N. 147 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 1989

                                 N. 147
    Ordinanza emessa il 20 dicembre 1989 dal Tribunale di Torino nel
         procedimento penale a carico di Bellosio Luca ed altro
 Processo  penale  -  Procedimento  in corso all'entrata in vigore del
 nuovo codice - Formalita' di apertura del dibattimento gia'  esperite
 -  Applicazione  della  pena  richiesta  dall'imputato  Esclusione  -
 Conseguente inapplicabilita' della diminuente ex art.  444 del c.p.p.
 1988  - Disparita' di trattamento tra "dibattimenti non ancora aperti
 e quelli gia' iniziati" - Lesione del principio di applicazione della
 legge  piu'  favorevole  al  reo - Mancato conseguimento dell'intento
 deflattivo al quale e' ispirato il nuovo codice.
 (D.Lgs.  28  luglio  1989,  n.  271, art. 248, in relazione al c.p.p.
 1988, art. 444).
 (Cost., artt. 3, 25 e 97).
(GU n.14 del 4-4-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Sull'eccezione  di  incostituzionalita'  dell'art. 248 delle disp.
 attuazione del c.p.p., per violazione dell'art. 3 della  costituzione
 e  del  principio  di  ragionevolezza,  sollevata  dalla difesa degli
 imputati Bellosio Luca e Marvini Cesare;
    Sentito  il  p.m. che ha concluso per la non rilevanza e manifesta
 infondatezza della questione sollevata;
                             O S S E R V A
    1.  -  Il  presente  procedimento,  instaurato  secondo il vecchio
 c.p.p., ha visto l'apertura del dibattimento  in  data  19  settembre
 1988;  in  data  odierna  gli imputati hanno richiesto l'applicazione
 della pena ai  sensi  dell'art.  248  delle  disp.  att.  del  c.p.p.
 sollevando   la   predetta   questione   di  incostituzionalita'  con
 riferimento al decorso termine di decadenza stabilito nell'art. 248 e
 quantificando la pena richiesta in mesi tre di reclusione. Il p.m. si
 e' opposto alla  applicazione  della  pena  sotto  il  profilo  della
 incongruita'  della  stessa e sotto il profilo della tardivita' della
 richiesta.
    2  (Sulla rilevanza della questione). - Il p.m. ha espresso parere
 contrario all'applicazione della pena richiesta.  Tale  dissenso  non
 appare  ostativo  alla  decisione  sulla rilevanza della questione di
 illegittimita' sollevata, posto che  il  giudice  e'  autorizzato  ad
 applicare  la  pena  richiesta  anche in caso di dissenso del p.m. ex
 art. 448 del c.p.p. cosi' come richiamato dall'art. 248  delle  disp.
 trans.  In questo caso compito del giudice sarebbe quello di valutare
 la ragionevolezza del dissenso del p.m. e la  congruita'  della  pena
 proposta.
    Sotto  questo  profilo il tribunale ritiene che, impregiudicata la
 questione relativa alla responsabilita' degli imputati,  la  pena  di
 mesi  tre  di  reclusione  possa considerarsi congrua con riferimento
 all'art. 133 del c.p., tenuto conto dei profili di  colpa  contestati
 rispettivamente  ai due imputati e alle emergenze probatorie relative
 alla  sussistenza   di   attenuanti.   Pertanto   la   questione   di
 illegittimita'  costituzionale appare rilevante ai fini del decidere,
 posto   che   la   sua   risoluzione   incide   direttamente    sulla
 quantificazione dell'irroganda pena.
    3 (Sulla non manifesta infondatezza). - Nel valutare la fondatezza
 o meno della questione sollevata  appare  preliminare  analizzare  la
 natura  della  norma di cui all'art. 248, con riferimento a quella di
 cui all'art.  444  del  c.p.p.;  in  particolare  appare  preliminare
 stabilire   se   tali  istituti  abbiano  natura  processuale  ovvero
 sostanziale giacche' nel primo caso infondata  sarebbe  la  questione
 proposta alla luce del principio tempus regit actum che disciplina la
 successione delle leggi processuali nel tempo.
    Indubbiamente   gli   istituti  dell'applicazione  della  pena  su
 richiesta delle parti in via ordinaria e in via transitoria esplicano
 efficacia  squisitamente  processuale  determinando  una modifica del
 rito applicabile.
    Peraltro  gli  effetti  ulteriori che tale norma produce sul piano
 della quantificazione della pena, dell'esclusione  della  condanna  a
 pene  accessorie  e  della  estinzione  del  reato  hanno sicuramente
 carattere sostanziale.
    E'  pertanto evidente la disparita' di trattamento sostanziale che
 la norma produce con riferimento alle due categorie di  imputati  che
 si  trovano  rispettivamente  nella  fase processuale precedente o in
 quella  successiva  all'apertura  del  dibattimento;  disparita'   di
 trattamento   collegata   a   circostanza  del  tutto  occasionale  e
 indipendente dalla volonta' dell'imputato, non essendo la  fissazione
 del processo nella disponibilita' del medesimo.
    Viene  in  rilievo,  fatte tali premesse, la disciplina dettata in
 tema di successione nel tempo di leggi penali dall'art. 2 del c.p. In
 proposito  si e' sostenuto che il principio di irretroattivita' della
 legge penale costituzionalmente statuito dell'art. 25, secondo comma,
 dovrebbe  essere necessariamente integrato da quello di cui al citato
 art. 2 sul principio di applicazione della legge piu'  favorevole  al
 reo.
    Cio'  a  parere del tribunale appare condivisibile non tanto sotto
 il profilo della attribuzione di forza costituzionale al principio di
 cui  all'art.  2  del  c.p., quanto sotto quello di riconoscimento al
 medesimo di rilevanza costituzionale, nel senso  che  una  norma  che
 intendesse  contravvenire  a  tale  principio  dovrebbe  rispondere a
 principi anch'essi di rilevanza costituzionale. Tali diversi principi
 costituzionali potrebbero individuarsi, per quello che qui interessa,
 in quelli garantiti dall'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo
 del  buon  andamento dell'attivita' giudiziaria. E' infatti del tutto
 ovvio che a tale principio si ispirino le norme di cui agli artt. 248
 delle  disp.  trans.  e  444 del c.p.p.: l'effetto deflattivo da loro
 originato perseguirebbe proprio  lo  scopo  di  meglio  sfruttare  le
 risorse di persone e mezzi dell'apparato giudiziario.
    Questo  tribunale  ritiene  che la ratio di questi istituti sia da
 ravvisare esclusivamente in tale intento  deflattivo;  il  fatto  che
 accessoriamente sia previsto che, anche il caso di dissenso del p.m.,
 il giudice  possa  applicare  la  pena  richiesta  dall'imputato  non
 contraddice a tale ratio ma costituisce solo un necessario correttivo
 ai fini di evitare una altrimenti evidente incostituzionalita'  della
 norma.
    Il legislatore del 1989 ha inteso in realta' perseguire un intento
 deflattivo di maggiore portata da quello  che  si  ricaverebbe  dalla
 semplice    lettura    dell'art.   248.   Infatti   l'aver   previsto
 l'applicabilita' in via transitoria  anche  degli  istituti  previsti
 dall'art.  599  in sede di appello autorizza a ritenere che l'intento
 di fondo fosse quello di  evitare  qualunque  attivita'  dibattimento
 anche  successiva  all'apertura  del  dibattimento  di  primo  grado,
 sfruttando a tal fine le procedure abbreviate.
    Pertanto  si appalesa irragionevole la limitazione posta dall'art.
 248 delle disp. trans. la' dove non si prevede,  per  i  dibattimenti
 gia'  aperti  alla  data  del  24  ottobre  1989,  la possibilita' di
 chiedere il rito speciale, sia  pure  eventualmente  fissando  in  un
 congruo termine.
    Con  cio'  si  sarebbe  evitata  la  differenza di trattamento fra
 dibattimenti non ancora aperti e quelli gia' iniziati, tenendo  cosi'
 conto  della  evidente  impossibilita'  dell'imputato  di  richiedere
 l'applicazione della pena prima  dell'entrata  in  vigore  del  nuovo
 codice.
    Una   tale  previsione  avrebbe  pienamente  rispettato  l'effetto
 deflattivo che  ha  informato  l'intero  sistema  del  nuovo  c.p.p.,
 comprese  le  norme transitorie allo stesso, evitando la prosecuzione
 di dibattimenti in ipotesi anche lunghi e complessi e avrebbe inoltre
 rispettato  pienamente  il  principio,  di  rilevanza costituzionale,
 dell'art. 2 del c.p..
    Pertanto,   conclusivamente,   questo  tribunale  ritiene  che  la
 disposizione di cui  all'art.  248  delle  disp.  trans.,  nella  sua
 mancata   previsione,   per   i   procedimenti   in  fase  successiva
 all'apertura  del  dibattimento,   di   un   termine   per   chiedere
 l'applicazione delle pena, contrasti con l'art. 3, per ingiustificata
 disparita'  di  trattamento,  25,   secondo   comma,   e   97   della
 Costituzione.
    Il giudizio deve pertanto essere sospeso con rimessione degli atti
 alla Corte costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa di Bellosio Luca
 e Marvini Cesare dell'art. 248 delle disp. transitorie del c.p.p. con
 riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della costituzione nella  parte  in
 cui  non  prevede, per i procedimenti in fase successiva all'apertura
 del dibattimento  di  primo  grado,  un  termine  per  esercitare  la
 facolta'  di  richiedere  l'applicazione  della  pena ex art. 444 del
 c.p.p.;
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale e
 dispone che la presente ordinanza sia notificata  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento.
      Torino, addi' 20 dicembre 1989
                   Il presidente: (firma illeggibile)

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