N. 10 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 febbraio 1990
N. 10 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 febbraio 1990 (dalla regione autonoma Trentino-Alto Adige) Finanza regionale - Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni - Riduzione di fondi per le regioni a statuto speciale e per le province autonome (Fondo comune per i servizi dei consultori familiari, ivi compresi quelli relativi all'interruzione volontaria della gravidanza, fondo speciale per l'esercizio delle funzioni gia' ex Onmi, fondo per gli asili nido) ed esclusione dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151 Riduzione del Fondo sanitario nazionale per le regioni a statuto speciale e le province autonome - Esclusione dai seguenti fondi: per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta, per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura, per l'attuazione del piano forestale nazionale, per gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali e sanitario di conto capitale - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome e del principio della copertura finanziaria per le minori entrate conseguenti alle norme impugnate - Ingiustificata discriminazione delle regioni a statuto speciale rispetto alle regioni ordinarie Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. e di tutela della salute dei cittadini - Richiamo alle sentenze della Corte nn. 21/1956, 307/1983, 245/1984 e 452/1989. (D.L. 28 dicembre 1989, n. 415, artt. 18, 19 e 20). (Cost., artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119; statuto regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, 6, 8, 10, 16, 69 e segg.)(GU n.7 del 14-2-1990 )
Ricorso della regione autonoma Trentino-Alto Adige, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore dott. Tarcisio Andreolli, giusta delibera della giunta del 25 gennaio 1990, n. 162, rappresentata e difesa - in virtu' di mandato speciale del 26 gennaio 1990 per atto del segretario della giunta avv. Franco Visetti (rep. n. 2740) - dall'avv. prof. Sergio Panunzio, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, per la dichiarazione di incostituzionalita' degli artt. 18, 19 e 20 del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, recante "Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni, nonche' disposizioni varie". F A T T O E' ben noto che l'autonomia delle regioni e delle province di Trento e Bolzano trova il suo essenziale supporto nella loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956 - le regioni e province autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad adempiere alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119 della Costituzione) nello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), spec. artt. 69 e segg. (titolo sesto) - come di recente modificati ed integrati dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 - anche in relazione agli artt. 4 e 6, e nelle relative norme d'attuazione. Se poi si considera come anche per le regioni ad autonomia speciale e per le due procince autonome di Trento e Bolzano, la massima parte delle loro risorse finanziarie sia costituita da una finanza "derivata", e cioe' consistente nei periodici trasferimenti di risorse da parte dello Stato, ben si comprende come non solo la quantita', ma anche la regolarita', la tempestivita' e, in una parola, la affidabilita' di tali trasferimenti sia essenziale per garantire alle regioni e province autonome una effettiva autonomia nell'esercizio delle loro funzioni, il buon andamento delle loro amministrazioni e dei servizi pubblici di loro competenza, la programmabilita' della loro azione. E' esemplare, a questo rigurdo, il caso delle attivita' regionali e provinciali in materia di sanita', la cui spesa e' alimentata essenzialmente dai trasferimenti annuali provenienti dal fondo sanitario nazionale. Proprio in relazione a tale settore codesta ecc.ma Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi dello Stato, ivi compresi quelli finanziari, siano improntati ad organicita' e stabilita'. In particolare nella sentenza n. 307/1983 essa ha rilevato come "il susseguirsi di anno in anno di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria renda quanto mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale"; e poi nella sentenza n. 245/1984 - a proposito delle disposizioni in materia sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osserva come per dare una disciplina organica e per assicurare efficienza al servizio sanitario nazionale "non servono allo scopo le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: la' dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, e' infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo". Tali ammonimenti, come e' evidente, hanno un valore che va' al di la' del solo settore sanitario, poiche' il problema cui essi si riferiscono riguarda in genere tutte le attivita' di competenza regionale e provinciale, che risultino condizionate da scelte dello Stato e da trasferimenti finanziari da questo operati. Ma si tratta di ammonimenti ai queli lo Stato e' stato sino ad oggi sordo. In particolare per quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo Stato ha continuato ad emanare tentativi di riforme peraltro abortite (i dd.-ll. 25 marzo 1989, n. 111, e 29 maggio 1989, n. 189, non convertiti dal Parlamento) ed interventi "tampone" di vario genere, ma per lo piu' adottati con lo strumento improprio del decreto-legge (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso di tale strumento, sono stati fatti da codesta ecc.ma Corte - sentenza n. 245/1984 - e nonostante la rigorosa disciplina oggi stabilita dalla legge n. 400/1988). E' una strada sbagliata, questa, sulla quale lo Stato ha compiuto di recente un ulteriore passo, assai grave. Ci si riferisce, appunto, al d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1989) di cui al presente atto. Non riuscendo, da un lato, a portare avanti in Parlamento il disegno di legge sulla autonomia finanziaria delle regioni e sui rapporti finanziari fra lo Stato e le regioni e province autonome (una delle leggi "di accompagnamento" della legge finanziaria 1990) e volendo comunque realizzare in qualche modo dei tagli alla spesa pubblica, il Governo ha pensato bene di adottare un provvedimento - quale e' appunto il suddetto decreto-legge - che, come ora si vedra', e' per vari aspetti censurabile. Di tale decreto-legge viene in evidenza, in primo luogo l'art. 18 ("Riduzione di fondi per le regioni a statuto speciale e per le province autonome"). In particolare al primo comma esso stabilisce che a partire dal 1990 cessa la corresponsione alle sole regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano di una serie di fondi, e cioe': il fondo comune per i servizi dei consultori familiari, ivi compresi quelli relativi all'interruzione volontaria della gravidanza (di cui all'art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 405, e art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194), il fondo speciale per l'esercizio delle funzioni gia' ex O.N.M.I. trasferite (di cui all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698), il fondo per gli asili nido (di cui all'art. 1 della legge 29 novembre 1977, n. 891, ed art. 2 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044). Sempre lo stesso primo comma dell'art. 18, nella sua ultima parte, stabilisce che "Le predette regioni sono altresi' escluse dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, e provvedono alla concessione dei contributi alle aziende di trasporto con propri mezzi finanziari. Restano comunque fermi per le medesime regioni i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151". Il successivo art. 19 del decreto-legge reca il titolo "Riduzione del Fondo sanitario nazionale per le regioni a statuto speciale e per le province autonome". Esso al primo comma stabilisce che "A decorrere dall'anno 1990 alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano le assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del livello delle compartecipazioni ai tributi statali risultanti dai rispettivi ordinamenti, del 20 per cento per la regione Valle d'Aosta, e per le province autonome di Trento e di Bolzano, del 10 per cento per le regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5 per cento per la regione Sardegna". Il secondo comma dello stesso art. 19 stabilisce poi che "Ai fini della ripartizione del Fondo sanitario nazionale di parte corrente il C.I.P.E., per l'anno 1990, fa riferimento all'importo complessivo, al lordo delle riduzioni di cui al primo comma, valutate in lire 970 miliardi". Infine vi e' l'art. 20, che reca il titolo "Esclusione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome da taluni fondi settoriali". Esso cosi' recita nel suo unico comma: " Le regioni a stauto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano sono escluse, a partire dal 1990, dal riparto dei seguenti fondi: a) fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n. 281, al netto della quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n. 574; b) fondo per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura di cui all'art. 3, primo comma, della legge 8 novembre 1986, n. 752, al netto delle somme spettanti ai sensi del secondo comma del predetto art. 3; c) fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale di cui all'art. 6 della legge 8 novembre 1986, n. 752; d) fondo per gli interventi nel settore dei trasporti pubblici locali; e) fondo sanitario di conto capitale". Si tratta, come e' evidente, di una disciplina sotto vari aspetti censurabile e lesiva delle autonomie speciali, regionali e provinciali. In primo luogo perche' essa costituisce un ennesimo esempio di quel tipo di intervento contingente e disorganico che non e' ammissibile in una materia cosi' delicata e costituzionalmente rilevante. Inoltre perche' esso, operando dei tagli tanto consistenti quanto irrazionali ai trasferimenti finanziari riguardanti le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, in relazione ad attivita' e spese che peraltro queste debbono comunque effettuare (per vincolo costituzionale o di legge dello Stato), lede l'autonomia degli enti stessi: sia quella finanziaria sia quella "funzionale" (costringendo in ogni caso gli enti a coprire quelle spese sottraendo proprie risorse finanziarie ed altre destinazioni e comprimendo e pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle funzioni e dei servizi). Infine perche' i tagli sono stati effettuati solo a carico delle regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano. A quest'ultimo riguardo non si puo' non osservare sin d'ora come il decreto-legge manifesti ancora una volta un atteggiamento discriminatorio del Governo nei confronti delle autonomie speciali di per se' inammissibile, e comunque tanto piu' censurabile per il fatto che, in tal modo, la "specialita'" delle autonomie in questione si traduce, anziche' - come deve essere - in un arricchimento di tali autonomie, in una compressione delle medesime, che e' del tutto incompatibile con i principi costituzionali. Pertanto la regione autonoma Trentino-Alto Adige si vede costretta ad impugnare la suddetta disciplina legislativa per i seguenti modivi. D I R I T T O La esposizione dei motivi del presente ricorso necessita di una premessa. I fondi cui si riferisce la disciplina impugnata riguardano per la maggior parte le competenze delle province autonome di Trento e di Bolzano ( ex artt. 8 e segg. dello statuto T.-A.A.) piu' che della regione Trentino-Alto Adige (artt. 4 e segg. dello statuto). Fa eccezione il fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta, di cui all'art. 20, lett. a), del d.-l. n. 415/1989. Dunque, per quanto concerne il Trentino-Alto Adige, le relative decurtazioni di trasferimenti finanziari colpiscono di regola le due province autonome prima e piu' che la regione. Tuttavia, il fatto che siano le due province autonome ad essere colpite "in prima battuta" dalla gran parte della disciplina in questione non significa che il presente ricorso della regione Trentino-Alto Adige possa essere rivolto a contestare solo l'esclusione della medesima dal fondo per i programmi regionali di sviluppo disposta dall'art. 20, lett. a). Ne' comporta che ad esso - per il resto - possa essere riconosciuto solo il valore di un intervento effettuato dalla regione per manifestare una solidarieta' politica nei confronti delle azioni promosse - innanzi a codesta ecc.ma Corte - dalle due province autonome e da altre regioni ad autonomia speciale, per contrastare in modo unitario un atto legislativo che e' palesemente diretto, nel suo complesso, a comprimere e mortificare il suolo e la portata di tutte le autonomie speciali nel sistema regionale italiano. Invero non si tratta solo di questo. Vi e' piuttosto da tenere presente, in primo luogo, il nesso inscindibile, fondato sul comune statuto di autonomia, che lega la regione e le due province autonome e che si manifesta anche "fisicamente" nella coincidenza degli elementi territoriali, personali ed organizzativi dei tre enti: per cui i cittadini delle province autonome sono gli stessi cittadini della regione, il territorio provinciale e' al tempo stesso territorio regionale, i consiglieri provinciali sono al tempo stesso consiglieri regionali. Al di la' della articolazione e distinzione delle varie competenze distribuite dallo statuto fra i tre enti, vi e' dunque fra essi una unitarieta' ed inscindibilita' di interessi che si manifesta proprio in relazione a vicende come quella del decreto-legge qui impugnato. Come si vedra', i tagli finanziari da questo apportati a carico delle province autonome comportato inevitabilmente un abbassamento del livello quantitativo e qualitativo dei relativi servizi ed interventi pubblici di competenza provinciale: sanita', trasporti, ecc. I tagli comportano, dunque, conseguenze negative per la soddisfazione degli interessi e dei bisogni di soggetti che sono cittadini delle province autonome, ma che sono anche cittadini della regione. Insomma, vi e' una unitarieta' o, comunque, una complementarieta' ed inscindibilita' di interessi (prima ancora che organizzativa) fra gli enti che non puo' non trovare la sua espressione al livello regionale. Tanto basta, riteniamo, a legittimare la regione, a proporre il presente ricorso. Legittimazione che trova del resto il suo positivo fondamento in una norma speciale, quale l'art. 98, primo comma, dello statuto T.-A.A., che attribuisce alla regione il potere di impugnare gli atti legislativi dello Stato non solo per lesione delle proprie particolari "competenze" - secondo la formula piu' restrittiva impiegata dal comma successivo per i conflitti di attribuzione - ma per ogni "violazione del presente statuto". E non vi e' dubbio che la disciplina qui impugnata violi gravemente le norme dello Statuto T.-A.A. (oltre che della Costituzione). E' chiaro, tuttavia, che le censure formulabili dalla regione nei confronti della disciplina impugnata altre non possono essere, essenzialmente, che le medesime formulabili dalle stesse province. Quelle, cioe', che queste ultime hanno dedotto con separti ricorsi, proposti parallelamente innanzi a codesta ecc.ma Corte. Censure che pertanto con il presente atto vengono qui di seguito proposte anche dalla regione Trentino-Alto Adige. Con l'avvertenza, peraltro, che con le censure concernenti in particolare l'esclusione dal fondo per i programmi regionali di sviluppo - disposta dall'art. 20, lett. a), del decreto-legge impugnato (infra, n. 2.3) - la regione deduce una violazione della propria autonomia che (diversamente dalle censure relative agli altri fondi) e' diretta e non gia' mediata dalla violazione delle autonomie provinciali. Cosi' come una immediata e diretta lesione della autonomia regionale e' quella dedotta con il terzo motivo del presente ricorso, concernente la mancata convocazione del presidente della giunta regionale - ex art. 40, ultimo comma, dello statuto - alla seduta del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 1989. 1. - Violazione, da parte dell'art. 19 del decreto-legge impugnato, delle attribuzioni regionali e provinciali di cui agli artt. 4, 6, 8, 10, 16, 69 e segg. (titolo sesto, come modificato ed integrato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, spec. art. 5) dello statuto speciale T.-A.A. e delle relative norme d'attuazione, nonche' degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione. Il "taglio" dei finanziamenti (per riduzione o esclusione) disposto dalla disciplina legislativa impugnata a carico della regione e delle province autonome assune particolare gravita' per quanto riguarda i fondi relativi a prestazioni sanitarie: sia per l'entita' dei tagli, sia per la essenzialita' e peculiarita' dei servizi su cui essi finiscono per incidere. Conviene dunque partire dall'art. 19 del decreto-legge inpugnato, il cui contenuto si e' gia' riportato in precedenza e che, come si e' visto, riduce del 20% le assegnazioni alle province autonome della parte corrente del Fondo sanitario nazionale, di cui all'art. 51 della legge n. 833/1978. Un aspetto essenziale della disciplina contenuta nell'art. 19 impugnato - che, come poi si vedra', ricorre anche negli artt. 18 e 20, ma che per la spesa sanitaria di cui all'art. 19 e' particolarmente evidente - sta nel fatto che con tale disciplina lo Stato riduce alle province le risorse che ad essa sono peraltro necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative spese obbligatorie per le provincie stesse: prestazioni e spese, del tutto "rigide" nella loro entita' e, comunque, non dipendenti da autonome scelte regionali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato. In altri termini, con tale disciplina si pone a carico delle province la spesa sanitaria senza che pero' esse abbiano gli strumenti per controllarla e tanto meno ridurla; e quindi le si costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei trasferimenti del Fondo sanitario destinato a tali spese le risorse proprie che debbono quindi essere distolte dai loro impieghi, cosi' riducendo altri tipi di interventi provinciali, ostacolando l'esercizio delle normali funzioni delle province, impedendole una razionale programmazione degli interventi, sconvolgendo le stessse previsioni di bilancio. Che le province autonome non abbiano effettivi poteri di controllo sulla spesa sanitaria e' cosa sin troppo nota per indugiare qui ad analitiche dimostrazioni. Salvo ritornare sul punto in ulteriori scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto riguarda le funzioni ospedaliere, sia i livelli retributivi che in genere il trattamento del personale non dipendono dalle province (ma sono regolati da accordi stipulati a livello nazionale); anche le spese per acquisti di beni e servizi dipendono essenzialmente da necessita' obiettive e dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo sui prezzi dei prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico, la disciplina dei tiket. Anche per quanto riguarda l'assistenza specialistica e la medicina di base e' a livello statale che vengono predisposte le convenzioni con i medici privati. Cosi' come, in genere, e' sempre a livello statale che vengono stabiliti gli standards dei servizi sanitari. Tutto cio, del resto, e' ben noto a codesta ecc.ma Corte, la quale gia' in passato (sentenze nn. 245/1984, e poi 452/1989) ha rilevato come "non si puo' presupporre 'che le amministrazioni regionali portino (. . . ) l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle unita' sanitarie locali', in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di governo dettate dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini". Ed ha poi ribadito (sentenza n. 452/1989) che la garanzia della autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione". E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso delle osservazioni che precedono (e di quelle che seguiranno) non e' certo quello di contestare la necessita' di un intervento dello Stato per il risanamento della spesa pubblica. Ne' si ritiene, evidentemente, che le regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a sopportarne anch'esse l'onere in modo proporzionale. Il problema e' piuttosto un altro. Ed e' che l'onere non puo' essere caricato esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due province di Trento e Bolzano. E che se il Governo vuole risanare il deficit della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in modo organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi, gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il tutto in modo da ridurre le spese; e solo a seguito di questo riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata - lasciando immutate la regolamentazione del servizio e la entita' degli oneri, e pero' riducendo i relativi finanziamenti alle sole regioni a statuto speciale e province autonome, e quindi scaricando su di esse (e solo su di esse) il costo e le conseguenze della manovra finanziaria. Una siffatta disciplina, che attribuisce alle regioni ad autonomia speciale ed alle province autonome la responsabilita' della spesa per un servizio volto a soddisfare un diritto costituzionale dei cittadini, senza fornire pero' ad esse i mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il controllo ed il governo della spesa stessa, viola dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza e quello di autonomia finanziaria della regione ed in particolare delle province autonome, specie (ma non solo) in materia di sanita' (artt. 9, n. 10, e 16, e titolo sesto dello statuto); ed al tempo stesso viola il principio di copertura finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Un principio, quest'ultimo, che si estende anche alle spese accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato, e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 devono contenere la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci annuali e pluriennali". La fondatezza di tali censure trova sostegno, invero, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che in piu' occasioni (ma spec. con le gia' citate sentenze nn. 245/1984 e 452/1989), proprio facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e la responsabilita' della relativa spesa ha dichiarato la incostituzionalita' di norme legislative statali con le quali si veniva a far gravare sui bilanci delle regioni e delle province autonome (senza disporre i corrispondenti trasferimenti di risorse finanziarie) spese necessarie per il funzionamento del servizio sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro a tali enti, o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo le regioni stesse (e le province autonome) a prelevare le risorse necessarie a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale e le province autonome) o comunque dalla finanza "propria". Riassumendo. La disciplina stabilita dall'art. 19 del decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, in primo luogo, perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, come esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in quanto essa accolla alle regioni ad autonomia speciale ed alle province autonome nuove spese senza prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte. Cosi' facendo la disciplina impugnata viola, al tempo stesso, l'autonomia finanziaria delle province in materia - in primo luogo di sanita' (artt. 9, n. 10, e 16, e titolo sesto dello statuto, nonche' art. 119 della Costituzione), ma anche nelle altre materie di competenza propria (artt. 8 e 10 dello statuto). Cio' in quanto tale disciplina, senza tenere minimamente conto delle esigenze di coordinamento della spesa statale con quella provinciale, scarica sul bilancio delle province spese di cui esse non hanno il governo, e che non possono da esse essere sostenute altro che stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi, riducendo le capacita' di spesa e di intervento delle province anche nelle altre materie di propria competenza. Tale disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore profilo, per violazione anche degli artt. 3, 32 e 116 della Costituzione. In modo del tutto irrazionale ed ingiustificato essa, infatti, discrimina due volte le province autonome, e con esse anche la regione ricorrente. In primo luogo, e soprattutto, nei confronti delle regioni ad autonomia ordinaria che non subiscono riduzioni di assegnazioni di quote del Fondo sanitario di parte corrente; ma gia' si e' detto all'inizio come tale discriminazione in peius, oltre che inammissibile in se', e' in contrasto proprio con le ragioni della specialita' delle autonomie delle province di Trento e di Bolzano e della regione ricorrente, sancita dallo statuto del Trentino-Alto Adige e, ancor prima, dall'art. 116 della Costituzione. Una seconda volta, poi, la discriminazione viene fatta dalla disciplina impugnata - sempre in modo del tutto arbitrario - nei confronti delle regioni Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, per le quali e' stabilita una riduzione di assegnazione assai minore (la meta', o addirittura un quarto). In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra enti, ma fra gli stessi cittadini italiani, a seconda della loro residenza. Poiche' mentre essi hanno tutti, egualmente, un diritto costituzionalmente garantito ad un eguale trattamento sanitario da parte delle strutture pubbliche, viceversa la disciplina impugnata (per quanto le regioni e province autonome da essa discriminate possono cercare di far fronte ai nuovi oneri della spesa sanitaria trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente sulla funzionalita' e qualita' dei servizi resi dalle strutture delle due province autonome, dando cosi' luogo ad una ingiustificata differenziazione di trattamento a scapito di cittadini della regione ricorrente. Infine, le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come la disciplina in questione determini, altresi', una violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, pregiudicando il buon andamento delle amministrazioni provinciali e dei servizi pubblici di loro competenza. Tutti i surriferiti profili di incostituzionalita' risultano poi tanto piu' gravi ed evidenti ove si consideri che la disciplina impugnata si scontra con un fondamentale principio che - ad integrazione e svolgimento della disciplina del titolo sesto dello statuto - e' stabilito dall'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386 (legge, si badi bene, adottata ai sensi e con la speciale procedura di cui all'art. 104 dello statuto). Stabilisce infatti il primo comma dell'art. 5 che "Le province autonome partecipano alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazione in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalita' per gli stessi previsti". Ed aggiunge il successivo secondo comma che "I finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore, con riscontro nei conti consuntivi delle rispettive province". In base a tali principi, dunque, le province autonome non possono essere discriminate nell'assegnazione dei fondi in questione, poiche' quei principi vogliono appunto garantire l'eguaglianza di trattamento delle province autonome rispetto alle altre regioni, e cosi' anche l'eguaglianza di trattamento dei cittadini (di tali province e) della regione ricorrente, che assieme a tutti gli altri cittadini italiani hanno un eguale diritto alla tutela della salute, ed alle prestazioni ed alla efficienza del servizio sanitario nazionale. 2. - Violazione, da parte degli artt. 18 e 20 del decreto-legge impugnato, delle attribuzioni regionali e provinciali e dei principi di cui alle norme costituzionali gia' indicate in precedenza. 2.1. - Non e' solo l'art. 19 del decreto-legge impugnato a riguardare la spesa sanitaria, ma anche l'art. 18 e l'art. 20. Quest'ultimo, in particolare, alla lett. e) addirittura esclude totalmente le province autonome dal riparto del Fondo sanitario nazionale per cio' che riguarda le assegnazioni in conto capitale: quindi per il finanziamento di tutta la spesa sanitaria relativa, fra l'altro, alla manutenzione straordinaria delle strutture, degli impianti e delle attrezzature sanitarie, al rinnovo degli stessi; allo sviluppo ed agli investimenti. Quanto poi all'art. 18, primo comma, si e' gia' visto come anche questo stabilisca la esclusione delle province autonome da fondi concernenti la spesa sanitaria: come il Fondo per i servizi dei consultori familiari (di cui alle leggi nn. 405/1975 e 194/1978), che svolgono in particolare anche il servizio di assistenza alla donna che voglia interrompere la gravidanza. E' palese come tutte le censure gia' formulate in precedenza nei confronti della disciplina contenuta nell'art. 19 del decreto-legge impugnato valgono, a maggior ragione, anche nei confronti degli ulteriori tagli al finanziamento della spesa sanitaria stabiliti dalle surrichiamate disposizioni dell'art. 18. Anche in questo caso, infatti, si tratta di tagli al finanziamento di spese ed oneri, in relazione ai quali le province autonome non ha poteri rilevanti di scelta o di controllo, pur dovendo necessariamente farvi fronte caricandoli sul proprio bilancio. E tanto piu' grave ed evidente - trattandosi non gia' di una semplice riduzione, ma di una totale esclusione dai fondi - appare poi il contrasto con il principio stabilito dal gia' richiamato art. 5 della legge n. 386/1989, che in ogni caso preclude in modo insuperabile che le province autonome possano essere escluse dai fondi di cui al primo comma, ed anche - piu' in generale - dai finanziamenti previsti per le regioni di cui al secondo comma dello stesso art. 5. Pertanto si richiamano integralmente le censure ed argomentazioni svolte nel precedente motivo di ricorso, relative alla violazione: a) del principio della copertura della spesa ex art. 81 della Costituzione (ed art. 27 della legge n. 468/1978); b) dall'autonomia finanziaria della regione e delle province autonome nelle materie di competenza in base alle norme costituzionali gia' richiamate, ed in particolare in materia di assistenza e di sanita' (spec. artt. 8, n. 25, 9, n. 10, 16 e titolo sesto dello statuto; ed art. 5 della legge n. 385/1989); c) degli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione, sotto i profili gia' illustrati, per le irragionevoli discriminazioni e disfunzioni cui da' luogo la normativa in questione. 2.2. - Ancora per quanto riguarda la disciplina stabilita dal primo comma dell'art. 18 del decreto-legge impugnato, merita di essere particolarmente sottolineata la esclusione che pure vi e' disposta, a carico delle province autonome, dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981. Come gia' si e' visto, lo stesso primo comma dell'art. 18 aggiunge che le regioni dovranno provvedere alla concessione dei contributi alle aziende di trasporto (per il ripiano dei disavanzi) "con propri mezzi finanziari"; e che restano fermi per le regioni i principi di cui alla legge n. 151/1981: fra cui, dunque, quello che impone alle regioni di intervenire per ripianare (almeno in parte) i disavanzi delle aziende di trasporto (artt. 6 e 9 della legge n. 151/1981). Invero, la formulazione della disposizione, che si riferisce testualmente solo a "Le predette regioni..." dovrebbe portare ad escludere che essa si applichi anche alle province autonome di Trento e Bolzano. Ma nell'ipotesi in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse invece che tale disposizione vada diversamente interpretata, estendendola anche alle province autonome, si propongono allora nei suoi confronti - almeno in via cautelare - le seguenti censure. Si tratta di una disciplina che incide particolarmente in una materia di competenza provinciale di grado primario, quale e' quella in materia di trasporti di interesse provinciale di cui all'art. 8, n. 18, dello statuto (oltre che in quella pure primaria in materia di servizi pubblici di interesse provinciale, ex art. 8, n. 19, dello statuto). Anche questa disciplina adottata alle province un nuovo onere senza pero' fornirgli le risorse per fronteggiarlo. Pertanto anche nei confronti di tale disciplina valgono integralmente le censure gia' formulate in precedenza (ivi compresa quella relativa al contrasto con l'art. 5 della legge n. 386/1989), e che non e' il caso di ripetere ancora. Infatti, anche in questo caso ci si trova di fronte ad una spesa che attiene (come per il servizio sanitario) all'espletamento di un servizio pubblico essenziale quale e' quello dei trasporti diretto a soddisfare - direttamente od indirettamente - rilevanti valori costituzionali (quali quelli che garantiscono il diritto dei cittadini ad avere mezzi idonei per circolare sul territorio, anche per motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un servizio il cui espletamento le province autonome sono dunque obbligate a garantire, pur avendo poteri assai limitati di controllo sulla relativa spesa, specie se si considerano i poteri dello Stato in ordine alla determinazione delle tariffe (cfr. d.-l. 4 marzo 1989, n. 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160). Di conseguenza, per i motivi gia' illustrati in precedenza, non e' costituzionalmente corretto addossare alle (sole) regioni ad autonomia speciale ed alle province autonome - escludendole dal riparto dell'apposito fondo nazionale - l'onere di ripianare, esclusivamente con le finanze proprie, i disavanzi delle aziende di trasporto in questione. La incostituzionalita' della disciplina impugnata trova del resto conferma in quanto affermato in argomento da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 307/1983 (n. 15 della motivazione in diritto), che pure dichiaro' incostituzionale una analoga norma legislativa dello Stato che obbligava le regioni a ripianare i deficit delle aziende locali di trasporto attingendo alle proprie finanze (anziche' al Fondo nazionale di cui alla legge n. 151/1981). 2.3. - Infine, come pure si e' visto, l'art. 18, primo comma, del decreto-legge impugnato esclude le province autonome dalle erogazioni provenienti dal fondo speciale per l'esercizio delle funzioni della soppressa O.N.M.I. (legge n. 698/1975) e dal fondo per gli asili nido (legge n. 891/1977); mentre l'art. 20 del decreto-legge impugnato, alle lettere da a) a d) esclude le province autonome ed anche la regione ricorrente da altri fondi di settore (oltre che da quello sanitario di conto capitale, di cui si e' gia' detto in precedenza). Orbene, per quanto riguarda la esclusione delle province dal "fondo per gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali" (art. 20, lett. d), valgono, evidentemente, le stesse censure ed argomentazioni gia' svolte in precedenza (n. 2.2.) a proposito della esclusione dal fondo per il ripiano dei disavanzi delle aziende di trasporto. Ma anche per quanto riguarda la esclusione dagli altri fondi di cui al primo comma dell'art. 18, come pure da quelli di cui all'art. 20 (per i programmi regionali di sviluppo, per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura, per l'attuazione del piano forestale nazionale - pur avendo un particolare rilievo, in relazione ai relativi interventi regionali e provinciali, anche ulteriori norme statutarie attributive di competenze proprie della regione e delle province in varie materie (spec. artt. 4, n. 9, ed 8, nn. 21, 25 e 26) - si possono formulare censure ed argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle gia' svolte in precedenza: specie in considerazione del fatto che si tratta di spese per interventi che la regione ricorrente e le province autonome sono tenute a svolgere per soddisfare alle finalita' di pubblico interesse ad esse affidate dallo statuto e dalle leggi, del principio di non esclusione delle province dai fondi e dai finanziamenti alle regioni ex art. 5 della legge n. 386/1989, e della irragionevole discriminazione operata a loro danno dalla disciplina impugnata, che ammette invece al riparto del fondo le regioni ad autonomia ordinaria. 3. - Violazione dell'art. 40, ultimo comma, dello statuto e relative norme d'attuazione. La disciplina impugnata riguarda soltanto le regioni ad autonomia speciale e le province di Trento e Bolzano, disponendo solo a carico di esse - e non di tutte le altre regioni - pesanti tagli di risorse finanziarie. Non vi e' dubbio, quindi, che si tratta di una disciplina che "riguarda" la regione ricorrente. Pertanto, ai sensi dell'art. 40, ultimo comma, dello statuto e dell'art. 19 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, il presidente della regione doveva essere convocato per intervenire alla seduta del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 1989, in cui venne deliberato il decreto-legge impugnato (cosi' come esso era stato doverosamente invitato a partecipare al Consiglio dei Ministri del 29 settembre 1989 per l'esame del disegno di legno "di accompagnamento" alla legge finanziaria 1990 intitolato "Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni" - il cui contenuto e' stato poi ripreso dal decreto-legge impugnato). Ma il presidente della giunta regionale del Trentino-Alto Adige non e' stato convocato in occasione della deliberazione del Consiglio dei Ministri relativa al decreto-legge in questione. Cio' comporta una puntuale violazione della norma statutaria e dell'autonomia regionale, e quindi la incostituzionalita' della disciplina legislativa impugnata.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte dichiarare la illegittimita' costituzionale, in parte qua, degli artt. 18, 19 e 20 del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, in relazione alle norme costituzionali indicate. Roma, addi' 26 gennaio 1990 Prof. avv. Sergio PANUNZIO 90C0157