N. 199 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 1990

                                 N. 199
 Ordinanza  emessa  il  1   febbraio  1990 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di  Reggio  Emilia  nel  procedimento
 penale a carico di Villa Volmer
 Imposte  -  Infedele  dichiarazione  dei  redditi  - Estensione della
 punibilita', secondo il "diritto vivente" formatosi in  proposito  in
 conformita' alla interpretazione della Cassazione (ancorche' difforme
 a sua volta  da  quella  gia'  accolta,  sulla  stessa  norma,  nella
 sentenza   n.   247/1989,  dalla  Corte  costituzionale),  alla  mera
 omissione di componenti positivi del  reddito,  pur  in  mancanza  di
 un'attivita'  preparatoria  fraudolenta  - Conseguente ingiustificata
 qualificazione di semplici contravvenzioni come delitti.
 (D.L.  10 luglio 1982, n. 429, art. 4, primo comma, n. 7, convertito
 in legge 7 agosto 1982, n. 516).
 (Cost., art. 3).
(GU n.18 del 2-5-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti  gli  atti del procedimento penale n. 5/90 nei confronti di:
 Villa Volmer, nato il 15 agosto 1945, in  Reggiolo  (Reggio  Emilia),
 ivi  residente, viale G. Rossini n. 25/A, imputato, del reato p. e p.
 dagli artt. 4, n. 7, della legge 7 agosto 1982, n. 516, e 8, primo  e
 secondo  cpv.,  della  legge  7  gennaio  1929,  n. 4, perche', quale
 titolare di rivendita di  giornali  e  riviste  in  Reggiolo  (Reggio
 Emilia), in esecuzione della medesima risoluzione, al fine di evadere
 le imposte dirette, dissimulava componenti positivi del  reddito  non
 annotando  nelle  scritture contabili obbligatorie di cui all'art. 18
 del d.P.R. n. 600/1973:
      1) con riguardo all'anno 1982 ricavi per lire 55.474.000;
      2) con riguardo all'anno 1983 ricavi per lire 35.694.000;
      3) con riguardo all'anno 1984 ricavi per lire 17.627.000;
 e non indicando nella dichiarazione dei redditi:
      1)   con   riguardo  all'anno  1982  i  ricavi  conseguiti  pari
 complessivamente a L. 136.516.000, bensi' soltanto gli  aggi  per  L.
 15.800.000 anziche' nella loro misurale reale di 27.305.000;
      2)   con   riguardo  all'anno  1983  i  ricavi  conseguiti  pari
 complessivamente a L. 204.224.000, bensi' soltanto gli  aggi  per  L.
 33.706.000 anziche' nella loro misurale reale di L. 40.845.000;
      3)  con  riguardo  all'anno  1984 i ricavi della sopra precisata
 misura di L. 17.627.000;
 cosi'  da  alterare  in  misura rilevante le dichiarazioni anzidette,
 nelle quali denunciava reddito d'impresa:
      1)  per  l'anno  1982  di  L.  6.669.000 (accertato dall'ufficio
 finanziario in L. 12.420.000);
      2)  per  l'anno  1983  di  L. 15.067.000 (accertato dall'ufficio
 finanziario in L. 22.476.000);
      3)  per  l'anno  1984  di  L. 16.690.000 (accertato dall'ufficio
 finanziario in L. 23.366.000).
    Reggio Emilia, fino al 31 maggio 1985.
    All'esito  dell'udienza  preliminare  ha  pronunciato  la seguente
 ordinanza.
    L'art.  4,  primo  comma, n. 7, della legge 7 agosto 1982, n. 516,
 sanziona la condotta del contribuente "titolare di redditi di  lavoro
 autonomo  o  di impresa", il quale "al fine di evadere le imposte sui
 redditi e l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire  un  indebito
 rimborso  ovvero  di  consentire  l'evasione  o  indebito  rimborso a
 terzi", "redige le scritture contabili obbligatorie, la dichiarazione
 annuale  dei redditi ovvero il bilancio o rendiconto ad essa allegato
 dissimulando componenti positivi o simulando componenti negativi  del
 reddito  tali  da  alterare  in  misura  rilevante il risultato della
 dichiarazione".
    Si  tratta  di norma, come e' noto, di significato non univoco per
 la difficolta' di  interpretazione  che  deriva  non  soltanto  dalla
 complessa  struttura  sintattica, ma anche dall'uso di espressioni di
 senso non sufficientemente determinato ("alterare in misura rilevante
 il  risultato della dichiarazione") e di termini ambigui ("simulando"
 e "dissimulando").
    In  particolare  i  concetti  di  "dissimulazione"  di  componenti
 positivi e di "simulazione" di componenti negativi del reddito  hanno
 dato  origine  a  opinioni  contrapposte,  comprendendo gli uni nella
 "dissimulazione" la mera omessa indicazione e nella "simulazione"  la
 mera  enunciazione  di  componenti del reddito, esigendo gli altri la
 presenza di un quid pluris  idoneo  a  connotare  di  fraudolenza  la
 condotta dell'agente.
    Entrambe  le  tesi  sono  sostenibili,  e  sono  state  in effetti
 sostenute con seri e validi argomenti contrapposti. Tuttavia,  mentre
 la   seconda   non   pone   problemi  sul  piano  della  legittimita'
 costituzionale della norma, non altrettanto puo' dirsi  della  prima,
 la  quale  in sostanza ritiene punibile sulla base della disposizione
 in oggetto la semplice infedelta' della dichiarazione.
    Infatti,  ove la dissimulazione di componenti positivi del reddito
 potesse  concretarsi  in  una  mera  omissione,  e  la   simulazione,
 simmetricamente,  in  una  semplice mendace indicazione di componenti
 negativi, la condotta in esame si sovrapporrebbe,  in  pratica,  alle
 ipotesi  contravvenzionali  dell'art.  1:  la  qual cosa non soltanto
 determinerebbe gravi contraddizioni sistematiche (perche', essendo le
 predette  contravvenzioni  soggette  a  soglia  di punibilita', al di
 sotto della stessa soglia potrebbe, paradossalmente, subentrare  alla
 punibilita' a titolo di frode) ma porrebbe la norma in contraddizione
 col  fondamentale  principio  di  uguaglianza,  per   l'irragionevole
 disparita'  di  trattamento,  consistente  nel  sanzionare  lo stesso
 comportamento,    l'infedele     dichiarazione,     come     semplice
 contravvenzione  oblazionabile  quando  ha  ad  oggetto  redditi  non
 soggetti ad annotazione contabile, e grave  delitto  quando  concerne
 redditi di lavoro autonomo o d'impresa, derivanti da cessione di beni
 o prestazione di servizi.
    Secondo  il  costante insegnamento della Corte costituzionale, una
 disposizione che ammette  piu'  interpretazioni  non  e'  soggetta  a
 caducazione  quando  solo  una delle interpretazioni confligga con la
 Costituzione: ma l'interprete e'  impegnato  a  far  applicazione  di
 quello  o quelli fra i possibili significati che, per essere conformi
 al dettato costituzionale, consentono la salvezza della norma.
    Di  conseguenza,  per  elidere ogni dubbio sulla costituzionalita'
 rispetto al principio di uguaglianza dell'art. 4, n.  7,  citato,  e'
 sufficiente  (e necessario) adottare tra le possibili interpretazioni
 quella che esige un quid pluris rispetto alla mera omissione o  altra
 mera  enunciazione di componenti del reddito per integrare il delitto
 secondo il pensiero  -  sopra  pressoche'  testualmente  riportato  -
 espresso da Corte costituzionale, 16 maggio 1989, n. 247.
    E' tuttavia necessario riconoscere che la giurisprudenza di merito
 prevalente e la giurisprudenza  di  legittimita'  sono  orientate  in
 senso   opposto,   sicche'   ogni   diversa   interpretazione  appare
 sostenibile  sul  piano  teorico,  ma  (ormai)  perdente  sul   piano
 dell'applicazione giurisprudenziale.
    Cio'  dimostra  il  fatto  che  pure dopo la citata sentenza della
 Corte costituzionale, la Corte di cassazione (Cass. pen. sez. III; 26
 settembre   1989,   Vangelisti)   ha  ribadito  il  proprio  rigoroso
 orientamento, non solo sulla base della non  vincolativita',  per  il
 giudice  ordinario,  delle  sentenze  costituzionali di rigetto e del
 carattere incidentale dell'interpretazione della Corte costituzionale
 sul  punto,  ma  soprattutto  affermando l'avvenuta confutazione, nel
 merito, delle argomentazioni addotte dal giudice delle leggi.
    E'  innegabile,  a questo punto, che l'indirizzo giurisprudenziale
 in discussione debba essere considerato "diritto vivente", e  che  la
 costituzionalita'  dell'art.  4,  n.  7,  rispetto  all'art.  3 della
 Costituzione vada ormai verificata non  alla  stregua  dei  possibili
 diversi significati della norma, ma con riferimento a quell'unico che
 si e' concretamente imposto nella  giurisdizione:  con  il  risultato
 inevitabile  di  ritenerne  l'illegittimita'  sulla base dei medesimi
 argomenti enunciati della Corte costituzionale  nella  sentenza  piu'
 volte citata e che questo giudice fa propri.
    Quanto alla rilevanza della decisione, nel presente giudizio, essa
 e' indubbia, trattandosi di mera  omessa  indicazione  di  componenti
 positivi  di reddito (sia che si faccia riferimento ai corrispettivi,
 sia che si faccia riferimento agli aggi, ed escluso in ogni caso  che
 possa  attribuirsi  rilievo  alla scelta di indicare in dichiarazione
 gli aggi anziche' i ricavi, scelta alla quale non  puo'  riconoscersi
 in  alcun  caso  carattere  fraudolento)  e  dovendosi,  in  caso  di
 accoglimento della questione di costituzionalita', in riferimento  ai
 diversi  anni,  secondo  i  casi prosciogliere o ritenere l'esistenza
 della contravvenzione di cui all'art. 1, secondo comma, n.  1,  della
 legge  n.  516/1982,  in caso contrario disporre l'applicazione della
 pena concordata dalle parti ai sensi dell'art. 444 del c.p.p.
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.
 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva   d'ufficio   questione   di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 4, primo comma, n. 7, del d.-l. 10  luglio  1982,  n.  429,
 convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, in relazione all'art. 3
 della Costituzione nella parte in cui prevede come condotta idonea ad
 integrare  il  reato  la mera omessa indicazione, nella dichiarazione
 annuale dei redditi, di componenti positivi del reddito;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale sospendendo il presente giudizio;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Reggio Emilia, addi' 1› febbraio 1990
             Il giudice per le indagini preliminari: FANILE

 90C0492