N. 158 SENTENZA 19 marzo - 4 aprile 1990
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Professionisti- Dottori commercialisti- Condanna per delitto previsto dall'ordinamento professionale- Destituzione di diritto senza preventiva apertura del procedimento disciplinare- Richiamo alla sentenza n. 971/1988 e alla ordinanza n. 40/1990- Inderogabilita' del principio di proporzione disciplinante l'adeguatezza della sanzione al caso concreto - Illegittimita' costituzionale. (D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 38). (Cost., art. 3).(GU n.15 del 11-4-1990 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (Ordinamento della professione di dottore commercialista), promosso con ordinanza emessa il 22 settembre 1989 dalla Corte d'Appello di Firenze nel procedimento civile vertente tra Santocchini Vittorio Veneto e l'Ordine dei dottori commercialisti di Firenze, iscritta al n. 639 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visto l'atto di costituzione di Santocchini Vittorio Veneto; Udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo; Udito l'avv. Giuseppe Ferri per Santocchini Vittorio Veneto; Ritenuto in fatto 1. - La Corte d'Appello di Firenze, con ordinanza 22 settembre 1989, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (Ordinamento della professione di dottore commercialista), con riferimento all'art. 3 della Costituzione. Lamenta il giudice a quo che per il dottore commercialista, condannato per uno dei delitti elencati nella norma stessa, sia prevista la destituzione di diritto anziche' l'apertura di un procedimento disciplinare, che consenta la valutazione della condotta dell'incolpato e l'indispensabile gradualita' sanzionatoria. A sostegno della non manifesta infondatezza della questione il giudice rimettente richiama la sent. n. 971 del 1988 di questa Corte che ha ritenuto illegittima la destituzione di diritto nell'ambito del pubblico impiego, aggiungendo che a soluzione diversa non si puo' pervenire nei confronti degli appartenenti ad ordini professionali, non potendo ravvisarsi una maggiore gravita' della lesione del prestigio e della credibilita' della libera professione rispetto a quella del pubblico impiego. 2. - L'ordinanza e' stata regolarmente notificata, comunicata, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte Costituzionale si e' costituito il dr. Vittorio Veneto Santocchini, parte nel giudizio a quo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Ferri ed Ermanno Ugolini. Aderendo alle considerazioni della Corte d'Appello, la difesa del Santocchini pone altresi' in luce la disparita' di trattamento esistente, in materia di destituzione di diritto, fra dottori commercialisti ed avvocati e procuratori. Per questi ultimi, infatti, la sanzione disciplinare e' limitata ai casi di condanna soltanto per alcuni dei delitti contro l'Amministrazione della Giustizia, nonche' alle ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici o dall'esercizio della professione. Nessuna ragione logica potrebbe giustificare questa diversita' di disciplina, dato che semmai con maggior rigore dovrebbe essere considerata proprio la categoria degli avvocati e dei procuratori, stante la posizione istituzionale ad essa attribuita nell'amministrazione della giustizia. Considerato in diritto 1. - Lamenta la Corte d'Appello di Firenze che al dottore commercialista, condannato per uno dei delitti indicati nell'art. 38 del d.P.R. n. 1067 del 1953 (Ordinamento della professione di dottore commercialista), debba essere inflitta de jure la radiazione, senza alcuna possibilita' di valutare la condotta dell'imputato perche' non e' prevista l'apertura del procedimento disciplinare. Situazione incompatibile con l'art. 3 della Costituzione perche' impedisce di calibrare con gradualita' ai diversi fatti illeciti la sanzione piu' adeguata, consentendo di distinguere tra illeciti non eguali. A sostegno si invoca l'ormai ben nota sentenza di questa Corte n. 971 del 1988 che ha dichiarato illegittima la destituzione di diritto nell'ambito del pubblico impiego. Tanto piu', percio', il principio deve valere per le libere professioni, ben piu' allarmante essendo la lesione del prestigio e della credibilita' di un pubblico impiegato rispetto ad analoga situazione concernente il libero professionista. La difesa privata ha fatto inoltre rilevare che il principio di eguaglianza e' violato anche in relazione al trattamento usato nei confronti della categoria degli avvocati e procuratori, per i quali la sanzione di diritto e' limitata a poche ipotesi: e cio' nonostante la ben diversa posizione istituzionale a questi attribuita nel campo dell'Amministrazione della Giustizia. 2. - La questione e' fondata. Il precedente di questa Corte invocato dall'ordinanza ha successivamente trovato un seguito specifico nella sentenza n. 40 del 1990 che ha delegittimato sospensione e destituzione di diritto nel campo della professione notarile, alla quale sicuramente sono affidate in esclusiva funzioni pubblicistiche che certo non competono ai dottori commercialisti. Ivi la Corte rilevava l'inderogabilita' "che il principio di proporzione, che e' alla base della razionalita' che domina il principio di eguaglianza, regoli sempre l'adeguatezza della sanzione al caso concreto". Si deve ora aggiungere che lo stesso legislatore e', alla fine, intervenuto con la legge 7 febbraio 1990 n. 19 (Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 36 del 13 febbraio 1990) sancendo all'art. 9, comma primo, che "il pubblico dipendente non puo' essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. E' abrogata ogni contraria disposizione di legge". Mentre poi avverte al secondo comma che "la destituzione puo' sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare...". Sarebbe, percio', contrario al principio di eguaglianza che la destituzione di diritto dovesse rimanere ferma soltanto per le libere professioni.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.38 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (Ordinamento della professione di dottore commercialista). Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1990. Il Presidente: SAJA Il redattore: GALLO Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 4 aprile 1990. Il direttore della cancelleria: MINELLI 90C0371