N. 151 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 1990

                                 N. 151
    Ordinanza emessa il 25 gennaio 1990 dal giudice per le indagini
    preliminari presso la pretura di Catania nel procedimento penale
      relativo all'infortunio sul lavoro occorso a Nocita Ignazio
 Processo  penale  -  Nuovo  codice  - Reato di competenza pretorile -
 Richiesta di archiviazione al g.i.p. - Mancata condivisione  Ritenuta
 preclusione a chiedere ulteriori indagini anche in caso di carenze in
 quelle gia'  effettuate  -  Ingiustificata  discriminazione  rispetto
 all'analogo   rito   del   tribunale   Violazione  del  principio  di
 obbligatorieta'  dell'esercizio  dell'azione   penale   -   Lamentata
 impossibilita'    di    esercitare   un   controllo   giurisdizionale
 sull'operato del p.m. - Conseguente compromissione della finalita' di
 assicurare l'uguaglianza di tutti i cittadini avanti alla legge.
 (C.P.P. 1988, art. 554, secondo comma; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271,
 art. 157).
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.14 del 4-4-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale n.
 1560/89 r.g.n.r. relativo alle indaginoi preliminari per l'infortunio
 sul lavoro occorso a Nocita Ignazio.
                            FATTO E DIRITTTO
    Con  rapporto  del  26  gennaio 1989 diretto al pretore di Catania
 l'ispettorato del lavoro della stessa citta' riferiva quanto segue.
    In  data  30  ottobre  1987 i lavoratori Pistorio Rosario e Nocita
 Ignazio, entrambi dipendenti della ditta Coem  S.p.a.,  con  sede  in
 Catania, erano intenti ad eseguire per conto della loro ditta, presso
 lo  stabilimento  Sagea  Supermercati  S.p.a.  di  Misterbianco,   il
 montaggio  di  due  TA  (trasformatori  di corrente per misure) in un
 quadro elettrico costituito da scomparti protetti per interno.
    In  particolare,  mentre  il  Pistorio  operava  all'interno dello
 scomparto superiore del quadro elettrico,  ove  era  stata  tolta  la
 tensione,  il  Nocita,  posto  all'esterno  del quadro, era intento a
 tagliare ed a porgere al collega di lavoro  degli  spezzoni  di  cavo
 necessari al cablaggio dei secondari dei TA.
    Improvvisamente,  dallo  scomparto inferiore del quadro elettrico,
 isolato da quello superiore e rimasto in tensione (20.000  volt),  si
 sprigionava una scarica elettrica che investiva il lavoratore Nocita,
 cagionandogli ustioni di secondo e terzo grado al ginocchio  sinistro
 ed  alla  pianta  dei  piedi,  dalle quali sarebbe guarito in data 27
 aprile 1988 con postumi di carattere permanente.
    Disposta  dal  pretore  perizia  tecnica  circa  "le  cause  e  le
 modalita' dell'incidente sul lavoro", in data 16 dicembre 1989 veniva
 depositata relazione scritta.
    In  detta  relazione  il  consulente  ad  ombra di ipotesi che uno
 spezzone di conduttore del diametro di 4,5 mm, sfuggito  di  mano  al
 Nocita,  si sia introdotto "accidentalmente e quasi inspiegabilmente"
 in una delle due "fessure longitudinali aventi larghezza  di  mm  4,5
 cadauna esistenti sul setto di separazione" fra scomparto superiore e
 scomparto inferiore del quadro elettrico, e, penetrato all'interno di
 quest'ultimo,  ossia  nella  parte  del  quadro  in  tensione,  abbia
 determinato il contatto.
    Il  consulente, quindi, conclude che "la causa dell'incidente deve
 ascriversi ad un caso eccezionalmente fortuito stante che  attraverso
 le  fessure  longitudinali  descritte...  e'  oltremodo difficile far
 penetrare anche volutamente un conduttore del diametro di 4,5 mm".
    Il  pubblico  ministero, sulla base di tali conclusioni, formulava
 richiesta di archiviazione per infondatezzza della notizia di  reato.
    Cio'  posto,  non puo' farsi a meno di ossservare che la relazione
 del  consulente  tecnico  e'  contraddittoria  nelle  conclusioni  e,
 percio',    inappagante.    da    un   lato,   infatti,   l'eziologia
 dell'infortunio viene ricondotta al caso fortuito (spiegando  con  la
 penetrazione accidentale, attraverso una fessura larga mm 4,5, di uno
 spezzone di cavo del diametro di mm 4,5); dall'altro lato si  afferma
 che  attraverso  le  fessure longitudinali descritte.... e' oltremodo
 difficile fare penetrare anche volutamente un conduttore del diametro
 di 4,5 mm".
    La  stessa  relazione,  poi,  e' altresi' mutila giacche' trascura
 quasi completamente di esplorare l'aspetto  connesso  alla  eventuale
 violazione  dell'art. 345 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, norma di
 prevenzione fondamentale in materia di lavori  su  apparecchiature  e
 condutture  elettriche  ad  alta  tenzione  e  nelle  loro  immediate
 vicinanze, di carattere cogente e prevalente sulla normativa CEI.
    Da qui la necessita' di ulteriori e piu' approfindite indagini.
    Questo   giudice,   tuttavia,  allo  stato  degli  atti,  dovrebbe
 pronunciare decreto di archiviazione a norma dell'art.  554,  secondo
 comma,   c.p.p.,   e,   contemporaneamente,   in  applicazione  della
 disposizione di cui all'art. 157 del d.lgs. 28 luglio 1989,  n.  271,
 informare  il  procuratore  generale presso la corte di appello della
 esigenza di ulteriori indagini.
    Senonche',  proprio  in  ordine  alla legittimnita' costituzionale
 delle due norme teste' richiamate possono essere espressi seri dubbi,
 apparendo esse in contrasto con il disposto degli artt. 3 e 112 della
 Costituzione.
    Il  nuovo  processo  penale,  improntato  ai caratteri del sistema
 accusatorio, ha delineato il giudice per le indagini preliminari come
 organo  imparziale  ed equidistante, cui e' demandato "l'esercizio di
 funzioni di garanzia e di controllo sullo svolgimento delle  indagini
 preliminari  oltreche' di verifica e di decisione sui risultati delle
 stesse".
    Organo,  dunque,  solo  ed esclusivamente di giurisdizione, il cui
 ruolo  e'  nettamente  distinto  rispetto  a  quello   del   pubblico
 ministero,  trasformato  quest'ultimo  in  organo  di sola azione, al
 quale, nella posizione di parte, e' invece  riservata  la  conduzione
 delle    indagini   necessarie   per   le   determinazioni   inerenti
 all'esercizio della azione penale.
    Il  giudice  per le indagini preliminari, di conseguenza, assume i
 caratteri di organo polifunzionale,  la  cui  attivita'  si  dispiega
 nella  duplice  direzione  della garanzia nei confronti della persona
 sottoposta alle indagini  e  del  controllo  sul  corretto  esercizio
 dell'azione   penale  all'esito  delle  indagini  preliminari.  Egli,
 pertanto  e'  anche  il  garante  del  principio  di  obbligatorieta'
 dell'azione penale sancito dall'art. 112 della Costituzione.
    Ed intanto tali funzioni di garanzia e di controllo possono essere
 efficacemente svolte,  si'  da  rendere  effettivo  il  principio  di
 obbligatorieta',  in  quanto  siano  predisposti  idonei  strumenti -
 beninteso processuali - atti ad impedire che gli inevitabili  margini
 di  discrezionalita'  insiti nell'attivita' del pubblico ministero si
 trasformino  o  trasmodino  in  forme  di  esercizio  discriminatorio
 dell'azione penale o nell'inerzia.
    In    sostanza,    attraverso    l'effettivita'    del   controllo
 giurisdizionale sull' esercizio dell'azione penale, si  da'  concreta
 attuazione   ad   una   delle  finalita'  connesse  al  principio  di
 obbligatorieta' enunciato dall'art. 112 della Costituzione, ossia  di
 assicurare l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
    Orbene,  gli artt. 554, secondo comma, del c.p.p. e 157 del d.lgs.
 28 luglio 1989, n. 271,  sembrano,  per  l'appunto,  violare  sia  il
 principio   di   uguaglianza  sia  il  principio  di  obbligatorieta'
 dell'azione penale.
    Sotto il primo profilo occorre subito rilevare che le citate norme
 non assicurano una disciplina uniforme per  situazioni  assolutamente
 identiche.
    L'art.  554,  secondo  comma, del c.p.p. riconosce al giudice, ove
 questi non concordi con la richiesta di archiviazione, il  potere  di
 imporre  al  pubblico ministero la formulazione della imputazione; si
 deve, tuttavia, convenire che fra  imputazione  cosidetta  coatta  ed
 archiviazione  non  sempre vi e' una linea di demarcazione netta, ben
 potendosi  verificare  tutta  una  gamma  di  situazioni  intermedie,
 caratterizzate  dall'acquisizione  di elementi ancora inidonei per la
 formulazione di una corretta imputazione,  ma  al  tempo  stesso  non
 esaustivi  ai  fini della decisione sulla richiesta di archiviazione.
 Ed e' proprio a queste situazioni ibride, di incertezza,  che  sembra
 riferirsi  l'art.  157  del d.lgs. n.  271/1989, allorche' stabilisce
 che il giudice per le indagini preliminari, quando emette decreto  di
 archiviazione, se rileva l'esigenza di ulteriori indagini, ne informa
 il procuratore generale presso la corte di appello.
    Senonche'  le  stesse  situazioni,  nel  procedimento  davanti  al
 tribunale, ricevono una disciplina notevolmente e,  sul  piano  degli
 effetti,  essenzialmente  diversa.  In  tutte dette ipotesi, infatti,
 l'art. 409, quarto comma,  del  c.p.p.  attribuisce  al  giudice,  il
 quale,  rilevi,  a  seguito  della  richiesta  di  archiviazione,  la
 necessita' di ulteriori indagini, il potere di indicare  al  pubblico
 ministero tale necessita' e di fissargli un termine per il compimento
 delle indagini ulteriori. Tale  potere  non  implica  -  beninteso  -
 riassunzione  da parte del giudice di compiti di indagine ex officio,
 il che snaturerebbe il suo ruolo  di  organo  imparziale;  bensi'  si
 inquadra  nell'ambito  dell'espletamento  della funzione di controllo
 giurisdizionale, quale indispensabile strumento mirante  a  rimuovere
 gli elementi di incertezza in sede decisionale.
    Negare,  per  contro,  nel  procedimento  davanti  al  pretore, in
 presenza di situazioni  assolutamente  eguali,  rispetto  alle  quali
 cioe' non appare evidente l'infondatezza degli elementi acquisiti, lo
 stesso potere al  giudice  per  le  indagini  preliminari,  significa
 comprimere  di  fatto,  ed  in  misura  rimarchevole, l'esercizio del
 controllo  giurisdizionale  e,  correlativamente,  compromettere   il
 perseguimento  della finalita' di assicurare l'eguaglianza di tutti i
 cittadini di fronte alla legge.
    E  tutto  cio'  e'  tanto  piu' sorprendente, ove si consideri che
 l'art. 425 del c.p.p., esigendo quale presupposto  per  la  pronuncia
 della  sentenza  di  non  luogo  a  procedere all'esito della udienza
 preliminare "che risulti evidente che il fatto  non  sussista  o  che
 l'imputato  non  lo  ha  commesso  o  che  il  fatto  non costituisce
 reato...", postula una presunzione  di  necessita'  del  dibattimento
 quando  l'infondatezza  della  tesi  accusatoria  non appare di tutta
 evidenza.
    La   constatata   diversita'   di   disciplina   nel  procedimento
 pretoriale, rispetto a quella adottata, per situazioni identiche, nel
 procedimento  davanti al tribunale, finirebbe, allora, per risolversi
 in una violazione del principio di eguaglianza  sancito  dall'art.  3
 della Costituzione.
    Ne' potrebbe costituire ragionevole giustificazione della speciale
 normativa la considerazione che il procedimento davanti  al  pretore,
 per  espressa  previsione  della legge-delega (direttiva 103), doveva
 essere disciplinato "secondo criteri di massima semplificazione".
    L'esigenza  di  massima  semplificazione,  invero, non puo' essere
 intesa in maniera esasperata, sino al punto da piegare ai suoi  scopi
 financo   l'rrinunciabile  principio  del  controllo  giurisdizionale
 sull'esercizio dell'azione penale.
    I rilievi di incostituzionalita' degli artt. 554, secondo comma, e
 157 del d.lgs. n. 271/1989, peraltro, non si limitano al solo profilo
 della  violazione  del principio di eguaglianza, ma investono pure la
 stessa obbligatorieta' dell'azione penale.
    Invero,  secondo  il sistema congegnato dalle norme menzionate, il
 giudice per le indagini preliminari (nel procedimento pretorile), nei
 casi in cui non concordi con la richiesta di archiviazione presentata
 dal pubblico ministero ed  al  tempo  stesso  non  sia  in  grado  di
 ordinare  la  formulazione  dell'imputazione,  e'  tenuto  comunque a
 pronunciare  decreto  di  archiviazione   e,   correlativamente,   ad
 informare  della  necessita'  di  ulteriri  indagini  il  procuratore
 generale. Questi,  pero',  non  ha  alcun  dovere  di  richiedere  la
 riapertura  delle indagini, bensi' si attivera', cosi' come prescrive
 lo stesso art. 157 citato, soltanto ove  ne  ravvisi  i  presupposti,
 ossia   in  base  ad  una  scelta  rimessa  esclusivamente  alla  sua
 valutazione   discrezionale.   E   cio'   nonostante   che   l'organo
 girisdizionale,  cui e' istituzionalmente affidato il controllo sulle
 scelte del pubblico ministero, una valutazione abbia gia' espresso  e
 proprio  nel  senso  di  sollecitazione  all'attivazione del pubblico
 ministero.
    Situazione,   questa,   la   quale  consentirebbe  di  configurare
 l'archiviazione nella suddetta ipotesi come una sorta di atto dovuto.
 Il  che'  vulnererebbe palesemente il principio della obbligatorieta'
 dell'azione penale, giacche' la decisione in ordine alla richiesta di
 archiviazione  formulata  dal  pubblico  ministero, proprio in quanto
 espressione del controllo giurisdizionale  sulle  scelte  dell'organo
 dell'accusa, non puo' mai essere coatta. Se cosi' fosse, il principio
 di obbligatorieta' dell'azione penale, sancito formalmente  dall'art.
 112  della  Costituzione,  risulterebbe,  di  fatto, svuotato di ogni
 effettivita'.
                                P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  non  manifestamente  infondata  e rilevante nel presente
 procedimento la questione di legittimita' costituzionale degli  artt.
 554,  secondo  comma,  del c.p.p. e 157 del d.lgs. 28 luglio 1989, n.
 271;
    Ordina  la  sospensione  del  procedimento e la trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che copia della presente ordinanza sia notificata, a cura
 della cancelleria, al pubbliico ministero in sede, al Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento.
      Catania, addi' 25 gennaio 1990
            Il giudice per le indagini preliminari: DI MARCO

 90C0356