N. 12 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo 1988- 8 gennaio 1990

                                 N. 12
        Ordinanza emessa il 21 marzo 1988 (pervenuta alla Corte
     costituzionale l'8 gennaio 1990) dal tribunale amministrativo
  regionale del Lazio sul ricorso proposto da Mandelli Franco ed altri
           contro l'Universita' degli studi di Roma ed altro
 Istruzione pubblica - Docenti universitari della facolta' di medicina
 svolgenti  attivita'   assistenziale   oltre   quella   didattica   -
 Corresponsione  di  una  indennita' non superiore a quella necessaria
 per equiparare il trattamento economico a quello del personale medico
 ospedaliero di pari funzioni ed anzianita' - Mancata previsione di un
 compenso adeguato per il maggior impegno orario  per  lo  svolgimento
 della   attivita'   assistenziale   -   Ingiustificato   livellamento
 retributivo  dei  docenti  medici  che   svolgono   anche   attivita'
 assistenziale rispetto a quelli che svolgono solo attivita' didattica
 - Violazione dei principi di adeguatezza della retribuzione e di buon
 andamento della p.a.
 (Legge 25 marzo 1971, n. 13, art. 4).
 (Cost., artt. 3, 36 e 97).
(GU n.4 del 24-1-1990 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 3138/1986,
 proposto da Mandelli Franco,  Cerulli  Nicola,  Martinelli  Vincenzo,
 Moritori   Alberto,   Soave   Domenico,   Chiaroni  Tullio,  Pizzetti
 Francesco, Filadoro Francesco, Laurenti Cesare, Di  Silverio  Franco,
 Cavallo   Vincenzo,  Baroni  Carlo,  Ricci  Costante,  Centi  Colella
 Antonio, Messina  Baldassarre,  Marullo  Tommaso,  Furbetta  Antonio,
 Marinozzi  Vittorio,  Bosman  Cesare,  Bonucci  Ermanno, Melis Marco,
 Pontieri Giuseppe, Strom Roberto, Bucci  Giovanni,  Dagianti  Armano,
 Carlesimo  Onorio,  rappresentati  e  difesi  dal  prof.  avv. Franco
 Gaetano Scoca, elettivamente domiciliati presso  il  suo  studio,  in
 Roma,  alla  via  G. Paisiello n. 55, come da delega in calce, contro
 l'Universita' degli studi di Roma  ed  il  Ministero  della  pubblica
 istruzione,  rappresentati  e  difesi  dall'avvocatura generale dello
 Stato presso la quale sono domiciliati in  Roma,  per  l'annullamento
 del silenzio-rifiuto formatosi sulla diffida notificata il 1› ottobre
 1986 intesa ad ottenere il pagamento delle ore di lavoro eccedenti le
 250  (350  per  i  professori  a  tempo pieno) di cui all'art. 10 del
 d.P.R. n. 382/1980 effettuate nell'ultimo quinquennio, nonche' per la
 declaratoria della spettanza del predetto compenso;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio delle amministrazioni
 intimate nonche' la loro memoria difensiva;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza del 21 marzo 1988 il relatore cons.
 Aldo Ravalli ed udito, altresi' per la parte ricorrente l'avv. Franco
 G. Scoca;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    I   ricorrenti   sono   docenti   della   facolta'   di   medicina
 dell'Universita' degli  studi  di  Roma.  Essi  espongono  di  essere
 sottoposti, in forza del d.P.R. n. 382/1980 (art. 102), ad un impegno
 minimo obbligatorio non inferiore  a  1140  ore  annue  (1440  per  i
 docenti a tempo pieno); invece, tutti i docenti delle altre facolta',
 o della stessa facolta' di medicina se non tenuti a svolgere  compiti
 assistenziali hanno l'obbligo di "assicurare la loro presenza per non
 meno di 250 ore annuali se a tempo definito e non meno di 350 ore  se
 a tempo pieno" (art. 10 del d.P.R. cit.).
    I  ricorrenti,  rifacendosi  a talune delle affermazioni contenute
 nella sentenza della Corte costituzionale n. 126 del 24 giugno  1981,
 evidenziano:
       a)  che  l'attivita'  assistenziale si inquadra nella attivita'
 propria dei docenti universitari  per  cui  tale  servizio  non  puo'
 essere  ricompreso  nella  normale  retribuzione spettante ai docenti
 medesimi;
       b)  che  l'attivita' assistenziale rende piu' oneroso il lavoro
 dei docenti addetti, per cui ab antiquo e'  stato  loro  riconosciuto
 uno speciale compenso.
    Ritengono,  quindi,  gli  interessati che sia loro dovuto da parte
 del Ministero della pubblica istruzione il  pagamento  delle  ore  di
 lavoro  eccedenti le 250 (o le 350 per i professori a tempo pieno). A
 tal fine hanno diffidato il Ministero e, stante la sua inerzia, hanno
 proposto ricorso giurisdizionale per l'accertamento del loro diritto.
    Deducono nel ricorso:
      1)  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della legge 25
 marzo 1971, n. 213, e dell'art. 3 della legge 8 marzo  1985,  n.  75,
 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.
    La  normativa  indicata  mancherebbe  di ragionevolezza, in quanto
 livellerebbe situazioni chiaramente differenziate (quali  quella  dei
 docenti  tenuti  anche a svolgere attivita' assistenziali e quella di
 tutti gli altri docenti), non osserverebbe la  regola  della  "giusta
 mercede"  e violerebbe il principio del buon andamento della pubblica
 amministrazione. Cio'  tanto  piu'  che  la  speciale  indennita'  si
 sarebbe col tempo "nullificata", appiattendo la retribuzione.
    L'avvocatura  dello  Stato,  nella  memoria  del 22 febbraio 1988,
 deduce preliminarmente l'inammissibilita' del ricorso per non  essere
 stato  notificato alla regione ed alle competenti u.s.l.; nel merito,
 sostiene  la  infondatezza  del  ricorso,  nonche'  della   sollevata
 questione  di  costituzionalita',  attese  le conclusioni di cui alla
 sentena n. 126/1981 della Corte.
                             D I R I T T O
    1.   -  L'eccezione,  proposta  dall'avvocatura  dello  Stato,  di
 inammissibilita' del ricorso per mancata notificazione  alla  regione
 Lazio ed alle u.s.l. competenti, non ha pregio.
    I  ricorrenti, professori universitari della facolta' di medicina,
 chiedono l'accertamento  del  diritto  al  compenso  per  il  maggior
 impegno  orario  per  lo svolgimento dell'attivita' assistenziale. La
 pretesa, quindi, permane nell'ambito del rapporto di impiego che essi
 intrattengono  con l'universita' essendo eventualmente mera questione
 di  rapporti  fra  enti  (universita'  e  regioni)  la  distribuzione
 dell'onere  e  le  fonti di provvista dell'onere medesimo. Tanto piu'
 che, come osservato dalla Corte costituzionale (sent. n. 126  del  10
 luglio  1981),  i  professori  universitari  operanti  nelle cliniche
 universitarie non sono titolari di un duplice rapporto di impiego  in
 relazione  alla  doppia  attivita'  assistenziale  e  didattica,  con
 diritto ad un'unica retribuzione.
    2. - Il ricorso ha l'evidente obiettivo di sottoporre al vaglio di
 costituzionalita' l'art. 4 della legge  25  marzo  1971,  n.  213,  e
 l'art.  3  della  legge 8 marzo 1985, n. 75 (recte, 72), prospettando
 nell'unico motivo il loro contrasto con gli artt. 3, 36  e  97  della
 Costituzione.
    La  prima  norma  prevede la corresponsione a favore del personale
 medico universitario,  che  svolge  (oltre  all'attivita'  didattica)
 comunque  attivita' assistenziale, di una indennita' non superiore "a
 quella necessaria per equiparare il trattamento  economico  a  quello
 del personale medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianita'".
    L'altra  norma (art. 3 della legge n. 72/1985) regola, nella parte
 che interessa, il compenso dovuto ai professori universitari di ruolo
 che optino per il regime di impegno a tempo pieno.
    La  tesi  dei  ricorrenti  e'  che  la  normativa  citata manca di
 ragionevolezza in  quanto  livella  situazioni  differenziate,  quali
 quella  dei  docenti  universitari  tenuti  allo svolgimento anche di
 attivita' assistenziali e quella  di  tutti  gli  altri  docenti;  ne
 risulterebbe  violato inoltre, il principio della giusta retribuzione
 e del buon andamento della pubblica amministrazione.
    L'eccezione  di  costituzionalita',  nei  termini che seguono, non
 appare manifestamente infondata.
    V'e',  anzitutto, da rilevare che si ripresenta una questione gia'
 affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza 10 luglio 1981,
 n. 126.
    Peraltro,  allora la questione venne proposta con riferimento alla
 posizione:  a)  dei  primari   che   non   siano   anche   professori
 universitari;  b) dei primari che abbiano un carico universitario; c)
 degli altri professori universitari, ai  quali  viene  consentito  il
 cumulo  delle  retribuzioni,  in  relazione al cumulo dei rapporti di
 lavoro.
    L'eccezione  di  costituzionalita'  viene  ora  dedotta  sotto  un
 diverso aspetto, interno alla categoria dei professori  universitari.
 Viene,  cioe',  sollevato  il dubbio di costituzionalita' del sistema
 retributivo dei docenti universitari di medicina  tenuti  a  svolgere
 anche attivita' assistenziale con un obbligo di impegno orario minimo
 di n. 1140 ore annue (n. 1440 per i docenti a tempo pieno) (art.  102
 del  d.P.R.  11  luglio 1980, n. 382), rispetto agli altri professori
 universitari, i quali hanno l'obbligo di assicurare la loro  presenza
 per non meno di 250 ore annuali se a tempo definito e non meno di 350
 ore se a tempo pieno (art. 10 del d.P.R. n. 382/1980).
    Vero  e'  che  l'art.  4  della  legge  n.  213/1971  riconosce al
 personale medico universitario che svolge attivita' assistenziale  la
 spettanza  di  una indennita' finalizzata alla equiparazione del loro
 trattamento economico a quello del personale  medico  ospedaliero  di
 pari  funzione  ed  anzianita';  ma  pare  altrettanto  vero che tale
 indennita'  scompare  o  si  attenua  in  relazione   alla   dinamica
 retributiva delle due categorie di personale, con l'effetto che viene
 a livellarsi il trattamento economico all'interno della categoria dei
 professori  universitari,  nonostante  il  diverso  impregno,  la cui
 rilevanza ai fini economici era stata riconosciuta dal legislatore.
    Che   tale   fenomeno   sia   reale,   lo   riconosce   la  stessa
 amministrazione resistente,  allorche'  osserva  (pg.  2  e  3  della
 memoria  depositata  il  22  febbraio  1988): "... ci sembra pero' di
 dover rilevare che il fenomeno evidenziato dai ricorrenti,  piu'  che
 da particolari cause endogene sembra piuttosto derivare dal fatto che
 le retribuzioni dei docenti sono aumentate in misura tale da non  far
 piu'  ritenere  quale  utile  punto  di  arrivo  economico quello dei
 corrispondenti gradi ospedalieri e dunque ormai  poco  appetibile  la
 c.d. indennita' De Maria, almeno per le posizioni apicali".
    Il sistema normativo, quindi, se ha risolto il problema di rendere
 proporzionate  le  retribuzioni  fra  medici  universitari  e  medici
 ospedalieri,  non  risolve  il  diverso  problema  di  proporzionare,
 all'interno dei docenti universitari, la retribuzione dei  professori
 con  impegni  orari  obbligatori  fortemente  diversificati, come nel
 caso.
    Gia'  altro  t.a.r.  (t.a.r. Veneto ordinanza 29 novembre 1986, n.
 911), nel rimettere alla Corte costituzionale la medesima  questione,
 ha  osservato  che era rimasta al di fuori del precedente giudizio di
 costituzionalita', fra talune altre, l'esame  della  discriminazione,
 determinate  dall'art.  4  della  legge  n. 213/1971, consistente nel
 "trattamento economico uguale dei docenti universitari che svolgono e
 di   quelli  che  non  svolgono  attivita'  assistenziale,  allorche'
 l'indennita' in contesa non possa piu' essere erogata per  l'avvenuta
 elevazione  del  trattamento  economico  dei  docenti universitari al
 livello del trattamento previsto per i medici ospedalieri".
    Le  considerazioni  riferite  rendono  evidenti  le  ragioni della
 sospetta  incostituzionalita'  del  citato  art.  4  della  legge  n.
 213/1971  con  riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Puo'
 aggiungersi che la non manifesta infondatezza  dell'eccezione  appare
 sorretta  dagli  insegnamenti  stessi  della Corte costituzionale. In
 particolare, quanto all'art. 3 della Costituzione:
       a)  il  principio  che  il  giudizio sulla parita' o diversita'
 della situazione spetta insindacabilmente allo stesso legislatore nei
 limiti  del  rispetto  della  ragionevoleza  e  degli  altri principi
 costituzionali (Corte costituzionale 8 giugno 1963, n. 81, 14  aprile
 1980, n. 47);
       b)  il  principio  che  non  costituisce controllo dell'uso del
 potere discrezionale del  legislatore,  se  si  dichiara  violato  il
 principio  di  equazione,  allorche' il legislatore assoggetta ad una
 indiscriminata disciplina situazioni  che  esso  stesso  considera  e
 dichiara diverse (Corte costituzionale 14 luglio 1958, n. 53);
       c)  il principio che la ragionevolezza di una norma di legge va
 valutata anche con riferimento  a  fatti  sopravvenuti  dopo  la  sua
 entrata in vigore (Corte costituzionale 23 aprile 1965, n. 33).
    Quanto poi all'art. 36 della Costituzione: appare in contrasto col
 diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita'  e  qualita'
 del   lavoro   la  norma  che,  posta  per  differenziare  il  regime
 retributivo di una categoria di personale piu' onerata, abbia perduto
 in  tutto  o  in  parte  la  sua  funzione  di  compensare il livello
 differenziato  di  impegno  lavorativo  per   fatti   estranei   alla
 valutazione della proporzione retributiva.
    Quanto infine all'art. 97 della Costituzione: premesso che il buon
 andamento della p.a. non riguarda esclusivamente l'organizzazione dei
 pubblici  uffici,  ma si estende alla disciplina del pubblico impiego
 (Corte costituzionale 7  aprile  1981,  n.  52),  la  violazione  del
 principio  di  buon  andamento non appare manifestamente infondata in
 relazione  alla  sopravvenuta   irragionevolezza   della   disciplina
 impugnata,  atteso  che  e'  gia'  stata  affermata  la necessita' di
 assicurare il buon andamento della p.a. anche  attraverso  la  tutela
 delle    retribuzioni   dei   dipendenti   (argomentando   da   Corte
 costituzionale 8 giugno 1963, n. 88).
    Resta   da   evidenziare   la   rilevanza   della   questione   di
 costituzionalita' nel presente  giudizio.  Essa  e'  individuata  nel
 fatto che solo la eventuale rimozione dall'ordinamento della norma de
 qua consentirebbe al collegio di esaminare la consistenza della  tesi
 dei ricorrenti a veder calcolato il proprio stipendio in relazione al
 maggior numero di ore di servizio  prestato;  e,  cioe',  secondo  il
 calcolo  dai  medesimi  fatto:  stipendio lordo annuo 19.622.430: 250
 (minimo ore annuali) = 78.489 x 1140 (minimo ore  dei  ricorrenti)  =
 89.477.460.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
    Sospende il giudizio sul ricorso n. 3138/1986;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n.
 13, in relazione agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale perche' possa pronunciarsi sulla predetta questione;
    Manda  alla segreteria della sezione che la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  che  la stessa sia comunicata al Presidente della Camera
 dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Roma il 21 marzo 1988.
                          Il presidente: TUSO
   Il consigliere est.: RAVALLI
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