementi essenziali dell'imposizione, la relazione del soggetto passivo dell'imposta con il presupposto oggettivo di questa, dalla legge stessa indicato: ora nella fattispecie, la relazione appare travisata, e percio' insussistente ed inesistente, perche' la legge indica soltanto una relazione fra il soggetto obbligato e l'ampiezza (o anche l'ubicazione, art. 2) dei locali utilizzati per l'esercizio della sua attivita', e non altra, pretendendo di ravvisarvi una relazione con il reddito da quell'esercizio ricavato, relazione che, invece, per le ragioni sopra dette, e' solo immaginata ma oggettivamente non esiste. E cosi' poi consentendo, nella scelta fra il livello minimo e quello massimo, l'arbitrio dell'ente impositore. Ed altresi' affidando la determinazione della misura dell'imposta alla prevedibile, differente scelta di livello da parte di comuni diversi, con la conseguente disparita' di trattamento per situazioni analoghe ed omogenee, solo perche' esistenti e operanti in comuni diversi del territorio nazionale, e cosi' con la rimessione all'arbitrio di ciascun comune della determinazione della misura del tributo. Come, per finire, si lascia all'arbitrio del comune, e all'arbitrio di ciascun singolo comune, fra quelli indicati nell'art. 2, la facolta' di applicare la maggiorazione del 15% sul livello determinato dell'imposta, in relazione ad un altro elemento, quello della ubicazione dell'esercizio nelle zone cosiddette speciali, che non ha alcuna rilevanza ne' consistenza, poiche' il trovarsi un esercizio o uno studio professionale o una impresa o una bottega artigiana nel centro edificato, o meno, non ha - o puo' benissimo non avere - alcuna incidenza ne' attinenza con i suoi guadagni. Un elemento che con il reddito, e con un reddito piu' o meno elevato, non ha davvero nulla da spartire nella realta' delle cose e della vita sociale ed economica. Mentre non e' vero e non e' esatto che un esercizio o impresa o studio professionale possieda una maggiore potenzialita' economica solo perche' situato nel centro cittadino, a parte la difficolta' poi, di intendere il sicuro concetto di "particolare importanza economica e centralita'" di una zona cittadina, secondo la assai relativa definizione della legge. Ne' si comprende esattamente che cosa la legge (art. 2, secondo comma) voglia dire, con la imprecisa e generica espressione "a piu' elevata imposizione". Un gioielliere con il negozio piccolo o periferico avra' un reddito sicuramente piu' consistente di quello ricavato da un artigiano o da un fabbro-ferraio con una superficie piu' ampia o collocata nel centro della citta'. E una officina di autoriparazioni, collocata in periferia in un punto strategicamente indovinato per il passaggio delle autovetture, potra' conseguire un guadagno maggiore di una analoga attivita' esercitata in una poco frequentata e poco visibile strada del centro edificato. Una imposta quindi, per concludere, rudimentale e retriva, fondata su presupposti inidonei, illogici e irrazionali, che pretende di desumere il reddito del professionista, dell'imprenditore o dell'artigiano da indici, quali la classe di superficie utilizzata o la ubicazione dei locali, indici di osservazione invece non veritieri e falsanti e fuorvianti, per nulla significativi e rivelatori. Ed a quel proposito va sottolineato un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale della legge in esame, sempre in relazione con il principio enunciato dall'art. 53, primo comma, della Costituzione; quello della duplicazione dell'imposizione che essa realizza, con l'assoggettare ad un ulteriore prelievo fiscale quegli stessi redditi gia' sottoposti all'imposta sul reddito complessivo delle persone fisiche o giuridiche (Irpef e Irpeg), muovendo da altri indici (di cui si e' detta la insufficienza e la inidoneita') o presupposti, colpendo cosi' due volte lo stesso reddito e la stessa capacita' contributiva, in favore di altro ente impositore. Il reddito colpito dalla "Iciap" e' quello stesso reddito che, come reddito d'impresa o reddito di lavoro autonomo, e' assoggettato all'imposta sui redditi. Il contrasto con l'art. 53, primo comma, della Costituzione e' evidente. Nessuna dichiarata esigenza di conferire autonomia impositiva ai comuni o di assicurare agli enti locali i necessari finanziamenti puo' mai giustificare il ricorso ad una legge chiaramente in contrasto con i principi e le norme costituzionali. Il tribunale confida di avere adeguatamente esposto le ragioni per le quali dubita della legittimita' costituzionale delle norme della legge 24 aprile 1989, n. 144, istitutiva dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese, arti e professioni ed illustrato la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale di dette norme di legge - gli artt. da 1 a 6 della legge suddetta e l'allegata "Tabella" - in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione. Quanto alla rilevanza della sollevata questione di legittimita' costituzionale per la definizione del presente giudizio amministrativo, soccorrono due ordini di considerazione: in primo luogo, l'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme di legge denunciate condurrebbe alla invalidita' dei provvedimenti comunali impugnati con il ricorso giurisdizionale che di quelle norme di legge hanno fatto applicazione, ed al loro annullamento, con l'accoglimento del proposto ricorso giurisdizionale; in secondo luogo, con due dei dedotti motivi di impugnazione si denunciano violazioni dell'art. 2 della legge n. 144/1989 ed occorre che il tribunale sappia se la detta disposizione di legge e' conforme o meno ai principi e alle norme costituzionali, avanti di darvi applicazione.
P. Q. M. Visti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione della causa; Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale degli artt. da 1 a 6 della legge 24 aprile 1989, n. 144, e della tabella allegata alla legge stessa, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Manda alla segreteria della sezione di notificare la presente ordinanza alle parti in causa, nel loro domicilio di elezione, e al Presidente del Consiglio dei Ministri; Manda alla segreteria della sezione di comunicare la presente ordinanza al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Bologna dal tribunale amministrativo dell'Emilia-Romagna, sezione seconda, nella camera di consiglio del 26 luglio 1989. Il presidente estensore: SINAGRA 89C1037