N. 202 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 1990

                                 N. 202
 Ordinanza  emessa  il  21  febbraio  1990  dal pretore di Ferrara nel
 procedimento civile vertente tra Prando Lino e l'I.N.P.S.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  -  Rate di
 pensioni corrisposte benche' non  dovute  -  Ripetibilita'  anche  in
 mancanza  di dolo del percipiente (tranne il solo caso in cui la rata
 di  pensione  risulti  non  dovuta  in  seguito   a   rettifica   del
 provvedimento attributivo) - Ingiustificata disparita' di trattamento
 rispetto alle pensioni degli impiegati  civili  dello  Stato,  per  i
 quali  l'indebito,  in  mancanza  di dolo dell'interessato, e' sempre
 irripetibile - Violazione del principio dell'assicurazione  di  mezzi
 adeguati alle esigenze di vita del lavoratore in caso di vecchiaia.
 (Legge 9 marzo 1989, n. 88, art. 52, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.18 del 2-5-1990 )
                               IL PRETORE
                             O S S E R V A
    A scioglimento della riserva;
    1)  Con ricorso depositato il 21 giugno 1989 Prando Lino, premesso
 che in data 13 maggio 1987 la sede  I.N.P.S.  di  Ferrara  gli  aveva
 richiesto  il  rimborso  della  somma  di L. 3.879.620, indebitamente
 percepita, di cui L. 1.645.000 per assegni familiari e  L.  2.234.600
 per  revoca  dei  benefici  di  cui all'art. 14-quater della legge n.
 33/1980; che il 22 maggio 1987 aveva provveduto a restituire la somma
 di  L. 1.645.000; che, invece, con ricorso 29 maggio 1987 al comitato
 provinciale aveva chiesto l'irripetibilita' della residua somma di L.
 2.234.600  perche'  ricevuta  in  buona  fede,  non  a domanda ma per
 applicazione d'ufficio; che le  prescritte  procedure  amministrative
 avevano  avuto  esito  negativo;  conveniva  in  giudizio  l'I.N.P.S.
 perche' venisse dichiarato che l'Istituto non aveva diritto, ai sensi
 dell'art. 80 del r.d. n. 1422/1924 o dell'art. 52 della legge 9 marzo
 1989, n. 88, al richiesto rimborso per la quota relativa  alla  somma
 di  L.  2.234.600  dovuta  per la revoca dei benefici di cui all'art.
 14-quater della legge n. 33/1980.
   Si  costituiva, ritualmente, in giudizio l'I.N.P.S., che contestava
 l'avversa domanda  e  ne  chiedeva  il  rigetto,  osservando  che  la
 sanatoria  prevista dalla legge n. 88/1989 opera nei soli casi in cui
 vi  sia  stato  un  errore  dell'istituto,   non   dovuto   al   dolo
 dell'interessato, circa il quantum debeatur, comportando, detti casi,
 la modifica del  provvedimento  originario  cosi'  da  ricondurne  il
 contenuto  economico  alla sua esatta entita' e dimensione; mentre la
 sanatoria  stessa  rimane  esclusa  in  relazione  alle  ipotesi   di
 attribuzione  della  pensione,  o di un suo accessorio, nella carenza
 radicale, originaria o sopravvenuta, di uno  o  piu'  dei  rispettivi
 presupposti legittimanti l'attribuzione stessa.
    2)  In  linea di fatto si osserva essere pacifico fra le parti (ed
 inoltre risulta dai documenti di causa) che l'indebito percepito  dal
 ricorrente,   pari   a  L.  2.234.600,  consegue  alla  revoca  della
 maggiorazione sociale prevista dall'art.  14-quater  della  legge  n.
 33/1980,  non  spettante al sig.  Prando perche' la pensione (cat. 10
 n. 60012326)  era  stata  liquidata  sulla  base  di  768  contributi
 settimanali (664 contributi effettivi e 105 volontari).
    Con  l'esperita  azione  giudiziaria  il  Prando  chiede  che,  in
 applicazione dell'art. 80 del r.d.  n.  1422/1924  e/o  dell'art.  52
 della  legge  n.  88/1989, vengano dichiarate non ripetibili da parte
 dell'istituto le somme da lui percepite  indebitamente,  dal  momento
 che  l'errore  non  dipendeva  dal  suo comportamento doloso e che il
 beneficio, poi revocato, gli era stato attribuito d'ufficio.
    3)   La   domanda   del   ricorrente   non  sembra  poter  trovare
 accoglimento, anche dopo la riforma legislativa intervenuta  in  tema
 di  prestazioni  indebite  con l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n.
 88, di ristrutturazione dell'I.N.P.S.
    In  base  al  primo comma del predetto art. 52 le pensioni erogate
 dall'I.N.P.S. "possono essere in ogni momento rettificate dagli  enti
 o  fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in
 sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione".
    Dispone il secondo comma dell'art. 52 citato che "nel caso in cui,
 in conseguenza del provvedimento  modificato,  siano  state  riscosse
 rate  di  pensione  risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero
 delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a
 dolo dell'interessato".
    Con  la  nuova  normativa  il  legislatore ha inteso riordinare la
 materia  degli  indebiti  pensionistici,  sostituendo  la  previgente
 disciplina,   contenuta   nel   r.d.   n.  1422/1924,  avente  natura
 regolamentare (cfr. ordinanze n. 824/1988 e n. 265/1989  della  Corte
 costituzionale),   con  altra  introdotta  a  livello  di  normazione
 primaria in un atto avente forza di legge.
    Rispetto  alla  precedente  regolamentazione,  l'art. 52 ha inteso
 escludere   qualsiasi   limitazione   temporale   al    potere-dovere
 dell'istituto  di  intervenire sul provvedimento di concessione della
 pensione rivelatosi inficiato da errore.
    Quanto  all'ambito  di  operativita'  della sanatoria prevista dal
 secondo comma dell'art. 52, la stessa viene ricollegata  dalla  norma
 in  esame  alla  sola  ipotesi  in  cui  vi sia stata, in conseguenza
 dell'errore, una modifica del  provvedimento  di  assegnazione  della
 pensione.
    In  tale contesto sembra che non possano rientrare nella sanatoria
 tutte quelle ipotesi in cui, a seguito  dell'accertamento  del  venir
 meno dei presupposti per il diritto, la pensione sia stata annullata,
 con  la  conseguente  caducazione   totale   del   provvedimento   di
 concessione.
    La  norma in parola sembra, infatti, voler limitare l'eccezione al
 generale  principio  della   ripetibilita'   dell'indebito,   sancito
 dall'art. 2033 del c.c., soltanto nei casi in cui l'indebito consegua
 ad un errore circa la determinazione economica  dell'ammontare  della
 prestazione  quantum  debeatur  senza incidere sulla legittimita' del
 relativo provvedimento, il quale continua a rimanere  in  vigore  pur
 con un cambiamento del suo contenuto originario.
    In   sostanza   dall'ambito  di  operativita'  del  secondo  comma
 dell'art. 52 citato sembrano rimanere escluse tutte le ipotesi in cui
 la  prestazione  viene  erogata  senza  la  sussistenza  del relativo
 diritto.
    In  tale  ottica  non paiono rientrare nell'ambito di applicazione
 della sanatoria anche i casi di  mero  ritardo  nell'accertamento  di
 successive   modificazioni   di   fatto   o  di  diritto,  che  siano
 automaticamente operative e che importino  l'estinzione  del  diritto
 originariamente esistente.
    Si  osserva, inoltre, che la Corte di cassazione (sentenza s.u. 20
 gennaio   1989,   n.   310)   ha   precisato   che   "la    spettanza
 dell'integrazione  al  minimo  o di quote aggiuntive o di supplementi
 non si risolve in una questione di semplice misura della  prestazione
 previdenziale,  essendo  gli  anzidetti  elementi  integrativi  della
 pensione oggetto di autonomo diritto, dipendente  da  presupposti  di
 diritto e di fatto propri, diversi rispetto a quelli richiesti per la
 sussistenza del generico diritto a pensione".
    Pertanto,  in  applicazione  di  tale principio, il venir meno del
 diritto al trattamento minimo, al supplemento, alle quote  aggiuntive
 per  mancanza  dei relativi presupposti ovvero per essere gli stessi,
 in  un  secondo   tempo,   risultati   variati,   sembra   comportare
 l'esclusione  della  sanatoria  di  cui  all'art. 52, la quale sembra
 operante soltanto nei  casi  di  rettifiche  di  errori  che  abbiano
 comportato  l'attribuzione di somme eccedenti a quelle effettivamente
 spettanti.
   Fra  le  varie  ipotesi  di  quote  aggiuntive  o di supplementi di
 pensione  non  rientranti  nella  operativita'  del   secondo   comma
 dell'art.  52  sembrano  potersi  annoverare le quote fisse di cui al
 terzo comma dell'art. 10 della legge n.  160/1975;  la  maggiorazione
 sociale dei trattamenti pensionistici (art. 1 della legge n. 140/1985
 e art. 1 della legge n. 544/1988); l'aumento della  pensione  sociale
 (art.  2 della legge n. 140/1985 e art. 2 della legge n. 544/1988); i
 benefici per gli ex combattenti (art. 6 della legge n. 140/1985);  la
 maggiorazione ex art. 14-quater della legge n. 33/1980 (la cui revoca
 costituisce l'indebito per cui e' causa), nonche'  i  trattamenti  di
 famiglia sulle pensioni dei lavoratori autonomi.
    4)  Tuttavia  il  secondo  comma  dell'art. 52 della legge 9 marzo
 1989, n. 88, cosi' come sopra  interpretato,  sembra  presentare  dei
 dubbi  di costituzionalita', con congiunto riferimento agli artt. 3 e
 38, secondo comma, della Costituzione.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in  questa  sede
 sollevata,  appare  rilevante  perche'  dalla  sua  definizione  puo'
 dipendere   l'accoglimento   della  domanda  del  Prando,  altrimenti
 precluso.
    In  primo  luogo  si  ravvisa  una  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento, sanzionabile ai sensi dell'art.  3  della  Costituzione,
 fra i pensionati I.N.P.S. e i pensionati, pubblici dipendenti, cui e'
 applicabile il d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.
    A  favore  di  questi ultimi l'art. 206 del d.P.R. citato sancisce
 nel  caso  in  cui,  in  conseguenza  del  provvedimento  revocato  o
 modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero
 di indennita', risultanti non  dovute,  la  non  ripetibilita'  delle
 somme  corrisposte,  salvo  che  la  revoca o la modifica siano state
 disposte   in    seguito    all'accertamento    di    fatto    doloso
 dell'interessato.
    A tale proposito deve segnalarsi che, ai sensi del precedente art.
 204, la revoca o la modifica puo' aver  luogo  quando  vi  sia  stato
 errore  di  fatto  o  sia  stato  omesso  di  tener conto di elementi
 risultanti dagli atti; quando vi sia stato  errore  nel  computo  dei
 servizi  o  nel  calcolo  del contributo di riscatto, della pensione,
 assegno  o  indennita'  o  nella  applicazione  delle   tabelle   che
 stabiliscono  le  aliquote  o  l'ammontare  della pensione, assegno o
 indennita'; quando siano rinvenuti documenti nuovi o il provvedimento
 sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi.
    In  sostanza  i  pensionati dello Stato usufruiscono del principio
 della non ripetibilita' delle somme ricevute in buona  fede,  in  una
 gamma  di  ipotesi  sostanzialmente piu' ampia rispetto ai pensionati
 dell'I.N.P.S., che si estende fino a ricomprendere  situazioni  nelle
 quali rimane accertata la sopravvenuta od originaria insussitenza del
 diritto.
    Inoltre,  per  evidenziare  maggiormente il contrasto con l'art. 3
 della Costituzione, e' necessario ricordare che, sempre  nel  settore
 del  pubblico  impiego,  si  e'  effermato  un  principio  di origine
 giurisprudenziale, in forza  del  quale  l'amministrazione  non  puo'
 ripetere  le somme indebitamente percepite dal dipendente a titolo di
 retribuzione o assegni vari, se  non  in  base  ad  una  ponderata  e
 circostanziata  valutazione degli interessi contrapposti, dato che la
 retribuzione ha la funzione di soddisfare i bisogni essenziali  della
 vita del lavoratore e della sua famiglia.
    5)  Sempre  con  riferimento  all'art.  3  della Costituzione deve
 essere   sottolineata   anche    l'intima    contraddittorieta'    ed
 irrazionalita'   della   norma  in  esame,  la  quale  determina  una
 ingiustificata disparita' di trattamento fra pensionati  che  abbiano
 in   buona   fede  percepito  degli  indebiti,  dal  momento  che  la
 ripetizione dell'indebito viene esclusa soltanto in  alcune  ipotesi,
 mentre viene ammessa, in forza del principio generale di cui all'art.
 2033 del c.c.,  in  altre  altrettanto  qualificate,  al  pari  delle
 precedenti,  dalla  buona  fede del pensionato, che, in ogni caso, ha
 riscosso  quanto  gli   attribuiva   l'ente   previdenziale   facendo
 incolpevole   affidamento   sulla   legittimita'   dei  provvedimenti
 dell'istituto anche in relazione alle sue scelte vitali.
    6)  A questo punto, pero', appare anche opportuno chiedersi se sia
 possibile enucleare nell'ambito dell'ordinamento costituzionale,  ove
 l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, sancisce il diritto del
 lavoratore a che siano preveduti ed  assicurati  mezzi  adeguati  per
 soddisfare  alle  esigenze  di  vita in caso di infortunio, malattia,
 invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria, cui corrisponde
 un preciso obbligo di natura costituzionale a carico della Repubblica
 di tutelare quelle  stesse  esigenze  vitali  in  modo  adeguato,  un
 principio  di carattere generale, valido per la materia pensionistica
 e previdenziale in genere, in base al quale non  sono  ripetibili  le
 somme  che  il  pensionato  abbia  indebitamente,  ma  in buona fede,
 riscosso.
    Qualora  si  consideri che la pensione ha lo scopo di soddisfare i
 bisogni e le esigenze primarie del titolare e della sua famiglia e si
 ravvisi  la necessita' di tutelare in modo completo la buona fede del
 pensionato che, come nel caso in esame, fa  pieno  affidamento  sulla
 conformita'  alla  legge  dei  provvedimenti dell'ente previdenziale,
 anche in relazione alle sue scelte vitali, non  puo'  che  pervenirsi
 alla  conclusione  che,  nel  sistema  previsto dall'art. 38, secondo
 comma, della Costituzione, la buona fede deve  ricevere  un  adeguato
 riconoscimento in tutte le ipotesi nelle quali assume rilevanza.
    Ne  deriva allora che il secondo comma dell'art. 52 della legge n.
 88/1989 non appare conforme al  dettato  costituzionale,  che  impone
 l'eguaglianza  di  tutti i pensionati di fronte alla legge obbligando
 la  Repubblica  a  realizzare  una  piena  ed  efficace  tutela   dei
 lavoratori  in  materia  previdenziale,  dal momento che non realizza
 altro  che   una   salvaguardia   molto   parziale   dell'incolpevole
 affidamento  del  pensionato  sulla  legittimita' della sua pensione,
 proprio  quando  l'attribuzione  della  stessa  risulta  viziata  per
 effetto di un errore attribuibile soltanto all'ente previdenziale.
                                P. Q. M.
    Visto   l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  8  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 52, secondo comma, della  legge
 9  marzo  1989,  n.  88,  nella  parte in cui, in caso di prestazioni
 pensionistiche indebite, non esclude la  ripetibilita'  dell'indebito
 in  ogni  ipotesi  in cui l'indebita percezione non sia dovuta a dolo
 dell'interessato, per violazione degli artt. 3 e 38,  secondo  comma,
 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  per  l'esecuzione, previa notifica della
 presente ordinanza  alle  parti,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e previa la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei
 deputati e del Senato della Repubblica.
      Ferrara, addi' 21 febbraio 1990
                    Il pretore: (firma illeggibile)

 90C0495