N. 216 SENTENZA 4 - 19 aprile 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Espropriazione per pubblico interesse - Ampliamento della tenuta  di
 Castel Porziano - Indennita' - Criteri di stima e determinazione -
 Finalita' voluttuaria e mancanza di interesse generale - Richiamo
 alle sentenze nn. 530 e 1022 del 1988, 138/1977 e 1165/1988 -
 Garanzia di un congruo indennizzo collegato al valore venale dei beni
 - Non fondatezza.
 
 (Legge 23 luglio 1985, n. 372, art. 5, quinto comma).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.17 del 24-4-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, quinto comma,
 della legge  23  luglio  1985,  n.  372  (Rivalutazione  dell'assegno
 personale   e  della  dotazione  del  Presidente  della  Repubblica),
 promossi con quattro  ordinanze  emesse  il  31  maggio  1989  (n.  2
 ordinanze),  il  7 e il 14 giugno 1989 dalla Corte d'appello di Roma,
 iscritte rispettivamente ai nn. 672, 673,  674  e  675  del  registro
 ordinanze  1989, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti gli atti di costituzione di Manfredi Goffredo, del Consorzio
 tra i proprietari del comprensorio di "Marina  Reale",  della  s.r.l.
 Immobiliare  Fondazione  Capocotta  e di Alciati Stefania nonche' gli
 atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 6 marzo 1990 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  gli  avvocati Francesco Agati per Manfredi Goffredo, Adolfo
 Di Majo e Ugo Ennio Venitucci per il Consorzio tra i proprietari  del
 Comprensorio  di  "Marina  Reale",  Lionel  Ceresi,  Pietro Cattaneo,
 Leonardo  Cattaneo  e  Vincenzo  Morone  per  la  s.r.l.  Immobiliare
 Fondazione  Capocotta  e  Nicolo'  Mattiello  per  Alciati Stefania e
 l'Avvocato  dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente   del
 Consiglio dei ministri;
                           RITENUTO IN FATTO
    1.  -  La  Corte  d'appello  di Roma - nel corso di un giudizio di
 opposizione alla stima - con ordinanza 31 maggio 1989  (R.O.  n.  672
 del  1989)  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 5, comma quinto,
 della  legge 23 luglio 1985, n. 372, secondo il quale l'indennita' di
 espropriazione dei beni immobili della tenuta di Capocotta, destinati
 all'ampliamento  della  tenuta  di  Castelporziano  in  dotazione del
 Presidente  della  Repubblica,  e'  determinata  secondo  i   criteri
 stabiliti dall'art. 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892: cioe' in
 base alla media tra il valore venale dei  beni  e  quello  dei  fitti
 coacervati   dell'ultimo   decennio   o,   in   difetto,   di  quello
 dell'imponibile  netto  agli  effetti  delle  imposte  su  terreni  e
 fabbricati.
    Nell'ordinanza   di   rimessione   si   premette  -  disattendendo
 un'eccezione     d'illegittimita'     costituzionale      prospettata
 dall'opponente   -   che   la   scelta   del  su  detto  criterio  di
 determinazione dell'indennita' di esproprio non contrasta con  l'art.
 42  della Costituzione, essendo idoneo a garantire la liquidazione di
 un indennizzo in  misura  conforme  al  dettato  della  Costituzione,
 secondo  quanto  e' stato gia' affermato in altre occasioni da questa
 Corte (sentenze n. 15 del 1976 e n. 5 del 1960).
    Si   deduce,   viceversa,   che   il  criterio  di  determinazione
 dell'indennita' di esproprio, stabilito dall'art.  5,  quinto  comma,
 della  legge  n.  372  del  1985,  da' origine, "ad una disparita' di
 trattamento non giustificata da alcun ragionevole fondamento".
    Si  espone in proposito che la legge 25 giugno 1865, n. 2359 aveva
 stabilito, in sintonia con l'art.  29  dello  Statuto  albertino,  il
 principio  generale  secondo  il quale l'indennita' di espropriazione
 deve coincidere con il valore venale realizzabile dalla  vendita  del
 bene  in  una  libera contrattazione. L'unitarieta' di detto criterio
 indennitario, fu intaccata da successive leggi speciali, con le quali
 furono  adottati  criteri  divergenti da quello del valore venale: la
 prima, in ordine di tempo e di  importanza,  e'  stata  la  legge  15
 gennaio  1885,  n. 2892 per il risanamento della citta' di Napoli. Il
 processo  di   diversificazione   dei   criteri   di   determinazione
 dell'indennita' ha avuto, poi, un progressivo ampliamento, attraverso
 numerose deroghe introdotte in relazione a singole categorie di opere
 pubbliche alle quali le espropriazioni erano finalizzate.
    Con  l'entrata  in vigore delle leggi 22 ottobre 1971, n. 865 e 27
 giugno 1974, n. 247  il  legislatore  era  tornato  ad  unificare  il
 criterio  espropriativo  -  basandolo sul valore agricolo medio delle
 aree  -  per  tutte  le  espropriazioni  comunque  preordinate   alla
 realizzazione  di  opere  o di interventi da parte dello Stato, delle
 regioni, delle province dei comuni o di  altri  enti  pubblici  o  di
 diritto pubblico, anche non territoriali.
    Intervenuta  la sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 1980,
 che ha  dichiarato  la  parziale  illegittimita'  costituzionale  del
 riferimento,  operato  dall'art.  16  della legge n. 865/1971, per la
 quantificazione  dell'indennita'  di  esproprio,  per  le  aree   con
 destinazione edificatoria, a valori agricoli, si e' prodotto un vuoto
 legislativo.
    Anche  le successive leggi 29 luglio 1980, n. 385; 29 luglio 1982,
 n. 481 e 23 dicembre 1982, n.  943,  che  avevano  cercato  di  porvi
 provvisoriamente  rimedio, sono state dichiarate illegittime; secondo
 il consolidato indirizzo della Corte costituzionale e della Corte  di
 Cassazione,  i criteri generali di determinazione delle indennita' di
 espropriazione,  attualmente,  sono  per  le  aree  con  destinazione
 agricola, quello del valore agrario medio previsto dalla legge n. 865
 del  1971;  per  le  aree  edificabili,  quello  del  valore   venale
 dell'immobile.
    Secondo il giudice a quo la norma impugnata contenuta nell'art. 5,
 quinto comma, della legge 23 luglio 1985, n.  372,  facendo  rivivere
 per   le  espropriazioni  preordinate  all'ampliamento  della  tenuta
 presidenziale  di  Castelporziano  il  criterio   di   determinazione
 dell'indennita'  espropriativa  previsto  dall'art. 13 della legge n.
 2892 del 1885, darebbe "origine ad una discrepanza  dalla  disciplina
 generale,  la  quale, non essendo giustificata da ragionevoli motivi,
 si risolve in un trattamento arbitrario e discriminatorio che vulnera
 il  principio di uguaglianza". Infatti, con il richiamo alla legge n.
 2892 del 1885, la  legge  n.  372  del  1985  si  e'  discostata  dal
 principio    di    unitarieta'   del   criterio   di   determinazione
 dell'indennita', espressamente recepito dalla legge 27  giugno  1974,
 n.  247;  si ritorna, cosi', alla scelta di criteri di volta in volta
 variabili in funzione dell'opera cui e' preordinata l'espropriazione.
 In  tale  sistema  la misura del ristoro spettante all'espropriato e'
 fatta dipendere, non dai valori economici inerenti alla natura e alla
 destinazione  dei  beni,  ma  unicamente dai diversi fini per i quali
 viene   impiegata   l'espropriazione.   Con   la   conseguenza    che
 l'espropriazione   di   beni   aventi   medesime   caratteristiche  e
 destinazione risulta indennizzata in maniera diversa a seconda  degli
 scopi che si intende perseguire.
    Si  precisa  al  riguardo  che  detta disparita' di trattamento e'
 riscontrabile tanto nell'ipotesi in cui i terreni abbiano  attitudine
 edificatoria,  quanto  nell'ipotesi  in cui essi abbiano destinazione
 agraria.  Infatti  nel  primo  caso,  secondo  il  sistema  generale,
 l'indennita'  corrisponderebbe  al  valore  venale  del  bene  e, nel
 secondo, al valore agricolo medio, mentre secondo l'art. 5  della  l.
 n.  372/1985  in entrambi i casi, per i beni compresi nella tenuta di
 Capocotta, dovrebbe applicarsi il diverso criterio previsto dall'art.
 13 della l. n. 2892/1885.
    Detta  disparita'  renderebbe la legge illegittima, in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, non essendo ragionevole  che  beni  di
 caratteristiche  identiche  o  analoghe siano indennizzati in maniera
 diversa a seconda delle finalita' dell'espropriazione.
    2.  -  Davanti  a  questa  Corte  e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello
 Stato,  chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non
 fondata.
    Sotto  il  primo  profilo  si  afferma che essa e' irrilevante ove
 debba  intendersi  come  rivolta  ad  estendere  ad  ogni   tipo   di
 espropriazione  il  criterio di liquidazione dell'indennita' previsto
 dalla norma impugnata.
    Sotto   il  secondo  profilo  si  osserva  che  la  giurisprudenza
 costituzionale   non   ha   mai   affermato   che   la   liquidazione
 dell'indennita'  deve  avvenire,  in  relazione  ad  ogni  ipotesi di
 espropriazione prevista dalla legge, secondo  il  medesimo  criterio.
 Viceversa,  fermo  restando  che  l'indennita' deve essere congrua in
 relazione al valore effettivo del bene,  e'  rimessa  al  legislatore
 "ogni  valutazione  di carattere sociale ed economico-finanziario" la
 quale,  in  relazione  alle  diverse  ipotesi  espropriative,   possa
 comportare  la  fissazione  di  differenti  criteri di determinazione
 dell'indennita'.  Deve  anzi   escludersi   che   la   determinazione
 dell'indennizzo  possa  razionalmente  farsi dipendere esclusivamente
 dal valore del bene espropriato, senza tener  conto  "degli  elementi
 tecnici,  economici,  finanziari  e  politici  che vengono in rilievo
 nella comparazione dell'interesse pubblico e di quello privato  nelle
 diverse situazioni".
    In   particolare   il  criterio  di  liquidazione  dell'indennita'
 previsto dalla legge  di  Napoli,  e'  stato  di  recente  richiamato
 dall'art.  4  della legge n. 111/1971 (per gli espropri relativi alla
 costruzione di  alcuni  aeroporti)  e  dall'art.  80  del  d.-l.   n.
 75/1981,  convertito  nella  legge  n. 219 del 1981 (per gli espropri
 inerenti alla ricostruzione di territori colpiti da  eventi  sismici)
 ed e' stato piu' volte ritenuto dalla Corte costituzionale conforme a
 quanto stabilito dall'art. 42 della Costituzione.
    Si  e'  costituita  pure  la  parte privata chiedendo che la norma
 impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima.
    Identiche  questioni  sono  state  sollevate  dalla  stessa  Corte
 d'appello di Roma, con altre ordinanze in data 31 maggio  1989  (R.O.
 n. 673/1989); 7 giugno 1989 (R.O. n. 674/1989) e 14 giugno 1989 (R.O.
 n. 675/1989).
    Anche  nei giudizi cosi' promossi e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, chiedendo che le questioni  siano  dichiarate
 inammissibili  o  infondate  e  si  sono  costituite le parti private
 insistendo  per  la  declaratoria   d'illegittimita'   costituzionale
 dell'art. 5, comma quinto, della legge 27 luglio 1985, n. 372.
    Successivamente  le  parti private hanno depositato memorie, nelle
 quali   hanno   considerato   i   diversi   profili   della   dedotta
 illegittimita'  costituzionale  della  norma impugnata, sorreggendo e
 confortando i dubbi proposti dal giudice rimettente.
    In  particolare  esse  hanno dedotto l'illegittimita' del richiamo
 operato dalla norma impugnata  al  criterio  stabilito  dall'art.  13
 della  l.  n.  2892/1885,  in  quanto  tale  legge e' ormai abrogata,
 nonche'  il  trattamento  discriminatorio,   cosi'   operato,   nella
 determinazione  della  indennita'  di  espropriazione  per  i terreni
 facenti parte della tenuta di Capocotta, rispetto a quelli confinanti
 o vicini.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.  -  Il  giudice  a  quo  ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,
 dell'art.  5,  comma  quinto,  della  legge  23  luglio 1985, n. 372,
 secondo il quale le indennita' di espropriazione  dei  beni  immobili
 della tenuta di Capocotta - destinati all'ampliamento della tenuta di
 Castelporziano in dotazione del Presidente della  Repubblica  -  sono
 determinate  in base ai criteri stabiliti dall'art. 13 della legge 15
 gennaio  1885,  n.  2892.  Tale  norma  lederebbe  il  principio   di
 uguaglianza,  regolando  la liquidazione delle indennita' relative ai
 beni anzi detti secondo criteri meno vantaggiosi di quelli vigenti in
 via generale.
    Con  la  proposizione  della  questione il giudice a quo ha inteso
 chiedere che questa Corte  dichiari  l'illegittimita'  costituzionale
 della   norma   impugnata,   cosi'   da   rendere   applicabile  alle
 espropriazioni  dei  beni  immobili  della  tenuta  di  Capocotta  la
 disciplina  vigente  in via generale in materia di liquidazione delle
 indennita'  di  espropriazione.  Va  percio'  rigettata   l'eccezione
 d'irrilevanza proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri, non
 ricorrendo il presupposto, dal quale essa muove, che il giudice a quo
 abbia chiesto, attraverso una sentenza additiva, l'estensione a tutti
 i procedimenti espropriativi  del  criterio  stabilito  dall'art.  5,
 comma quinto, della legge n. 372/1985.
    2. - Nel merito la questione e' infondata.
    Va  premesso  che  attualmente  -  dopo che la Corte ha dichiarato
 l'illegittimita' dell'art. 16, commi quinto, sesto e  settimo,  della
 legge  n.  865  /1971,  come  modificati  dall'art. 14 della legge n.
 10/1977 (sentenza n. 5/1980), nonche' della legge 29 luglio 1980,  n.
 385   (sentenza   n.   223/1983),   con  riferimento  ai  criteri  di
 determinazione  delle  indennita'  per  le  aree   con   destinazione
 edificatoria  (cfr.  sentenze  n. 355/1985 e n. 231/1984) - i criteri
 generali per la liquidazione delle indennita' di espropriazione sono:
 a)  per  le aree con destinazione agricola, quello del valore agrario
 medio previsto dalla legge  n.  865  del  1971;  b)  per  le  aree  a
 destinazione  edificatoria,  quello  del  valore  venale del bene, ai
 sensi dell'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che  non  era
 stato abrogato, ma solo derogato dalla legge n. 865/1971 (sentenza n.
 1022/1988).
    Va   premesso,   altresi',  che  questa  Corte,  ha  costantemente
 affermato, in tema di indennita' di  espropriazione,  che  l'art.  42
 della  Costituzione  non  garantisce  all'espropriato  il  diritto ad
 un'indennita' esattamente commisurata al valore di mercato del  bene.
 L'indennizzo  dovuto a norma dell'art. 42 della Costituzione non deve
 realizzare, infatti, l'integrale ristoro del  sacrificio  subito  per
 effetto   dell'espropriazione,   ma   un'adeguata   riparazione  che,
 nell'ambito  degli  scopi  di   interesse   generale,   la   pubblica
 amministrazione puo' garantire all'interesse privato (sentenze n. 530
 e n. 1022 del 1988 del n. 138/1977).
    In   proposito,  purche'  l'indennizzo  non  divenga  apparente  o
 simbolico, esistono ampi  margini  di  discrezionalita'  legislativa,
 dato  che  il  valore  effettivo  del bene viene in rilievo non quale
 misura,  ma  come  criterio  di  riferimento  per  la  determinazione
 dell'indennizzo.   Il   legislatore,  pertanto,  legittimamente  puo'
 contemperare  il  criterio   del   valore   venale   con   meccanismi
 conformativi  dell'indennizzo a diverso criterio, purche' l'ammontare
 cosi'  determinabile  non  scenda  sotto  il  livello  di  congruita'
 (sentenza n. 231/1984).
    Sulla   base  di  tali  princi'pi,  questa  Corte  ha  piu'  volte
 riconosciuto la legittimita' di norme che prevedevano la liquidazione
 d'indennita'  di espropriazione mediando tra il valore di scambio del
 bene da espropriare e valori stabiliti dalla  legge  in  relazione  a
 criteri  diversi. Cosi', di recente (sentenza n. 1165/1988), la Corte
 ha affermato la legittimita' dell'art. 28  della  legge  20  dicembre
 1972,  n.  31  della provincia di Trento, come modificato dalla legge
 provinciale 2 maggio 1983, n. 14, nella parte in cui stabilisce  che,
 per  le  aree a vocazione urbanistica, l'indennita' di espropriazione
 e' commisurata alla media aritmetica tra il valore venale e il valore
 che  deve  essere attribuito all'area quale terreno agricolo, secondo
 il tipo di coltura in atto al momento della stima  o,  se  anteriore,
 dell'occupazione  d'urgenza.  Parimenti, ha affermato la legittimita'
 (sentenza n. 160/1981) dell'art. 4, comma primo, del r.d.l. 8  luglio
 1931,  n.  981 e dell'art. 1, comma terzo, del d.l. 29 marzo 1966, n.
 128,  nelle  parti  in  cui  hanno  stabilito  che  gl'indennizzi  da
 corrispondere  per le espropriazioni disposte in attuazione dei piani
 particolareggiati di esecuzione del piano regolatore di  Roma,  siano
 determinati  sulla  base della media tra l'imponibile netto, riferito
 alla data dell'entrata in  vigore  del  r.d.l.  n.  981  del  1931  e
 capitalizzato ad un tasso dal 3,50 per cento al 7 per cento - secondo
 le condizioni dell'edificio e la sua ubicazione - ed il valore venale
 del bene al momento dell'espropriazione.
    3.  -  L'art.  5  della  legge  23  luglio 1985, n. 372, nel comma
 quinto, impugnato, dispone che l'indennita' di espropriazione  per  i
 beni  indicati  nel  primo comma, e' determinata "in base all'art. 13
 della legge 15 gennaio 1885,  n.  2892",  cosi'  commisurandola  alla
 media  del  valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio
 o, in difetto, tra il valore venale e l'imponibile netto  nell'ultimo
 decennio agli effetti delle imposte sui terreni e fabbricati.
    Tale  criterio,  adottato  originariamente  per  le espropriazioni
 preordinate ai lavori di risanamento della citta' di Napoli, e' stato
 esteso  da  molte  leggi  posteriori  ad  espropriazioni  finalizzate
 all'esecuzione di altre opere pubbliche (da ultimo cfr. la  legge  n.
 219/1981)  ed e' stato ritenuto da questa Corte (ordinanza n. 607 del
 1987; sentenze n. 15/1976 e  n.  5/1960)  non  contrastante  ne'  con
 l'art. 42, ne' con l'art. 3 della Costituzione. Esso non viola l'art.
 42, in quanto garantisce  all'espropriato  un  indennizzo  "congruo",
 perche'  rapportato  al  valore  venale del bene con un meccanismo di
 correzione che gli assicura, anche nelle  ipotesi  meno  vantaggiose,
 una  indennita' di ammontare intermedio tra la meta' del valore reale
 del bene ed il suo valore effettivo.
    4.   -   Nelle  suesposte  valutazioni,  inerenti  ai  criteri  di
 indennizzo fissati dall'art. 13 della legge n. 2892 "pel  risanamento
 di  Napoli"  o  agli  stessi  ispirati,  e'  opportuno ora inserire i
 diversi profili di illegittimita'  di  tale  normativa  proposti  dal
 giudice  a  quo  e  svolti  approfonditamente  nelle  memorie e nella
 discussione orale.
    4.1.  - Il riferimento, che l'art. 5, comma quinto, della legge n.
 372 del 1985 fa all'art. 13 della  legge  n.  2892  del  1885,  viene
 contestato,  assumendosi  l'inidoneita'  della  norma  ad  attribuire
 vigore alla disciplina in materia di indennizzo posta dalla legge per
 Napoli.   Essendo  stata  questa  abrogata,  non  si  sarebbe  potuto
 richiamarne il contenuto: donde  l'incostituzionalita'  dell'art.  5,
 quinto comma, della legge n. 372 "per adozione di legge abrogata".
    La censura non e' fondata.
    L'abrogazione   e   la   cessazione   degli  effetti  della  norma
 sull'indennita' posta  dalla  legge  per  Napoli  non  comportano  la
 cancellazione  di essa come fatto storico e come atto, caratterizzato
 da  un  suo  specifico  contenuto,  anche  se  ormai  sprovvisto   di
 efficacia.  Legittimamente,  dunque,  l'art.  5,  comma quinto, della
 legge n. 372 si appropria di quel contenuto e lo assume come elemento
 sostanziale   della   normazione,   immettendolo  nel  tessuto  della
 disciplina regolatrice degli espropri della tenuta di  Capocotta:  si
 ripristina  cosi'  la  operativita' del precetto abrogato, al fine di
 disciplinare l'indennizzo dovuto per realizzare  l'ampliamento  della
 tenuta  previsto  dalla legge. Si tratta di tecnica non frequente, ma
 sicuramente legittima, in quanto intesa a porre un precetto, anziche'
 in  via  diretta,  attraverso  il  richiamo  a  norma, specificamente
 individuata, rendendone operante il  contenuto  in  base  alla  nuova
 fonte di produzione.
    4.2.  - I criteri di indennizzo contenuti nell'art. 13 della legge
 15 gennaio 1885, n. 2892, richiamati dall'art. 5, comma quinto, della
 legge  n.  372,  sono  stati,  poi, censurati come espressione di una
 normativa "epocale", inadeguata  fin  dal  tempo  in  cui  veniva  in
 essere;  inadeguata, a maggior ragione, nella situazione generale che
 caratterizza attualmente la materia degli espropri, inadeguata infine
 con  riguardo al carattere specifico dei "particolari" beni, ai quali
 si riferiscono gli artt. 1, 3 e  5,  comma  quinto,  della  legge  n.
 372/1985.
    Va in proposito subito osservato che i criteri di indennizzo posti
 dalla legge "pel risanamento di Napoli" costituirono il risultato  di
 una  approfondita  valutazione,  ampiamente  documentata  dai  lavori
 parlamentari. Questa valutazione  si  caratterizzo'  per  almeno  tre
 elementi:  l'attenzione che fu data alle diverse normative vigenti in
 Europa; l'esigenza di fissare un sistema mediano tra  il  valore  del
 bene  e  quello del suo reddito; la necessita' di porre giuste regole
 per  contenere   l'eccessiva   discrezionalita'   della   valutazione
 peritale,  dalle quali derivavano aumenti eccessivi del "costo" degli
 espropri.
    La  sintesi  di  questi  elementi  e'  contenuta nella replica del
 relatore della Commissione della Camera dei deputati,  De  Zerbi,  in
 sede  di  discussione  del  progetto  della legge del 1885 piu' volte
 richiamata  (Atti  parlamentari,   legisl.   XV,   sess.   1882-1884,
 Discussioni, tornata 21 dicembre 1884): ".... La legge vigente lascia
 un  arbitrio  sconfinato  ai  periti,  poiche'  vuole  soltanto   che
 l'indennita'  sia stabilita secondo la perizia. Questa perizia potra'
 bensi' essere riveduta da un'altra. Ma la  legge  non  da'  norma  ai
 periti.  Noi  abbiamo  creduto necessario prescrivere questa norma. E
 qual e' la possibile norma che si possa prescrivere? Le leggi inglesi
 dicono  il  fitto  coacervato di dieci anni: i critici tedeschi delle
 leggi inglesi dicono  che  questo  sia  troppo  grave,  talvolta  per
 l'amministrazione  e  talvolta  per  la  proprieta' privata; le leggi
 belghe dicono il valore venale: ma questo valore venale  tante  volte
 e'  troppo  basso  ed  e'  opposto  al diritto di privata proprieta'.
 Allora, secondo la formola  felicemente  proposta  dall'onor.  Crispi
 nella Commissione, abbiamo trovato giusto di indicare la media tra il
 valore venale ed il reddito coacervato di dieci anni".
    La  norma  relativa  alla  determinazione dell'indennizzo, come le
 altre contenute nell'art. 13 della legge del 1885,  non  ebbe  alcuna
 critica   nella   successiva   discussione   al   Senato  (cfr.  Atti
 parlamentari, Senato  del  Regno,  sess.  1882-1884,  doc.  155  A  e
 Discussioni, tornata 11 gennaio 1885) e, come sara' rilevato (cfr. n.
 4.4), pone criteri  sostanziali  che  sono  alla  base  di  normative
 recenti della materia.
    4.3.  - Quanto al profilo di illegittimita' del richiamato art. 13
 della legge n.  2892  per  l'asserita  violazione  del  principio  di
 uguaglianza,  e'  da  porre in rilievo che tale censura e' articolata
 nel senso che la norma determinerebbe una indennita',  caratterizzata
 dall'attribuzione  di  "somme  diverse  per  l'espropriazione di beni
 identici in vista  di  particolari  e  non  generali  finalita'".  In
 sostanza,  la censura si appunta sul diverso trattamento che verrebbe
 fatto per l'ablazione di beni appartenenti ad una categoria omogenea,
 arbitrariamente diversificati quanto all'indennizzo.
    Osserva  la  Corte  che l'art, 5 della legge n. 372/1985 individua
 una intera ed unitaria categoria di beni, quando conferisce  (con  la
 norma,  primo  comma,  in  relazione al terzo) la tenuta di Capocotta
 "alla dotazione immobiliare del  Presidente  della  Repubblica",  "ad
 integrazione  della  adiacente tenuta di Castelporziano". Scopo della
 norma  e'  il  ripristino  dell'originaria   unita'   del   complesso
 territoriale,   di  cui  i  beni,  oggetto  del  nuovo  conferimento,
 costituiscono naturale ed omogeneo complemento. Esattamente ha  posto
 in  luce l'Avvocatura generale dello Stato che la tenuta di Capocotta
 e' legata a quella confinante di Castelporziano da peculiari  vincoli
 storici  e  ambientali: entrambe furono di pertinenza reale, la prima
 come bene patrimoniale privato del  Re,  la  seconda  come  dotazione
 della  Corona. La diversa qualificazione dell'appartenenza non incise
 sull'"unicita' del bosco, di caratteristiche naturali omogenee".
    La  legge n. 372/1985 ha perseguito, dunque, l'unificazione, in un
 "insieme" organico, di beni di composizione naturale identica,  parti
 di  "un unitario millenario complesso forestale"; tali beni, ai quali
 si  riferiscono  conferimento  ed  esproprio,  oggetto  della   norma
 censurata  (art.  5  legge  n. 372 cit.) riacquistano, cosi', la loro
 funzione unitaria, legittimata  dalle  loro  qualita'  strutturali  e
 dalla comune finalita'.
    Elementi,  questi,  che  operano una identificazione netta, per le
 cennate caratteristiche, dei beni interessati, in quanto compresi  in
 una  specifica area delimitata dall'art. 5 della legge n. 372 e, come
 tali,  oggetto  dell'espropriazione,   cosi'   da   giustificare   il
 trattamento unitario e differenziato rispetto agl'immobili esterni al
 complesso al quale la legge n. 372 si riferisce.
    Non    fondatamente,    poi,    si    lamenta,   nella   normativa
 dell'individuazione  dei  beni  sottoposti   all'espropriazione,   la
 mancanza  del  requisito  della  generalita'. Destinatari della norma
 sono, invero, tutti coloro che si trovano nelle condizioni  indicate:
 tutti  coloro,  cioe',  che sono insediati nella parte di territorio,
 descritta nel primo comma dell'art. 5 della legge n. 372, proprietari
 dei  terreni da conferire alla dotazione immobiliare del Presidente e
 specificata, quanto ai confini, nel terzo comma della  stessa  norma.
 La comunanza della qualifica di proprietari di siffatti beni comporta
 la comunanza  dello  stato  di  soggezione  alla  potesta'  ablativa:
 disuguaglianza   ricorrerebbe,   invece,   se   la  norma  sottraesse
 all'esercizio  di  tale  potesta'  alcuni  dei  beni   nella   stessa
 condizione di quelli espropriati.
    A  dimostrare, poi, l'infondatezza del rilievo della "voluttuaria"
 finalita'  e  della  mancanza   della   connotazione   dell'interesse
 generale,   che   caratterizzerebbe   la   norma,   regolatrice   del
 conferimento dei beni alla dotazione del Presidente, se  non  fossero
 sufficienti  le considerazioni gia' svolte, si potrebbe richiamare un
 passo della relazione al disegno di legge governativo n. 2996 del  29
 giugno 1985 (Camera dei deputati, IX legislatura - Atti parlamentari,
 pag. 2), che ha costituito la base  della  legge  n.  372,  impugnata
 dalle  ordinanze.  L'interesse generale perseguito dalla normativa e'
 ivi enunciato nella  finalita'  di  ricostituire  il  "completamento"
 attraverso l'"accorporamento" dell'originario complesso territoriale,
 "assicurando la salvezza dal degrado e dall'abusivismo  di  una  zona
 considerata    di    particolare    importanza   sotto   il   profilo
 naturalistico-ambientale". Perseguendo tale obiettivo, la  norma  non
 contraddice  alla  finalita',  cui  e'  preordinato  l'istituto della
 dotazione,   prevista   dall'ultimo   comma   dell'art.   84    della
 Costituzione,  intesa  a garantire l'indipendenza ed il prestigio del
 Presidente della Repubblica. La protezione ambientale  del  bene  e',
 infatti,  del  tutto  coerente  con gli anzidetti valori di garanzia;
 che, anzi, ne costituisce una piu' compiuta esplicazione per  la  sua
 idoneita'  a  realizzare anche la finalita', storicamente propria del
 complesso dei beni conferiti  alla  dotazione,  resa  particolarmente
 acuta ed urgente dal degrado e dall'abusivismo recenti.
    4.4  -  Altro  (ed ultimo) aspetto della censura di irrazionalita'
 della norma impugnata  viene  ricollegato  all'indirizzo  segnato  da
 questa  Corte  con  le  sentenze  n. 223/1983 e n. 5/1980. Secondo la
 prospettazione delle ordinanze di rimessione, dato che per  tutte  le
 aree   a   destinazione   edificatoria,   unico   criterio   per   la
 determinazione dell'indennita' di espropriazione sarebbe  quello  del
 valore venale del bene, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 2359 del
 1865 e, per tutte le aree a destinazione agraria, quello  del  valore
 agricolo  medio  ai  sensi della legge n. 865/1971, il criterio posto
 dall'art.  13  della  legge  n.  2892/1865  sarebbe   irrazionale   e
 discriminatorio.
    A dimostrare l'infondatezza anche di questo profilo della censura,
 va innanzitutto osservato che, come gia' si e' avvertito, attualmente
 sono  in  vigore  altre  leggi,  statali  e  non  statali  - ritenute
 legittime da questa Corte - le quali hanno adottato  criteri  per  la
 determinazione  delle  indennita'  di  espropriazione simili a quello
 previsto dalla legge n. 372/1985. Nell'ordinamento, pertanto, accanto
 alle  regole  generali  indicate  dal giudice a quo (modificabili dal
 legislatore,  nel  rispetto   dell'art.   42   della   Costituzione),
 permangono  regole  particolari.  Queste,  se  legittime in relazione
 all'art. 42, lo sono anche in relazione all'art. 3 della Costituzione
 giacche' - come questa Corte ha affermato sin dalla sentenza n. 5 del
 1960   -   il   legislatore,   nella   sua   discrezionalita',   puo'
 legittimamente  stabilire  criteri  diversi  di  determinazione delle
 indennita' di espropriazione,  in  relazione  agli  scopi  perseguiti
 dalle   singole   leggi   ed  agl'interessi  pubblici  e  privati  da
 contemperare.
    Ne   deriva   che,  in  relazione  a  dette  finalita',  competeva
 unicamente  al  legislatore,  nel   rispetto   dell'art.   42   della
 Costituzione,  tenendo  conto della situazione di fatto e di diritto,
 degl'interessi in contrasto e delle risorse  economiche  disponibili,
 stabilire  il  criterio  per  la  determinazione  della indennita' di
 espropriazione, con una scelta legislativa che -  essendo  rispettosa
 dell'art.  42  della Costituzione, come riconosce la stessa ordinanza
 di rimessione - e' legittima e non censurabile.
    5. - Deve, pertanto, dichiararsi l'infondatezza della questione di
 legittimita' della normativa impugnata, sotto tutti i dedotti profili
 di violazione dell'art. 3 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 5, comma  quinto,  della  legge  23  luglio  1985,  n.  372
 (Rivalutazione   dell'assegno   personale   e   della  dotazione  del
 Presidente della Repubblica), sollevata  in  riferimento  all'art.  3
 della  Costituzione  dalla  Corte d'appello di Roma, con le ordinanze
 indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 19 aprile 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0480