N. 137 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 1989

                                 N. 137
      Ordinanza emessa il 1 dicembre 1989 dal pretore di Roma nel
         procedimento penale a carico di Housseini Jameleddine
 Liberta'  personale  -  Nuovo  codice  di procedura penale - Norme di
 attuazione - Contravvenzione al foglio di via obbligatorio  da  parte
 dello  straniero  -  Previsto  arresto  anche al di fuori dei casi di
 flagranza - Convalida - Possibile applicazione da parte  del  giudice
 di  misura  coercitiva  in  contrasto  con principi e direttive della
 legge di delega.
 (D.Lgs.  28  luglio 1989, n. 271, art. 224, primo e secondo comma, in
 relazione alla legge 16 febbraio 1987, n. 81, artt. 2, punti 32 e 59,
 e 6).
 (Cost., art. 76).
(GU n.14 del 4-4-1990 )
                               IL PRETORE
     Sciogliendo la riserva;
                     OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
    Tratto  in  arresto per rispondere del reato p. e p. dall'art. 152
 del t.u.l.p.s. Housseini  Jameleddine  veniva  presentato  innanzi  a
 questo  pretore ai sensi dell'art. 566 c.p.p. Il p.m. nel chiedere la
 convalida  dell'arresto  dell'imputato  e  l'applicazione  nei   suoi
 confronti   della   misura  coercitiva  della  custodia  in  carcere,
 prospettava una questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 224,  primo  e  secondo  comma,  del  d.P.R. n. 271/1989 in relazione
 all'art. 76 della Costituzione depositando a  tal  fine  una  memoria
 inserita negli atti del giudizio.
     Orbene,  dovendo  il  giudicante  pronunciarsi sulla legittimita'
 dell'operato nei confronti dell'imputato relativamente al reato p.  e
 p.  dall'art.  152  del  t.u.l.p.s.; nessun dubbio sussiste in ordine
 alla  rilevanza  della  prospettata   questione   di   illegittimita'
 costituzionale  con  riferimento  al primo comma dell'art. 224 citato
 che, per l'appunto, imporrebbe la convalida dell'arresto.
    Parimenti  rilevante  deve,  poi,  ritenersi  l'analoga  questione
 prospettata in ordine al secondo comma della stessa disposizione.
    Le  condizioni  di  vita  dell'imputato,  sprovvisto  di una fissa
 dimora, di una stabile occupazione, di un  qualsiasi  legame  con  un
 determinato  luogo  del territorio nazionale, evidenziano un concreto
 pericolo  di  fuga  bene  potendosi  desumere,  in   relazione   alle
 specifiche  circostanze  sopra richiamate, che l'imputato ove rimesso
 in liberta' possa definitivamente  sottrarsi  alla  esecuzione  della
 pena  rendendosi  irreperibile,  anche  in  virtu'  della sua incerta
 indentificazione anagrafica - l'imputato e' sprovvisto  di  documenti
 di identita' -.
    Avendone  il  p.m.  fatto  richiesta e sussistendone le condizioni
 andrebbe quindi, disposta ex art.  224  del  d.P.R.  n.  271/1989  la
 misura coercitiva della custodia in carcere, apparendo questa l'unica
 misura idonea a salvaguardare la richiamata esigenza cautelare.
    Accertata  la  rilevanza  ai  fini  del decidere della prospettata
 questione di illegittimita', resta  da  valutare  il  suo  fondamento
 nello  specifico  e  limitato  ambito  del  giudizio di non manifesta
 infondatezza riservato al giudice a quo.
    A  riguardo si impone una prima considerazione di ordine generale.
    La  legge  delega  n.  81/1987,  nel  demandare  al  Governo della
 Repubblica il compito di emanare il nuovo codice  di  rito,  ha,  per
 cio'  che  qui  interessa,  fissato  nei  nn. 32 e 59 dell'art. 2 gli
 specifici principi e criteri ai quali attenersi nel  disciplinare  le
 ipotesi  di arresto ad opera della p.g. nonche' quelle di adozione di
 eventuali misure di coercizione personale con provvedimenti dell'a.g.
 Senza  entrare nel dettaglio delle citate disposizioni e' sufficiente
 sottolineare ai limitati fini della questione oggetto di  esame  come
 il legislatore delegante abia ancorato le ipotesi di arresto ad opera
 della p.g. alla sussistenza di uno stato di flagranza in relazione  a
 fattispecie  esclusivamente delittuose cosi' escludendo, a differenza
 della precedente normativa, qualsiasi ipotesi di  arresto  per  reati
 contravvenzionali.
    Nello  stesso  n. 32 del citato art. 2 il legislatore delegante ha
 previsto, al di fuori dei casi di flagranza, il diverso potere-dovere
 della  p.g.  di  fermare  "colui che e' fortemente indiziato di gravi
 delitti, quando vi e' fondato pericolo di fuga".
    Deve,  pertanto, concludersi che, secondo la scelta operata in via
 generale dal legislatore nel disciplinare l'istituto dell'arresto  ad
 opera  della  p.g. tale penetrante potere e' stato limitato alle sole
 ipotesi di gravi  delitti  accertati  in  stato  di  flagranza  cosi'
 escludendo,  a differenza di quanto disposto nel previgente codice di
 rito, qualsiasi applicazione dell'istituto a reati contravvenzionali.
    Analoghe  considerazioni  possono, poi, essere svolte per cio' che
 attiene  alla  possibilita'  di  applicare  una   misura   coercitiva
 relativamente alla richiamata ipotesi contravvenzionale, possibilita'
 che, come piu' avanti  si  illustrera',  viene  per  la  prima  volta
 introdotta con l'art. 224 del d.P.R. n. 271/1989.
    Il  n.  59  dell'art.  2 della citata legge delega tradottosi, per
 cio'  che  qui  interessa,   nell'art.   280   del   c.p.p.,   limita
 l'applicabilita'  di  una  misura  coercitiva, sussistendone le altre
 condizioni pure elencate, alle sole ipotesi dei reati puniti con pena
 detentiva superiore nel massimo a tre anni.
    Discende  da  quanto  fin  qui argomentato che tanto la previsione
 dell'arresto quanto quella di applicazione di una  misura  coercitiva
 in relazione all'art. 152 del t.u.l.p.s. appaiono totalmente estranee
 al sistema generale delineato dal legislatore delegante:  l'art.  224
 del  decreto  citato mantiene, quanto al primo profilo, un'ipotesi di
 arresto,  anche  al  di  fuori  dei  casi  di  flagranza,   per   una
 contravvenzione   -   primo  comma  -  e  introduce  una  ipotesi  di
 applicazione di misura coercitiva per un reato punito,  nel  massimo,
 con mesi sei di arresto.
    Deve a questo punto verificarsi se le scelte operate dal delegato,
 in quanto fondate  su  un  potere  attribuitogli  dal  legislatore  e
 rispondenti  ai  principi  da  questo  prefissati,  possano ritenersi
 costituzionalmente legittime ai sensi dell'art. 76 della Costituzione
 a  nulla  rilevando,  sotto  il  profilo che qui interessa, eventuale
 giudizi sull'opportunita' politica di siffatte scelte.
    La  soluzione  alla  prospettata questione, sia pure sotto profili
 parzialmente diversi, non puo' non essere negativa in rapporto  tanto
 al primo, quanto al secondo comma dell'art. 224 del c.p.p.
    Le  disposizioni  in  esame  risultano  inserite  tra  le norme di
 coordinamento del c.p.p. e, quindi,  secondo  quanto  palesato  dalla
 loro  collocazione  sistematica, trovano il loro fondamento normativo
 nell'art. 6 della legge delega che, per l'appunto, affida al  Governo
 il  compito  di  "emanare  le  norme di attuazione delle disposizioni
 previste negli artt. 2, 3 e 5, le norme di coordinamento delle stesse
 con  tutte  le altre leggi dello Stato, nonche' le norme di carattere
 transitorio".
      Orbene, proprio il tenore della citata norma attesta la perfetta
 consapevolezza nel legislatore delegante delle  difficolta'  connesse
 all'inserimento  delle  nuove norme nella previgente legislazione. Il
 legislatore infatti espressamente delega al  Governo  il  compito  di
 coordinare  e,  quindi, rendere compatibili, nel quadro di un sistema
 che si vuole rendere quanto piu' armonico, le disposizioni  contenute
 nel  nuovo codice di rito con quelle inserite nelle altre leggi dello
 Stato.
    Lo   stesso   delegato,   del   resto,   mostra   di  avere  piena
 consapevolezza del compito affidatogli e, nella prima delle norme  di
 coordinamento,  cosi' come in numerose altre, recita "Le disposizioni
 del codice si osservano nei procedimenti relativi  a  tutti  i  reati
 anche  se  previsti  da  leggi  speciali,  salvo  quanto diversamente
 stabilito in questo titolo e nel titolo terzo" - art. 207 -.
    Per  effetto  della richiamata norma, per l'efficacia ed il valore
 ad essa conferitagli dalla disposizione dell'art. 6  della  legge  di
 delegazione  vengono  cosi' a cadere per cio' che qui interessa norme
 contenute in  leggi  speciali  in  quanto  non  conformi  al  sistema
 delineato nel nuovo codice di rito.
    Essendosi,  peraltro,  l'autorita' delegata riservato il potere di
 deroga a quanto pure stabilito  in  "via  generale"  nell'ambito  del
 conferitole  compito  di  coordinamento, il Governo nel seguente art.
 224, fa salve "le disposizioni dell'art. 152  del  regio  decreto  18
 giugno 1931, n. 773 che prevedono l'arresto dello straniero munito di
 foglio  di  via  obbligatorio  che   si   allontani   dall'itinerario
 previsto".
    Appare,  cosi',  evidente  che  la norma sulla cui scorta e' stato
 arrestato l'imputato  e'  stata  mantenuta  in  vita  da  una  scelta
 discrezionale  del Governo che, verosimilmente fondata su valutazioni
 di ordine politico peraltro estranee al  presente  thema  decidendum,
 non  trova, ad avviso di questo pretore, alcun fondamento nella legge
 di delegazione e, quindi, deve ritenersi in contrasto con  l'art.  76
 della Costituzione.
    Non  si comprende, infatti, sulla base di quale norma delegante il
 Governo, che pure mostra di esercitare il  compito  di  coordinamento
 eliminando  dalla  legislazione  speciale  le  disposizioni  non piu'
 compatibili con quelle introdotte con il nuovo codice, riservi a  se'
 il potere di mantenere in vita norme, come quella contenuta nell'art.
 152 del t.u.l.p.s., che appaiono in palese e stridente contrasto  con
 la disciplina dettata in via generale in tema di arresto.
    In  altri  termini il potere attribuitosi dal Governo di stabilire
 quali delle norme contenute nella legislazione precedente abrogare  e
 quale  mantenere in vita, potere riservato in via generale alla sfera
 di esclusiva competenza  del  Parlamento,  in  quanto  esercitato  su
 principi e criteri non enucleabili dalla legge di delegazione, sembra
 in contrasto con quest'ultima che piu' semplicemente, aveva delineato
 un  compito  di  coordinamento volto ad un armonico inserimento delle
 nuove  norme  in  tema  di  arresto  nella  legislazione  precedente,
 inserimento  da  attuarsi,  come  il  Governo  mostra  di  avere  ben
 compreso, anche attraverso l'eliminazione di  disposizioni  non  piu'
 compatibili  con  i principi codificati nel nuovo codice di rito (v.,
 oltre alla prima parte dell'art. 207, ad es. l'art. 230).
    In  conclusione, dovendosi escludere che l'esercizio del potere di
 coordinamento conferito al Governo fosse totalmente privo di limiti -
 tale situazione si rifletterebbe irrimediabilmente sulla legittimita'
 costituzionale della stessa legge di delegazione ai sensi  del  primo
 comma  dell'art.  76  della  Costituzione -, dovendosi, al contrario,
 ritenere come questi dovesse tendere all'eliminazione di disposizioni
 ormai incompatibili con il nuovo codice di rito, deve ritenersi privo
 di fondamento legislativo, e quindi,  costituzionalmente  illegittimo
 ex  art.  76  della  Costituzione,  il  primo comma dell'art. 224 del
 decreto legislativo n. 271/1989 che, in sede di  mero  coordinamento,
 ha ritenuto di mantenere in vita un'ipotesi di arresto che per essere
 prevista anche al di fuori della flagranza, per un  reato  di  natura
 contravvenzionale,  si  pone  in palese contrasto con le disposizioni
 introdotte con il nuovo codice di procedura penale.
    Ancora  piu'  fondati,  poi,  appaiono  i  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale in ordine al secondo comma dell'art.  224  del  citato
 decreto legislativo n. 271/1989.
    Si  e',  infatti,  introdotta una nuova ipotesi di applicazione di
 misura coercitiva relativamente ad un reato contravvenzionale  punito
 nel massimo con sei mesi di arresto.
    Orbene,  risultando  estranee  al  presente  thema decidendum ogni
 valutazione politica in ordine ad una siffatta  scelta,  occorre  qui
 sottolineare  come  la possibilita' di applicare al contravventore al
 f.v.o. una misura coercitiva e' disposizione che non  solo  contrasta
 con  l'attuale  sistema normativo, ma non ha un suo antecedente nella
 disciplina del vecchio codice di rito.
    Senza  entrare nel merito del preesistente sistema, e' sufficiente
 sottolineare, ai fini che qui interessano,  che  la  possibilita'  di
 creare  un  autonomo e definitivo titolo di custodia contestuale alla
 convalida di arresto relativamente al reato p. e p. dall'art. 152 del
 t.u.l.p.s. non era prevista nell'abrogato codice di procedura.
    Al  di la' dei diversi meccanismi processuali operanti nel vecchio
 e nel nuovo codice  di  rito  in  tema  di  status  libertatis  degli
 imputati, ben oltre le dispute pure prospettatesi in passato tanto in
 dottrina quanto in giurisprudenza circa la possibilita' di  mantenere
 la  custodia cautelare per reati che non consentivano la cattura, una
 cosa e'  resa  di  per  se'  evidente  dalla  disposizione  contenuta
 nell'art.  224  d.lgs. n.  271/1989: mentre in passato in nessun caso
 poteva emettersi, a seguito della convalida dell'arresto, un  mandato
 di  cattura  nei  confronti dello straniero contravventore al f.v.o.,
 oggi, viceversa, puo' essere disposta  la  custodia  in  carcere  con
 l'adozione  di  un  definitivo  titolo restrittivo della sua liberta'
 personale.
    Per  effetto  della  citata  norma,  pertanto, bene puo' ritenersi
 come, sotto il profilo cautelare, la posizione del contravventore  al
 f.v.o.  si  sia  notevolmente  aggravata  e  cio'  non  tanto  per la
 possibilita' di essere giudicato per direttissima in stato di arresto
 -  situazione  questa  pure prevista dalla legislazione precedente -,
 quanto per la sottoposizione a un titolo definitivo di custodia  che,
 qui si in deroga a quanto precedentemente previsto, ne legittimerebbe
 il mantenimento  in  carcere  a  prescindere  dall'intervento  in  un
 ristretto  arco  di  tempo  di una sentenza di condanna. Unico limite
 alla custodia in carcere dell'imputato, oltre alle ipotesi di  revoca
 e sostituzioni delle misure, dovrebbe ritenersi l'inutile ricorso dei
 termini massimi di custodia cautelare previsti dal  terzo  comma  del
 citato art. 224 del c.p.p.
    Orbene,  il  delineato contrasto della disposizione in esame con i
 principi fissati dalla  direttiva  59  dell'art.  2  della  legge  n.
 81/1987  in  tema  di  misure  coercitive,  il suo ritenuto carattere
 innovativo rispetto alla previgente legislazione, se da  un  lato  ne
 evidenziano   l'illegittimita'  costituzionale  -  la  norma  risulta
 introdotta in sede di mero coordinamento e al  di  la'  di  qualsiasi
 delega conferita dal Parlamento al Governo -, da un altro evidenziano
 la stretta interdipendenza tra il primo e il secondo comma  dell'art.
 224,  rendendo  anche  per  tale  profilo  inevitabile  un  congiunto
 giudizio di costituzionalita' non potendo una disposizione vivere  in
 mancanza dell'altra.
    L'art. 121 delle disp. att. al c.p.p. ha previsto l'obbligo per il
 p.m.  di  disporre  "che  l'arrestato  o   il   fermato   sia   posto
 immediatamente  in  liberta'  quando ritiene di non dovere richiedere
 l'applicazione di misure coercitive".
    In  tale quadro, non volendosi creare ulteriori deroghe al sistema
 previsto per il reato di cui all'art. 152 del t.u.l.p.s. e  volendosi
 mantenere  l'ipotesi  di  arresto  per lo straniero contravventore al
 f.v.o., non restava che introdurre, benche' non previsto  nel  n.  59
 dell'art. 2 della legge delega, la possibilita' di applicare a questi
 una misura coercitiva in mancanza della cui  previsione  non  restava
 che eliminare anche l'ipotesi di arresto.
    Infatti,  dovendosi  sempre applicare l'art. 121 del disp. di att.
 nelle  ipotesi  di  arresto  per  contravvenzione   al   f.v.o.,   la
 liberazione   dello   straniero  avrebbe  comportato  la  conseguente
 impossibilita' di attivare il meccanismo di celebrazione del giudizio
 con rito direttissimo ex art. 566 del c.p.p. e la, invero, formale ed
 inutile richiesta di convalida dell'arresto al g.i.p.
    Al  contrario, essendosi voluta mantenere benche' in contrasto con
 la normativa introdotta in via generale dal nuovo codice di rito,  il
 potere  di  arresto  dello  straniero contravventore al f.v.o., si e'
 inteso, da  parte  dell'autorita'  delegata,  di  colmare  la  lacuna
 venutasi  a creare, quanto alla possibilita' di mantenere la custodia
 cautelare in vista del celebrando  giudizio,  dalla  scomparsa  delle
 ipotesi  di  conferma  della  convalida dell'arresto e di sentenza di
 condanna emesse entro il  decimo  giorno  -  art.  246  dell'abrogato
 c.p.p.  -  con la previsione di un definitivo titolo di custodia che,
 neppure  previsto  dalla  previgente  normativa,  appare  in   palese
 contrasto con i principi e le direttive fissate dal n. 59 dell'art. 2
 della legge delega in ordine alla disciplina delle misure coercitive.
    Si  e',  cosi', data attuazione, secondo una scelta che non appare
 espressa dal Parlamento e, quindi, soggetta alla sua  responsabilita'
 politica,   all'articolato  sistema  specificato  nell'art.  224  che
 proprio per la stretta interdipendenza tra il primo e secondo  comma,
 sembra,  a  questo  pretore,  costituzionalmente  illegittimo nel suo
 insieme, per essere stato introdotto in assenza di  specifica  delega
 con  scelte estranee al compito di coordinamento affidato al Governo.
    Ne', a fronte delle argomentazioni sopra svolte, puo' invocarsi il
 carattere transitorio delle disposizioni in esame dovendosi,  secondo
 la decisione sollecitare al giudice delle leggi, in quanto rientrante
 nella sua esclusiva competenza, stabilire se le  scelte  operate  dal
 Governo  rientrassero  nell'ambito  della  delega  ricevuta  cosi' da
 inquadrarsi    nel    corretto     funzionamento     del     rapporto
 Parlamento-Esecutivo,  a  nulla  rilevando,  sotto  tale  profilo, il
 protrarsi in un tempo piu' o meno  lungo  della  efficacia  di  norme
 emesse in contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
    Le  argomentazioni  fin  qui  svolte  in ordine alla non manifesta
 infondatezza  in  rapporto  all'art.  76  della  Costituzione   della
 illegittimita' del primo e del secondo comma dell'art. 224 del d.P.R.
 28 luglio 1989, n. 271, per contrasto con i nn. 32 e 59  dell'art.  2
 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, nonche' con il successivo
 art. 6 della stessa legge, la rilevanza delle  prospettate  questioni
 nell'ambito del presente procedimento ne impongono la sospensione con
 conseguente   immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale.
      Non  potendosi,  conseguentemente  precedere  sulla richiesta di
 convalida di arresto dell'imputato entro il termine di legge si rende
 necessario  disporre  l'immediata  liberazione  dell'imputato  se non
 detenuto per altra causa.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara    non   manifestamente   infondata   la   questione   di
 illegittimita' costituzionale del primo e del secondo comma dell'art.
 224   del   d.P.R.   n.  271/1989  in  relazione  all'art.  76  della
 Costituzione per contrasto con i punti nn. 32 e 59 dell'art. 2  della
 legge 16 febbraio 1987, n. 81 e dell'art. 6 della citata legge;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il presente giudizio;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  delle  due  Camere
 del Parlamento;
    Ordina  l'immediata  liberazione dell'imputato se non detenuto per
 altro.
                         Il pretore: SILVESTRI

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