N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 17 aprile 1990
N. 11 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 17 aprile 1990 (della provincia autonoma di Trento) Inquinamento - Decreto del Ministro dell'ambiente 28 gennaio 1990 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 1990) - Individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle norme tecniche generali relative alle attivita' di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie - Asserita lesione della competenza della provincia di Trento in materia di igiene e sanita', nonche' di tutela dell'ambiente, attesa la natura eccessivamente analitica della disciplina contenuta nell'atto impugnato che ne impedisce la configurazione quale atto di indirizzo e coordinamento. (Decreto Ministro dell'ambiente 28 gennaio 1990). (Statuto Trentino-Alto Adige (t.u. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, nn. 5, 6, 17, e 9, nn. 10 e 16).(GU n.18 del 2-5-1990 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale dott. Mario Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale n. 3444 del 30 marzo 1990, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato speciale a rogito notaio dott. Pierluigi Mott di Trento n. 55024 rep., in data 2 aprile 1990, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in relazione al decreto del Ministro dell'ambiente 28 gennaio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 1990, concernente "Individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle norme tecniche generali relative alle attivita' di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie". 1. - Sulla scia di una lunga controversia dottrinale e giurisprudenziale relativa all'estensione della nozione di rifiuto, anche in relazione alla possibilita' di riciclare e riutilizzare residui derivanti da processi produttivi, in previsione di una minore produzione di rifiuti da smaltire, l'art. 2, della legge 9 novembre 1988, n. 475, di conversione del d.-l. 9 settembre 1988, n. 397, ha introdotto la categoria delle "materie prime secondarie", definendo come tali "i residui derivanti da processi produttivi", "suscettibili, eventualmente previ idonei trattamenti, di essere utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della stessa o di altra materia". L'individuazione delle materie prime secondarie spetta al Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato (terzo comma). Il quarto, quinto e sesto comma delineano il raccordo tra i diversi soggetti che intervengono nella materia: spetta al Governo, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, lett. d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, l'esercizio della funzioni di indirizzo, promozione e coordinamento delle attivita' connesse all'utilizzazione delle materie prime secondarie, nonche' allo stoccaggio, trasporto e al trattamento delle stesse e ai controlli relativi; spetta al Ministro dell'ambient, sempre di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, determinare le norme tecniche generali relative alle attivita' sopra richiamate (quinto comma); spetta infine alla legge regionale, in conformita' agli indirizzi e alle norme tecniche statali, disciplinare le modalita' di esercizio di tali attivita'. Il decreto del 26 gennaio 1990 del Ministro dell'ambiente dichiara, di voler provvedere in attuazione dell'art. 2, terzo e quinto comma, della legge n. 475/1988, ad "una prima individuazione delle materie prime secondarie" e a determinare "le norme tecniche generali relative alle attivita' di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie". Il decreto definisce come materie prime secondarie i residui derivanti da processi produttivi o da raccolte finalizzate suscettibili, eventualmente previo idoneo trattamento, di essere riutilizzato come materia prima in altro processo produttivo della stessa o di altra natura (art. 2); egualmente l'art. 3 individua tra le materie prime secondarie i residui previsti nell'allegato I al decreto, tra cui carta, cartone e vetro provenienti dalla raccolta diferenziata di rfiuti solidi urbani o da altre raccolte finalizzate, nonche' i materiali derivanti dalle operazioni di selezione o trattamento dei rifiuti industriali o rifiuti solidi urbani effettuate da parte di soggetti autorizzati alle suddette operazioni e trattamenti. Il decreto regola poi l'ambito di applicabilita' delle autorizzazioni (art. 4); stabilisce obblighi di dichiarazione, di informazione, di tenuta di registri e di schede di identificazione (artt. 7, 8, 9, 10 e 11); disciplina l'esportazione e l'importazione delle materie prime secodnarie (art. 14). 2. - La provincia autonoma di Trento ha competenza legislativa primaria in materia di urbanistica, tutela del paesaggio, lavori pubblici di interessi provinciale, nonche' competenza legislativa concorrente in tema di igiene e sanita', ai sensi dell'art. 8, nn. 5, 6 e 17, dell'art. 9, n. 10, e dell'art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670. Le competenze regionali e provinciali sono estese anche alla disciplina della tutela dell'ambiente (cfr. anche Cons. di Stato, V, 26 gennaio 1985, n. 47, in Le Regioni, 1985, 1188): cosi' ha previsto il legislatore ordinario per le regioni a statuto ordinario con il d.P.R. n. 616/1977; cosi' ha statuito la Corte costituzionale con la recente sentenza n. 183/1987, con cui ha evidenziato l'esistenza di una competenza regionale in materia: ed e' noto che le competenze degli enti ad autonomia speciale non possono essere inferiori a quelle regioni ordinarie. Nell'attuazione delle competenze statutariamente previste la provincia autonoma di Trento si e' data una disciplina completa e organica in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti con il t.u. delle leggi provinciali approvato con decreto del presidente della giunta provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl., modificato con leggi provinciali 25 luglio 1988, n. 22, e 22 agosto 1988, n. 26, e nuovamente emanato con deliberazione della giunta provinciale di Trento, 9 settembre 1988, n. 10050 (in Bollettino ufficiale del 4 ottobre 1988, n. 44, suppl. ord. n. 19); in tema di valutazione dell'impatto ambientale con la legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28; in materia di lavori pubblici di interesse provinciale con la legge 3 gennaio 1983, n. 2. In particolare, il testo unico delle leggi di tutela dell'ambiente disciplina esplicitamente lo smaltimento dei rifiuti. Dopo aver definito il campo di applicazione (art. 63, primo comma: "La presente parte terza disciplina lo smaltimento dei rifiuti, nelle varie fasi di conferimento, raccolta, spazzamento, cernita, trasporto, trattamento - inteso questo come operazioni di trasformazione necessaria per il riutilizzo, la rigenerazione, il recupero, il riciclo e l'innocuizzazione dei medesimi - nonche' l'ammasso, il deposito e la discarica sul suolo e nel suolo"), il testo unico distribuisce le competenze in materia di smaltimento dei rifiuti tra i vari soggetti istituzionali (art. 64). In particolare l'art. 63, quarto comma, del t.u., come modificato dall'art. 41 della legge prov. 25 luglio 1988, n. 22, prevede che la giunta provinciale, su proposta della commissione per la tutela dell'ambiente dagli inquinamenti, approvi ed aggiorni periodicamente una tabella dei materiali e delle sostanze risultanti da cicli produttivi che, in quanto suscettibili di una valorizzazione chiaramente individuata, non sono da considerarsi rifiuti, e ai quali non si applica la disciplina dei rifiuti. In attuazione dell'art. 63, quarto comma, del t.u. delle leggi in materia ambientale, la giunta provinciale ha emanato la deliberazione 7 dicembre 1988, n. 15928, recante una prima tabella di rifiuti a valorizzazione chiaramente individuata. Qualora dovesse ritenersi applicabile alla provincia di Trento, il d.m. ambiente 26 gennaio 1990 sarebbe illegittimo e lesivo delle competenze provinciali. 3. - L'art. 2, primo comma, del d.-l. n. 397/1988 definisce chiaramente come materie prime secondarie i residui derivanti da processi produttivi. Il d.m. ambiente impugnato, esorbitando da quanto previsto nell'art. 2, primo comma, del decreto-legge citato, ricomprende illegittimamente tra le materie prime secondarie anche i residui derivanti da raccolte differenziate o finalizzate svolgentisi nell'ambito dei servizi relativi ai rifiuti solidi urbani. Il contenuto dell'art. 2, primo comma, trova in verita' la sua razionale giustificazione nel fatto che il problema della individuazione di materie prime secondarie e' specificamente legato alla realta' produttiva e industriale. Infatti, tutti i residui del circuito produttivo sono da considerarsi rifiuti, assoggettati alla disciplina del d.P.R. n. 915/1982 eventualmente con il solo limite di quei residui che trovano un effettivo, immediato e completo reimpiego nello stesso processo produttivo o in processi strettamente colelgati; altrimenti scatta l'applicazione della disciplina, dei controlli (e delle sanzioni) propri dei rifiuti, che puo' comunque comportare non solo l'avviamento a forme di smaltimento controllato, bensi' anche l'avviamento a svariate forme di riutilizzo o di riciclo. A questo orientamento ha aderito la giurisprudenza della Corte di cassazione (III pen., 14 aprile 1987, in Foro it., 1988, II, 8), che ha ritenuto che "la raccolta, il trasporto e l'ammasso dei residui derivanti da lavorazioni industriali, oggettivamente destinati all'abbando, sono attivita' di smaltimento di rifiuti speciali sottoposte al regime autorizzatorio previsto dal d.P.R. n. 915/1982, a nulla rilevando il valore economico degli stessi e il loro successivo reimpiego nell'attivita' produttiva, poiche' il fine della utilizzazione economica del residuo industriale non ne altera la tipologia giuridica, ne' lo svincola dal regime speciale che disciplina la sua inclusione nel novero dei rifiuti speciali". E' quindi proprio in relazione alle attivita' produttive che piu' specificamente si e' posta la problematica di residui che, rigorosamente da considerarsi "rifiuti" e come tali soggetti alla normativa autorizzativa e sanzionatoria in materia, possono pero', eventualmente previo adeguato trattamento, essere reintrodotti, dallo stesso o da altro operatore economico, nel circuito produttivo; e' per tale tipo di residui che si pone la necessita' di indirizzare i comportamenti degli operatori verso obiettivi di riciclaggio, garantendo nel contempo che tali operazioni avvengano nella piu' totale sicurezza per l'ambiente, l'igiene e la salute. D'altra parte, il mancato inserimento dei rifiuti solidi urbani nella disciplina delle materie prime secondarie e' perfettamente congruente con gli artt. 6 e 8 del d.P.R. n. 915/1982, che affidano ai comuni la gestione dei servizi per i rifiuti solidi urbani. Anche gli eventuali regimi particolari e differenziati delle raccolte finalizzate e differenziate (carta, alluminio, vetro, ecc.) di alcune porzioni dei rifiuti solidi urbani (cfr. anche pretura Roma, 11 maggio 1988, in Riv. Giur. ambiente, 1988, 683, e segg.) debbono trovare disciplina nell'ambito della normativa di legge sui rifiuti urbani, della regolamentazione comunale dei servizi di raccolta e smaltimento, nonche' delle indicazioni e dei programmi regionali o proviciali (cfr. art. 3, primo comma del d.-l. 31 agosto 1987, n. 361, convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 441; art. 9-quater del d.-l. 9 settembre 1988, n. 397, convertito in legge 9 novembre 1988, n. 475, nonche' art. 97 del t.u. della legge della provincia di Trento in materia ambientale). Il problema non puo' invece essere affrontato da un decreto ministeriale chiaramente esorbitante dai poteri attribuiti in sede legislativa, e con invasione - nel caso specifico (qualora il d.m. fosse ritenuto applicabile - delle competenze legislative e amminsitrative della provincia di Trento. Il d.m. e' parimento viziato e lesivo in quanto, oltre ad individuare le materie prime secondarie con apposita elencazione, prevede che siano materie prime secodnarie anche quei residui, derivanti da processi produttivi, dei quali il detentore possa dimostrare, sulla base di idonea documentazione contrattuale, l'effettiva destinazione al riutilizzo (art. 3, primo comma, lettere b) e c); rinviando cosi' di fatto l'individuazione delle m.p.s. ad una decisione del privato, la' dove l'art. 2, terzo comma, del d.-l. n. 397/1988 richiede che esse siano individuate con atto dell'autorita'. In tal modo si viene a consentire la sottrazione, per iniziativa dei privati, di sostanze, che altrimenti sarebbero soggette alla disciplina provinciale su rifiuti, a tale disciplina, il cui ambito di efficacia viene cosi' arbitrariemente e illecitamente modificato. 4. - Il quinto comma dell'art. 2 del d.-l. n. 397/1988 prevede il ricorso al decreto del Ministro dell'ambiente per la determinazione di norme tecniche generali relativamente alle attivita' di utilizzazione, stoccaggio, trasporto, trattamento delle materie prime secondarie. Per "norme tecniche generali" debbono intendersi quelle prescrizioni caratterizzate contemporaneamente da un nullo o comunque scarso tasso di discrezionalita' amministrativa, esporessione di scelte meramente tecniche, legate allo "stato dell'arte" e delle conoscenze, e da una indiscutibile esigenza di uniformita' su tutto il territorio nazionale (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 744 e 302 del 1988; nonche', per riferimenti, sentenze nn. 177 e 294 del 1986). Deve trattarsi, inoltre, di indicazioni tecniche relative a settori di sicura competenza statale (sentenza n. 302/1988), oppure a settori nei quali siano intervenuti atti di indirizzo e coordinamento (e quindi necessarie per dare un contenuto tecnico omogeneo alle indicazioni di principio degli atti di indirizzo e coordinamento). Nello specifico caso della materie prime secondarie, spetta alla legge regioanle (e, eventualmente, provinciale) "in conformita' agli indirizzi e alle norme tecniche", disciplinare "le modalita' per il controllo dell'utilizzazione delle materie prime secondarie, nonche' per i trasporto, stoccaggio e trattamento delle stesse, determinando altresi' le condizioni e le modalita' per l'esclusione delle materie prime secodnarie dall'ambito di applicazione della normativa in tema di smaltimento dei rifiuti". Il d.m. impugnato esorbita palesemente dall'autorizzazione legislativa contenuta nell'art. 2 quinto comma, del d.-l. n. 397/1988, sostituendosi sia agli atti di indirizzo e coordinamento, sia alla legge regionale (e, se del caso, provinciale). Cosi', l'art. 4, primo comma, che prevede le condizioni alle quali le condizioni di trattamento delle materie prime secodnarie sono sottratte alle autorizzazioni di cui al d.P.R. n. 915/1982, non puo' sicuramente essere considerato una "norma tecnica": si tratta di un ambito chiaramente di spettanza regionale (e provinciale), ai sensi del sesto comma, eventualmente suscettibile di essere oggetto di atti di indirizzo e coordinamento. Simili considerazioni valgono per il secondo, terzo e quarto comma dello stesso articolo. L'art. 6 detta norme relative alle "misure di sicurezza" e in esso si fa riferimento a "norme tecniche". Ma tale riferimento non deve trarre in inganno: non puo' certo essere considerata una "norma tecnica" (ne' generale, ne' particolare) la disposizione che prevede l'applicazione ad un determinato oggetto di altre normative tecniche| Esemplare della inversione di rapporto tra le fonti e' il terzo comma dell'art. 6 che prevede la durata massima dello stoccaggio provvisorio, e attribuisce alla regione il potere di derogare a tale durata: l'atto di cui al quinto comma dell'art. 2 della legge n. 475/1988 avrebbe potuto al massimo definire a quali condizioni (teniche) e' possibile parlare di stoccaggio provvisorio, fermi rimanendo il potere di indirizzo governativo e la potesta' legislativa regionale. L'art. 7 impone un obbligo a soggetti privati che non trova nessuna base legislativa. Altrettanti obblighi sono illegittimamente fissati agli artt. 8 e 9. L'art. 10 prevede la necessita' di una dichiarazione di identificazione, dettando altresi' il suo contenuto. Perso ormai ogni rapporto con l'ambito di disciplina per cui l'art. 2 quinto comma, autorizza l'intervento del d.m., l'art. 11 attribuisce compiti ad un ente territoriale; l'art. 12 prevede poteri di controllo tramite accessi ed ispezioni; l'art. 13 detta, addirittura, norme in tema di "esportazione e importazione di materie prime secondarie". L'analisi del contenuto del decreto rende palese l'esorbitanza di esso dall'ambito ad esso attribuito dall'art. 2, terzo e quinto comma, del d.-l. n. 397/1988, che comporta l'occupazione di spazi destinati agli atti di indirizzo e coordinamento e alla legge regionale (o provinciale), nonche' l'intervento in settori che solo con legge avrebbero potuto essere disciplinati, o ancora la statuizione di norme a carattere schiettamente regolamentare. 5. - Come e' assolutamente evidente, dalla diversita' tra norme teniche generali e atti di indirizzo, promozione e coordinamento, in relazione alle medesime attivita', discende una grave differenza procedurale: per la determinazione delle prime e' sufficiente un decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro dell'industria; per il secondo caso, e' necessario l'intervento del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, lett. d), della legge n. 400/1988 (come il d.m. impugnato addirittura ripete all'art. 6, quarto comma). Non sarebbe dunque in alcun modo possibile, anche per questa ragione, giustificare il contenuto del decreto impugnato invoncando la potesta' statale di indirizzo e coordinamento: questa, ove consentito, potrebbe essere esercitata solo nelle forme ad essa proprie, espressamente richiamate dallo stesso art. 2, quarto comma, del d.-l. n. 397/1988. 6. - Il d.m. impugnato contiene in molte parti una vera e propria disciplina normativa, tale da considerarlo come un vero e proprio regolamento ministeriale. Ora, anche a prescindere dalla esplicita invasione di competenze provinciali operata con tali norme, l'atto in questione non risponde nemmeno ai requisiti e alle condizioni che nel nostro ordinamento sono previste per l'esercizio della potesta' regolamentare del Governo. I regolamenti ministriali sono bensi' previsti, ma solo secondo quanto disposto dall'art. 17, terzo comma, della legge n. 400/1988: devono cioe' intervenire in materia di competenza del ministro, quando la legge espressamente conferisce tale potere; sono subordinati ai regolamenti governativi; devono essere comuncati al Presidente del Consiglio dei Ministri; devono essere adottati previo parere del Consiglio di Stato; devono essere sottopsoti al visto e alle registrazioni della Corte dei conti. Nessuna di queste condizioni e' rispettata, dal d.m. impugnato; e stante il contenuto dell'atto, lesivo delle competenze della ricorrente, anche tali profili di illegittimita', come questa Corte ha piu' volte riconosciuto, possono essere fatti valere in sede di conflitto di attribuzioni.
P. Q. M. La provincia autonoma di Trento chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro dell'ambiente, dettare le statuizioni di cui al d.m. 25 gennaio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 1990, concernente "individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle norme tecniche generali relative alle attivita' di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie"; e conseguentemente annullare il decreto medesimo, per violazione dell'art. 8, nn. 5, 6 e 17, dell'art. 9, n. 10, e dell'art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e relative norme di attuazione, anche in riferimento al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e all'art. 2 del d.-l. 9 settembre 1988, n. 397, conv. in legge 9 novembre 1988, n. 475. Milano, addi' 7 aprile 1990 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 90C0488