N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 4 dicembre 1989

                                 N. 10
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 27
           marzo 1990 (della regione autonoma della Sardegna)
 Parchi   nazionali   e   riserve  naturali  -  Decreto  del  Ministro
 dell'ambiente 4 dicembre 1989, recante "Individuazione della zona  di
 importanza naturalistica nazionale ed internazionale di monte Arcosu"
 - Asserita  violazione  della  competenza  regionale  in  materia  di
 istituzione  di  parchi  nazionali  e riserve naturali, attesa la non
 configurabilita' di un  obbligo  internazionale  che  giustifichi  la
 deroga  alla  competenza  regionale  stessa  - Elusione del giudicato
 della sentenza della Corte costituzionale  n.   830/1988  -  Adozione
 dell'atto  impugnato  (anche  nel  caso  si dovesse, contrariamente a
 quanto ritenuto dalla regione ricorrente, considerare quale  atto  di
 indirizzo   e   coordinamento)  senza  la  prescritta  procedura  del
 provvedimento  del  Presidente  del  Consiglio  di  Ministri   previa
 delibera del Consiglio dei Ministri.
 (Decreto Ministro dell'ambiente 4 dicembre 1989).
 (Statuto regione Sardegna, artt. 3 e 6).
(GU n.15 del 11-4-1990 )
    Ricorso  della  regione  autonoma  della  Sardegna, in persona del
 presidente della giunta  regionale  pro-tempore,  on.  Mario  Floris,
 giusta  deliberazione  della  giunta  n.  10/1  del  13  marzo  1990,
 rappresentata e difesa, per procura a margine del presente atto,  dal
 prof. avv. Sergio Panunzio e presso di esso elettivamente domiciliata
 in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio dei
 Ministri,  in  persona del Presidente del Consiglio di carica, per il
 regolamento di  competenza  in  relazione  al  decreto  del  Ministro
 dell'ambiente  4 dicembre 1989, recante "Individuazione della zona di
 importanza  naturalistica  nazionale  ed  internazionale   di   monte
 Arcosu",  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 1990, n.
 15.
                               F A T T O
    Il  Ministero  dell'ambiente  con  il  decreto 4 dicembre 1989 che
 origina  il  presente   ricorso   per   conflitto   di   attribuzione
 pervicacemente  insiste  nella  invasione  della competenza di questa
 regione a statuto speciale.
    Siamo  di  fronte,  infatti,  alla  sostanziale  reiterazione  del
 precedente decreto 22 luglio  1987,  n.  421,  annullato  da  codesta
 sovrana Corte con la recente sentenza n. 830/1988.
    In  quella  occazione  il Ministero dell'ambiente, richiamando gli
 stessi interessi nazionali e sovranazionali e la  medesima  direttiva
 79/409/CEE  che  -  come  nulla fosse| - ancor oggi viene richiamata,
 disponeva l'"Istituzione della riserva naturale  statale  foresta  di
 monte Arcosu" ai sensi dell'art. 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349.
 Oggi lo stesso Ministero, dimentico della sentenza di codesta sovrana
 Corte,  e della dichiarazione di competenza ivi contenuta, dispone la
 "individuazione della zona di importanza naturalistica  nazionale  ed
 internazionale  di  monte  Arcosu", sempre ai sensi dell'art. 5 della
 legge 8 luglio 1986, n. 349.
    La  sostanziale  identita' dei due atti e' dimostrata non solo dal
 richiamo del medesimo art. 5 della legge n. 349/1986,  ma  da  quanto
 statuito   nel   decreto   stesso,   laddove,   all'art.   2,  impone
 l'istituzione di un consorzio per la gestione della riserva  naturale
 tra  il Ministero dell'ambiente, la regione Sardegna, gli enti locali
 interessati e l'associazione WWF.
    L'invasione  della  competenza  regionale  che  in  questo modo si
 realizza e'  tanto  piu'  grave  in  quanto  essa  appare  del  tutto
 gratuita,  poiche'  non  solo  non v'e' una giustificazione a livello
 giuridico, ma neppure a livello di opportunita', per  cosi'  dire  in
 linea  di  fatto.  Potrebbe  infatti  pensarsi che lo Stato sia stato
 spinto al comportamento antigiuridico dal  desiderio  di  sostituirsi
 all'inerzia della regione nella tutela della foresta di monte Arcosu.
 Ma cosi' non e' poiche' la regione Sardegna con la legge regionale  7
 giugno  1989,  n.  31, ha gia' ricompreso la foresta del monte Arcosu
 (anche in accoglimento della domanda dell'associazione  italiana  per
 il   World   Wildlife   Fund   proprietaria   della  foresta  stessa)
 integralmente nell'ambito dell'istituendo parco naturale del  Sulcis.
 Inoltre  l'art. 26 della citata legge regionale detta minuziose norme
 di salvaguardia aventi un contenuto semmai piu' ricco  di  quello  di
 cui  all'allegato  2 del decreto impugnato ed una durata ben maggiore
 (cinque anni  in  luogo  dei  tre  anni  stabiliti  come  termine  di
 validita'  delle  misure  di  salvaguardia  dall'art.  2  del decreto
 ministeriale impugnato).
    Il   decreto   del  Ministro  dell'ambiente  4  dicembre  1989  e'
 gravemente lesivo delle  attribuzioni  costituzionali  della  regione
 Autonoma  della  Sardegna,  e viene pertanto impugnato per i seguenti
 motivi
                             D I R I T T O
    1. - Violazione, sotto vari profili, delle competenze regionali di
 cui agli artt. 3 e 6  dello  statuto  speciale  per  la  Sardegna,  e
 relative norme d'attuazione (spec. art. 58 del d.P.R. 19 giugno 1979,
 n. 348). Conflitto di attribuzioni.
    Il decreto ministeriale impugnato pretende di individuare una c.d.
 zona di importanza  naturalistica  nazionale  ed  internazionale  sul
 territorio  della  regione  Sardegna,  mentre invece spetta solo alla
 stessa regione autonoma della Sardegna - in  base  alle  disposizioni
 citate  -  la  competenza  esclusiva  ad  istituire  parchi e riserve
 naturali  nel  proprio  territorio,  nonche'  -  ancor  prima  -   ad
 individuarne l'area.
    Il decreto ministeriale assume di fondarsi sull'art. 5 della legge
 n. 349/1986. Ma, come ha ribadito  codesta  Corte  nella  sentena  n.
 830/1988,  "tale  norma attribuisce al detto Ministero un mero potere
 di proposta per l'individuazione delle riserve naturali e di parchi e
 non  immuta  affatto  la  precedente disciplina circa la ripartizione
 delle competenze tra Stato  e  regioni.  Nessun  potere  puo'  essere
 dunque  riconosciuto  allo stesso organo ai fini della istituzione di
 nuove riserve naturali, sicche' la dedotta argomentazione si appalesa
 priva di giuridico fondamento".
    Dunque,  nessun  nuovo  potere,  che vada al di la' di quelli gia'
 previsti ed espressamente  riservati  allo  Stato  dall'art.  83  del
 d.P.R.  n.  616/1977,  risulta  attribuito dall'art. 5 della legge n.
 349/1986 al Ministro dell'ambiente. Ma la disciplina dell'art. 83 del
 d.P.R. n. 616/1977 relativa alla riserva di poteri in capo allo Stato
 (commi dal secondo al quinto) non e' applicabile alla Sardegna, e non
 e'  stata  infatti riprodotta dall'art. 58 del d.P.R. n. 348/1979. In
 particolare non e' applicabile  alla  Sardegna,  per  il  suo  stesso
 carattere  geografico  di  "isola",  la  disciplina  del quarto comma
 dell'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977, poi ripresa  dall'art.  5  della
 legge  n. 349/1986, relattiva alla "individuazione" dei territori sui
 quali  istituire  le  riserve  naturali  ed  i  parchi  di  carattere
 "interregionale".  Come  infatti  ha  affermato  codesta ecc.ma Corte
 nella sentenza n. 223/1984, il carattere della "interregionalita'" e'
 da  intendersi in senso esclusivamente territoriale o geografico (nel
 senso che attiene a  quelle  sole  "situazioni  che  territorialmente
 interessino  piu'  regioni"),  e non gia' - secondo la tesi sostenuta
 invece dalla difesa dello Stato - nel senso che la  interregionalita'
 sia  invece  "insita  nella portata sovraregionale e quindi nazionale
 degli interessi tutelati".
    L'art.  5 della legge n. 349/1986 non e' pertanto applicabile alla
 Sardegna per quanto riguarda il potere statale di "individuazione" di
 aree  su  cui  costituire  riserve  naturali (o parchi). Non il primo
 comma, che rinvia al quarto comma dell'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977
 che  pero,  a  sua  volta,  non e' stato esteso alla regione Sardegna
 dall'art. 58 del d.P.R. n. 348/1979 (recante le norme  di  attuazione
 per  la  Sardegna  in  riferimento  al  d.P.R.  n.  616/1977), che ha
 riprodotto solo la disciplina del primo comma del suddetto art. 83; e
 neppure   il   secondo  ("individuazione  delle  zone  di  importanza
 naturalistica nazionale e internazionale").
    Infatti  -  mettendo per un momento da parte le zone di importanza
 naturalistica internazionale (che pongono il problema  della  riserva
 di competenza statale in relazione ai rapporti internazionali, di cui
 si dira' fra poco) - le zone di importanza naturalistica "nazionale",
 di  cui  al secondo comma dell'art. 5, si risolvono nei territori sui
 quali istituire riserve naturali e parchi interregionali  di  cui  al
 comma  precedente. Cio' appare evidente sol che si consideri che come
 gia' detto in precedenza - il secondo comma dell'art. 5 si  limita  a
 "trasferire" al Ministro dell'ambiente le competenze gia' proprie del
 Ministero  dell'agricoltura  in  base  alla  disciplina   legislativa
 vigente:  rinviando cioe', essenzialmente, al regime della competenze
 in materia stabilito dagli artt. 66, primo comma, ed 83 del d.P.R. n.
 616/1977.  Ma  tale  disciplina,  come gia' si e' detto, riserva alle
 regioni ogni competenza relativa alla istituzione di nuovi  parchi  e
 riserve  naturali (salvo il limite di ordine generale posto dall'art.
 4 in attinenza ai rapporti internazionali), mantenendo allo Stato  il
 solo  potere  di  individuazione  dei  territori  sui quali istituire
 riserve naturali e parchi "interregionali".
    2.  - D'altra parte il decreto ministeriale in questione non trova
 giustificazione neppure nel preteso interesse non solo  nazionale  ma
 internazionale,  sul piano naturalistico e scientifico, della foresta
 di monte Arcosu.
    E'  chiaro,  infatti,  che  l'eventuale  importanza  naturalistica
 inernazionale di un territorio puo' essere giuridicamente  rilevante,
 nel  senso  di  giustificare  una  deroga all'ordine delle competenze
 costituzionalmente riconosciute alla regione in  materia  di  riserve
 naturali,  solo  se  ed  in quanto venga in questione il limite degli
 "obblighi internazionali" dello Stato (art.  3  dello  statuto  della
 Sardegna).  In altri termini - come si ricava anche dall'insegnamento
 di codesta ecc.ma Corte (sentenza n.  223/1984)  -  solo  quando  nei
 confronti  della competenza primaria ed esclusiva della regione circa
 la istituzione di riserve naturali nel proprio  territorio  (art.  58
 del  d.P.R.  n. 348/1979) sia opponibile il limite generale stabilito
 dall'art. 2 del d.P.R. n.  348/1979  (a  sua  volta  riproducente  il
 disposto  dell'art.  4, primo comma, del d.P.R. n. 616/1977), secondo
 cui, anche nelle materie trasferite, lo Stato puo' sempre  esercitare
 le  funzioni "attinenti ai rapporti internazionali e con le Comunita'
 europee".
    E' trasparente, invero, il tentativo del Ministro dell'ambiente di
 giustificare in tal modo la lesione delle attribuzioni della  regione
 ricorrente: richiamando - come si e' visto essere fatto nel preambolo
 del decreto in questione -, la direttiva CEE n.  79/409  e  l'art.  4
 della Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e
 dell'ambiente naturale in Europa. Ma si tratta di un  tentativo  gia'
 posto  in  essere  dallo  Stato  nel  decreto  22  luglio 1987 e gia'
 respinto da codesta suprema Corte nella sentenza n. 830/1988.
    Non  possiamo, quindi, che far nostre e riproporre le osservazioni
 da codesta Corte espresse nella sentenza suddetta:
    "Lo  Stato richiama, poi, il limite degli obblighi internazionali,
 che legittimerebbe nella  specie  il  suo  intervento  rispetto  alle
 attribuzioni   regionali.   Il   richiamo  concerne  precisamente  la
 convenzione di Berna del 19 settembre 1979, ratificata in Italia, con
 il conseguente ordine di esecuzione, mediante la legge 5 agosto 1981,
 n. 503.
    Anzitutto  non  puo'  omettersi  di rilevare che tale convenzione,
 gia' in vigore alla data della richiamata sentenza n.  223/1984,  non
 venne  affatto  invocata dallo Stato nello stesso giudizio. Comunque,
 la  sussistenza  dell'obbligo  internazionale  va  desunta  non  gia'
 genericamente,  ma  in  base ad un rigoroso procedimento ermeneutico,
 trattandosi di un limite alla  generale  competenza  regionale  nella
 materia  trasferita, per di piu' diretto ad alterare una ripartizione
 di poteri stabilita con norme di rango costituzionale.
    Il   detto   limite   e'  percio'  configurabile  soltanto  se  la
 convenzione internazionale imponga agli Stati contraenti una  precisa
 e  compiuta  regola  di  condotta  di cui l'atto interno statale, che
 alteri la distribuzione di competenze,  costituisca  il  conseguente,
 necessario mezzo di adempimento.
    Nella  fattispecie, per contro, la convenzione di Berna, dopo aver
 enunciato generalissimi principi ed intenti relativi alla  necessita'
 di  tutelare  la  vita  selvatica  e  l'ambiente  naturale in Europa,
 prevede espressamente una normazione interna di  attuazione  (secondo
 la  letterale formula dell'art. 6: "leggi e regolamenti"), da emanare
 senza limite di tempo dagli  Stati  contraenti  per  disciplinare  la
 materia.
    Ora,  e'  evidente  che attraverso tale regolamentazione nazionale
 bene avrebbe potuto (e dovuto)  trovare  attuazione  la  ripartizione
 delle   attribuzioni   prevista   dalle   norme  interne  di  livello
 costituzionale, salva, in caso di successiva  e  persistente  inerzia
 delle  regioni,  la  sostituzione  dello  Stato, intesa ad evitare la
 responsabilita'  verso  gli  altri  Stati  contraenti,  gravante  per
 principio a carico del medesimo.
    Pertanto,  il  richiamo  alla  ricordata  convenzione  non  sembra
 pertinente.
    Neppure  vale  il  richiamo  alla  direttiva  del  consiglio delle
 Comunita' europee n. 79/409 in materia  di  protezione  dell'avifauna
 (modificata  in  minima parte con provvedimento della Commisssione in
 data 25 luglio 1985), la quale perimenti sussisteva gia'  al  momento
 della piu' volte richiamata sentenza n. 223/1984.
    Invero,   la   competenza   per   l'attuazione   delle   direttive
 comunitarie,  attribuita  alle  regioni,  nelle   materie   ad   esse
 riservate,  dall'art.  6 del d.P.R. n. 616/1977, puo' essere derogata
 attraverso il potere sostitutivo dello Stato soltanto se le  medesime
 persistano  nella  loro  inattivita'  nonostante la sollecitazione ad
 adempiere e, comunque, dopo che esse siano  state  sentite  (cfr.  al
 riguardo anche la recente sentenza n. 304 del 1987)".
    "... Inoltre, sotto un profilo particolare, e' da osservare che al
 consiglio regionale della Sardegna era stato  gia'  presentato  dalla
 giunta   il  disegno  di  legge  3  maggio  1987,  n.  376,  relativo
 all'istituzione e alla gestione dei parchi e delle  riserve  naurali,
 riguardante   anche  il  territorio  in  questione:  conseguentemente
 l'improvviso  intervento  statale,  che  ha   inciso   sull'attivita'
 regionale  diretta  al  medesimo  fine,  rende  ancor  piu'  evidente
 l'invasione di competenza lamentata dalla ricorrente".
    Ci  limitiamo  ad  aggiungere  che  oggi  quel disegno di legge e'
 divenuto la legge regionale 7  giugno  1989,  n.  31,  che  individua
 l'area  del  monte  Arcosu come parco naturale, onde sono ancora piu'
 evidenti gli effetti distorsivi prodotti dall'illegittimo  intervento
 statale.
    2.   -  Violazione,  sotto  ulteriori  profili,  delle  competenze
 regionali di cui alle norme statutarie e d'attuazione gia'  indicate;
 nonche'  del  principio  di  legalita'  e  degli  altri  principi che
 presiedono alla funzione governativa di indirizzo e coordinamento.
    2.1.  - In via subordinata, anche qualora - in denegata ipotesi si
 riconosca al Governo un potere di  individuazione  delle  aree  delle
 riserve  naturali  da  istituirsi in Sardegna, comunque le competenze
 della  regione  ricorrente  risulterebbero  in  concreto   lese   dal
 provvedimento impugnato.
    Fermo,  infatti,  che  la  competenza  ad  istituire la riserva in
 questione e'  della  regione  Sardegna  (sentenza  n.  830/1988),  la
 competenza  dello Stato non potrebbe riguardare altro che la semplice
 individuazione dell'area. Ma gia' si e' detto come il d.m. 4 dicembre
 1989   qui   impugnato,   pur   autoqualificandosi  come  decreto  di
 "individuazione della zona"  (per  cercare  di  superare  ed  eludere
 quanto statuito da codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 830/1988),
 contenga in realta' una  disciplina  che  va  ben  al  di  la'  della
 semplice  individuazione  territoriale,  e  regola invece aspetti che
 sono propri di un provvedimento di istituzione. Come  gia'  detto  in
 precedenza,  e'  questo  soprattutto  il caso dell'art. 2 del decreto
 impugnato, che precostituisce  il  consorzio  fra  gli  enti  per  la
 gestione  della  riserva: cioe' detta quella disciplina relativa alla
 organizzazione della risera ed alla  determinazione  della  autorita'
 dotata  dei  relativi  poteri  autoritativi  di governo che - secondo
 quanto afermato da codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 163/1988,  punto
 4.2.  della motivazione in diritto) - costituisce il contenuto tipico
 del provvedimento di istituzione della riserva.
    Pertanto,  anche  sotto questo profilo, e soprattutto in relazione
 all'art. 2, il provvedimento impugnato e' comunque certamente  lesivo
 delle competenze regionali.
    2.2.  -  Il  potere governativo di individuazione delle aree delle
 istituende riserve costituisce espressione della funzione statale  di
 indirizzo  e  coordinamento,  come testualmente affermato dall'ultimo
 comma dell'art. 83 del d.P.R. n.  616/1977,  e  ribadito  da  codesta
 ecc.ma Corte. Sempre codesta ecc.ma Corte ha piu' volte affermato che
 quando l'esercizio del potere di  individuazione  delle  aree  e  (di
 istituzione  delle riserve viene a toccare competenze esclusive delle
 regioni ad autonomia  speciale,  esso  non  puo'  che  svolgersi  nel
 rispetto  di  procedure  di  cooperazione  legalmente  stabilite:  in
 particolare previa intesa con la regione interessata.
    Orbene,  anche  a  volere considerare il decreto impugnato come un
 provvedimento di semplice individuazione dell'area (il  che  non  e',
 come gia' si e' visto), esso sarebbe comunque lesivo delle competenze
 della regione ricorrente perche' incompatibile  con  i  principi  che
 presiedono  all'esercizio  della  funzione governativa di indirizzo e
 coordinamento, ed in particolare - oltre che con il  principio  della
 previa  intesa  -  anche  con il principio di legalita'. Principio in
 base al quale occorre che allorquando sia attribuito  al  Governo  un
 potere   di   indirizzo   e   coordinamento  da  esercitarsi  in  via
 amministrativa la legge debba definire (oltre  all'oggetto)  anche  i
 criteri  in  base  ai  quali il potere stesso deve essere esercitato:
 criteri volti a predeterminare, sia pure nelle linee  essenziali,  il
 sostanziale   contenuto   normativo  dei  futuri  atti  di  indirizzo
 (sentenza n. 150/1982 e 338/1989).
    Orbene,  e'  certo  che  -  nel caso di specie - non vi e' nessuna
 norma  legislativa  che  stabilisca  che  il  potere  governativo  di
 individuazione  delle  aree  delle  riserve  debba  essere esercitato
 previa intesa con la regione Sardegna (e neppure previo  espletamento
 di  un'altra  corrispondente procedura collaborativa). Gia' da questo
 risulta  violato  il  suddetto  principio  di  legalita'  e  lese  le
 competenze della regione.
    Ma  la  lesione delle competenze regionali risulta anche dal fatto
 che non vi e' neppure una legge che disciplini l'esercizio del potere
 governativo  di  individuazione nei confronti della regione Sardegna,
 stabilendo  preventivamente  per  esso  un  minimo  di   criteri   di
 orientamento.  Tale,  infatti,  non  e' certo l'art. 5 della legge n.
 349/1986, ma neanche il quarto  comma  dell'art.  83  del  d.P.R.  n.
 616/1977  (che  peraltro  - oltre a limitarsi a prevedere soltanto il
 potere ed il suo oggetto, senza fissare alcun criterio di esercizio -
 per i motivi detti in precedenza - art. 58 del d.P.R. n. 348/1979 non
 e' neppure applicabile alla Sardegna).
    2.3.  -  Ancora  in subordine osserviamo che, di fatto, il decreto
 impugnato e' stato adottato senza che vi sia stata una intesa con  la
 regione  Sardegna,  ed  e' quindi - per cio' stesso - comunque lesivo
 delle competenze regionali.
    Ma non vi e' stata, aggiungiamo, neppure una proposta di intesa da
 parte dello Stato. Si consideri, infatti, che tale non potrebbe certo
 considerarsi  neppure  la  nota del Ministero dell'ambiente 17 aprile
 1989, richiamata nelle premesse del decreto impugnato.
    Basta esaminare il contenuto della nota per rendersi conto che non
 si tratta certo di un  atto  con  cui  lo  Stato  abbia  avviato  una
 procedura  di  intesa  nel  senso  definito  dalla  giurisprudenza di
 codesta ecc.ma Corte. Oltre a non esservi richiamata nessuna norma di
 legge  disciplinante  l'intesa, il tenore della nota e' piuttosto nel
 senso che il Ministero intende procedere comunque alla individuazione
 dell'area.  Cio'  che viene chiesto alla regione e' semmai un parere,
 ma esso viene richiesto anche ai comuni di Uta e  di  Capoterra,  che
 vengono  cosi' parificati alla regione in questa singolare procedura:
 nella quale, dunque, non viene certo  riconosciuto  alla  regione  il
 ruolo  peculiare  che  le  spetta in base alla sua speciale autonomia
 costituzionale.
    Osserviamo infine che, sempre nel preambolo del decreto impugnato,
 viene altresi' richiamato l'art. 7, primo comma, della legge 3  marzo
 1987, n. 59, ai sensi della quale - come appunto dice il decreto - il
 Ministero dell'ambiente "puo' adottare, sentite la regione e gli enti
 locali  interessati  ovvero  decorsi  trenta  giorni  dalla  data  di
 richiesta  del  parere  senza  che  questo  sia  stato  espresso,  le
 necessarie  misure  di  salvaguardia con le quali puo' essere vietata
 qualsiasi trasformazione dello stato dei luoghi".  Si  deve  tuttavia
 rilevare  come  l'art.  7  della  legge  n.  59/1987  non  sia  stato
 appropriatamente richiamato dal decreto impugnato.
    Tale  norma  legislativa, infatti, (ammesso e non concesso che sia
 applicabile alla Sardegna) non era  stata  affatto  richiamata  dalla
 succitata nota ministeriale del 17 aprile 1989, che non aveva neppure
 indicato un termine per l'espressione del parere (e cio' non a  caso:
 infatti  il  Ministero ben sapeva che era in corso di approvazione la
 legge  regionale  n.  31/1989  che  individuava  proprio  l'area   in
 questione  ai fini della istituzione del parco del Sulcis, ed intanto
 la sottoponeva a misure di salvaguardia).
    Ma  comunque  e'  chiaro che il potere di adozione delle misure di
 salvaguardia, di cui all'art. 7 della legge n. 59/1987, intanto  puo'
 essere  esercitato  dal  Ministero, in quanto quelle misure - o altre
 equivalenti - non siano state gia' adottate dalla regione  competente
 in  ordine  al  territorio  in  questione:  come appunto, nel caso di
 specie, era stato gia' fatto dalla  regione  Sardegna  -  al  momento
 della  emanazione del decreto - con l'art. 26 della egge regionale n.
 31/1989.
    Cosi  come, aggiungiamo, il Governo in tanto puo' esercitare ancor
 prima - nei limiti della propria competenza e nelle forme  legalmente
 stabilita'  -  il  potere  di individuazione dell'area di una riserva
 naturale, in quanto il provvedimento di individuazione non sia  stato
 gia' adottato dalla regione competente.
    2.4.  -  Da  ultimo  osserviamo  che il decreto impugnato e' stato
 adottato  dal  Ministero  dell'ambiente  -  come  si  legge  nel  suo
 preambolo  -  "considerato  che  ai sensi dell'art. 5, secondo comma,
 della legge  8  luglio  1986,  n.  349,  il  Ministero  dell'ambiente
 individua    zone    di   importanza   naturalistica   nazionale   ed
 internazionale, promuovendo in  esse  la  costituzione  di  parchi  e
 riserve naturali".
    In  realta',  l'art.  5 della legge n. 349/1986 non attribuisce al
 Ministro dell'ambiente il potere di individuazione  (neppure  con  il
 suo  secondo  comma),  ma  invece conferisce ad esso semplicemente il
 potere di proposta dei provvedimenti di individuazione (primo comma).
 E  poiche'  il potere di individuazione e' espressione - come gia' si
 e' detto - del potere governativo di indirizzo e coordinamento  (art.
 83,  quarto comma, del d.P.R. n. 616/1977), e' chiaro che tale potere
 - in mancanza  di  norme  legislative  derogatorie  -  dovra'  essere
 esercitato  secondo  quanto stabilito dalle norme generali vigenti in
 materia (spec. art. 3 della legge  n.  382/1975,  ed  art.  2,  primo
 comma, lett. d), della legge n. 400/1988): cioe', previa delibera del
 Consiglio dei Ministri (in  questo  caso  su  proposta  del  Ministro
 dell'ambiente)   e   successivo   provvedimento  del  Presidente  del
 Consiglio.
    Pertanto, il provvedimento impugnato e' stato comunque adottato da
 un organo incompetente,  in  violazione  delle  norme  di  legge  ora
 richiamate.  Anche  sotto  quest'ultimo profilo risulta dunque essere
 lesivo delle competenze della regione autonoma della Sardegna.
                                P. Q. M.
    Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente
 ricorso,  dichiarare  la  competenza  della  regione  autonoma  della
 Sardegna,   e   per  l'effetto  annullare  il  decreto  del  Ministro
 dell'ambiente 4 dicembre 1989, recante l'individuazione della zona di
 importanza naturalistica nazionale ed internazionale di monte Arcosu;
    Con ogni conseguenza di legge.
      Roma, addi' 19 marzo 1990.
                      Prof. avv. Sergio PANNUNZIO

 90C0364