N. 189 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1989
N. 189 Ordinanza emessa il 10 ottobre 1989 dal tribunale di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'I.A.C.P. (Istituto autonomo case popolari) per la provincia di Torino e l'Istituto bancario San Paolo di Torino Edilizia popolare, economica e sovvenzionata - Alloggi di edilizia economica e popolare assegnati in locazione dall'Istituto autonomo case popolari - Ipotecabilita' ed espropriabilita' - Conseguente possibile perdita per gli assegnatari del diritto alla cessione in proprieta' di detti alloggi - Violazione: a) del principio costituzionale del favore all'accesso del risparmio popolare alla proprieta' della abitazione; b) del diritto alla abitazione da considerarsi diritto inviolabile dell'uomo; c) del principio di uguaglianza sostanziale, sotto il profilo della rimozione dell'ostacolo di ordine economico per il lavoratore risparmiatore, posto all'accesso alla proprieta' dell'abitazione dall'alto costo di mercato della stessa; d) del diritto di proprieta' sotto il profilo della lesione del principio di rendere "accessibile a tutti" la proprieta' privata di cui la disciplina dell'edilizia popolare risulta applicazione. (R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 1; r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 16; d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226, art. 2). (Cost., artt. 2, 3, 42 e 47).(GU n.18 del 2-5-1990 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza colleggiale nella causa civile n. 10536/87 r.g. (alla quale sono riunite le cause n. 10588/87, 5855/89, 5856/89, 5857/89, 5858/89, 5859/89, 8131/89, 5627/89, 5628/89, 10538/87, 5991/89, 5992/89, 5993/89, 5994/89, 5995/89, 5996/89, 5997/89, 10587/87, 5629/89, 5630/89, 5631/89 r.g.) promossa dall'I.A.C.P. (Istituto autonomo case popolari) per la provincia di Torino, rappresentato e difeso dall'avv. Griffa, attore contro l'Istituto bancario San Paolo di Torino, rappresentato e difeso dall'avv. Peracchio, convenuto. Premesso: che con atti di citazione separati l'I.A.C.P. faceva opposizione alle esecuzione immobiliari iniziate contro l'ente dell'Istituto bancario San Paolo di Torino, in forza di mutuo garantito da ipoteca, affermando la impignorabilita' degli immobili compresi nel patrimonio dell'ente, in quanto indisponibili perche' destinati ad un pubblico servizio; che l'opposto istituto si costituiva con comparsa, affermando la inerenza del potere di espropriare al diritto di ipoteca previsto dalla legislazione speciale quale garanzia dei mutui fondiari e la pignorabilita' degli immobili dello I.A.C.P.; che con successivi atti di citazione separati lo I.A.C.P. faceva opposizione alle medesime esecuzioni, affermando la impignorabilita' dei frutti e delle rendite dell'ente (canoni di locazione) fatti depositare dal g.e. nel corso della esecuzione in quanto anch'essi indisponibili; che l'opposto istituto si costituiva con comparsa, affermando che i predetti frutti sono destinati per legge proprio al pagamento delle rate residue dei mutui contratti dall'ente; che alla udienza collegiale, tutte le predette cause venivano riunite; Tutto cio' premesso; Ritiene di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di legge di cui in appresso e in dispositivo per i seguenti M O T I V I E' opinione comune di dottrina e giurisprudenza, condivisa da questo tribunale, che la natura degli I.A.C.P., istituiti con il t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, sulla edilizia popolare ed economica sia quella di enti pubblici non economici a circoscrizione territoriale. Tali enti, secondo l'art. 1 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226, che contiene l'approvazione del loro nuovo statuto-tipo, hanno "lo scopo di provvedere alla realizzazione di programmi di intervento di edilizia residenziale pubblica e di edilizia convenzionata ed agevolata, nonche' alle opere di edilizia sociale ed alle case-albergo di tipo economico e popolare"; tra i loro compiti rientra quindi quello della realizzazione della c.d. "edilizia residenziale pubblica" di cui alla legge 22 ottobre 1977, n. 865, che costituisce, secondo l'opinione condivisa, un pubblico servizio. L'attuazione di tali compiti avviene con una attivita' che consta, secondo l'art. 2 dello stesso statuto, dell'acquisto o acquisizione di terreni fabbricabili e di fabbricati, della costruzione di case popolari, della loro dazione in locazione, con un contratto il cui contenuto e' per la maggior parte determinato dalla legge, agli assegnatari e, alla scadenza della locazione del trasferimento della proprieta' dell'alloggio dall'ente all'assegnatario, con un altro contratto di vendita. Il d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, che contiene tra l'altro norme per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, all'art. 2 elenca i requisiti per tale assegnazione e tra questi: alla lett. c): "Non essere titolare del diritto di proprieta', di usufrutto, di uso o di abitazione... su di un alloggio adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare ovvero... di uno o piu' alloggi che, dedotte le spese nella misura del 25% annuo, consentano un reddito annuo superiore a L. 4.000.000"; alla lett. e): fruire "di un reddito annuo complessivo, per il nucleo familiare, non superiore a L. 4.000.000"; Questo tribunale ritiene di prendere in esame quattro punti della questione, per motivarne la rilevanza e non manifesta infondatezza. Il primo e' quello del ricorso dello I.A.C.P. al finanziamento privato per l'attuazione dei proprii compiti ed in particolare per la costruzione degli alloggi; data la sua rilevanza nella causa a quo si fa unicamente riferimento al finanziamento degli istituti di credito fondiario, disciplinato dal t.u. 16 luglio 1905, n. 646. A questo proposito l'art. 2 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, che contiene norme relative all'emissione obbligazionarie da parte degli enti di credito fondiario ed edilizio e delle sezioni autonome per il finanziamento di opere pubbliche recita: "Il credito fondiario ha ad oggetto: a) la concessione di mutui garantiti da ipoteca di primo grado su immobili" Il r.d. n. 1165/1938 all'art. 1 recita poi: "I prestiti per la costruzione e l'acquisto di case popolari ed economiche possono essere consentiti dai seguenti istituti o enti... 8) gli istituti di credito fondiario e all'art. 16: "Sono ammessi a contrarre mutui... 3) gli istituti autonomi per le case popolari". Lo stesso art. 2 del citato statuto-tipo dello I.A.C.P. recita: "Per l'attuazione dei proprii fini l'istituto puo'... 1) contrarre prestiti, con o senza garanzia ipotecaria". E' quindi previsto dalla legge che lo I.A.C.P. contragga mutui fondiari di finanziamento con dazione di ipoteca su immobili del proprio patrimonio, con istituti di credito. A questo punto va subito rilevato come dall'art. 2808 del nostro codice civile, che recepisce il principio della tipicita' dei diritti reali, sia disposto che "l'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche nei confronti del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito". Non e' quindi configurabile, coma fa lo I.A.C.P. in sede di opposizione, un diritto di ipoteca senza facolta' di espropriazione. Da cio' discende che, in caso di inadempimento dello I.A.C.P. al proprio debito di restituzione, l'istituto mutuante, creditore ipotecario, puo' procedere ad espropriazione forzata degli immobili oggetto d'ipoteca. Viene quindi all'esame del collegio il secondo punto della questione, che costituisce anche il motivo dell'opposizione dello I.A.C.P., quello relativo alla natura del patrimonio immobiliare dell'ente. Secondo l'opinione dominante e la stessa Cass. (C. 1 ottobre 1980, n. 5332 e 26 marzo 1988, n. 2593), la natura del patrimonio dello I.A.C.P. e' quello di patrimonio indisponibile di un ente pubblico, in quanto destinato a un pubblico servizio, quello della edilizia residenziale pubblica. Secondo l'art. 3 del piu' volte citato statuto "Il patrimonio dello I.A.C.P. e' costituito... a) dai beni mobili e immobili di proprieta' dell'istituto"; quindi gli alloggi economici e popolari costruiti dallo I.A.C.P. fanno parte del suo patrimonio. Tali alloggi costituiscono anch'essi dunque beni indisponibili. E' loro applicabile percio' il c.d. degli artt. 828/30, secondo comma, del c.c. secondo cui "i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile (n.d. e: anche degli enti pubblici non territoriali) non possono essere sotratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano". E' opinione costante, in sede interpretativa di tale disposizione, che essa comprenda il divieto di espropriare i beni ivi disciplinati. Secondo le difese dello I.A.C.P. da quanto sopra esposto discenderebbe che gli immobili dell'ente non sarebbero espropriabili. Tuttavia questo tribunale ritiene che, nell'(apparente) conflitto tra gli artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e 2 del d.P.R. n. 226/1975 da una parte (norme speciali e, quanto all'ultima, anche posteriore) ed i citati artt. 828/30 del c.c. dall'altra, siano prevalenti le prime; la espropriazione forzata in attuazione della garanzia ipotecaria, prevista dalle citate disposizioni, puo' ben essere ritenuta un modo stabilito dalla legge per la sottrazione degli immobili ancorche' indisponibili alla loro destinazione, come previsto dalla clausola di salvezza del citato art. 828 del c.c. Il tribunale ritiene in conclusione che soltanto in forza dei citati artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e 2 del d.P.R. n. 226/1975, in caso cioe' di mutui garantiti ipotecariamente, gli immobili facenti parte del patrimonio dello I.A.C.P. siano espropriabili. Da cio' deriva la rilevanza dei citati articoli, contenenti disposizioni aventi forza di legge ed impugnabili avanti alla Corte costituzionale, nel giudizio a quo. Viene ora all'esame del tribunale il terzo punto della questione, quello relativo ai rapporti tra I.A.C.P. ed i suoi assegnatari (tra cui quelli degli alloggi ipotecati). E' pacifico in dottrina e giurisprudenza che in tale rapporto possano distinguersi due fasi: la prima costituita da un procedimento amministrativo che ha come atto finale l'assegnazione dell'alloggio, durante la quale l'assegnatario non puo' vantare nei confronti della p.a. che interessi legittimi; la seconda che, in attuazione della prima, pone in essere rapporti privatistici e durante la quale l'assegnatario puo' vantare nei confronti della p.a. veri e proprii diritti soggettivi. La dottrina, salvo alcune voci isolate, e' concorde nella qualificazione giuridica dei rapporti ente-assegnatari in questa seconda fase. Vi sono due contratti collegati tra loro: uno di locazione ed uno di promessa o opzione di vendita (il c.d. "patto di futura vendita"); alla scadenza del contratto di locazione, adempiute dall'assegnatario tutte le obbligazioni che gli fanno carico e prima tra tutte quella del pagamento dei canoni, si arriva alla conclusione del contratto definitivo di vendita dell'alloggio, con cui soltanto se ne attua il trasferimento in proprieta' all'assegnatario. La stessa giurisprudenza della Cass. (C. 13 luglio 1972, n. 2363; 21 luglio 1975, n. 3626) parla, in pendenza di un rapporto locativo, di un diritto a mantenere il godimento dell'alloggio e di un diritto alla cessione in proprieta' dello stesso. Ecco percio' venire in esame il quarto punto della questione, quello dei rapporti tra l'assegnatario e l'istituto procedente in caso di espropriazione forzata dell'immobili assegnato e della tutela della posizione del primo. Da quanto abbiamo sin qui esposto discende che, in caso di concessione di mutuo fondiario garantito da ipoteca sull'immobile gia' assegnato in locazione ma ancora in proprieta' dello I.A.C.P. nella ipotesi di mancata restituzione della somma da parte di quest'ultimo, la banca puo' procedere contro l'ente ad espropriazione forzata e percio' a vendita dell'immobile a terzi aggiudicatari, a cui questo verra' infine trasferito in proprieta'. Percio' l'assegnatario, essendo la sua locazione trascritta anteriormente al pignoramento, potra' al massimo opporla - ex art. 2923 del c.c. - all'aggiudicatario (anche se vi e' da ritenere che questo non possa essere vincolato a tutto il contenuto predeterminato dalla legge); in ogni caso l'assegnatario, anche nella ipotesi di adempimento di tutte le obbligazioni gravanti su di se', perdera' il diritto alla cessione in proprieta' dell'immobile. Tale perdita gravera' inoltre su soggetti che hanno ottenuto l'assegnazione degli alloggi de quibus secondo una graduatoria che tiene conto soprattutto di requisiti di minor abbienza, maggiore popolarita' del gruppo familiare e peggiori caratteristiche di abitabilita' delle case precedentemente occupate e che percio' appartengono alle categorie economicamente e socialmente meno abbienti e piu' deboli. Va inoltre rilevato come per tali soggetti la perdita del proprio diritto consegua alla espropriazione del bene in attuazione della garanzia ipotecaria dell'istituto per inadempimento di un debito non dell'assegnatario, ma dell'ente. Il tribunale ritiene quindi non manifestamente infondata la questione della compatibilita' delle disposizioni sopracitate (artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e a 2 del d.P.R. n. 226/1975) con gli artt. 2, 3, 42, secondo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione. Secondo l'art. 47, secondo comma, infatti "La Repubblica favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione". Tale norma tutela, secondo opinione condivisa da questo collegio il c.d. "diritto alla abitazione". Esso trova fondamento anche nell'art. 2 della Costituzione, secondo cui "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita' e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale". Infatti se il significato attribuito al diritto all'abitazione e' quello di diritto ad uno spazio abitabile in cui la personalita' si svolge, questo diviene uno dei diritti inviolabili della personalita', previsto dalla Costituzione e per la garanzia del quale e' richiesto l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta'. Dalla interpretazione sistematica delle disposizioni costituzionali appare poi come molte direttive acquistino significato anche se collegate alla garanzia del diritto all'abitazione come diritto della personalita': l'art. 31 ad esempio con la tutela della famiglia ed in particolare di quella numerosa, l'art. 37 con la tutela della maternita' e della infanzia e l'art. 32 con la tutela del diritto alla salute, intesa nel piu' ampio significato psicofisico, necessitano per la loro attuazione anche della garanzia del diritto alla abitazione come godimento di un habitat adeguato. Va incidentalmente rilevato come sia la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sia il Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali, entrambi ratificati dallo Stato italiano e percio' entrati a far parte del nostro ordinamento auspicano l'accesso di tutti gli individui alla abitazione. E intanto vi e' da ritenere che lo Stato abbia ratificato tali convenzioni in quanto i principi in esse contenuti trovavano riscontro nella sua costituzione formale e materiale. Secondo l'orientamento sinora seguito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale invece l'art. 47, secondo comma, tutela soltanto, sebbene in forma privilegiata, un diritto alla proprieta' della abitazione, che ha come soggetto il cittadino risparmiatore e come oggetto la (casa di) abitazione; la situazione giuridica e' quindi riportata nell'ambito dei rapporti economici tra lo Stato e i cittadini e di questi tra loro. Le disposizioni impugnate da questo tribunale, rendendone di fatto inattuabile l'accesso da parte di individui, per cui peraltro l'accesso e' favorito in considerazione anche della popolosita' del loro nucleo familiare e delle caratteristiche di scarsa abitabilita' degli alloggi precedenti, violano il loro diritto alla abitazione (ed in senso lato alla salute), quale diritto della personalita', sia come singoli, sia nella formazione sociale della famiglia e sono percio' in contrasto con l'art. 47, secondo comma, nella sua interpretazione piu' estensiva. Tuttavia le disposizioni impugnate, prevedendo una ablazione della proprieta' dell'alloggio nei confronti dell'ente verso cui il cittadino risparmiatore ha maturato un diritto alla cessione in proprieta' ostano comunque al favor costituzionale del diritto alla proprieta' della abitazione sono in contrasto con l'art. 47, secondo comma, della Costituzione anche nella sua interpretazione piu' restrittiva. Il citato articolo costituisce poi, nel sistema delle norme costituzionali, un'attuazione del principio fondamentale di uguglianza di fatto dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, secondo cui "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"; cio' almeno secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale sul principio di uguaglianza secondo il criterio di "ragionevolezza" della discriminazione di differenti situazioni. Infatti l'intenzione del costituente, garantendo un maggior favore alla proprieta' privata quando questa ha ad oggetto un bene primario quale l'abitazione e a soggetto il lavoratore risparmiatore, e' che, con l'attuazione dell'art. 47, secondo comma, sia rimosso, nei confronti di questa categoria di soggetti, l'ostacolo di ordine economico, costituito dall'alto costo del mercato dell'abitazione, posto all'accesso alla proprieta' della medesima. Ma le disposizioni impugnate, in quanto impediscono la cessione in proprieta' degli alloggi agli assegnatari, appartenenti alle categorie economicamente e socialmente meno abbienti, non rimuovono, come invece nell'intenzione del legislatore del sistma della c.d. edilizia residenziale pubblica, l'ostacolo economico e sociale che questi incontrano all'accesso della proprieta' della casa e contrastano con la realizzazione della uguaglianza di fatto dei cittadini. Se il diritto all'abitazione poi e' inteso come diritto della personalita', come sopraesposto, il suo ostacolo impedisce "il pieno sviluppo della persona umana". Il citato art. 47, secondo comma, costituisce poi anche ulteriore sviluppo dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione, secondo cui: "La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di attuarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti". Infatti, accentuando la garanzia della proprieta' dell'abitazione, il legislatore detta una presunzione costituzionale di utilita' sociale. Tutto il sistema delle leggi che disciplina la c.d. "edilizia residenziale pubblica", in quanto diretta a garantire a determinati soggetti meno abbienti la proprieta' dell'abitazione a bassi costi, puo' ritenersi emanata anche in attuazione dei principi sopraesposti. Tuttavia ritiene questo collegio che le disposizioni impugnate, in quanto prevedono la ipotecabilita' e percio' la espropriabilita' con conseguente perdita per gli assegnatari del diritto alla cessione in proprieta' degli alloggi di edilizia economica e popolare, gia' assegnati in locazione, urti contro il favor costituzionale all'accesso del risparmio popolare alla proprieta' (conformata dalla funzione sociale) dell'abitazione. Va infine rilevato come tali disposizioni paiano a questo collegio in contrasto con il principio fondamentale di uguaglianza formale di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione (sempre secondo l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale), secondo cui: "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguale davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Infatti queste disposizioni creano una disparita' di trattamento tra gli assegnatari di alloggi espropriati e gli altri, disparita' che, essendo gli assegnatari tali in quanto aventi tutti i requisiti prescritti dalla legge, non ha ragione d'essere.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 16 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 e 2 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226, in riferimento agli artt. 2, 3, 42, secondo comma, e 47, secondo comma, della Costituzione. Sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e che di essa sia data comunicazione al Presidente del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Torino nella camera di consiglio della seconda sezione civile del tribunale, addi' 10 ottobre 1989. Il presidente: (firma illeggibile) 90C0472