N. 584 SENTENZA 13 - 29 dicembre 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Procedimento penale- Liberta' personale dell'imputato- Ordinanza di
 rigetto dell'istanza di revoca del mandato di cattura- Diritto
 dell'imputato a proporre appello- Mancata previsione- Richiamo alla
 sentenza di illegittimita' costituzionale n. 110/1986- Ingiustificata
 disparita' di trattamento tra imputatoe pubblico ministero -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.p.p. del 1930 art. 263, secondo comma, testo sostituito in forza
 dell'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.1 del 3-1-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 263, secondo
 comma, del codice di procedura penale, nel testo sostituito in  forza
 dell'art.  22 della legge 5 agosto 1988, n. 330 (Nuova disciplina dei
 provvedimenti  restrittivi  della  liberta'  personale  nel  processo
 penale),  promosso con ordinanza emessa l'8 giugno 1989 dal Tribunale
 di Terni nel procedimento  penale  a  carico  di  Schiavone  Gaetano,
 iscritta  al  n.  377  del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 29 novembre 1989 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Terni,  adito dal difensore di Schiavone
 Gaetano, appellante  avverso  il  provvedimento  del  locale  Giudice
 istruttore  che  aveva  respinto  l'istanza  di revoca del mandato di
 cattura spedito nei confronti del suo assistito,  ha,  con  ordinanza
 dell'8  giugno  1989,  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 24,
 secondo  comma,  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 dell'art.  263,  secondo  comma,  del  codice di procedura penale del
 1930, nel testo sostituito in forza dell'art. 22 della legge 5 agosto
 1988,   n.   330,   nella   parte   in   cui  non  prevede,  "accanto
 all'impugnazione del Procuratore della Repubblica, anche  il  diritto
 dell'imputato  di  proporre  appello  avverso l'ordinanza che rigetta
 l'istanza di revoca di mandato di cattura".
   Osserva il giudice a quo che la novazione normativa intervenuta nel
 1988 non ha tenuto conto del fatto che la Corte  costituzionale,  con
 sentenza n. 110 del 1986, aveva dichiarato l'illegittimita' dell'art.
 263,  secondo  comma,  ante  riforma,  nella   parte   in   cui   non
 riconosce(va)  all'imputato  il  diritto  di  proporre appello contro
 l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura.
    Donde  la  necessita'  di  un ulteriore intervento della Corte per
 adeguare  il  nuovo  testo  dell'art.  263,   secondo   comma,   alla
 statuizione costituzionale ora ricordata.
    2.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 36, prima serie speciale,  del
 1989.
    Nel  giudizio  non  si  e'  costituita  la  parte  privata, ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
                         Considerato in diritto
    1.   -   Il   Tribunale   di   Terni   denuncia   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice di  procedura
 penale  del  1930,  nel  testo sostituito in forza dell'art. 22 della
 legge 5 agosto 1988, n. 330, per aver omesso di  "prevedere,  accanto
 all'impugnazione  del  Procuratore della Repubblica, anche il diritto
 dell'imputato di proporre appello  avverso  l'ordinanza  che  rigetta
 l'istanza  di  revoca  del  mandato  di cattura". La "disposizione di
 legge" sarebbe in contrasto con gli artt.  3  e  24,  secondo  comma,
 della  Costituzione, non meno di quanto lo fossero i precedenti testi
 del piu' volte novellato secondo comma dell'art. 263. In particolare,
 il giudice a quo si richiama ai due testi immediatamente anteriori di
 tale comma, dovuti l'uno all'art. 6 della legge 12  agosto  1982,  n.
 532,  e  l'altro  all'art.  18  della  legge  28 luglio 1984, n. 398,
 ricordando come entrambi siano  stati  dichiarati  costituzionalmente
 illegittimi  da  questa  Corte con la sentenza n. 110 del 1986, nella
 parte in cui non riconoscevano all'imputato il  diritto  di  proporre
 appello  contro  l'ordinanza  che  rigetta  l'istanza  di  revoca del
 mandato di cattura.
    2. - La questione e' fondata.
    Nel modificare ancora una volta l'art. 263 del codice di procedura
 penale del 1930, dedicato  all'"impugnabilita'  delle  ordinanze  del
 giudice"   in   materia   di  misure  cautelari  personali,  e,  piu'
 precisamente, il suo secondo comma, dedicato all'individuazione delle
 ordinanze  appellabili  e  dei  soggetti  legittimati  ad appellarle,
 l'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, pur ampliando il  novero
 dei   provvedimenti   impugnabili,   ha   reiterato  la  tradizionale
 limitazionale dell'appellabilita'  soggettiva  al  procuratore  della
 Repubblica  e  al procuratore generale. Si e' fatta cosi' rivivere la
 norma che la sentenza n.110 del 1986 aveva ritenuto non conforme agli
 artt.  3  e 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto causa di
 ingiustificata disparita' di  trattamento  fra  imputato  e  pubblico
 ministero.
    3.   -  Come  esattamente  sottolineato  dal  giudice  a  quo,  la
 sostanziale  analogia  "dell'ipotesi  prevista  rispetto   a   quella
 dell'abrogata norma" - anzi, la loro perfetta coincidenza nella parte
 qui in discussione (ordinanze aventi ad oggetto la revoca del mandato
 di  cattura),  proprio  perche'  le variazioni apportate dall'art. 22
 della  legge  5  agosto  1988,  n.  330,   concernono   soltanto   la
 possibilita'   per   il   pubblico   ministero   di  appellare  nuovi
 provvedimenti oltre quelli contemplati in precedenza - non  puo'  non
 comportare  che  anche  il  testo  dell'art.  263, secondo comma, del
 codice di procedura penale del  1930  venga  adeguato  "all'indirizzo
 costituzionale seguito dalla richiamata sentenza" n. 110 del 1986.
    Nulla  giustificherebbe  una  conclusione diversa, tanto meno dopo
 che quell'indirizzo e' stato ulteriormente ribadito nei  riguardi  di
 altre  fattispecie  di  provvedimenti  appellabili  dal solo pubblico
 ministero (v. sentenza n. 200 del 1986 e,  con  riferimento  all'art.
 136 della Costituzione, sentenza n. 922 del 1988) e dopo che il nuovo
 codice di procedura penale, approvato  con  il  d.P.R.  22  settembre
 1988,  n.  447, ha dettato una disposizione, in forza della quale "il
 pubblico ministero, l'imputato e il suo  difensore  possono  proporre
 appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali"
 (art. 310, primo comma).
    In  tale  contesto  resta  vieppiu'  insuperabile l'argomentazione
 posta a base della sentenza n. 110 del 1986: una volta  chiarito  che
 il  provvedimento  contro  cui  la  difesa  ha interesse ad appellare
 (ordinanza che nega  la  revoca  del  mandato  di  cattura)  non  e',
 ovviamente,   il  medesimo  provvedimento  appellabile  dal  pubblico
 ministero (ordinanza che dispone la revoca del mandato  di  cattura),
 data  l'assenza  di  qualsiasi  interesse  dell'imputato a dolersi di
 un'ordinanza come quest'ultima, "la parita'  di  trattamento  con  il
 pubblico  ministero  non  puo'  essere  raggiunta  se non dichiarando
 costituzionalmente illegittima  proprio  la  mancata  previsione  per
 l'imputato  del diritto di appellare il provvedimento che si presenta
 come il puntuale  rovescio  di  quell'ordinanza  di  revoca  nei  cui
 confronti  unicamente  il  pubblico  ministero  puo' avere ragione di
 dolersi". Soltanto cosi' "si perviene a realizzare  quel  'necessario
 equilibrio  del  contraddittorio'  (sentenza  n.  224 del 1983)", che
 risulta  "turbato,  sotto  l'aspetto  qui  in  discussione,  da   una
 disparita'  di  trattamento  non  fondata  su  'motivi  razionalmente
 giustificabili con il pubblico interesse' (sentenza n. 2 del  1974)".
    Pertanto,  anche  il  secondo  comma  dell'art.  263 del codice di
 procedura penale del 1930, quale sostituito  in  forza  dell'art.  22
 della  legge  5  agosto 1988, n. 330, va dichiarato illegittimo nella
 parte in cui  non  riconosce  all'imputato  il  diritto  di  proporre
 appello  contro  l'ordinanza  che  rigetta  l'istanza  di  revoca del
 mandato di cattura.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  263, secondo
 comma, del codice di procedura penale del 1930 (testo  sostituito  in
 forza  dell'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, recante "Nuova
 disciplina dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale nel
 processo  penale"),  nella parte in cui non riconosce all'imputato il
 diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta  l'istanza
 di revoca del mandato di cattura.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: CONSO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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