N. 193 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 gennaio 1990
N. 193 Ordinanza emessa il 5 gennaio 1990 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Di Giacomo Bice ved. Di Gregorio contro il Ministero del tesoro Corte dei conti - Giudizi pensionistici - Intervento obbligatorio del p.m. - Attivita' istruttoria del p.m. anziche' del giudice istruttore ed obbligo di conclusioni scritte - Ingiustificata disparita' di trattamento del giudizio pensionistico rispetto agli ordinari procedimenti civilistici - Incidenza sul diritto alla difesa e sul diritto ad un "giusto processo" sotto il profilo della necessita' di un giudizio espresso in ragionevoli limiti di tempo. (R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 72; r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 72, 75 e 81). (Cost., artt. 3, 24 e 25).(GU n.18 del 2-5-1990 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso contro il Ministero del tesoro (decreto n. 1812 del 1 agosto 1986) proposto dalla sig.ra Di Giacomo Bice, vedova del sig. Di Gregorio Olindo, gia' direttore di seconda classe della d.p.t. di L'Aquila, elettivamente domiciliata in Roma, via Tangorra n. 12, presso il suo procuratore speciale avv. Sebastiano Petrucci. F A T T O 1. - Il sig. Olindo Di Gregorio decedette in costanza di servizio il 29 ottobre 1983 per "arresto cardio-respiratorio da emorragia subaracnoidea". La di lui vedova - alla quale e' stato negato il chiesto trattamento privilegiato per eccepito difetto della causa di servizio - ha proposto ricorso in questa sede deducendo che il servizio reso dal defunto marito si protrasse per circa venti anni (1964-1983) e quindi non fu affatto breve, come erroneamente ritenuto dal comitato. Inoltre si tratto' di prestazione lavorativa caratterizzata da gravose responsabilita', causa di ansie e preoccupazioni protratte, idonee ad agire sul determinismo dell'affezione letale. Nelle sue conclusioni scritte il pubblico ministero ha chiesto la reiezione del gravame. La parte ricorrente ha versato memoria nella quale illustra ulteriormente le proprie ragioni. 2.1. - Nella pubblica udienza odierna l'avv. Petrucci ha chiesto l'accoglimento del ricorso con rivalutazione e interessi e con la condanna della controparte alle spese processuali. Quest'ultima domanda apre peraltro, secondo il legale, una ben vasta problematica. Infatti nell'ipotesi di accoglimento del ricorso le spese non possono far carico all'organo requirente, dappoiche' egli agisce nell'interesse della legge, ne' possono far carico all'autorita' amministrativa, che non e' stata chiamata in giudizio e che ignora i termini stessi della lite. Sorge quindi il problema di identificare chi esattamente rappresenti l'amministrazione. Escluso che il p.m. sia "sostituto processuale" dell'organo amministrativo giacche' l'art. 81 del c.p.c. prevede detta ipotesi solo nei casi "espressamente previsti dalla legge", ne discende che l'amministrazione statale alla quale, peraltro, nessun ricorso viene notificato, giacche' la legge non prescrive detto onere nella procedura c.d. di "vecchio rito", non e' ne' chiamata ne' rappresentata in giudizio pur dovendo dare esecuzione alle eventuali decisioni favorevoli ai ricorrenti. 2.2. - Secondo l'avv. Petrucci queste anomalie sono rapportabili all'art. 72 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214 (testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) secondo cui, nei giudizi innanzi alla Corte dei conti "e' sempre sentito il pubblico ministero". La norma non esclude da tale necessita' i giudizi in materia di pensioni ordinarie e di guerra e cio' impone verifica di costituzionalita' per la disparita' di trattamento che detta disposizione determina tra i ricorrenti e i titolari di diritti soggettivi patrimoniali che possono far valere le loro ragioni avanti l'a.g.o., i t.a.r. e il c.d.s. senza alcuna necessita' che ivi si costituisca in giudizio il pubblico ministero. In nessun caso, poi, il titolare di un diritto di credito o di un diritto reale e' tenuto ad affrontare in giudizio il pubblico ministero. E si noti che l'art. 70, n. 4, del c.p.c. che prevedeva l'intervento del pubblico ministero nelle cause in materia di lavoro, e' stato abrogato con l'art. 2 della legge 11 agosto 1973, n. 533. 2.3. - L'ipotesi, poi, che sia necessaria la presenza del p.m. a tutela delle ragioni erariali appare inconsistente dal momento che il legislatore non richiede detta presenza innanzi agli organi giurisdizionali ordinari e amministrativi in materia di appalti, di concessioni di collaudi etc. Ne' la richiede presso la giurisdizione generale di legittimita' (t.a.r. e c.d.s.) dove, come e' noto, il singolo fa valere di regola un proprio interesse legittimo di fronte al quale e' sempre prevalente l'interesse pubblico. 2.4. - In sostanza, secondo il legale: a) il procuratore generale esplica nell'interesse dell'amministrazione tutte le attivita' che dovrebbe esplicare l'Avvocatura generale o per effetto di "rappresentanza" (impropria) o per effetto di "sostituzione processuale"; b) ne conseguono esonero da "responsabilita' processuale" della p.a. in deroga sia rispetto al principio del contraddittorio (art. 101 del c.p.c.) sia al principio della responsabilita' per le spese di soccombenza (art. 91 del c.p.c.) con l'aberrante duplice conseguenza che il "giudicato" (art. 2909 del c.c.) si forma nei confronti di un soggetto (la stessa p.a.) che non e' stato mai parte nel giudizio e che il ricorrente non sara' mai indennizzato per le spese sostenute neanche quando il suo diritto verra' riconosciuto. 2.5. - Inoltre, nell'esercizio del potere istruttorio - che la legge gli affida per i ricorsi c.d. di "vecchio rito" - il pubblico ministero puo' essere influenzato dalla sua stessa finalita' istituzionale di tutela dell'erario. Sarebbe invece auspicabile la presenza del "giudice istruttore" (art. 174 del c.p.c.) come organo equidistante dalle parti. 2.6. - Conclusivamente l'avv. Petrucci, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 72 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, "in relazione all'art. 3 della Costituzione, e con riferimento al codice di procedura civile (artt. 81, 91, 96, 174 e segg. del c.p.c.) al cod. civ. (art. 2909) al t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 ed alla legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in quanto impone la presenza del pubblico ministero nei giudizi innanzi alla Corte dei conti, creando una disparita' di trattamento rispetto agli altri titolari di diritti soggettivi patrimoniali che agiscono innanzi all'a.g. ... disparita' di trattamento che si rende evidente rispetto ai portatori di meri interessi legittimi che ricorrono ai tribunali amministrativi". 3. - Il pubblico ministero ha confermato le conclusioni scritte di rigetto con richiesta subordinata di accertamenti istruttori. Alla prospettata questione di costituzionalita' l'organo requirente si e' opposto osservando che la p.a. e' comunque parte in causa e che le spese, in ipotesi, le fanno carico. La p.a. inoltre, puo' giovarsi del ministero dell'Avvocatura generale che si e' talora costituita in giudizi consimili. Circa l'esercizio del potere istruttorio da parte del pubblico ministero, nel quale la ricorrente ravvisa una possibile carenza "in radice" di quella obiettivita' che si riconosce invece al giudice istruttore, il pubblico ministero ha osservato che la sezione dispone a sua volta di potere istruttorio destinato alla acquisizione di elementi documentali o conoscitivi da essa ritenuti mancanti e rilevanti ai fini del decidere. D I R I T T O 4.1. - Occorre premettere che in materia di pensioni ordinarie l'attuale regolamento di procedura (r.d. 13 agosto 1933, n. 1038) diversifica gli adempimenti, gli oneri e le sequenze procedurali a seconda dell'organo che ha negato, in tutto o in parte, il diritto a pensione. Ed infatti: a) per le pensioni a totale carico dello Stato (artt. da 72 a 80): l'unico onere a carico della parte consiste nel deposito del ricorso; non e' prevista alcuna notifica all'amministrazione interessata che viene a conoscenza dell'avvenuta impugnativa solo indirettamente con la richiesta del fascicolo; il procuratore generale, al quale il fascicolo processuale viene comunicato "eseguite le indagini che reputi necessarie" emette conclusioni scritte e ne cura la notificazione giudiziale al ricorrente (art. 75, primo comma); il procuratore generale puo' ricorrere in via principale (art. 76, primo comma) o in via incidentale (art. 75, terzo comma) "quando sia leso l'interesse dell'erario"; b) per le pensioni c.d. "miste" che cio' "interessano anche enti diversi dallo Stato, il ricorso prodotto da una delle parti deve essere notificato a tutti coloro che vi hanno interesse" (art. 81, primo comma); c) per le pensioni liquidate dalla direzione generale degli istituti di previdenza o dall'istituto postelegrafonici o dall'ente ferrovie sussiste l'onere della notifica e il procuratore generale non conclude per iscritto. Il procuratore generale, nei casi sub b) (pensioni miste) dispone di potere istruttorio ed e' tenuto a concludere per iscritto essendo partim interessata l'Amministrazione dello Stato. 4.2. - In tutte le descritte situazioni e', comunque, "sempre sentito il pubblico ministero" (art. 72 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214). La parte ricorrente, con ampia motivazione, ha prospettato questione di legittimita' costituzionale di tale norma perche' questa, col disporre l'impresciendibile intervento dell'organo requirente, condurrebbe a conseguenze aberranti sia sotto il profilo della identificazione del soggetto su cui incidono le spese processuali, sia sotto il connesso e pregiudiziale profilo della regolare costituzione del rapporto processuale. 5.1. - La Corte ritiene prioritario il problema della legittimazione processuale, che investe e condiziona l'intero rapporto processuale, nel senso che devono essere esaminate e chiarite le posizioni della pubblica amministrazione e del pubblico ministero nel giudizio pensionistico. Dall'esatta identificazione di tali posizioni discende, in via sistematica, la soluzione di questioni connesse e conseguenziali, quali l'incidenza delle spese processuali, la necessita' di notificare alla p.a. anche i ricorsi di "vecchio rito" - concernenti cioe' pensioni a totale carico dello Stato - ed infine il contestato potere istruttorio del pubblico ministero nei giudizi medesimi al cui esercizio segue, nell'attuale ordinamento, l'emissione obbligatoria delle conclusioni scritte. In un quadro siffatto, la questione di costituzionalita' sollevata dalla parte, relativamente all'art. 72 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, inerisce strettamente a ogni punto della esposta problematica e quindi rileva per la definizione della causa, che si sostanzia in un giudizio di "vecchio rito"; e rileva a prescindere dalla soluzione della questione di merito. La posta questione appare invero non manifestamente infondata, alla luce delle convincenti argomentazioni della difesa e delle considerazioni che seguono, le quali, a loro volta, evidenziano altri aspetti di incostituzionalita', nella normativa interessata (artt. 75, 72 e 81 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038). 5.2. - Le disposizioni da ultimo richiamante appartengono al "Regolamento" di procedura - approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 - eppero' non si sottraggono, ad avviso del collegio, al sindacato della Corte verificatrice per diversi motivi: a) la stessa Corte, con sentenze n. 4/1973 e n. 8/1976 dichiaro' l'illegittimita' costituzionale, rispettivamente, dell'art. 1, secondo comma, e dell'art. 72 del medesimo "regolamento"; b) la stessa Corte, con sentenza n. 146/1987, ha dichiarato partim l'illegittimita' costituzionale dell'art. 26 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato); c) le disposizioni di cui al r.d. n. 1038 sono vere e proprie norme processuali speciali che derogano alle norme processuali comuni ma non hanno, rispetto a queste, un rango sottordinato come si evince dall'art. 26 che - quale norma di rinvio dinamico - fissa il principio del ricorso alle norme e ai termini del c.p.c. "in quanto siano applicabili e non siano modificati dal presente ordinamento". Poiche' non puo' dubitarsi che le norme di diritto processuale comune sono soggette al sindacato di costituzionalita', altrettanto deve ammettersi per le norme di diritto processuale speciale; d) il "regolamento" suindicato - quale sistema procedurale previsto per la tutela di diritti soggettivi patrimoniali - si sostanzia in un sistema di norme poste in essere per effetto di una delega sostanziale del legislatore ordinario (art. 32 della legge 3 aprile 1933, n. 255). 6.1. - E' ben noto che le posizioni processuali del pubblico ministero sono sostanzialmente riconducibili a quelle di attore e di interveniente e concludente. Nella seconda ipotesi, e cioe' in tutti i giudizi normalmente affidati all'impulso della parte privata (tali sono i giudizi pensionistici anche se la legge, v. art. 76 del r.d. n. 1038/1933, riconosce all'organo requirente il potere di ricorso principale o incidentale, il cui fondamento non viene qui posto in discussione) il pubblico ministero non e' mai tenuto a difendere una tesi particolarare o una precostituita posizione assunta dagli organi amministrativi. Ed infatti, quando il ricorso proposto dalla parte privata gli appare fondato, egli ne chiede l'accoglimento, totale o parziale. La stessa normativa di carattere generale, valida cioe' per tutti i giudizi di competenza della Corte, ha favorito la tesi che il pubblico ministero e' "parte imparziale" ovvero parte "nell'interesse della legge" e che, anche quando egli assume la figura di attore o di resistente, nell'interesse dell'erario, questa finalita' e' pur sempre subordinata alla prima. 6.2. - Ed infatti l'art. 72 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, col disporre che nei giudizi avanti la Corte "e' sempre sentito il pubblico ministero" intende riferirsi ad esso nella posizione suddetta e non certo quale parte in senso sostanziale. Cio' trova riscontro in altre disposizioni. L'art. 18 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, precisa che mentre il procuratore generale "e' sempre udito nelle sue conclusioni" le parti "possono intervenire personalmente o a mezzo dell'avvocato che le rappresenti"; il successivo art. 19 stabilisce che dopo la relazione "le parti... se presenti e il procuratore generale... enunciano le rispettive conclusioni svolgendone i motivi". Tali disposizioni, applicabili al contenzioso pensionistico, diversificano la posizione delle parti (ovviamente p.a. e privato ricorrente) da quella del procuratore generale che, per l'art. 1, terzo comma, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, rappresenta presso la Corte il pubblico ministero. In sostanza la posizione dell'organo acquirente va inquadrata nello schema logico dell'intervento in causa per l'esatta applicazione della legge. Deve peraltro rilevarsi che l'attuale regolamento di procedura non considera la posizione della parte in senso sostanziale, cioe' della p.a., che non viene chiamata in giudizio nei procedimenti di vecchio rito, perche' la legge non prevede l'onere della notifica essendo sufficiente la formalita' del deposito per iniziare il giudizio. Si verifica, quindi, che l'amministrazione statale che ha emesso il provvedimento impugnato, venga a conoscenza dell'esistenza del gravame solo con la richiesta degli atti, effettuata dalla segreteria. I motivi di ricorso, il petitum dell'interessato e ogni altro elemento della causa le saranno noti al postutto, solo con la decisione della Corte sui punti dedotti in giudizio. Essa di fatto non potra' interloquire nel corso del giudizio, se non avra' avuto l'avvedutezza di officiare l'Avvocatura generale dello Stato, come avviene nei giudizi di nuovo rito, appena ricevuta la richiesta degli atti. 6.3. - Va ricordato al riguardo il contenuto dell'art. 9 della legge 3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche dell'ordinamento dell'avvocatura dello Stato) e quello, ancor piu' pertinente, del successivo art. 13, terzo comma, secondo cui "Nei giudizi in materia di pensioni le amministrazioni statali, comprese quelle ad ordinamento autonomo, nei casi in cui non ritengano di avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato, possono delegare un proprio funzionario a sostenere, anche oralmente, nel corso del giudizio, la loro posizione". Alla luce degli esposti elementi, ritiene il collegio che la p.a. sia il legittimo e necessario contraddittore, la parte in senso sostanziale che deve risentire gli eventuali effetti negativi della lite (accoglimento del ricorso, rivalutazione, interessi, condanna alle spese) e pertanto debba essere sempre chiamata in giudizio con notificazione giudiziale, il che non e' avvenuto nel caso in esame. L'art. 81 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (cioe' del "Regolamento di procedura" del quale la Corte verificatrice, come gia' detto, con sentenze n. 41/1972 e n. 8/1976 dichiaro' l'illegittimita' costituzionale, rispettivamente, degli artt. 1, secondo comma, e 72) per il fatto di prevedere detta notifica solo in latre ipotesi, e il precedente art. 72 per il fatto di prevedere, nei giudizi di vecchio rito, solo la formalita' del deposito, sono pertanto di dubbia costituzionalita' sotto un dubbio profilo: a) in rapporto all'art. 24, secondo comma, della Costituzione perche' la p.a., non chiamata in giudizio, non puo' approntare la propria difesa e pertanto viene irrazionalmente violato il principio del contraddittorio di cui all'art. 101 del c.p.c.; b) in rapporto all'art. 3 della Costituzione perche' prevedono una diversa procedura - con la notifica del ricorso ma senza conclusioni scritte e quindi un giudizio ben piu' rapido - per i ricorsi c.d. di "nuovo rito" nei quali il p.m. conclude solo oralmente. 6.4. - Presumibilmente il legislatore degli anni '30 ritenne che nei giudizi di vecchio rito - che piu' da vicino interessano l'erario - l'amministrazione statale dovesse essere in certa guisa "difesa" - nei limiti possibili - dalla procura generale, con le conclusioni scritte. Inoltre deve considerarsi che il t.u. n. 1214/1934 e il r.d. n. 1038/1933 erano ancora molto vicini all'epoca in cui la Corte liquidava direttamente le pensioni e il p.m. interveniva nel procedimento di liquidazione (v. l'art. 18 della legge 3 aprile 1933, n. 255). Ma queste premesse storiche - se spiegano perche' la normativa implicitamente consideri una certa qual "rappresentanza" della p.a. da parte del p.m. - non sono certo valide a cristallizzare un sistema processuale d'altri tempi e ormai del tutto inadeguato. 7.1. - Relativamente alla posizione del p.m. l'art. 72 del t.u. n. 1214/1934 dispone, come gia' detto, che "I giudizi innanzi alla Corte sono pubblici. E' sempre sentito il pubblico ministero". Avverso tale norma (che riproduce in parte la formulazione dell'art. 39 della legge 14 agosto 1862, n. 800, la cui previsione era pero' riferita ai "giudizi sui conti" la parte ricorrente ha proposto questione di legittimita' costituzionale in quanto essa, nell'imporre la necessaria presenza del pubblico ministero, in ogni giudizio che si svolge innanzi alla Corte dei conti, non esclude da tale necessita' i giudizi in materia di pensioni ordinarie e di guerra dal che deriva violazione dell'art. 3 della Costituzione. La sezione aderisce e fa proprie le gia' esposte argomentazioni della difesa non senza rilevare che l'identificazione nella p.a. della parte in senso sostanziale, del legittimo e necessario contraddittore (che deve risentire gli effetti della lite e dare esecuzione alle decisioni del giudice delle pensioni in materia di riconoscimento del diritto, di rivalutazione, interessi e spese) corrobora l'assunto di parte. In sostanza l'intervento dell'organo requirente non dovrebbe essere "necessario" ma facoltativo e circoscritto alle ipotesi in cui il p.m. ritenga di doverlo dispiegare nell'interesse della legge, attivando funzioni supreme di giustizia, e cio' per ambedue i tipi di giudizi, di vecchio e di nuovo rito. 7.2. - Nessuna norma, del resto, impone la presenza del p.m. nei giudizi pensionistici in cui e' parte l'I.N.P.S. di fronte al giudice ordinario o nei giudizi pensionistici davanti al t.a.r. o al c.d.s. e tuttavia in tali ipotesi il diritto a pensione, se riconosciuto, comporta pur sempre l'erogazione di denaro pubblico. Cade qui acconcia l'occasione per ricordare che l'art. 70, n. 4, del c.p.c., che prevedeva l'intervento obbligatorio del p.m. nelle cause collettive e individuali di lavoro in grado di appello e' stato abrogato dall'art. 2 della legge 11 agosto 1973, n. 353. E' ben noto che le cause in materia di pensioni I.N.P.S. sono di competenza del giudice del lavoro. 7.3. - Tanto meno la tesi della obbligatorieta' dell'intervento puo' trarre sussidi di carattere sistematico dal raffronto tra la posizione del p.m. nel giudizio pensionistico e quella del p.m. presso la Corte di cassazione, ivi obbligatoriamente interveniente (art. 5 della legge 8 agosto 1977, n. 532) in "tutte le udienze civili e penali". Son infatti ben evidenti le diverse finalita' dei suddetti "interventi" e il diverso ambito dei relativi giudizi. In quelli di competenza della Corte dei conti, che, tra l'altro, sono in primo e unico grado, l'analisi della controversia include il merito della pretesa e non si arresta al riscontro di errori di diritto. 8. - Se si accede, come sembra giusto, al concetto dell'intervento facoltativo anziche' obbligatorio, del p.m., non trova piu' alcun fondamento l'obbligo delle conclusioni scritte previsto solo per i giudizi di vecchio rito dall'art. 75 del r.d. n. 1038/1933, che verrebbe a trovarsi in una situazione di incostituzionalita' derivata. 9.1. - Tanto piu' che, nell'attuale ordinamento, all'emissione delle conclusioni scritte il pubblico ministero addiviene "eseguite le indagini che reputi necessarie" (art. 75 del r.d. n. 1038/1933) e cioe' dopo l'esercizio di attivita' istruttoria nella quale, come ha osservato il legale della ricorrente, l'organo requirente potrebbe essere influenzato dalla sua stessa finalita' istituzionale di tutela dell'Erario che egli dispiega bensi' nell'interesse e nei limiti della legge, ma non certo nella posizione di assoluta terzieta' propria del giudice istruttore. Ne deriva violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione) e del diritto a che la causa sia istruita dal giudice naturale (art. 25, primo comma, della Costituzione) in rapporto agli artt. 168- bis e 174 del c.p.c. che prevedono la figura del giudice istruttore, negli ordinari procedimenti civilistici che hanno normalmente un substrato di obbligazione patrimoniale, quale si rileva anche nel rapporto pensionistico. 9.2. - Ed invero l'attuale "struttura del sistema istruttorio e probatorio" della Corte dei conti e' stata gia' indirettamente censurata dalla Corte verificatrice nella decisione 17-30 dicembre 1987, n. 641. 9.3. - Altra incongruenza dell'attuale sistema si ravvisa nella circostanza che, non esistendo la figura del "giudice istruttore" il magistrato della procura generale cui e' stato affidato il singolo giudizio e' titolare di potere istruttorio da esercitare inaudita altera parte, secondo l'ampiezza d'indagine ritenuta necessaria, mentre di analogo potere non dispone il singolo magistrato della sezione giudicante. Quest'ultimo potra', al piu', essere "delegato" dalla sezione per espletare determinati mezzi istruttori (art. 15 del r.d. n. 1038/1933) previamente ritenuti opportuni dal collegio. 9.4. - L'attuale procedura c.d. di "vecchio rito" - in una materia caratterizzata da un imponente contenzioso - concorre a determinare annosi ritardi. In talune sezioni della Corte dei conti, il giudizio arriva all'esame del collegio diversi lustri dopo la proposizione del ricorso e viene spesso deciso dopo la morte del diretto interessato. Indubbiamente l'esistenza di un giudice istruttore consentirebbe l'immediato esame della causa, con i provvedimenti necessari e gli accertamenti opportuni ai fini del decidere. Ma la realta' attuale e' ben diversa: le carenze, l'inadeguatezza, la macchinosita' dell'attuale procedura violano l'aspettativa di una celere giustizia della quale gia' la "Magna Charta" teneva conto, con solenne affermazione di principio (par. 40: "... non negheremo e non ritarderemo la applicazione della legge e la definizione dei processi") e disattendono il principio di cui all'art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo secondo cui "Ogni persona ha diritto a un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole". Che il ritardo nel rendere giustizia equivalga, in ogni caso, a diniego di giustizia, e' concetto tautologico. In sostanza puo' concludersi con amara ironia che chi ricorre alla Corte dei conti, ed e' interessato in uno dei giudizi di vecchio rito (che sono la stragrande maggioranza) e' spesso da paragonarsi alla deprimente figura del postulante descritto da Kafka nella novella "Vor dem Gesetz": parecchi lustri di attesa davanti al Tempio del Diritto, patetica fiducia nella giustizia umana ed infine la frustazione, l'inconcludenza, la morte. 10.1 - Cosicche' l'attuale normativa, nonche' ingenerare i citati sospetti di incostituzionalita', dimostra la propria irrazionalita' e inadeguatezza sul terreno dell'applicazione pratica. Lo stesso procuratore generale della Corte dei conti, dopo aver ancora una volta ricordato, nella sua relazione concernente il 1988, la situazione drammatica del contenzioso pensionistico, ha auspicato drastiche riforme procedurali ponendo altresi' l'ipotesi - ovviamente da approfondire - "dell'esclusione dell'intervento in causa del pubblico ministero, sia nella fase istruttoria, sia nella fase dibattimentale". 10.2. - Nello schema del d.d.l. relativo alla riforma dell'ordinamento della Corte dei conti, il pubblico ministero conserva il potere di ricorrere in via principale o incidentale nei giudizi in materia di pensioni civili e militari; sui ricorsi da chiunque proposti non conclude per iscritto ma puo' intervenire all'udienza pubblica per formulare le sue conclusioni orali dopo la discussione delle parti (art. 52, quinto comma); analogo e' il potere di intervento in materia di pensioni di guerra. Sul punto ha di recente preso drastica posizione il consiglio di presidenza della Corte dei conti. 11. - L'esame della complessa problematica evidenzia la rilevanza ai fini del decidere e la non manifesta infondatezza delle questioni prospettate, attinenti a norme procedurali tra loro intimamente connesse. Il collegio ritiene di dover sottolineare che le disposizioni normative segnalate all'attenzione della Corte verificatrice ostacolano le aspettative di una piu' celere giustizia, non assicurano adeguate garanzie, intralciano l'attivita' degli operatori. Ed e' appena il caso di osservare che la dichiarazione della illegittimita' costituzionale di tali norme non potrebbe comportare ne' alcun vuoto legislativo ne' alcuna conseguenza processuale aberrante dal momento che il rinvio dinamico di cui all'art. 26 del r.d. n. 1038/1933 consentirebbe il ricorso, in estrema ipotesi, alle comuni norme processuali.
P. Q. M. Visti gli artt. n. 134 della Costituzione, n. 1 della legge 9 febbraio 1948, nn. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' siano decise le questioni di costituzionalita' delle seguenti norme procedurali, considerate anche in coordinamento tra loro: 1) art. 72 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, in relazione all'art. 3 della Costituzione e con riferimento al codice di procedura civile (artt. 81, 91, 96, 174 e segg.) al codice civile (art. 2909) al t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e alla legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in quanto prevede come obbligatorio l'intervento del pubblico ministero nei giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti; 2) art. 75 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, in relazione agli artt. 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione e con riferimento agli artt. 168- bis e 174 del c.p.c., in quanto prevede attivita' istruttoria del pubblico ministero anziche' del giudice istruttore ed obbligo di conclusioni scritte (v. punto 1); 3) artt. 72 e 81 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione e con riferimento all'art. 101 del c.p.c. per violazione del principio del contraddittorio e per irrazionale diversificazione di procedure; Sospende ogni decisione sul giudizio in corso; Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alla ricorrente, al procuratore generale della Corte dei conti nonche' al Presidenti del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deliberato in Roma, nella camera di consiglio del 5 gennaio 1990. Il presidente: SARACENO 90C0476