N. 190 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 1990
N. 190 Ordinanza emessa il 6 febbraio 1990 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Maffei Stefano Imposte - Infedele dichiarazione dei redditi - Omissione di componenti positive del reddito - Mancanza di un'attivita' preparatoria fraudolenta - Inesistenza di un requisito essenziale per l'integrazione del reato de quo secondo l'interpretazione della sentenza n. 247/1989 - Rilevato contrasto tra Corte costituzionale e Corte di cassazione sull'esegesi della norma Conseguente pericolo di giudicati difformi. (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7). (Cost., artt. 3 e 25).(GU n.18 del 2-5-1990 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza; Con riferimento alla questione di legittimita' costituzionale solelvata dalla difesa, relativamente all'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982, per asserito contrasto con i principi di cui agli artt. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione; Sentito il p.m., che ha espresso parere favorevole all'accoglimento di tale eccezione; O S S E R V A La questione di costituzionalita' sollevata ripropone il problema dell'esatta definizione della fattispecia delittuosa di cui all'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982. Come e' noto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 247/1989, ha ritenuto la legittimita' costituzionale della norma che era stata impugnata per asserita indeterminatezza della condotta criminosa e conseguente violazione degli artt. 3 e 25 della Costituzione. In particolare, la Corte aveva ritenuto di affrontare la questione di determinatezza dell'intera condotta prevista dalla fattispecie, considerando imprescindibile l'esame analitico di tutti gli elementi oggettivi del reato, e cio' anche se la questione innanzi a lei sollevata si limitava all'asserita indeterminatezza dell'espressione "misura rilevante" in riferimento alla soglia di punibilita'. La premessa sul punto esplicitata dalla Corte suonava infatti cosi': "Quel che non puo' essere in ogni caso metodologicamente consentito e' 'isolare' la 'misura rilevante' dagli altri elementi della fattispecie nella quale tale 'misura' e' inserita per confrontare quest'ultima, e solo quest'ultima, con il precetto di detemrinatezza di cui agli artt. 25, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione. Va invero ribadito che la determinatezza dell'indicazione legislativa del significato di un termine (o di una espressione) non puo' stabilirsi prescindendo dal rapporto che lo stesso termine ha con gli altri elementi della fattispecie. . .". Il giudizio, nel merito, della Corte costituzionale si basa su una delle interpretazioni che erano state prospettate da dottrina e giurisprudenza, ossia quella secondo la quale non sarebbe sufficiente, ai fini dell'integrazione del reato, il solo simulare o dissimulare di cui parla la norma, ma sarebbe necessario un qualcosa di ulteriore, e cioe' un'attivita' preparatoria (fraudolenta) alla dichiarazione finale, volta all'alterazione del risultato della dichiarazione stessa. Sulla base della premessa metodologica di cui si e' gia' detto, altrettanto in termini di globale valutazione della fattispecie e' stata la conclusione: "Va particolarmente sottolineato che soltanto la predetta intepretazione... permette di dare all'intera fattispecie una chiara, netta significazione che caratterizza l'intero disvalore offensivo tipico, a prescindere dalla 'misura rilevante'...". Quanto si e' appena detto permette di condividere l'assunto difensivo, secondo il quale l'argomentazione svolta dalla Corte circa l'essenzionalita' del quid pluris che deve accompagnare la condotta dissimulatoria o simulatoria non si pone quale divagazione sottrinaria ma quale passaggio essenziale della pronuncia. Sulla stessa questione, si e' di recente pronunciata la Corte di cassazione (20 settembre 1989, sezione terza, pres. Glinni), concludendo in termini del tutto opposti; ritenendo cioe' che per integrare la fattispecie in contestazione, sia sufficiente un comportamento semplicemente mendace, senza necessita' di particolari condotte artificiose. Le argomentazini adottate dalla Corte di cassazione appaiono convincenti; esse si fanno carico di confrontare la fattispecie sottoposta ad esame con altre di natura contravvenzionale (art. 1 della legge n. 516/1982), escludendo motivatamente possibilita' di sovrapposizione, e' quindi profili di incostituzionalita' per disparita' di trattamento; esse si articolano, inoltre nel richiamo di giurisprudenze consolidate e mai messe in discussione con riferimento a fattispecie penali comuni, quali la insolvenza fraudolenta. Sta di fatto che la medesima questione di diritto viene risolta in maniera diametralmente opposta dalle due Corti. Cio' determina un impasse che, in passato, la Corte costituzionale ha ritenuto presupposto sufficiente per un suo intervento di modifica del quadro legislativo, sul rilievo che il giudizio di costituzionalita' di una norma non puo' prescindere dal significato concreto che la norma stessa viene ad assumere nella realta' quotidiana dell'esperienza applicativa giudiziaria. Passando alla fattispecie concreta sottoposta all'esame di questo giudice, si osserva che appaiono sussistenti entrambi i requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalita' sollevata. Quanto al primo punto, si nota che l'imputato Maffei e' stato tratto a giudizio per avere omesso di indicare nella propria dichiarazione dei redditi componenti positivi di reddito, senza peraltro avvalersi di particolari tecniche fraudolente; sul punto si registra gia' una sua parziale ammissione, sicche' la questione della necessita' o meno di un quid pluris rispetto al semplice mendacio si pone come indubbiamente rilevante ai fini del decidere. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, si osserva che sul punto la Corte costituzionale ha gia' espresso il suo giudizio senza possibilita' di equivoco, laddove ha statuito che solo l'interpretazione offerta avrebbe potuto evitare un patente vizio di incostituzionalita' della fattispecie in questione, sotto il profilo della sua indeterminatezza. Questo giudice non puo' che adeguarsi a tale impostazione, per l'autorevolezza dell'organo che l'ha assunta. Sotto tale profilo, non puo' che sottolinearsi la notevole importanza che assumerebbe la risoluzione di un conflitto, come quello attuale fra supreme cariche giurisdizionali, che attualmente rende difficoltosa la risoluzione di questioni per i giudici di merito, con evidente pericolo di difformita' di giudicati sul punto. La difesa ha sollevato la questione di incostituzionalita' della norma in questione, anche sotto il profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione, per disparita' di trattamento fra imputati, sul rilievo che esisterebbe una fattispecie di natura contravvenzionale (addirittura soggetta a soglia di punibilita': infedele dichiarazione di cui all'art. 1 della legge n. 516/1982) la quale sarebbe contestabile a diverse categorie di contribuenti rispetto a quelli individuati come soggetti attivi dalla fattispecie di cui all'art. 4, n. 7, della legge citata; in particolare si fa notare come i percettori di reddito da lavoro autonomo o di impresa siano ingiustificatamente soggetti alla piu' gravosa normativa di cui al delitto ex art. 4, n. 7, mentre, per identiche violazioni di legge, altre categorie di contribuenti si vedrebbero applicata la norma certo piu' favorevole di cui all'art. 1. Sul punto, la Corte di cassazione, nella citata sentenza, ha gia' dato risposta argomentata, sottolineando la differenza dell'elemento psicologico che deve supportare le due fattispecie. Ma anche al di la' di tali argomentazioni (che non appaiono conclusive, giacche' disparita' di trattamento potrebbe comunque ravvisarsi tenendo presente l'esempio del percettore di reddito non autonomo o di impresa che, pur agendo a titolo di dolo, mai vedrebbe contestarsi l'ipotesi delittuosa, del tutto sovrapponibile a quella in questione), ritiene il tribunale che tale profilo di incostituzionalita' sia manifestamente infondato; si deve riconoscre al legislatore una piena discrezionalita' nell'individuare catergorie di contribuenti, scegliendo anche strategie sanzionatorie differenziate, sulla base dei dati emergent dalla realta' fattuale in cui si intende operare, e cioe' tenendo conto degli indici di maggiore o minore evasione fiscale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982, con riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 3, secondo comma, della Costituzione; Dispone che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che copia della presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento; Sospende il procedimento a carico di Maffei Stefano. Torino, addi' 6 febbraio 1990 Il presidente: (firma illeggibile) 90C0473