N. 189 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1989

                                 N. 189
 Ordinanza  emessa  il  10  ottobre  1989  dal tribunale di Torino nei
 procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra   l'I.A.C.P.   (Istituto
 autonomo  case  popolari)  per  la  provincia  di Torino e l'Istituto
 bancario San Paolo di Torino
 Edilizia  popolare,  economica  e sovvenzionata - Alloggi di edilizia
 economica e popolare assegnati in  locazione  dall'Istituto  autonomo
 case  popolari  -  Ipotecabilita'  ed  espropriabilita' - Conseguente
 possibile perdita per gli assegnatari del diritto  alla  cessione  in
 proprieta'   di   detti   alloggi  -  Violazione:  a)  del  principio
 costituzionale del favore all'accesso  del  risparmio  popolare  alla
 proprieta'  della  abitazione;  b)  del  diritto  alla  abitazione da
 considerarsi diritto  inviolabile  dell'uomo;  c)  del  principio  di
 uguaglianza   sostanziale,   sotto   il   profilo   della   rimozione
 dell'ostacolo di ordine economico per  il  lavoratore  risparmiatore,
 posto  all'accesso alla proprieta' dell'abitazione dall'alto costo di
 mercato della stessa; d) del diritto di proprieta' sotto  il  profilo
 della  lesione  del  principio  di  rendere  "accessibile a tutti" la
 proprieta'  privata  di  cui  la  disciplina  dell'edilizia  popolare
 risulta applicazione.
 (R.D.  28 aprile 1938, n. 1165, art. 1; r.d. 28 aprile 1938, n. 1165,
 art. 16; d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226, art. 2).
 (Cost., artt. 2, 3, 42 e 47).
(GU n.18 del 2-5-1990 )
                              IL TRIBUNALE
     Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  colleggiale nella causa
 civile n.  10536/87  r.g.  (alla  quale  sono  riunite  le  cause  n.
 10588/87,  5855/89,  5856/89,  5857/89,  5858/89,  5859/89,  8131/89,
 5627/89,  5628/89,  10538/87,  5991/89,  5992/89,  5993/89,  5994/89,
 5995/89,  5996/89, 5997/89, 10587/87, 5629/89, 5630/89, 5631/89 r.g.)
 promossa dall'I.A.C.P.  (Istituto  autonomo  case  popolari)  per  la
 provincia  di Torino, rappresentato e difeso dall'avv. Griffa, attore
 contro l'Istituto bancario  San  Paolo  di  Torino,  rappresentato  e
 difeso dall'avv. Peracchio, convenuto.
    Premesso:
      che con atti di citazione separati l'I.A.C.P. faceva opposizione
 alle esecuzione  immobiliari  iniziate  contro  l'ente  dell'Istituto
 bancario San Paolo di Torino, in forza di mutuo garantito da ipoteca,
 affermando la impignorabilita' degli immobili compresi nel patrimonio
 dell'ente,  in  quanto indisponibili perche' destinati ad un pubblico
 servizio;
      che l'opposto istituto si costituiva con comparsa, affermando la
 inerenza del potere di espropriare al  diritto  di  ipoteca  previsto
 dalla  legislazione  speciale  quale garanzia dei mutui fondiari e la
 pignorabilita' degli immobili dello I.A.C.P.;
      che con successivi atti di citazione separati lo I.A.C.P. faceva
 opposizione alle medesime esecuzioni, affermando la  impignorabilita'
 dei  frutti  e  delle  rendite  dell'ente (canoni di locazione) fatti
 depositare dal g.e. nel corso della esecuzione  in  quanto  anch'essi
 indisponibili;
      che  l'opposto  istituto  si costituiva con comparsa, affermando
 che i predetti frutti sono destinati per legge proprio  al  pagamento
 delle rate residue dei mutui contratti dall'ente;
      che  alla  udienza  collegiale, tutte le predette cause venivano
 riunite;
    Tutto cio' premesso;
    Ritiene  di  sollevare  d'ufficio  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale delle disposizioni di legge di cui in  appresso  e  in
 dispositivo per i seguenti
                              M O T I V I
    E'  opinione  comune  di  dottrina  e giurisprudenza, condivisa da
 questo tribunale, che la natura degli I.A.C.P., istituiti con il t.u.
 28  aprile  1938,  n.  1165, sulla edilizia popolare ed economica sia
 quella di enti pubblici non economici a circoscrizione  territoriale.
    Tali  enti,  secondo l'art. 1 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226,
 che contiene l'approvazione del loro nuovo  statuto-tipo,  hanno  "lo
 scopo  di provvedere alla realizzazione di programmi di intervento di
 edilizia  residenziale  pubblica  e  di  edilizia  convenzionata   ed
 agevolata,   nonche'   alle   opere   di  edilizia  sociale  ed  alle
 case-albergo di tipo  economico  e  popolare";  tra  i  loro  compiti
 rientra  quindi  quello  della  realizzazione  della  c.d.  "edilizia
 residenziale pubblica" di cui alla legge 22 ottobre 1977, n. 865, che
 costituisce, secondo l'opinione condivisa, un pubblico servizio.
    L'attuazione di tali compiti avviene con una attivita' che consta,
 secondo l'art. 2 dello stesso statuto, dell'acquisto  o  acquisizione
 di  terreni  fabbricabili  e di fabbricati, della costruzione di case
 popolari, della loro dazione in locazione, con un  contratto  il  cui
 contenuto  e'  per  la  maggior  parte  determinato dalla legge, agli
 assegnatari e, alla scadenza della locazione del trasferimento  della
 proprieta'  dell'alloggio  dall'ente  all'assegnatario,  con un altro
 contratto di vendita.
    Il  d.P.R.  30  dicembre  1972,  n. 1035, che contiene tra l'altro
 norme per  l'assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale
 pubblica,  all'art.  2 elenca i requisiti per tale assegnazione e tra
 questi:  alla  lett.  c):  "Non  essere  titolare  del   diritto   di
 proprieta', di usufrutto, di uso o di abitazione... su di un alloggio
 adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare ovvero... di  uno
 o  piu'  alloggi  che,  dedotte  le spese nella misura del 25% annuo,
 consentano un reddito annuo superiore a L. 4.000.000"; alla lett. e):
 fruire "di un reddito annuo complessivo, per il nucleo familiare, non
 superiore a L. 4.000.000";
    Questo  tribunale ritiene di prendere in esame quattro punti della
 questione, per motivarne la rilevanza e non manifesta infondatezza.
    Il  primo  e'  quello  del ricorso dello I.A.C.P. al finanziamento
 privato per l'attuazione dei proprii compiti ed in particolare per la
 costruzione degli alloggi; data la sua rilevanza nella causa a quo si
 fa unicamente riferimento al finanziamento degli istituti di  credito
 fondiario, disciplinato dal t.u. 16 luglio 1905, n. 646.
    A  questo proposito l'art. 2 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, che
 contiene norme relative all'emissione obbligazionarie da parte  degli
 enti di credito fondiario ed edilizio e delle sezioni autonome per il
 finanziamento di opere pubbliche recita: "Il credito fondiario ha  ad
 oggetto:
       a)  la concessione di mutui garantiti da ipoteca di primo grado
 su immobili"
    Il  r.d.  n.  1165/1938  all'art. 1 recita poi: "I prestiti per la
 costruzione e l'acquisto  di  case  popolari  ed  economiche  possono
 essere  consentiti dai seguenti istituti o enti... 8) gli istituti di
 credito fondiario e all'art. 16: "Sono ammessi a  contrarre  mutui...
 3) gli istituti autonomi per le case popolari".
    Lo  stesso  art.  2 del citato statuto-tipo dello I.A.C.P. recita:
 "Per l'attuazione dei proprii fini l'istituto  puo'...  1)  contrarre
 prestiti, con o senza garanzia ipotecaria".
    E'  quindi  previsto  dalla  legge che lo I.A.C.P. contragga mutui
 fondiari di finanziamento con dazione  di  ipoteca  su  immobili  del
 proprio patrimonio, con istituti di credito.
    A  questo  punto va subito rilevato come dall'art. 2808 del nostro
 codice civile, che recepisce il principio della tipicita' dei diritti
 reali,  sia  disposto  che  "l'ipoteca  attribuisce  al  creditore il
 diritto di espropriare, anche nei confronti del terzo  acquirente,  i
 beni vincolati a garanzia del suo credito".
    Non  e'  quindi  configurabile,  coma  fa  lo  I.A.C.P. in sede di
 opposizione, un diritto di ipoteca senza facolta' di  espropriazione.
    Da  cio'  discende che, in caso di inadempimento dello I.A.C.P. al
 proprio  debito  di  restituzione,  l'istituto  mutuante,   creditore
 ipotecario,  puo'  procedere ad espropriazione forzata degli immobili
 oggetto d'ipoteca.
    Viene  quindi  all'esame  del  collegio  il  secondo  punto  della
 questione, che costituisce anche  il  motivo  dell'opposizione  dello
 I.A.C.P.,  quello  relativo  alla  natura  del patrimonio immobiliare
 dell'ente.
    Secondo  l'opinione  dominante  e  la  stessa Cass. (C. 1› ottobre
 1980, n. 5332 e 26 marzo 1988, n. 2593),  la  natura  del  patrimonio
 dello  I.A.C.P.  e'  quello  di  patrimonio  indisponibile di un ente
 pubblico, in quanto destinato a un pubblico  servizio,  quello  della
 edilizia residenziale pubblica.
    Secondo  l'art.  3  del  piu'  volte citato statuto "Il patrimonio
 dello I.A.C.P. e' costituito... a) dai  beni  mobili  e  immobili  di
 proprieta'  dell'istituto";  quindi  gli alloggi economici e popolari
 costruiti dallo I.A.C.P. fanno parte del suo patrimonio.
    Tali alloggi costituiscono anch'essi dunque beni indisponibili.
    E'  loro  applicabile  percio' il c.d. degli artt. 828/30, secondo
 comma, del c.c. secondo cui "i beni che fanno  parte  del  patrimonio
 indisponibile  (n.d.  e:  anche degli enti pubblici non territoriali)
 non possono essere sotratti alla loro destinazione se  non  nei  modi
 stabiliti dalle leggi che li riguardano".
    E' opinione costante, in sede interpretativa di tale disposizione,
 che essa comprenda il divieto di espropriare i beni ivi disciplinati.
    Secondo   le   difese  dello  I.A.C.P.  da  quanto  sopra  esposto
 discenderebbe che gli immobili dell'ente non sarebbero espropriabili.
    Tuttavia  questo tribunale ritiene che, nell'(apparente) conflitto
 tra gli artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e 2 del d.P.R. n. 226/1975
 da  una parte (norme speciali e, quanto all'ultima, anche posteriore)
 ed i citati artt. 828/30 del c.c.  dall'altra,  siano  prevalenti  le
 prime;   la  espropriazione  forzata  in  attuazione  della  garanzia
 ipotecaria, prevista  dalle  citate  disposizioni,  puo'  ben  essere
 ritenuta  un  modo  stabilito  dalla  legge  per la sottrazione degli
 immobili  ancorche'  indisponibili  alla  loro   destinazione,   come
 previsto dalla clausola di salvezza del citato art. 828 del c.c.
    Il  tribunale  ritiene  in  conclusione  che soltanto in forza dei
 citati artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e 2 del d.P.R. n. 226/1975,
 in  caso  cioe'  di  mutui  garantiti  ipotecariamente,  gli immobili
 facenti parte del patrimonio dello I.A.C.P. siano espropriabili.
    Da  cio'  deriva  la  rilevanza  dei  citati  articoli, contenenti
 disposizioni aventi forza di legge ed impugnabili avanti  alla  Corte
 costituzionale, nel giudizio a quo.
    Viene  ora all'esame del tribunale il terzo punto della questione,
 quello relativo ai rapporti tra I.A.C.P. ed i suoi  assegnatari  (tra
 cui quelli degli alloggi ipotecati).
    E'  pacifico  in  dottrina  e  giurisprudenza che in tale rapporto
 possano distinguersi due fasi: la prima costituita da un procedimento
 amministrativo  che ha come atto finale l'assegnazione dell'alloggio,
 durante la quale l'assegnatario non puo' vantare nei confronti  della
 p.a.  che  interessi  legittimi;  la seconda che, in attuazione della
 prima, pone in  essere  rapporti  privatistici  e  durante  la  quale
 l'assegnatario  puo'  vantare nei confronti della p.a. veri e proprii
 diritti soggettivi.
    La   dottrina,  salvo  alcune  voci  isolate,  e'  concorde  nella
 qualificazione giuridica  dei  rapporti  ente-assegnatari  in  questa
 seconda fase.
    Vi  sono due contratti collegati tra loro: uno di locazione ed uno
 di promessa o opzione di vendita (il c.d. "patto di futura vendita");
 alla scadenza del contratto di locazione, adempiute dall'assegnatario
 tutte le obbligazioni che gli fanno carico e prima tra  tutte  quella
 del  pagamento  dei  canoni, si arriva alla conclusione del contratto
 definitivo di vendita dell'alloggio, con cui soltanto se ne attua  il
 trasferimento in proprieta' all'assegnatario.
    La  stessa giurisprudenza della Cass. (C. 13 luglio 1972, n. 2363;
 21 luglio 1975, n. 3626) parla, in pendenza di un rapporto  locativo,
 di  un diritto a mantenere il godimento dell'alloggio e di un diritto
 alla cessione in proprieta' dello stesso.
    Ecco  percio'  venire  in  esame  il quarto punto della questione,
 quello dei rapporti tra l'assegnatario  e  l'istituto  procedente  in
 caso di espropriazione forzata dell'immobili assegnato e della tutela
 della posizione del primo.
    Da  quanto  abbiamo  sin  qui  esposto  discende  che,  in caso di
 concessione di mutuo fondiario  garantito  da  ipoteca  sull'immobile
 gia'  assegnato  in  locazione ma ancora in proprieta' dello I.A.C.P.
 nella ipotesi  di  mancata  restituzione  della  somma  da  parte  di
 quest'ultimo, la banca puo' procedere contro l'ente ad espropriazione
 forzata e percio' a vendita dell'immobile a  terzi  aggiudicatari,  a
 cui   questo   verra'   infine   trasferito  in  proprieta'.  Percio'
 l'assegnatario, essendo la sua locazione trascritta anteriormente  al
 pignoramento,  potra'  al  massimo  opporla - ex art. 2923 del c.c. -
 all'aggiudicatario (anche se vi e' da ritenere che questo  non  possa
 essere vincolato a tutto il contenuto predeterminato dalla legge); in
 ogni caso l'assegnatario, anche nella ipotesi di adempimento di tutte
 le obbligazioni gravanti su di se', perdera' il diritto alla cessione
 in proprieta' dell'immobile.
    Tale  perdita  gravera'  inoltre  su  soggetti  che hanno ottenuto
 l'assegnazione degli alloggi de quibus secondo  una  graduatoria  che
 tiene  conto  soprattutto  di  requisiti  di minor abbienza, maggiore
 popolarita'  del  gruppo  familiare  e  peggiori  caratteristiche  di
 abitabilita'  delle  case  precedentemente  occupate  e  che  percio'
 appartengono  alle  categorie  economicamente  e   socialmente   meno
 abbienti e piu' deboli.
    Va  inoltre rilevato come per tali soggetti la perdita del proprio
 diritto consegua alla espropriazione del  bene  in  attuazione  della
 garanzia  ipotecaria dell'istituto per inadempimento di un debito non
 dell'assegnatario, ma dell'ente.
    Il  tribunale  ritiene  quindi  non  manifestamente  infondata  la
 questione della compatibilita' delle disposizioni sopracitate  (artt.
 1  e  16  del r.d. n. 1165/1938 e a 2 del d.P.R. n. 226/1975) con gli
 artt.  2,  3,  42,  secondo  comma,  e  47,  secondo   comma,   della
 Costituzione.
    Secondo l'art. 47, secondo comma, infatti "La Repubblica favorisce
 l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione".
    Tale  norma  tutela, secondo opinione condivisa da questo collegio
 il c.d. "diritto alla abitazione".
    Esso  trova  fondamento  anche  nell'art.  2  della  Costituzione,
 secondo  cui  "La  Repubblica  riconosce  e  garantisce   i   diritti
 inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
 ove si svolge la sua personalita' e richiede l'adempimento dei doveri
 inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale".
    Infatti  se il significato attribuito al diritto all'abitazione e'
 quello di diritto ad uno spazio abitabile in cui la  personalita'  si
 svolge,   questo   diviene   uno   dei   diritti   inviolabili  della
 personalita', previsto dalla Costituzione e per la garanzia del quale
 e' richiesto l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta'.
    Dalla     interpretazione     sistematica    delle    disposizioni
 costituzionali appare poi come molte direttive acquistino significato
 anche  se  collegate  alla  garanzia  del diritto all'abitazione come
 diritto della personalita': l'art. 31 ad esempio con la tutela  della
 famiglia  ed  in  particolare  di  quella  numerosa, l'art. 37 con la
 tutela della maternita' e della infanzia e l'art. 32  con  la  tutela
 del   diritto   alla   salute,  intesa  nel  piu'  ampio  significato
 psicofisico, necessitano per la loro attuazione anche della  garanzia
 del diritto alla abitazione come godimento di un habitat adeguato.
    Va  incidentalmente  rilevato come sia la Dichiarazione universale
 dei  diritti  dell'uomo  sia  il  Patto  internazionale  dei  diritti
 economici,  sociali  e  culturali,  entrambi  ratificati  dallo Stato
 italiano e  percio'  entrati  a  far  parte  del  nostro  ordinamento
 auspicano l'accesso di tutti gli individui alla abitazione.
    E  intanto  vi  e'  da ritenere che lo Stato abbia ratificato tali
 convenzioni  in  quanto  i  principi  in  esse  contenuti   trovavano
 riscontro nella sua costituzione formale e materiale.
    Secondo  l'orientamento  sinora seguito dalla giurisprudenza della
 Corte  costituzionale  invece  l'art.  47,  secondo   comma,   tutela
 soltanto,  sebbene  in forma privilegiata, un diritto alla proprieta'
 della abitazione, che ha come soggetto il cittadino  risparmiatore  e
 come  oggetto  la  (casa  di)  abitazione; la situazione giuridica e'
 quindi riportata nell'ambito dei rapporti economici tra lo Stato e  i
 cittadini e di questi tra loro.
    Le disposizioni impugnate da questo tribunale, rendendone di fatto
 inattuabile  l'accesso  da  parte  di  individui,  per  cui  peraltro
 l'accesso  e'  favorito in considerazione anche della popolosita' del
 loro nucleo familiare e delle caratteristiche di scarsa  abitabilita'
 degli alloggi precedenti, violano il loro diritto alla abitazione (ed
 in senso lato alla salute), quale  diritto  della  personalita',  sia
 come  singoli,  sia  nella  formazione  sociale della famiglia e sono
 percio'  in  contrasto  con  l'art.  47,  secondo  comma,  nella  sua
 interpretazione piu' estensiva.
    Tuttavia le disposizioni impugnate, prevedendo una ablazione della
 proprieta'  dell'alloggio  nei  confronti  dell'ente  verso  cui   il
 cittadino  risparmiatore  ha  maturato  un  diritto  alla cessione in
 proprieta' ostano comunque al favor costituzionale del  diritto  alla
 proprieta'  della abitazione sono in contrasto con l'art. 47, secondo
 comma,  della  Costituzione  anche  nella  sua  interpretazione  piu'
 restrittiva.
    Il  citato  articolo  costituisce  poi,  nel  sistema  delle norme
 costituzionali,   un'attuazione   del   principio   fondamentale   di
 uguglianza  di  fatto dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione,
 secondo cui "E' compito della Repubblica rimuovere  gli  ostacoli  di
 ordine  economico  e sociale che, limitando di fatto la liberta' e la
 uguaglianza  dei  cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
 persona  umana,  e  l'effettiva  partecipazione di tutti i lavoratori
 all'organizzazione politica, economica e  sociale  del  Paese";  cio'
 almeno  secondo  la  ormai  consolidata  giurisprudenza  della  Corte
 costituzionale sul principio di uguaglianza secondo  il  criterio  di
 "ragionevolezza" della discriminazione di differenti situazioni.
    Infatti l'intenzione del costituente, garantendo un maggior favore
 alla proprieta' privata quando questa ha ad oggetto un bene  primario
 quale  l'abitazione e a soggetto il lavoratore risparmiatore, e' che,
 con l'attuazione  dell'art.  47,  secondo  comma,  sia  rimosso,  nei
 confronti  di  questa  categoria  di  soggetti,  l'ostacolo di ordine
 economico, costituito dall'alto costo  del  mercato  dell'abitazione,
 posto all'accesso alla proprieta' della medesima.
    Ma le disposizioni impugnate, in quanto impediscono la cessione in
 proprieta'  degli  alloggi  agli   assegnatari,   appartenenti   alle
 categorie  economicamente e socialmente meno abbienti, non rimuovono,
 come invece nell'intenzione del legislatore  del  sistma  della  c.d.
 edilizia  residenziale  pubblica,  l'ostacolo economico e sociale che
 questi  incontrano  all'accesso  della  proprieta'   della   casa   e
 contrastano  con  la  realizzazione  della  uguaglianza  di fatto dei
 cittadini.
    Se  il  diritto  all'abitazione  poi  e' inteso come diritto della
 personalita', come sopraesposto, il suo ostacolo impedisce "il  pieno
 sviluppo della persona umana".
    Il  citato art. 47, secondo comma, costituisce poi anche ulteriore
 sviluppo dell'art. 42, secondo  comma,  della  Costituzione,  secondo
 cui:  "La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge,
 che ne determina i modi di acquisto, di godimento ed  i  limiti  allo
 scopo  di  attuarne  la  funzione sociale e di renderla accessibile a
 tutti".
    Infatti, accentuando la garanzia della proprieta' dell'abitazione,
 il legislatore  detta  una  presunzione  costituzionale  di  utilita'
 sociale.
    Tutto  il  sistema  delle  leggi  che disciplina la c.d. "edilizia
 residenziale pubblica", in quanto diretta a garantire  a  determinati
 soggetti  meno  abbienti la proprieta' dell'abitazione a bassi costi,
 puo' ritenersi emanata anche in attuazione dei principi sopraesposti.
   Tuttavia  ritiene questo collegio che le disposizioni impugnate, in
 quanto prevedono la ipotecabilita' e percio' la espropriabilita'  con
 conseguente  perdita per gli assegnatari del diritto alla cessione in
 proprieta' degli alloggi  di  edilizia  economica  e  popolare,  gia'
 assegnati   in   locazione,   urti  contro  il  favor  costituzionale
 all'accesso del risparmio popolare alla proprieta' (conformata  dalla
 funzione sociale) dell'abitazione.
    Va infine rilevato come tali disposizioni paiano a questo collegio
 in contrasto con il principio fondamentale di uguaglianza formale  di
 cui  all'art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione (sempre secondo
 l'interpretazione datane dalla Corte  costituzionale),  secondo  cui:
 "Tutti  i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguale davanti
 alla legge senza distinzione  di  sesso,  di  razza,  di  lingua,  di
 religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
    Infatti  queste  disposizioni creano una disparita' di trattamento
 tra gli assegnatari di alloggi espropriati e  gli  altri,  disparita'
 che,  essendo gli assegnatari tali in quanto aventi tutti i requisiti
 prescritti dalla legge, non ha ragione d'essere.
                                P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 16  del  r.d.  28  aprile
 1938, n. 1165 e 2 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226, in riferimento
 agli artt. 2, 3, 42,  secondo  comma,  e  47,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza
 sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei  Ministri
 e che di essa sia data comunicazione al Presidente del Senato e della
 Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso  in  Torino  nella camera di consiglio della seconda
 sezione civile del tribunale, addi' 10 ottobre 1989.
                   Il presidente: (firma illeggibile)

 90C0472