N. 154 SENTENZA 19 marzo - 4 aprile 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Regione- Regione Toscana- Disciplina dell'Istituto regionale
 programmazione economica della Toscana (IRPET)- Necessita' della
 maggioranza assoluta per la riapprovazione di una legge regionale
 rinviata- Interdipendenza con il divieto di reiterazione del rinvio
 governativo- Richiamo alla sentenza n. 79/1989- Invalidita' per vizi
 di forma- Illegittimita' costituzionale.  Invalidita' per vizi di
 forma - Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge regione Toscana riapprovata il 18 luglio 1989)
 
 (Cost., art. 127, ultimo comma).
(GU n.15 del 11-4-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale della legge regionale
 riapprovata il 18 luglio 1989 dal Consiglio regionale della  Toscana,
 avente  per oggetto: "Nuova disciplina dell'IRPET (Istituto Regionale
 Programmazione Economica della Toscana)"  promosso  con  ricorso  del
 Presidente  del  Consiglio dei ministri, notificato il 4 agosto 1989,
 depositato in cancelleria l'11 successivo ed iscritto al  n.  66  del
 registro ricorsi 1989;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  1989  il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avvocato  dello Stato Gaetano Zotta, per il ricorrente, e
 l'avvocato Vito Vacchi per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  del  4  agosto 1989, ritualmente notificato e
 depositato, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale nei confronti della legge
 della  Regione  Toscana,  dal  titolo  "Nuova  disciplina  dell'IRPET
 (Istituto   Regionale   Programmazione   Economica  della  Toscana)",
 riapprovata  il  18  luglio  1989,  la  quale,  nel  suo   complesso,
 contrasterebbe  con l'art 127, ultimo comma della Costituzione e, nei
 suoi artt. 6, lettera i),  e  21,  con  gli  artt.  81  e  117  della
 Costituzione.
    A  proposito  della  prima  censura,  il ricorrente osserva che il
 Governo, con nota dell'8 aprile 1989,  aveva  rinviato  al  Consiglio
 regionale  della  Toscana  la  predetta  legge  (proposta  n. 10/89),
 rilevando che gli artt. 6, lettera i),  e  21  contrastavano,  a  suo
 avviso,   con  la  riserva  di  legge  stabilita  dall'art  81  della
 Costituzione. Nella seduta del 23 maggio 1989, il Consiglio regionale
 ha  riapprovato la legge senza apportarvi modifiche, ma votandola con
 la sola maggioranza semplice. Poiche', secondo la  giurisprudenza  di
 questa  Corte,  una  tale  votazione  non  puo' significare, ai sensi
 dell'art. 127 della Costituzione, approvazione della legge  regionale
 rinviata,  il  Governo, sul presupposto dell'esaurimento del suo iter
 procedimentale, si e' rifiutato  di  prendere  in  considerazione  il
 testo  di  legge  nuovamente  inviato  ad  esso per l'apposizione del
 visto. Di fronte a tale rifiuto - continua il  ricorrente  nella  sua
 ricostruzione  dei  fatti - il Consiglio regionale, anziche' iniziare
 un nuovo procedimento di formazione della  volonta'  legislativa,  ha
 votato  ancora  una  volta il medesimo testo di legge precedentemente
 non riapprovato, riportando in quest'ultima evenienza la  maggioranza
 assoluta. Dal momento che cio' rappresenterebbe un travisamento e una
 violazione  dell'art  127  della  Costituzione,  il  Presidente   del
 Consiglio dei ministri chiede, con il ricorso in discussione, che sia
 dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'intera  legge  per
 contrasto con il citato art 127.
   Sempre secondo il ricorrente, gli artt. 6, lettera i), e 21, ultimo
 comma, della legge impugnata, nel prevedere che il  compenso  per  il
 direttore  scientifico  e  l'aggiornamento della indennita' di carica
 per i componenti degli organi dell'Istituto siano  fissati  con  atti
 amministrativi,    contrasterebbero    tanto    con    il   principio
 costituzionale della riserva di legge stabilito dall'art  81,  quanto
 con  i principi fondamentali della materia (art 117 Cost.) desumibili
 dalla  legge  n.  70  del  1975   (e   successive   modificazioni   e
 integrazioni),  per  i  quali  i compensi e le indennita' di carica a
 favore  dei  dipendenti  degli  enti  pubblici  non  economici  vanno
 adottati con atti legislativi di recezione dei contratti collettivi e
 vanno determinati con l'esclusione di qualsiasi aumento automatico  e
 nel rispetto della manovra di contenimento della spesa pubblica.
    2. - La Regione Toscana si e' regolarmente costituita per chiedere
 il rigetto del ricorso.
    Nel  descrivere  l'iter  seguito  per la deliberazione della legge
 impugnata, la Regione - dopo aver precisato che per mero disguido  il
 provvedimento  e'  stato  messo  ai  voti in seconda deliberazione ai
 sensi dell'art 15, primo comma, dello Statuto (il quale  richiede  la
 maggioranza  semplice)  e  che  in  ogni caso il testo legislativo in
 quella sede era stato modificato  all'art  21  per  tener  conto  dei
 rilievi governativi - ricorda che il Commissario del Governo, in data
 23 giugno 1989, aveva restituito la legge senza visto,  motivando  la
 mancata apposizione di questo tanto con il fatto che quella era stata
 adottata a maggioranza semplice, quanto con il  rilievo  che  con  la
 nuova   deliberazione   non   era  stato  apportato  alcun  mutamento
 significativo rispetto al precedente testo. Sulla base  di  cio',  il
 Consiglio  regionale  della Toscana, nella seduta del 18 luglio 1989,
 riapprovava senza modifiche e con la maggioranza assoluta il testo di
 legge nuovamente restituito.
    A  giudizio  della  Regione,  lo  stato  di cose ora descritto non
 giustificherebbe la pretesa del ricorrente, per la quale il Consiglio
 regionale avrebbe dovuto iniziare un nuovo procedimento di formazione
 della  volonta'  legislativa,  sia   perche'   non   e'   rinvenibile
 nell'ordinamento  regionale  alcuna  disposizione che imponga in casi
 del  genere  l'inizio  di  un  nuovo  procedimento,  sia  perche'  la
 riapprovazione  della  legge  con la maggioranza assoluta era imposta
 dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  quale  considera   non
 promulgabile  una  legge  che  non  abbia  riportato  la  maggioranza
 prevista dall'art. 127 della Costituzione, sia perche' il Governo non
 avrebbe  dovuto  reiterare il rinvio, non avendo altra via, di fronte
 alla prima riapprovazione, che quella di promuovere  il  giudizio  di
 legittimita' costituzionale.
    In   ogni   caso,  continua  la  Regione,  ove  si  ritenga  (come
 sembrerebbe corretto di ritenere) che una  nuova  approvazione  della
 stessa  legge  da  parte  del  Consiglio regionale produce un effetto
 sanante, questo dovrebbe valere tanto nei confronti  degli  atti  del
 Governo  (mancata  proposizione  del  ricorso  di costituzionalita'),
 quanto nei confronti dei vizi conseguenti alla  mancata  approvazione
 della legge votata a maggioranza semplice. D'altra parte, conclude la
 regione, a non voler accettare questa  posizione,  si  dovrebbe  dire
 allora  che  l'attivita'  legislativa  svolta dal Consiglio regionale
 nella seduta del 23 maggio 1989 debba esser  considerata  "inutiliter
 data", in quanto la riapprovazione a maggioranza semplice non avrebbe
 mai potuto portare alla promulgazione della legge stessa.
    Quanto  agli  asseriti  vizi  materiali, la Regione osserva che il
 ricorrente non avrebbe tenuto presente che  nel  testo  rinnovato  le
 indennita'  di carica dei componenti del Consiglio di amministrazione
 dell'IRPET  sono  regolate  da  fonte  normativa   primaria   e   che
 l'aggiornamento   dei   compensi   per   i  componenti  degli  organi
 dell'Istituto e' demandato a un decreto del Presidente  della  Giunta
 nei  limiti  previsti  dalla legge n. 324 del 1959, che ha attribuito
 l'indennita' integrativa speciale al personale statale.
    3.  - In prossimita' dell'udienza la Regione Toscana ha presentato
 un'ulteriore memoria, con la quale, oltre a ribadire  argomenti  gia'
 svolti  nel precedente scritto difensivo, insiste nell'affermare che,
 di  fronte  a  una  legge  rinviata  che  e'  stata  rideliberata   a
 maggioranza  semplice, il Governo non poteva sfuggire all'alternativa
 di sollevare la questione di legittimita'  costituzionale  ovvero  di
 rinviare   la   medesima   legge  al  Consiglio  regionale,  anziche'
 comunicare ad esso l'impossibilita' di  apporre  il  visto.  In  ogni
 caso,  la  resistente  conclude  che, poiche' il Consiglio regionale,
 successivamente  alla   proposizione   del   presente   ricorso,   ha
 riapprovato  una nuova legge (2 novembre 1989, n. 71) avente un testo
 identico a quello precedente  (n.  10/89)  salva  l'espunzione  delle
 disposizioni  censurate,  contenute  negli artt. 6, lettera i), e 21,
 questa Corte dovrebbe dichiarare  la  cessazione  della  materia  del
 contendere.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale nei  confronti  della  legge
 della  Regione  Toscana,  dal  titolo  "Nuova  disciplina  dell'IRPET
 (Istituto  Regionale  Programmazione   Economica   della   Toscana)",
 riapprovata  il  18  luglio  1989,  per violazione dell'art 127 della
 Costituzione, in quanto deliberata, dopo che era stata  rinviata  dal
 Governo,  con  la  maggioranza semplice anziche' con quella assoluta,
 nonche' per violazione degli artt. 81 e 117  della  Costituzione,  in
 quanto,  nei  suoi artt. 6, lettera i), e 21, porrebbe una disciplina
 in tema di compensi  e  indennita'  di  carica  contrastante  con  il
 principio  della  riserva  di legge in materia di nuove spese e con i
 principi fondamentali stabiliti dalla legge 20  marzo  1975,  n.  70,
 diretti,  in  particolare,  a  escludere  automatismi  nella predetta
 materia.
    2.  -  Poiche'  nelle  more  del  giudizio  la  Regione Toscana ha
 approvato una nuova legge sulla disciplina dell'IRPET (legge  reg.  2
 novembre  1989,  n.  71),  la  quale  contiene le stesse disposizioni
 stabilite dalla legge impugnata ad eccezione  di  quelle  oggetto  di
 questa  controversia,  occorre verificare preliminarmente se siffatta
 sopravvenienza configuri un'ipotesi di cessazione della  materia  del
 contendere, come ritiene la Regione resistente.
    Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa Corte (v., da
 ultimo, sentt. nn. 309 del 1983, 119 e 273 del 1986, 4 del 1988),  il
 semplice  fatto  dell'approvazione  da  parte  regionale di una nuova
 legge, avente lo stesso contenuto  dispositivo  di  quella  impugnata
 salva  l'espunzione  delle  parti controverse, non puo' comportare la
 dichiarazione della cessazione della materia del contendere, ove  non
 sia  accompagnata  da  elementi  obiettivi  dai quali possa trarsi la
 ragionevole certezza  che  l'approvazione  della  nuova  legge  abbia
 l'inequivoco significato di un "ritiro" delle disposizioni contestate
 o, implichi, comunque, il  venir  meno  dei  motivi  di  controversia
 relativi  alla  legge  impugnata che giustificavano l'interesse delle
 parti ad ottenere una pronunzia di  questa  Corte.  Tale  ragionevole
 certezza  basata  su  dati  non equivoci non puo' rinvenirsi nel caso
 dedotto in giudizio, dal  momento  che  non  vi  si  riscontra  alcun
 elemento   obiettivo   che   possa  indurre  a  valutare  il  mancato
 inserimento nella nuova legge  delle  disposizioni  controverse  come
 un'implicita,  ma  inequivoca,  eliminazione definitiva delle stesse.
 Sicche', di fronte a una situazione  di  non  certezza  dell'avvenuto
 superamento   dei   motivi   di  contrasto  che  hanno  portato  alla
 proposizione del giudizio pendente, non si puo' non  riconoscere  una
 sicura   prevalenza   all'interesse   obiettivo   al   sindacato   di
 legittimita' costituzionale.
    3.   -   Al   fine   di  decidere  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale concernente l'intera legge  regionale,  impugnata  per
 violazione  dell'art  127,  ultimo comma, della Costituzione, occorre
 ricostruire  con  precisione  la  sequenza  degli  atti  relativi  al
 procedimento legislativo in cui si inserisce la delibera impugnata.
    Dopo  che  il  Consiglio  regionale della Toscana aveva approvato,
 nella seduta del 7 marzo  1989,  una  legge  sulla  nuova  disciplina
 dell'IRPET,  il  Governo,  con telegramma dell'8 aprile 1989, oltre a
 varie considerazioni generali, formulava una precisa contestazione di
 legittimita'  costituzionale  riguardo agli artt. 6, lettera i), e 21
 della predetta legge,  adducendo  che  questi,  nella  determinazione
 dell'ammontare delle indennita' di carica dei componenti degli organi
 dell'IRPET, violavano il principio della riserva di legge in  materia
 di  spesa  pubblica,  stabilito  dall'art  81  della Costituzione. In
 seguito  a  tale  rinvio,  il  Consiglio  regionale   della   Toscana
 modificava  la  legge rinviata soltanto per quel che concerneva l'art
 21, sopprimendone il precedente testo e  ponendo  al  suo  posto  due
 diversi  articoli:  con  il primo determinava le indennita' di carica
 del presidente e dei componenti del Consiglio di amministrazione, del
 Comitato  scientifico  e  del  Collegio  dei  revisori  dei  conti  e
 stabiliva un criterio  automatico  di  aggiornamento  delle  medesime
 indennita' (art 21); con il secondo definiva le ipotesi di diritto al
 rimborso delle spese a favore dei  predetti  soggetti  (art  21  bis,
 divenuto  poi  22).  In questo nuovo testo - che risultava modificato
 soltanto in uno dei due articoli censurati e lasciava intatto  quello
 sul  compenso al direttore scientifico dell'Istituto, compenso la cui
 determinazione era conservata al potere del tutto  discrezionale  del
 Consiglio  di  amministrazione  (art  6, lettera i) - la legge veniva
 posta in votazione nella seduta consiliare del  23  maggio  1989  "ai
 sensi  dell'art  15,  primo  comma,  dello  Statuto",  vale a dire in
 riferimento alla disposizione statutaria relativa alle  deliberazioni
 per  la  cui  valida  approvazione  e'  richiesta  la maggioranza dei
 presenti. Avendo riportato tale maggioranza, nel corso  della  stessa
 seduta  la  legge  era  dichiarata  "approvata"  dal  Presidente  del
 Consiglio regionale senza che si sia levata,  nel  Consiglio  stesso,
 contestazione alcuna.
    Dopo  che  il 29 maggio 1989 la legge era stata nuovamente inviata
 al Commissario del Governo, il  22  giugno  1989  la  Presidenza  del
 Consiglio   dei  ministri  comunicava  al  Presidente  del  Consiglio
 regionale della Toscana  che  "preso  atto  che  nuova  deliberazione
 provvedimento  anzidetto  non  porta  alcun  mutamento  significativo
 rispetto at precedente testo rinviato da Governo et,  come  attestato
 da   vostra   precitata   nota,  risulta  essere  stata  adottata  at
 maggioranza  semplice  (...),  provvedimento  medesimo   non   potest
 considerarsi  riapprovato  et  avere quindi ulteriore seguito". Sulla
 base di tali premesse, il Commissario del Governo concludeva che  non
 poteva apporre il visto alla legge regionale inviatagli.
    Ricevuto   siffatto   telegramma,  il  Consiglio  regionale  della
 Toscana, nella seduta del 18 luglio 1989, procedeva ad una  ulteriore
 votazione  della  stessa  legge,  nell'identico  testo  votato  nella
 precedente seduta, ottenendo il consenso della maggioranza dei propri
 componenti.  Il  4  agosto  dello  stesso  anno,  il  Presidente  del
 Consiglio   dei   ministri   presentava   il   ricorso   introduttivo
 dell'attuale giudizio.
    4.  -  Dalla  ricostruzione  dei fatti ora compiuta deriva che per
 giungere  alla  decisione  del  ricorso  e'  necessario   verificare,
 innanzitutto,  se  quella  deliberata  nella seduta consiliare del 23
 maggio 1989 debba esser  considerata  una  legge  "nuova",  ai  sensi
 dell'art.  127  della  Costituzione  (nel  qual  caso dovrebbe essere
 ritenuta regolarmente "approvata", essendo sufficiente a tal scopo la
 maggioranza  semplice) o se, invece, debba esser considerata come una
 stessa legge sottoposta a una  nuova  deliberazione  (nel  qual  caso
 dovrebbe  esser  ritenuta  "non riapprovata", essendo necessaria, per
 tale ipotesi, la maggioranza assoluta).
    La  definizione  della  "novita'"  della  legge regionale, ai fini
 dell'applicazione dell'art. 127 della Costituzione,  ha  subi'to  una
 graduale evoluzione nella giurisprudenza costituzionale, strettamente
 dipendente dall'esigenza di far fronte a  pratiche  abusive  che,  in
 determinati momenti, hanno seriamente concorso ad aggirare lo spirito
 del sistema  dei  controlli  sulla  legge  regionale,  stabilito  dal
 ricordato  art.  127,  o,  addirittura, a svuotarlo in gran parte del
 significato ad esso conferito dal Costituente. Dopo aver segui'to  in
 alcune  pronunzie  (v.  sentt.  nn.  132  del  1975  e 9 del 1976) un
 criterio "sostanzialistico", legato al  grado  di  incisivita'  della
 modifica operata e, quindi, alla rilevanza del mutamento (sostanziale
 o marginale) apportato, questa Corte, a partire dalla sentenza n.  40
 del  1977,  ha  applicato  un  criterio "formale", proprio al fine di
 evitare "il ripetersi (...) di equivoci  e  di  contestazioni"  sulla
 natura  delle  modificazioni,  nonche'  le  obiettive  e  inevitabili
 incertezze  connesse  alla  valutazione  se  la  regione   si   fosse
 effettivamente   adeguata  alle  censure  governative  contenute  nel
 rinvio. Con la pronunzia ora  citata,  infatti,  si  e'  ritenuto  di
 considerare  come  "non  nuova"  solamente  la  legge che fosse stata
 riapprovata dal Consiglio regionale "nel medesimo identico testo  che
 aveva  formato  oggetto  della  prima  deliberazione e del successivo
 rinvio". Di modo che si stabiliva  un  criterio  netto  e  certo,  in
 ragione del quale qualsiasi modificazione del testo precedente, anche
 la piu' formale e insignificante, avrebbe portato a valutare la legge
 come  "nuova"  e,  quindi,  soggetta  alla  possibilita'  di un nuovo
 rinvio.
    L'adozione di siffatto criterio, mentre ha risolto il vecchio male
 delle interminabili dispute fra Governo  e  regioni  sulla  natura  e
 sulla  portata delle modificazioni effettuate in sede di riesame, non
 ha tuttavia impedito che l'estremo rigore formale in  esso  contenuto
 fosse  utilizzato  al fine di seguire in molteplici occasioni la nota
 prassi della reiterazione di rinvii, che, di fatto, ha trasformato un
 istituto  preordinato  al controllo di legittimita' costituzionale in
 un momento di negoziazione e di transazione politica tra  controllore
 e  controllato. Onde porre fine a questa prassi, deprecata pressoche'
 all'unanimita' dalla dottrina, questa Corte, nelle sue  piu'  recenti
 pronunzie  (v.  sentt.  nn. 158 del 1988, 79, 80 e 561 del 1989 e 122
 del 1990), senza ritornare all'antico criterio "sostanzialistico", ha
 attenuato  l'estremo  rigore formale proprio dell'indirizzo contenuto
 nella pronunzia n. 40 del 1977, pervenendo alla  formulazione  di  un
 criterio,   basato   su  una  doppia  articolazione,  che  conduce  a
 un'agevole verifica dell'esistenza o meno di una legge "nuova".
    In   generale,  una  legge  regionale  sottoposta  a  una  seconda
 deliberazione  a  segui'to  di  un  rinvio  governativo,  per  essere
 considerata  "nuova"  ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, deve
 contenere  modifiche  che  non  consistano  soltanto   in   mutamenti
 meramente   testuali,   ma   comportino   anche  un  cambiamento  del
 significato normativo di una o piu' delle sue disposizioni, senza che
 abbia  alcun  rilievo  il  fatto  che  la  modifica  intervenuta  sia
 sostanziale o no, incisiva o meno. Da cio' consegue che una legge non
 potrebbe  essere  considerata "nuova", non solo nell'ovvia ipotesi in
 cui  non  fosse  stata  apportata  la  benche'  minima  modificazione
 formale,  ma  anche  nell'ipotesi in cui il mutamento fosse meramente
 linguistico e non implicasse, comunque, una  qualsiasi  modificazione
 del significato normativo delle sue disposizioni.
    Questa regola generale va, tuttavia, relativizzata, nel senso che,
 al fine di qualificare una legge come  "nuova",  non  possono  essere
 ritenute  rilevanti  le modificazioni apportate in sede di riesame in
 conseguenza del rinvio governativo o,  per  esser  piu'  precisi,  le
 modificazioni  che  incidono  direttamente  sul significato normativo
 delle  disposizioni  oggetto  delle   censure   del   Governo.   Tale
 relativizzazione  e'  strettamente  legata al divieto di reiterazione
 del rinvio di una legge regionale riapprovata, divieto che,  come  ha
 gia'  precisato  questa Corte (v. spec. sentt. nn. 158 del 1988, 79 e
 80 del 1989), non soltanto possiede un'indiscutibile base legislativa
 (art.  31,  legge  11  marzo 1953, n. 87), ma risponde soprattutto al
 "sistema di termini perentori, brevi e certi, previsto dall'art.  127
 della    Costituzione",    il    quale    riconosce   nel   principio
 dell'affidamento reciproco tra Governo e regione il  proprio  "valore
 fondante  e  principio ispiratore". Questo divieto comporta, infatti,
 che, di fronte a un mutamento apportato in sede di riesame  incidente
 sulle  (sole)  disposizioni  oggetto del rinvio, il Governo non abbia
 altra alternativa al di fuori di ritenere che la  nuova  formulazione
 delle   disposizioni   censurate   abbia   eliminato   i   motivi  di
 illegittimita' prospettati nel rinvio  e  di  non  dar  quindi  corso
 all'impugnazione della legge davanti alla Corte costituzionale ovvero
 di ritenere che aspetti d'illegittimita' permangano anche nella nuova
 versione   e   di   sollevare   pertanto  le  relative  questioni  di
 costituzionalita'.
    A  corollario dei criteri enunciati, questa Corte ha ulteriormente
 precisato che, sempre al fine di qualificare una legge come  "nuova",
 non  possono essere considerate rilevanti le modifiche apportate alle
 parti esterne al contenuto dispositivo della  legge,  in  quanto  non
 possono  in  alcun  modo  incidere  sul  significato  normativo della
 stessa;   ne'   le   modifiche    consistenti    nel    trasferimento
 dell'imputazione  della  spesa  prevista  dal  bilancio  di  un  anno
 finanziario a quello successivo, quando cio' si renda  necessario  in
 conseguenza  del  fatto  che la mera evenienza del rinvio governativo
 abbia provocato lo slittamento delle spese  da  un  anno  finanziario
 all'altro  (come  nell'ipotesi  di  una  legge  rinviata in uno degli
 ultimi mesi di un anno e riapprovata in uno dei primi mesi  dell'anno
 successivo).
    Sulla  base  dei  principi ora ricordati, la legge sottoposta alla
 riapprovazione del Consiglio regionale della Toscana nella seduta del
 23 maggio 1989 e votata a maggioranza semplice nel corso della stessa
 seduta non puo'  essere  qualificata  come  legge  "nuova"  ai  sensi
 dell'art.   127   della  Costituzione.  Le  modifiche  deliberate  in
 quell'occasione,  infatti,   concernevano   unicamente   disposizioni
 normative  oggetto  delle censure contenute nel rinvio governativo e,
 pertanto, essendo direttamente consequenziali a  quest'ultimo,  hanno
 introdotto  elementi  che,  alla  stregua  dei  predetti criteri, non
 possono condurre a considerare quella legge come "nuova".  Ne'  alcun
 rilievo   puo'   esser  riconosciuto  all'affermazione  della  difesa
 regionale, per la quale il legislatore toscano avrebbe  provveduto  a
 rideliberare  la  legge  con  l'intento  di  allinearsi  alle censure
 governative, poiche', come ha gia' precisato questa Corte  (v.  sent.
 n.  79  del  1989,  punto  4),  la  "novita'" di una legge e' un dato
 obiettivo  attinente  all'oggetto  e  alla  natura   (non   meramente
 linguistica)   delle   modifiche  apportate.  E  neppure  puo'  esser
 riconosciuto  un  qualche  rilievo  all'elemento  sottolineato  dalla
 Presidenza  del  Consiglio dei ministri, secondo il quale i mutamenti
 intervenuti nella seconda deliberazione non sarebbero "significativi"
 e   concreterebbero   un  adeguamento  soltanto  parziale  (cioe'  un
 non-adeguamento), per il fatto che i  criteri  di  definizione  della
 "novita'"  di una legge prescindono dall'importanza (o essenzialita')
 delle modifiche apportate in sede di riesame  e  dalla  idoneita'  di
 queste  ultime  a costituire un effettivo e completo adeguamento alle
 censure formulate nel rinvio governativo.
    5.  - Alla luce delle premesse di fatto e di diritto precisate nei
 punti  precedenti,  va   accolta   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  sollevata  dal  Presidente del Consiglio dei ministri
 nei confronti dell'intera legge per violazione  dell'art.  127  della
 Costituzione.
    Poiche'  la legge sottoposta al voto del Consiglio regionale della
 Toscana nella seduta del 23 maggio 1989 non poteva esser  qualificata
 come  una  legge  "nuova",  essa  avrebbe  dovuto essere deliberata a
 maggioranza assoluta, e non - come invece e' avvenuto - a maggioranza
 semplice.  Questa  Corte,  infatti,  ha gia' affermato che, per esser
 considerata "riapprovata" ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, della
 Costituzione,  una  legge  rinviata  deve  ottenere  in  ogni caso la
 maggioranza dei componenti il Consiglio regionale (v. sent. n. 79 del
 1989).
    La giustificazione di tale previsione costituzionale risiede nella
 particolare natura del sistema di  controlli  previsto  dallo  stesso
 art. 127, a norma del quale il rinvio governativo e' configurato come
 l'esercizio di un  potere  di  arresto  o  di  blocco,  attribuito  a
 un'autorita' esterna (Governo) alla cerchia dei soggetti partecipanti
 alla  formazione  della  legge  regionale,  in  vista  della   tutela
 dell'interesse  unitario all'integrita' del sistema costituzionale (o
 all'uniformita' dell'indirizzo politico generale), interesse  la  cui
 responsabilita'  ricade  per intero sullo Stato. Come tale, il rinvio
 non  e'  diretto  a  prospettare  osservazioni  o  consigli   vo'lti,
 semplicemente,  a  sollecitare una riconsiderazione della legge sulle
 stesse basi e con la medesima maggioranza della prima  deliberazione,
 ma,   non   diversamente  dal  veto  governativo  previsto  in  altri
 ordinamenti giuridici, consiste nella formulazione di chiare, precise
 e  incondizionate  contestazioni di legittimita' costituzionale (o di
 merito), espressive di un potere  di  controllo  svolto  in  nome  di
 interessi  riferiti all'intera comunita' statale, i quali trascendono
 la "particolarita'" connaturata all'autonomia legislativa  regionale.
    Pertanto,  quando  una legge regionale e' sospettata di violare la
 legalita' costituzionale  ed  e'  percio'  rinviata  dal  governo  al
 riesame del Consiglio regionale, quest'ultimo puo' superare il blocco
 derivante dall'esigenza di tutelare il superiore  interesse  unitario
 alla  legalita'  costituzionale  soltanto  attraverso  un'espressione
 rafforzata della propria particolare autonomia legislativa. E  questa
 espressione  piu'  forte  e definitiva non puo' non consistere in una
 maggioranza, come quella assoluta, la quale dimostri  che  la  legge,
 nel  suo  contenuto dispositivo formato a seguito del riesame causato
 dai  rilievi  governativi,  corrisponde  alla  piena  e   consapevole
 volonta'  di una maggioranza effettiva del Consiglio regionale, e non
 gia' a quella di  una  maggioranza  calcolata  sulla  base  dei  soli
 presenti.
    La  previsione della maggioranza assoluta per la riapprovazione di
 una legge regionale rinviata e' logicamente  interdipendente  con  il
 divieto   di   reiterazione   del  rinvio  governativo.  Come  si  e'
 precedentemente affermato, il sistema previsto dall'art. 127, mentre,
 da  un  lato,  suppone  che,  di  fronte  ad  una legge non nuova, il
 Governo, dopo aver effettuato  il  rinvio  della  legge,  possa  solo
 proporre un ricorso di costituzionalita', dall'altro lato, condiziona
 la proponibilita'  del  ricorso  alla  riapprovazione  a  maggioranza
 assoluta  della  legge  rinviata.  Sicche',  ove si riconoscesse alla
 regione di riapprovare la legge a maggioranza semplice  nei  casi  in
 cui ritenesse di essersi adeguata ai rilievi contenuti nel rinvio, si
 precluderebbe arbitrariamente al Governo la possibilita' di sollevare
 questioni  di  costituzionalita'  in  tutte  le ipotesi, invero assai
 numerose in pratica, in cui il Governo stesso fosse convinto  che  la
 regione  non  si fosse effettivamente adeguata ai propri rilievi e lo
 si costringerebbe, inoltre, a  reiterare  il  rinvio,  in  violazione
 dell'art.  127  della Costituzione. In altre parole, se si ammettesse
 che la regione debba riapprovare  a  maggioranza  assoluta  la  legge
 rinviata  soltanto  nei casi in cui voglia esprimere un atteggiamento
 "oppositivo" rispetto ai rilievi governativi, in  considerazione  dei
 molteplici  casi  di  incertezza  obiettiva sull'effettivo e completo
 adeguamento del legislatore  regionale  alle  censure  contenute  nel
 rinvio, si riconoscerebbe alla regione la possibilita' di paralizzare
 temporaneamente il potere del  Governo  di  proporre  il  ricorso  di
 costituzionalita'  e  "si  perverrebbe all'inammissibile risultato di
 riconoscere all'autore dell'atto da sottoporre a controllo il  potere
 di  determinare  di  volta  in volta le possibili forme del controllo
 (rinvio  o  ricorso)  sulla  base  di  una   supposta   liberta'   di
 qualificare,  in  sede  di riapprovazione, in un modo o nell'altro la
 legge rinviata" (v. sent. n. 79 del 1989). Senza  contare,  poi,  che
 l'ipotetica  possibilita'  di  diversificare la maggioranza a seconda
 dell'atteggiamento regionale (di conformazione o di contrapposizione)
 presuppone la scelta di un criterio "sostanzialistico" in ordine alla
 qualificazione della "novita'"  di  una  legge  regionale  (ai  sensi
 dell'art.  127  della  Costituzione),  criterio  che  porterebbe alla
 massiccia insorgenza della catena  di  equivoci  e  di  contestazioni
 sulla  natura  delle  modificazioni  apportate,  che  questa Corte, a
 partire dalla sentenza n. 40 del 1977, ha ben inteso di evitare.
    Ne' si puo' affermare che il vincolo costituzionale di riapprovare
 in ogni caso la legge rinviata con  una  maggioranza  assoluta  possa
 comportare  un  irrigidimento o un'alterazione della comune attivita'
 legislativa della regione, sia perche' l'esigenza di una  piu'  ampia
 maggioranza  e'  funzionale  a  una  piu'  comprensiva  e piu' serena
 valutazione  da  parte  del  Consiglio  regionale  degli  aspetti  di
 incostituzionalita' denunziati dal Governo, sia perche' ogni potesta'
 legislativa,  inclusa  quella  regionale  e',  per  definizione,  una
 potesta'   libera.   Quest'ultima   connotazione  comporta,  piu'  in
 particolare, che il legislatore regionale possiede  sempre  la  piena
 disponibilita'   del   testo   normativo   sottoposto   alla  propria
 deliberazione, nel senso che lo puo' modificare  nelle  parti  e  nei
 modi  ritenuti  piu' opportuni, lo puo' ritirare o puo' rinunciare ad
 esso e puo', persino,  iniziare  un  nuovo  procedimento  legislativo
 sulla  stessa materia avente ad oggetto, come nella vicenda in esame,
 anche un  testo  normativo  identico  a  quello  votato  nella  prima
 deliberazione   salva  l'espunzione  delle  disposizioni  contestate.
 Questa flessibilita' propria della  potesta'  legislativa,  la  quale
 puo'   subire   autolimitazioni   soltanto   ad  opera  dello  stesso
 legislatore regionale nell'esercizio della sua autonomia statutaria o
 regolamentare,  si conserva anche nel caso di una legge colpita da un
 rinvio, poiche' questo, quando non concerna vizi di formazione  della
 stessa  legge, ha come suo diretto oggetto le disposizioni sottoposte
 alle censure in esso contenute, e non gia' l'intero atto normativo.
    6.  -  Dal  momento  che  la legge rinviata e' stata deliberata in
 seconda votazione con la sola maggioranza semplice, il Presidente del
 Consiglio  regionale avrebbe dovuto dichiararla "non approvata" e non
 avrebbe dovuto inviarla al Commissario del Governo per  l'apposizione
 del  visto.  Ma,  poiche' il Presidente del Consiglio regionale si e'
 comportato in modo esattamente opposto a quello richiesto dalle norme
 costituzionali,  il  Governo  si  e'  trovato  di  fronte a una legge
 sicuramente illegittima, per violazione dell'art.  127,  u.c.,  della
 Costituzione.  Trattandosi  di  una legge gia' rinviata, esso avrebbe
 dovuto impugnare la legge davanti a questa Corte, poiche', a  partire
 dalla  sentenza  n.  79 del 1989, ogni legge regionale che in seconda
 deliberazione  non  risulti  votata  a  maggioranza  assoluta,   deve
 considerarsi  invalida  per vizi di forma e sottoponibile al giudizio
 di questa Corte perche' ne sia dichiarata  erga  omnes  l'inefficacia
 (art. 136 della Costituzione).
    Tuttavia,  anziche'  procedere  in  tal  modo,  la  Presidenza del
 Consiglio  dei  ministri  ha  preferito  inviare  al  Presidente  del
 Consiglio  regionale  della  Toscana una nota con la quale comunicava
 che, essendo stata rideliberata a maggioranza semplice, la legge  non
 poteva  considerarsi riapprovata ed "avere quindi ulteriore seguito",
 sicche' veniva meno ogni possibilita' per il Commissario del  Governo
 di  apporvi  il visto. La via prescelta da parte della Presidenza del
 Consiglio dei ministri non puo' essere  condivisa,  per  il  semplice
 fatto  che non puo' esser riconosciuto ne' al Governo ne' a qualsiasi
 altra autorita' governativa il potere di accertare  o  di  dichiarare
 l'eventuale decadenza di un procedimento legislativo regionale. Essa,
 inoltre, presenta il  serio  rischio  che,  di  fronte  alla  mancata
 proposizione  da parte del Governo di un ricorso di costituzionalita'
 entro il quindicesimo giorno dalla comunicazione della legge  e  allo
 spirare  del termine in seguito al quale il visto doveva considerarsi
 come apposto, il Presidente regionale avrebbe potuto  procedere  alla
 promulgazione della legge, nonostante il fondato sospetto nutrito dal
 Governo sulla illegittimita' costituzionale della stessa.
    Sta  di  fatto,  comunque,  che  l'anzidetta  nota non puo' essere
 interpretata come  un  rinvio,  poiche'  di  questo  non  ha  ne'  la
 sostanza, ne' la forma: non la prima, perche' non e' il frutto di una
 deliberazione del Governo; non la seconda, perche' le  considerazioni
 in  esso  contenute  sono  espressamente imputate alla Presidenza del
 Consiglio dei ministri, e non gia' al Governo. Sicche',  in  mancanza
 di  un  atto,  come  il rinvio, che avrebbe posto nuovamente la legge
 nella disponibilita' del Consiglio regionale e  con  lo  spirare  dei
 termini  per  la  promulgazione  della  stessa legge, il procedimento
 legislativo di  cui  si  discute  deve  considerarsi  decaduto  e  la
 successiva "riapprovazione" della stessa legge, avvenuta nella seduta
 del 18 luglio 1989, un atto palesemente illegittimo.
    Per tali motivi va accolto il ricorso del Presidente del Consiglio
 dei ministri contro la  delibera  consiliare  da  ultimo  menzionata,
 tanto  piu'  che  non  puo'  accordarsi alcun fondamento alla pretesa
 della difesa regionale di considerarla  come  una  correzione  di  un
 precedente  errore  materiale, dal momento che, se di errore si fosse
 realmente trattato, questo poteva esser corretto soltanto  prima  che
 il  Consiglio  regionale  si fosse spogliato del potere di deliberare
 sulla legge  attraverso  l'invio  della  stessa  al  Commissario  del
 Governo.
    Resta    assorbito    ogni    altro    profilo    d'illegittimita'
 costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione
 Toscana, dal titolo "Nuova disciplina dell'IRPET (Istituto  Regionale
 Programmazione  economica  della  Toscana)", riapprovata il 18 luglio
 1989.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 4 aprile 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0367