N. 187 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 gennaio 1990
N. 187 Ordinanza emessa il 31 gennaio 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Verona nel procedimento penale a carico di Zanetti Emanuelita ed altra Processo penale - Decreto di archiviazione - Richiesta del p.m. - Inesistenza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio - Omessa previsione solo per il caso di manifesta infondatezza della notitia criminis - Lamentata violazione dei principi fissati dalla legge-delega. (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 125, in relazione alla legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, primo comma, n. 50). (Cost., art. 76).(GU n.18 del 2-5-1990 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; Letta la richiesta di archiviazione del procedimento a carico di Emanuelita Zanetti e Maria Rossetti, sottoposte alle indagini in ordine al reato di favoreggiamento personale, proposta dal pubblico ministero dott. Zenatelli in data 26 gennaio 1990; Rilevato che il p.m. ritiene che gli elementi di prova raccolti nella fase delle indagini preliminari dalla polizia giudiziaria non siano idonei a sostenere l'accusa in giudizio, ai sensi dell'art. 125 delle disp. att. del c.p.p.; Ritenuto che questo giudice condivide la valutazione del richiedente, giacche' la condotta delle persone interessate (che hanno oggettivamente collaborato nel tentativo di occultare derrate alimentari scadute, nel corso di un controllo dei carabinieri del N.A.S.) per le ragioni esposte dal p.m. non e' tale da fondare un giudizio di probabile affermazioen di penale responsabilita' e che quindi dovrebbe accedere alla richiesta di archiviazione, in ossequio al parmetro di valutazione imposto dall'art. 125 cit.; O S S E R V A Tale norma, da applicarsi nel caso de qua, non appare immune da censure di costituzionalita', sotto il profilo della conformita' ai principi posti dalla legge delega (in particolare all'art. 2, primo comma, n. 50, della legge 16 febbraio 1987, n. 81) e quindi in relazione all'art. 76 della Costituzione; deve infatti rilevarsi che la legge delega prevedeva il "potere-dovere del giudice di disporre, su richiesta del pubblico ministero, l'archiviazione (solo) per manifesta infondatezza della notizia di reato" (oltre che per improcedibilita' dell'azione penale e per essere ignoti gli autori del reato), cosi' come poi effettivamente previsto dall'art. 408 del c.p.p. Alla nozione di manifesta infondatezza non pare in alcun modo riconducibile l'attuale testo dell'art. 125 cit.; questo, pur dopo la modifica rispetto alla formulazione originaria, contenuta nel progetto preliminare delle disposizioni di attuazione (dove piu' chiaramente si diceva che il p.m. presentava richiesta di archiviazione quando riteneva che "gli elementi di prova acquisti nelle indagini preliminari non sarebbero sufficienti al fine della condanna dell'imputato") sembra univocamente porre il principio, ribadito significativamente dal successivo art. 256 delle disp. att., secondo il quale la citazione a giudizio dibattimentale e' consentita solo quando le fonti di prova acquisite vengano ritenute sufficienti per ottenere (ove nulla di nuovo emerga al dibattimento) l'affermazione di colpevolezza dell'imputato. Questa interpretazione trova conferma dai concordi commenti della dottrina che per prima si viene occupando del nuovo codice di rito (tanto che si e' anche parlato di "azione penale concreta" quale concetto assolutamente inedito nel diritto processuale penale italiano) oltre che dalla prassi giudiziaria di questi iniziali tempi. Puo' cosi' affermarsi che tramite l'art. 125 delle disp. att. del c.p.p., con soluzione non prevista dalla legge delega, il pubblico ministero formula con la richiesta di archiviazione quel giudizio di sufficienza di prove pe rla condanna, che va addirittura oltre il giudizio di sufficienza di prove per il rinvio a giudizio, che l'aprogato codice attribuiva con l'art. 374 al giudice istruttore; sulla distinzione manifesta tra i concetti di infondatezza della notizia di reato e insufficienza di prove per il rinvio a giudizio sia consentito il mero richiamo generico alla dottrina ed alla giurisprudenza che, vigente l'abrogato codice, hanno precisato i concetti di sospetto, indizio di colpevolezza, prova per il rinvio a giudizio, prova per la condanna dibattimentale: e non vi e' alcun dato positivo per ritenere che il legislatore delegante abbia inteso i termini usati in senso differente. Non pare avere poi rilevanza la circostanza che la richiesta del pubblico ministero sia soggetta al controllo giurisdizionale del giudice per le indagini preliminari, perche' anche quest'ultimo deve attenersi a quel parametro di giudizio (decretando quindi l'archiviazione in un caso non previsto dalla legge delega; oltretutto, nel procedimento per reati di competenza del pretore, senza avere alcun potere di pretendere una integrazione delle indagini svolte, o addiruttura non svolte). Il sistema quale in concreto compiutosi con le norme di attuazione sembra in definitiva opposto a quello stabilito dalla legge delega, che sostanzialmente finiva con il far ritenere necessaria la soluzione dibattimentale ogni qualvolta non fosse evidente l'infondatezza della notizia di reato - art. 408 del c.p.p. - ovvero l'estraneita' della persona sottoposta alle indagini o l'improcedibilita' - art. 425 del c.p.p. -). A questo punto e' probabilmente opportuno, a fronte di talune affermazioni provenienti da chi alla redazione del codice nuovo ha partecipato (secondo cui "sacche di resistenza al codice... si esprimerebbero... scegliendo la scorciatoia del rinvio delle norme all'esame della Corte costituzionale al solo manifestarsi di un dubbio interpretativo"), osservare che se la norma di cui all'art. 125 delle disp. att. e', verosimilmente, in effetti la norma che dovrebbe consentire al nuovo codice di funzionare efficacemente (limitando drasticamente l'accesso al e l'"occupazione" del dibattimento), tuttavia essa e' norma foriera di tali implicazioni culturali e ordinamentali relativi alla posizione nel sistema del pubblico ministero (tant'e' che correttamente si parla di "sistema processuale in una fase di transizione poriettata verso una sostanziale ridefinizione della regola della obbligatorieta'") per cui pare doversoso che, indipendentemente dal giudizio positivo sul suo contenuto (sotto il profilo pratico e sotto quello sistematico), sia il legislatore e non il redattore delle norme di attuazione - in ritenuto eccesso rispetto alla delega ricevuta - a prevederla, cosi' giustificandola politicamente. La rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione appaiono evidenti: quanto alla prima, ove dovesse essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma le persone sottoposte alle indagini in questo procedimento dovrebbero essere tratte al giudizio dibattimentale; quanto alla seconda, valgano le argomentazioni prospettate in referimento all'art. 76 della Costituzione. Va tratta copia degli atti, dovendo il procedimento proseguire nei confronti delle altre persone sottoposte alle indagini; il procedimento nei confronti della Zanetti e della Rossetti va sospeso, con l'adempimento degli incombenti di cui all'art. 23 della legge n. 87/1953.
P. Q. M. Solleva, d'ufficio, questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 125 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, in relazione all'art. 76 della Costituzione per eccesso rispetto alla delega di cui al n. 50 dell'art. 2, primo comma, della legge 16 febbraio 1987, n. 81; Sospende il presente procedimento nei confronti di Zanetti Emanuelita e Rossetti Maria; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e alle parti e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Dispone restituirsi copia degli atti al p.m. in sede per l'ulteriore corso nei confronti delle altre persone sottoposte alle indagini; Manda la cancelleria per l'esecuzione. Cosi' deciso in Verona, addi' 31 gennaio 1990. Il giudice per le indagini preliminari: CITTERIO 90C0470