N. 200 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 novembre 1989
N. 200 Ordinanza emessa il 24 novembre 1989 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Picheca Benvenuto ed altri Processo penale - Procedimento in corso all'entrata in vigore del nuovo codice - Formalita' di apertura del dibattimento gia' esperite - Applicazione della pena richiesta dall'imputato Esclusione - Conseguente inapplicabilita' della diminuente ex art. 444 del c.p.p. 1988 - Disparita' di trattamento tra imputati secondo lo Stato dei relativi procedimenti - Lesione del principio di applicazione della legge piu' favorevole al reo. (Disposizioni di attuazione del c.p.p. 1988, art. 248). (Cost., artt. 3 e 25).(GU n.18 del 2-5-1990 )
IL PRETORE Esaminata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 248 della disp. att. del c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal p.m. e della difesa; O S S E R V A 1. - Picheca Benvenuto, Valenti Longa Angelo, Guerrera Marco e Malipensa Giuseppe unitamente ad altri tre imputati, con decreto di citazione del 4 novembre 1988 sono stati tratti a giudizio per rispondere delle contravvenzioni di cui agli artt. 20, lettere b) e c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e 1-sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431. Il dibattimento e' stato aperto all'udienza del 7 aprile 1989. Alla prima udienza dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale i quattro prevenuti hanno chiesto la applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 del c.p.p. Il p.m., premesso di essere favorevole nel merito alla richiesta della applicazione della pena su istanza di parte, ha rilevato di non potere prestare il suo consenso in quanto l'art. 248 della disp. att. del c.p.p., relativamente ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del nuovo codice processuale, limita l'ammissibilita' di tale rito ai procedimenti in cui non sono state ancora compiute le formalita' di apertura del dibattimento. Ha, quindi, sollevato questione di legittimita' costituzionale dello stesso art. 248 delle disp. att. del c.p.p., in relazione all'art. 3 della Costituzione, sostenendo che la predetta limitazione causerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra gli imputati a seconda se nei loro procedimenti le formalita' di apertura del dibattimento siano compiute prima o dopo l'entrata in vigore del nuovo codice. La difesa, nell'associarsi alla proposta questione di legittimita' costituzionale, ha argomentato che la norma di attuazione violerebbe anche l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. 2. - Per valutare la fondatezza della questione di legittimita' costituzionale, e' necessario innanzitutto analizzare la natura dei procedimenti speciali previsti dal libro VI del nuovo codice di procedura penale e, precisamente, se hanno natura processuale o sostanziale. L'istituto dell'applicazione della pena su richiesta dalle parti, disciplinato negli artt. 444 e 448, prevede da un lato una diversa e piu' rapida definizione del processo, dall'altro conseguenze giuridiche piu' favorevoli al reo: diminuzione della pena fino ad un terzo; esclusione della condanna al pagamento delle spese; esclusione dell'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza; estinzione del reato e di qualsiasi effetto penale della condanna quando l'imputato entro un tempo predeterminato non commette un reato della stessa indole. E' di tutta evidenza che, qualunque nozione si accolga della norma processuale penale, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, non limitandosi a disciplinare l'accertamento della notitia criminis, le attivita' esperite nel processo dai soggetti processuali e le forme degli atti processuali, ma incidendo direttamente sulla quantificazione della pena, sull'applicabilita' di pene accessorie e misure di sicurezza e sull'estinzione del reato e degli effetti penali della condanna, ha natura penale sostanziale. Il problema non e' nuovo nel nostro ordinamento ed e' stato gia' esaminato dalla dottrina in relazione ad altri istituti, quali l'oblazione e l'applicazione di sanzioni sostitutive a richiesta dell'imputato prevista dall'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che hanno natura giuridica identica all'applicazione della pena su richiesta delle parti. Nessuno ha mai posto in dubbio che l'oblazione ed il c.d. "patteggiamento" ex art. 77 della legge n. 689/1981 hanno natura penale sostanziale, anche se le forme e le modalita' per esservi ammessi sono disciplinate da norme processuali. Alle medesime conclusioni deve necessariamente pervenirsi per il procedimento previsto dall'art. 444 del c.p.p. La riduzione della pena e gli altri benefici che ne conseguono hanno natura penale sostanziale; le norme, invece, che regolano le forme in cui devono essere esperiti hanno natura processuale. 3. - L'art. 2, terzo comma, del c.p. stabilisce il principio generale che nel caso di successioni di leggi penali deve applicarsi "quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile". La migliore dottrina, che questo pretore condivide, ha posto in risalto che dalla lettura congiunta dei primi tre commi dell'art. 2 del c.p. si evince che il nostro sistema penale non accoglie, come comunemente si ripete, il principio della irretroattivita', bensi' il principio superiore che al reo e' assicurato il trattamento piu' favorevole tra quelli stabiliti dalla legge a partire dalla commissione del fatto e sino alla sentenza irrevocabile. Tale principio superiore, ispirato al favor libertatis, si specifica poi in quello della irretroattivita' nel primo comma, in quello della retroattivita' (anche oltre la sentenza irrevocabile) nel secondo comma, in quello della legge piu' favorevole del terzo comma. Alcuni autori, dalla degradazione della irretroattivita' a semplice corollario di un principio superiore, argomentano che il legislatore costituzionale nel momento in cui nell'art. 25, secondo comma - recependo una lunga e consolidata tradizione storica degli stati liberali (v. art. 8 della "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" del 1789) - ha accolto il principio della irretroattivita' della legge penale, ha necessariamente, sia pure implicitamente, recepito anche il principio superiore che ne e' il fondamento. Da cio' hanno dedotto che le disposizioni dell'art. 2 del c.p. costituiscono disposizioni materialmente, anche se non formalmente, costituzionali, con la conseguenza che la loro modifica o deroga comporterebbe il procedimento aggravato di revisione costituzionale. Anche se la conseguenza a cui questi Autori pervengono in un sistema di costituzione rigida non appare condivisibile, e' certo che il principio dell'applicabilita' della legge piu' favorevole, posto dai primi tre commi dell'art. 2 del c.p., incidendo sullo status libertatis e sui diritti fondamentali del cittadino, ha rilevanza costituzionale per cui la sua eventuale deroga deve essere giustificata da ragioni aventi pari rilevanza costituzionale. 4. - Stabilito che il procedimento speciale previsto dall'art. 444 del c.p.p. contiene disposizioni penali sostanziali piu' favorevoli all'imputato, ne deriva che la sua applicabilita', ai sensi dell'art. 2 del c.p., non potrebbe essere limitata ai procedimenti iniziati successivamente al 24 ottobre 1989, data in cui il nuovo codice e' entrato in vigore, ma dovrebbe essere estesa a tutti i procedimenti pendenti in tale data. Il nuovo codice, invece, accoglie soltanto parzialmente il principio dell'applicabilita' del trattamento piu' favorevole al reo. L'art. 248 della disp. att. del c.p.p., infatti, pur estendendo l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti ai procedimenti in corso, lo limita a quelli in cui non sono state ancora compiute le formalita' di apertura del dibattimento. La questione di costituzionalita' riguarda appunto tale limitazione. Secondo la difesa essa determinerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra gli imputati, a seconda se le formalita' di apertura siano e non siano state compiute prima dell'entrata in vigore del nuovo codice. 5. - Che l'art. 248 della disp. att. del c.p.p., limitando l'istituto della applicazione della pena su richiesta alle parti ai procedimenti in corso in cui non sono state compiute le formalita' di apertura del dibattimento, determini una disparita' di trattamento tra gli imputati, e' di tutta evidenza. Cio', pero', non e' ancora sufficiente per ritenere la norma incostituzionale, in quanto e' necessario esaminare se la limitazione da essa introdotta e' ragionevole e se e' posta a tutela di un interesse avente pari rilevanza costituzionale di quello dell'applicabilita' della legge piu' favorevole. Nessun rilievo ha l'assunto secondo cui l'apertura del ditabbimento costituirebbe un semplice termine di decadenza entro cui il relativo diritto deve essere esercitato, in quanto la questione di costituzionalita' ha per oggetto il quesito se, nei procedimenti in cui l'apertura del dibattimento e' avvenuta anterioremente all'entrata in vigore del nuovo codice, e' giustificata una decadenza che operi prima che il diritto possa essere esercitato. A favore della limitazione introdotta dall'art. 248 della disp. att. del c.p.p. e' stata addotta una unica giustificazione. Si assume che poiche' nel nuovo sistema processuale i procedimenti speciali hanno la funzione di giungere alla rapida definizione dei processi e la riduzione della pena costituisce solo un incentivo affinche' l'imputato chieda tali riti, ingiustificato sarebbe stato estendere l'ammissibilita' ai procedimenti pendenti il cui iter - con l'apertura del dibattimento - sia giunto ad un punto tale da rendere non piu' apprezzabile il beneficio di una loro rapida definizione. Che il nuovo sistema processuale abbia attribuito ai riti speciali la funzione di rendere piu' rapida la definizione dei processi ed alla riduzione della pena ed agli altri benefici la funzione di incentivarne la richiesta, e' certamente vero. Che tutto cio' sia stato previsto a vantaggio dell'intero sistema processuale, allo scopo - cioe' - di assicurare, mediante la definizione rapida in camera di consiglio del maggiore numero di processi, la celebrazione dei dibattimenti con il rito accusatorio, e' ugualmente vero. Cio' nulla toglie, pero', che tali istituti hanno attribuito all'imputato un vero e proprio diritto soggettivo di chiedere tali riti e di ottenere la conseguenziale riduzione della pena indipendentemente dalla loro concreta adozione. L'art. 448 prevede, in caso di dissenso del p.m. che il giudice ritenga ingiustificato, che la riduzione della pena e gli altri benefici possono essere concessi anche nel giudizio d'impugnazione. Cio' prova che anche nel caso in cui il sistema processuale non abbia tratto alcun beneficio dal rito speciale, in quanto si e' gia' celebrato interamente il giudizio di primo grado e l'appello, ugualmente l'imputato conserva il suo diritto ad ottenere la riduzione della pena, l'esclusione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza ed, al verificarsi di determinate condizioni, l'estinzione del reato e degli altri effetti penali della condanna. Questa conseguenza e' giustificata dalla considerazione che i riti speciali, pur essendo stati previsti quali mezzi per deflazionare i dibattimenti, hanno attribuito all'imputato un vero e proprio diritto soggettivo di chiederli e di ottenere la riduzione della pena, anche nel caso in cui, per un fatto indipendente dalla sua volonta', il dibattimento sia stato celebrato. Non appare fondata, pertanto, la tesi che giustifica la limitazione posta dall'art. 248 delle disp. att. del c.p.p. sulla base della considerazione che - oltre questo termine - il sistema non ne avrebbe tratto alcun apprezzabile beneficio. Questa giustificazione - oltre ad essere infondata, in quanto l'art. 448 prevede un caso di applicazione del rito anche dopo la celebrazione dell'appello - non tiene conto che l'imputato ha un vero e proprio diritto soggettivo di chiedere tale rito e di ottenere la riduzione della pena, indipendentemente se da tale richiesta deriveranno benefici per l'intero sistema processuale. Ugualmente non ragionevole appare fare derivare dal semplice fatto che le formalita' di apertura sono state compiute prima dell'entrata in vigore del nuovo codice la perdita del diritto dell'imputato di ottenere un trattamento piu' favorevole, in considerazione che l'apertura del dibattimento per l'imputato e' un evento del tutto accidentale, non rimesso alla sua volonta'. Maggiormente priva di ragionevolezza appare la limitazione introdotta dall'art. 248 delle disp. att. del c.p.p. se si tiene presente che il principio dell'applicabilita' della legge piu' favorevole al reo, posto dall'art. 2 del c.p., incidendo sullo status libertatis e sui diritti fondamentali del cittadino ed essendo stato recepito - sia pure implicitamente - dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, ha rilevanza costituzionale. Si deve concludere che l'art. 248 delle disp. att. del c.p.p. determina una ingiustificata e non ragionevole disparita' di trattamento tra gli imputati a seconda se nei loro procedimenti siano o non siano state compiute le formalita' di apertura del dibattimento. Conseguenzialmente va dichiarata non manifestamente infondata la questione, sollevata dal p.m. e dalla difesa, di legittimita' costituzionale dell'art. 248 delle disp. att. del c.p.p., con riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione. 6. - Incidendo sulla quantificazione della pena, sulla rilevanza di questa questione non e' necessario dire molto. Si puo' solo sottolineare la particolare rilevanza in questo processo. I prevenuti sono imputati delle contravvenzioni di cui agli artt. 20, lett. c), della legge n. 47/1985 e 1-sexies della legge n. 431/1985, le cui pene edittali, anche applicate nel minimo e previo riconoscimento delle attenuanti generiche, non permettono - per l'ammontare della pena pecuniaria - il beneficio della sospensione condizionale. Tale beneficio sarebbe, invece, concedibile nel caso in cui fossero ammessi al procedimento speciale di cui all'art. 444 del c.p.p., per il quale il p.m. ha gia' prestato il suo consenso. Cio' prova non solo la rilevanza della questione ma anche l'ingiustificata disparita' di trattamento determinata dall'art. 248 delle disp. att., in quanto i prevenuti - nonostante l'entrata in vigore di una legge che prevede un trattamento piu' fevorevole, mediante il quale ottenere il beneficio della sospensione condizionale - sarebbero costretti a scontare le pena per la sola ragione che il loro dibattimento e' stato aperto in epoca anteriore al 24 ottobre 1989. 7. - Degli imputati solo il Pichera, il Valenti Longa, il Guerrera ed il Malipensa hanno chiesto l'applicazione della pena su richiesta delle parti. Ai sensi degli artt. 248, terzo comma, e 247, quinto comma, delle disp. att. delle c.p.p. la sospensione del procedimento va ordinata solo nei loro confronti. Per i coimputati, per i quali si pronuncia distinta ordinanza, va ordinata la separazione dei procedimenti e - previa formazione di un nuovo fascicolo processuale - la prosecuzione del dibattimento.
P. Q. M. Visto l'art. 134 della Costituzione; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata dal p.m. e dalla difesa, dell'art. 248 della disp. att. del c.p.p. con riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui limita l'ammissibilita' dell'applicazione della pena su richiesta delle parti ai procedimenti in corso in cui non siano state compiute le formalita' di apertura del dibattimento di primo grado; Sospende il giudizio in corso nei confronti di Picheca Benvenuto, Valenti Longa Angelo, Guerrera Marco e Malipensa Giuseppe; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza, letta in dibattimento, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Torino all'udienza dibattimentale del 24 novembre 1989. Il pretore: PALMISANO 90C0493