N. 204 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 dicembre 1989

                                 N. 204
 Ordinanza  emessa  il  20  dicembre 1989 dal tribunale amministrativo
 regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da  Bonelli  Giovanni
 Battista contro il Ministero di grazia e giustizia ed altri
 Ordinamento  giudiziario  - Conferimento dell'incarico di procuratore
 generale presso la corte d'appello - Attribuzione di  detto  incarico
 per  anzianita'  e  merito  a  magistrati  di  Corte  di cassazione -
 Normativa ingiustificatamente (data la  essenziale  diversita'  delle
 rispettive  funzioni)  del  tutto  identica  a quella adottata per il
 conferimento dell'incarico di presidente di corte d'appello - Mancata
 previsione di criteri di nomina, diversi per le due ipotesi, idonei a
 delimitare la discrezionalita' amministrativa attribuita  in  materia
 al  Consiglio  superiore  della magistratura - Violazione, a causa di
 detta discrezionalita', della  riserva  di  legge  prevista  riguardo
 all'ordinamento  giudiziario,  per  assicurare  l'indipendenza  della
 magistratura, garantita  dalla  Costituzione  per  l'esercizio  delle
 funzioni requirenti oltre che per quelle giudicanti.
 (Legge  24  maggio 1951, n. 392, art. 6; r.d. 30 gennaio 1941, n. 12,
 art. 188).
 (Cost., artt. 107, 108 e 112).
(GU n.18 del 2-5-1990 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 1156/1987
 proposto dal dott. Bonelli Giovanni Battista, rappresentato e  difeso
 dagli  avv.ti Rinaldo Bonatti, Ercole Romano e prof. Riccardo Villata
 ed elettivamente domiciliato presso il primo in Milano,  via  Podgora
 n.  3,  contro  il  Ministero  di  grazia e giustizia ed il Consiglio
 superiore della  magistratura  (C.S.M.),  costituitisi  in  giudizio,
 rappresentati  e difesi dall'avvocatura di Stato e domiciliati presso
 la medesima in Milano, via Freguglia n. 1, e nei confronti del  dott.
 Beria  di Argentine Adolfo, costituitosi in giudizio, rappresentato e
 difeso dagli  avv.ti  prof.  Cesare  Ribolzi  ed  Ettore  Ribolzi  ed
 elettivamente  domiciliato  presso  i  medesimi  in  Milano, p.zza S.
 Ambrogio n. 10, per l'annullamento del decreto del  Presidente  della
 Repubblica,  presumibilmente  emesso  nel febbraio 1987, con il quale
 l'odierno controinteressato e' stato  nominato  procuratore  generale
 della  Repubblica  presso  la Corte d'appello di Milano, di tutti gli
 atti del procedimento conclusosi con  le  deliberazioni  del  C.S.M.,
 presumibilmente  del  28 gennaio 1987 e del 2 febbraio 1987, relative
 al  conferimento  del  suindicato   ufficio   direttivo   all'odierno
 controinteressato,   di  tutti  gli  atti  presupposti,  antecedenti,
 conseguenti  e  comunque  connessi  rispetto  al   predetto   decreto
 presidenziale  di  nomina, e segnatamente, delle determinazioni della
 commissione speciale del C.S.M. per il conferimento  degli  incarichi
 direttivi,  dell'atto  ministeriale  di  concerto, nonche' degli atti
 regolamentari e di indirizzo emanati del C.S.M. dei quali  risultasse
 essere  stata  fatta  applicazione  nel  procedimento  ai  fini della
 designazione e nomina di cui ai suidicati provvedimenti impugnati;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio degli intimati;
    Viste  le  memorie  prodotte  dalle parti a sostegno delle proprie
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito,  alla  pubblica  udienza  del  17 ottobre 1989, il relatore
 dott. Adriano Leo;
    Uditi,  altresi',  gli avv.ti Bonatti e Villata per il ricorrente,
 l'avv. dello Stato Onano per i resistenti, e  l'avv.  Cesare  Ribolzi
 per il controinteressato;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con  il  ricorso in oggetto, l'istante, magistrato con funzioni di
 consigliere istruttore dell'ufficio istruzione presso il tribunale di
 Milano  sin  dall'aprile  1983,  ha  impugnato  gli  atti in epigrafe
 specificati  relativi   alla   preposizione   del   controinteressato
 magistrato  all'ufficio  di  procuratore  generale  presso  la  corte
 d'appello di Milano;
    L'istante ha sostenuto l'illegittimita' degli atti gravati e ne ha
 chiesto l'annullamento, proponendo - con un unico motivo di ricorso -
 le  seguenti censure che egli si e' riservato di meglio illustrare in
 prosieguo:
    1) Violazione di legge (violazione delle norme del r.d. 30 gennaio
 1941, n. 12, e della legge 20 dicembre 1973, n. 831, che disciplinano
 il  conferimento ai magistrati degli uffici direttivi superiori, come
 applicabili alla luce delle statuizioni di  cui  alla  sentenza  7-10
 maggio 1982, n. 86, della Corte costituzionale;
    2) Violazione delle norme regolamentari ed indirizzi stabiliti dal
 C.S.M. - segnatamente con atti 4 marzo 1982 e 15 dicembre 1983 -  per
 il  conferimento  degli uffici direttivi, se applicabili ed applicati
 alla fattispecie;
    3)  Eccesso di potere per insufficiente ed inadeguata istruttoria,
 omessa o errata valutazione di elementi rilevanti per la  valutazione
 comparativa  fra  gli  aspiranti alla nomina, carenza, inadeguatezza,
 insufficienza, erroneita' ed incongruita' della motivazione  riguardo
 alla   valutazione   dei   requisiti  degli  aspiranti  alla  nomina,
 illogicita' e difetto di presupposti.
    Si  sono  costituiti in giudizio l'odierno controinteressato e gli
 intimati Ministero di grazia e giustizia e Consiglio superiore  della
 magistratura, allegando vari documenti.
    Presa  visione di quanto prodotto in giudizio, l'istante, con atto
 notificato il 29 giugno 1987 e  depositato  il  25  luglio  1987,  ha
 illustrato  la prima censura di ricorso. Piu' precisamente egli, dopo
 aver  rilevato  che  il  controinteressato,  pur  in  possesso  della
 qualifica  di  magistrato di Cassazione fin dal 1971, non aveva pero'
 mai svolto le  corrispondenti  funzioni  ovvero  altre  equiparate  a
 queste,  ha  sostenuto  doversi  giuridicamente escludere - alla luce
 della sentenza 10 maggio 1982, n. 86, della Corte costituzionale - la
 possibilita'  di  assegnazione  di  costui  ad  un  ufficio direttivo
 superiore come quello  a  cui  il  medesimo  e'  stato  preposto  con
 l'impugnato  decreto  presidenziale, il quale - unitamente ai gravati
 atti presupposti - sarebbe affetto da illegittimita'  per  violazione
 della calendata normativa di legge regolante la fattispecie.
    Con  memoria  depositata  il  24  settembre 1988, il ricorrente ha
 illustrato due doglianze e, precisamente, quella gia' trattata con il
 motivo aggiunto e l'altra concernente l'eccesso di potere per difetto
 di motivazione quanto alla comparazione dei requisiti degli aspiranti
 alla nomina in questione.
    Con memoria depositata il 24 settembre 1988, la difesa erariale ha
 sostenuto l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto la reiezione.
    Con   memoria   depositata   il   22   settembre  1988,  l'odierno
 controinteressato   ha,   anzitutto,   eccepito    l'improcedibilita'
 sopravvenuta del ricorso a causa di vicende riguardanti il ricorrente
 e concretantisi  nella  intervenuta  sottoposizione  del  medesimo  a
 procedimento  disciplinare  e  a  procedimento  ex art. 2 della legge
 delle guarantigie della magistratura, vicende che  impedirebbero  una
 eventuale  nomina  di  costui  all'ufficio direttivo superiore di che
 trattasi ove venisse rinnovato il procedimento  per  il  conferimento
 dello  stesso  a  seguito  dell'eventuale  accoglimento  del gravame.
 Inoltre, il controinteressato  ha  sostenuto  l'inaccoglibilita'  del
 ricorso  per  infondatezza  e,  in  parte,  per  inammissibilita' del
 medesimo a causa della  genericita'  di  alcuni  profili  di  censura
 denunciati dall'istante.
    Con  sentenza parziale 14 novembre 1988, n. 1024, questo t.a.r. ha
 respinto l'eccezione di  sopravvenuta  improcedibilita'  del  ricorso
 formulata  dal controinteressato, ha rigettato la prima doglianza del
 ricorrente ed ha disposto incombenti istruttori per rendere possibile
 la valutazione delle altre censure.
    Con  provvedimento 21 aprile 1989, n. 40, del presidente di questo
 t.a.r.,  e'  stata  ordinata,  su  richiesta  del  controinteressato,
 l'acquisizione di ulteriore documentazione.
    Con  memorie,  rispettivamente depositate in data 6 ottobre 1989 e
 in date 28 settembre 1989 e 5  ottobre  1989,  il  ricorrente  ed  il
 controinteressato hanno ribadito le loro tesi difensive.
    Alla pubblica udienza del 17 ottobre 1989, sentiti i patroni delle
 parti, la causa e' stata assunta in decisione.
    Nella  camera  di  consiglio  del  17 ottobre 1989, il collegio ha
 lasciato "riservata" la pronuncia  in  ordine  al  ricorso  e,  nella
 camera  di  consiglio del 20 dicembre 1989, il collegio ha sciolto la
 riserva decidendo di rimettere d'ufficio alla Corte costituzionale la
 questione   di  legittimita'  costituzionale  delle  norme  di  legge
 applicabili  alla  fattispecie,  precisate  nella   motivazione   del
 presente  provvedimento,  in  relazione ai precetti di cui agli artt.
 107, terzo e quarto comma, 112 e 108 della Costituzione; questione di
 legittimita'  costituzionale,  quella in discorso, che il collegio ha
 reputato rilevante ai fini della decisione del proposto ricorso e non
 manifestamente infondata per le ragioni che vengono esposte infra.
                             D I R I T T O
    1.  -  Sono  impugnati  avanti  a  questo  t.a.r.,  sezione  I,  i
 provvedimenti indicati in epigrafe.
    2.  -  Pregiudizialmente,  la  sezione  ritiene  di dover rilevare
 d'ufficio  la  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
 illegittimita'    costituzionale    delle    norme   sull'ordinamento
 giudiziario - indicate in seguito - nella parte in cui "disciplinano"
 (rectius:  "non disciplinano") il conferimento dell'ufficio direttivo
 di procuratore generale presso la corte d'appello.
    La questione si articola nei seguenti punti:
       a)   la   Costituzione,   al   titolo   quarto  intitolato  "La
 Magistratura" e - in particolare - agli artt.  107,  terzo  e  quarto
 comma, 112 e 108, considerati nel quadro di un costituzionale disegno
 unitario, senza prevedere una riserva relativa  di  legge,  volta  ad
 assicurare  al pubblico ministero in genere, sia esso "ordinario" (e,
 cioe', presso la giurisdizione "ordinaria"), sia esso "speciale"  (e,
 cioe',   presso   le   giurisdizioni   "speciali"),   "garanzie"   di
 "indipendenza" tendenzialmente uguali a quelle dei  giudici  pur  nei
 limiti   consentiti  dalla  specificita'  delle  funzioni  a  cui  le
 "garanzie di indipendenza" sono ordinate;
       b) la riserva di legge sub a) concerne gli uffici del p.m., non
 soltanto nel momento del loro "operare", ma anche nel momento in  cui
 vengono costituiti; e quindi, anche nel momento della nomina dei capi
 degli uffici;
       c) la riserva di legge sub a) sembra essere stata violata dalle
 vigenti norme sull'ordinamento giudiziario (e, in particolare,  dagli
 artt. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392, e 188 del r.d. 30 gennaio
 1941, n. 12: quest'ultimo, nei limiti  in  cui  e'  ancora  vigente),
 nella parte in cui tali norme non dettano alcuna effettiva disciplina
 (e, quindi, neanche "criteri idonei" sul  conferimento  degli  uffici
 come  quello  in esame. Cio' perche', le disposizioni de quibus, solo
 apparentemente contengono una  disciplina  della  materia  in  esame,
 mentre  in  realta' contengono una "non disciplina": come risulta dal
 fatto che esse regolano nell'identico modo il conferimento di  uffici
 direttivi  essenzialmente diversi fra loro, quali sono ad esempio gli
 uffici (giurisdizionali) di presidente della corte  d'appello  e  gli
 uffici  (non giurisdizionali) di procuratore generale presso la corte
 d'appello.
    3.1. - Quanto al punto sub 2 A (e, cioe', alla "sussistenza" della
 riserva relativa): va ricordato anzitutto l'art. 107,  ultimo  comma,
 della Costituzione secondo cui "il p.m. gode delle garanzie stabilite
 nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario".  Va  poi
 tenuto presente, anche, il successivo art. 108 che, al secondo comma,
 cosi' dispone: "La legge assicura l'indipendenza  dei  giudici  delle
 giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli
 estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia".
    3.2.  -  Collocando  le  due  norme  costituzionali predette in un
 quadro normativo unitario (data l'evidente unitarieta'  della  figura
 del p.m.: unitarieta' derivante dal fatto che - tanto se "ordinario",
 quanto  se  "speciale"  -  esso  e'   posto   sempre   "presso"   una
 giurisdizione  e  la  sua  attivita'  e' sempre in funzione di quella
 giurisdizionale: cfr. infra sub par. 3.3), sembra potersi dedurre che
 spetta   alla   legge   di   "stabilire  ed  assicurare  garanzie  di
 indipendenza" del pubblico ministero ordinario speciale.
    3.3.  -  Dovendosi,  poi,  precisare  - per completezza - di quale
 intensita' ed ampiezza siano le "garanzie di  indipendenza"  che,  la
 legge "e' tenuta" ad assicurare al p.m., puo' essere utile il ricorso
 all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, sopra citato. Questo
 prevede  per  il  p.m.  una "indipendenza" che - pur nei limiti della
 specificita' della sua funzione - non puo' essere  minore  di  quella
 prevista  per  i  "giudici delle giurisdizioni speciali": cio' sembra
 potersi dedurre dal tenore della norma, la quale non distingue fra la
 "indipendenza" dei "giudici delle giurisdizioni speciali", quella del
 p.m.  presso  di  esse  e  quella  degli  estranei  che   partecipano
 all'amministrazione della giustizia.
    Ove   poi   si   pensi   alla  costituzionale  "unitarieta'  della
 giurisdizione" (cfr. Cons. St., ad. plen. 16 dicembre  1983,  n.  27,
 confortata  dall'adesione  di  una autorevole sede parlamentare: cfr.
 Camera dei deputati, IX legislatura; doc. n. 1353, 1803-A;  relazione
 della  I Commissione permanente, rel. Sullo, in tema di giurisdizione
 amministrativa),    appare    evidente    anche    la    "unitarieta'
 costituzionale" del pubblico ministero presso le varie giurisdizioni.
    3.4.  -  Concludendo su questo punto (parr. 3.1./3.3.), ritiene il
 collegio che esista una riserva relativa di legge, per cui a tutte le
 specifiche  figure  del  p.m.  devono  essere  assicurate garanzie di
 indipendenza che siano tendenzialmente uguali a quelle previste per i
 giudici.
    4.  -  Al  punto  2 B): solo per completezza va esplicitato che le
 garanzie di indipendenza del p.m. devono riguardare non  soltanto  il
 momento  in cui l'ufficio del p.m. opera, ma anche quello in cui esso
 e' costituito e, quindi, anche  il  momento  della  nomina  del  capo
 dell'ufficio del p.m. presso la corte d'appello.
    Sembra  evidente,  infatti,  che  il p.m. non avrebbe quella piena
 garanzia di indipendenza (o, comunque, questa non avrebbe  l'ampiezza
 e  l'intensita' volute dalla Costituzione) se, per la nomina del capo
 dell'ufficio direttivo  del  p.m.  presso  la  corte  d'appello,  non
 valesse la riserva relativa de qua.
   5.1.  -  Quanto  al  punto  2 C) sulla sussistenza della violazione
 della "riserva relativa di legge" de qua, sembra al collegio che tale
 violazione sussista, per i seguenti motivi:
       a)  la  riserva  relativa  di legge - anche nel caso in esame -
 comporta non soltanto che la  disciplina  della  nomina  agli  uffici
 direttivi  del p.m. trovi la sua base nella legge, ma altresi' che la
 legge "indichi criteri idonei a delimitare la  discrezionalita'"  del
 Consiglio  superiore  della  magistratura,  si'  da non lasciare allo
 "arbitrio" di esso la determinazione dei criteri  predetti  (arg.  ex
 sent. Corte costituzionale n. 47/1957);
       b)  nella  specie,  le varie leggi sull'ordinamento giudiziario
 hanno previsto la nomina agli uffici direttivi in esame; esse pero' -
 salvo  errore  -  hanno  sempre omesso di indicare "criteri idonei" a
 delimitare  "la  discrezionalita'"  del  Consiglio  superiore   della
 magistratura,  in  subiecta materia: con la conseguenza che i criteri
 oggi applicati, per la nomina all'ufficio direttivo de quo,  sono  in
 realta'   espressione  della  "discrezionalita'  amministrativa"  del
 Consiglio  superiore   della   magistratura,   e   non   gia'   della
 "discrezionalita' legislativa" del Parlamento.
    5.2. - La mancanza - nelle leggi - di "criteri idonei", ai fini in
 esame, sembra sussistente, ove si pensi -  fra  l'altro  -  che  tali
 leggi  dettano  la  medesima  disciplina  per  regolare  due  materie
 essenzialmente diverse fra loro: quella relativa al  conferimento  di
 "uffici  direttivi giurisdizionali" e quella relativa al conferimento
 di "uffici direttivi del pubblico ministero".
    E  sembra  evidente  che il legislatore pone una "non disciplina",
 quando regola con le stesse disposizioni  due  fattispecie  che,  nel
 disegno costituzionale sono essenzialmente diverse fra loro.
    5.3.  - Sulla diversita' "costituzionale" - quanto all'essenza fra
 la funzione  giurisdizionale  (incentrata  nello  jus  dicere)  e  la
 funzione  del  p.m. (incentrata in un facere, espresso nell'"obbligo"
 di "esercitare l'azione penale": art. 112 della Costituzione)  sembra
 sufficiente  ricordare  gli  insegnamenti  che  seguono  della  Corte
 costituzionale: a) "la Costituzione, nell'art. 108, secondo comma, ha
 distinto  gli  organi del p.m. da quelli giurisdizionali e, nell'art.
 112, ha attribuito al p.m. la titolarieta' dell'azione penale, che e'
 ben  diversa  dalla  potesta'  di  giudicare,  pur  coordinandosi con
 l'attivita' decisoria, in un rapporto di compenetrazione organica, ai
 fini  di giustizia (vedasi la motivazione della sentenza n. 96/1975)"
 (sentenza 9-16 marzo 1976, n. 52);
       b)  la  "Corte  ha piu' volte avuto occasione di raffrontare la
 posizione giuridica del p.m.  e  quella  delle  parti,  ai  fini  del
 controllo  sulla  tutela  del  principio di eguaglianza, considerando
 parimenti l'uno e le altre, nella dialettica del processo, come parti
 (sentt.  n. 190/1970; n. 177/1971 e n. 27/1972)" (sentenza 9-16 marzo
 1976, n. 50);
       c)  "a  differenza  delle  garanzie  di  indipendenza  previste
 dall'art. 101 della Costituzione, a  presidio  del  singolo  giudice,
 quelle   che   riguardano   il   p.m.   si   riferiscono  all'ufficio
 unitariamente inteso e non ai singoli componenti di  esso"  (sentenza
 9-16 marzo 1976, n. 52).
    E'  noto,  poi,  che  soltanto  l'atto tipico in cui si esprime la
 funzione giurisdizionale (la sentenza, cioe') e' idoneo a passare  in
 cosa  giudicata.  Solo  esso,  quindi,  possiede  quella fondamentale
 idoneita' caratterizzante per cui facit  de  albo  nigrum  ed  aequat
 quadrata  rotundis,  come e' stato detto esattamente sia pure con una
 certa enfasi.
    La  diversita'  essenziale degli "atti tipici" delle due funzioni,
 non puo' differenziare anche le due funzioni e gli uffici a cui  essi
 si  riferiscono,  dato  che gli "atti" sono la ragione d'essere delle
 "funzioni" e dei relativi "uffici".
    6.1.   -   Poste   le  considerazioni  che  precedono,  a  maggior
 chiarimento, sembra  al  collegio  di  poter  ulteriormente  rilevare
 quanto  segue:  Del  problema  della preposizione ad uffici direttivi
 superiori  della  magistratura,  e  in  particolare  all'ufficio   di
 procuratore    generale    di    corte    d'appello,   la   normativa
 sull'ordinamento giudiziario si e' occupata nell'art. 188 del r.d. n.
 12/1941 e nell'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392. La prima di
 tali norme (nel testo modificato con l'art. 41 del r.d.l.  31  maggio
 1946,  n.  511)  e'  del  seguente  tenore:  "le  promozioni  a primo
 presidente di corte d'appello e gradi parificati sono conferite. .  .
 a  magistrati  aventi  almeno  cinque anni di grado di consigliere di
 corte di cassazione od equiparato scelti fra coloro che, per il  modo
 col  quale  hanno  esercitato  le  loro funzioni, per i precedenti di
 carriera  e  per  speciali  incarichi  assolti,  risultano  non  solo
 distinti  per  cultura  giuridica,  ma anche particolarmente adatti a
 funzioni  direttive".  La  seconda  norma  (art.  6  della  legge  n.
 392/1951) statuisce che "sono conferiti per anzianita' e per merito a
 magistrati di corte di cassazione i seguenti uffici direttivi:
      3).  .  .  di  presidente delle corti d'appello e di procuratore
 generale presso le stesse corti".
    Deve, tuttavia, osservarsi, che in dette norme appare privilegiato
 il carattere direttivo delle funzioni inerenti ai menzionati  uffici,
 ma  non si e' tenuto conto di altre essenziali differenze ontologiche
 sussistenti  fra  tali  funzioni.  Di  cio'  si  ha   riprova   nella
 circostanza  che  per  il conferimento di tutti gli uffici giudiziari
 superiori sono stati dettati,  con  disposizione  unica,  gli  stessi
 criteri  di  scelta.  E' cosi' stata ignorata la pregnante diversita'
 esistente tra la funzione giurisdizionale e la funzione del  pubblico
 ministero  (supra  par.  5.3.).  In  particolare,  non  si  e'  posta
 attenzione  al  fatto  che  l'organizzazione  della  prima  e'   cosa
 essenzialmente    diversa    dall'organizzazione    della    seconda.
 Conseguentemente, non si e' tenuto conto del fatto che la  diversita'
 di  funzione  impone la pregiudiziale necessita' di prevedere criteri
 differenti per  valutare  l'idoneita'  degli  aspiranti  a  ricoprire
 uffici  giudiziari  superiori  a  seconda  che  questi  si collochino
 nell'ambito dell'attivita' giurisdizionale strettamente intesa ovvero
 nell'ambito di attivita' del pubblico ministero.
    6.2.  - Valutata, dunque, la obiettiva diversita' dello ius dicere
 e  della  sua  organizzazione  rispetto  all'attivita'  del  pubblico
 ministero  -  che sono tenute ben distinte dalla Carta costituzionale
 (artt.  107,  terzo  e  quarto  comma,  e   112   -   sarebbe   stata
 costituzionalmente necessaria, ad avviso del collegio, una diversita'
 di disciplina in ordine ai criteri - da porsi con  legge  (art.  108,
 primo  comma,  della  Costituzione)  -  in  base  ai  quali pervenire
 all'assegnazione  di  magistrati   ai   diversi   uffici   giudiziari
 superiori.
    7.  -  Conclusivamente: cio' che importa rilevare e' il fatto che,
 alla stregua del  dettato  costituzionale,  l'altissima  funzione  di
 stabilire  la  disciplina  della  magistratura  - intesa come "ordine
 autonomo ed indipendente  da  ogni  altro  potere"  (art.  104  della
 Costituzione)  - e del p.m. e' funzione riservata alla sovranita' del
 Parlamento e non puo', quindi, essere trasferita  ad  organi  diversi
 sia  pure  di  altissimo  livello  come  il Consiglio superiore della
 magistratura.
    Sarebbero,  infatti,  violate  le  garanzie  di indipendenza della
 magistratura e del p.m. e,  con  queste,  anche  il  principio  della
 soggezione  di  essi  soltanto alla legge, se le nomine ai piu' volte
 menzionati uffici superiori fossero riferibili non alla voluntas  del
 legislatore - sia pure estrinsecata nella riserva relativa di legge -
 ma alla voluntas del C.S.M. che, pur di livello molto elevato, non ha
 tuttavia   la  posizione  "giuridico-politica"  che  la  Costituzione
 assegna al Parlamento.
    8.  -  Sulla  base di quanto sopra evidenziato, il collegio dubita
 che, in relazione agli artt. 107, terzo e quarto comma,  108  e  112,
 primo  comma,  della  Costituzione,  possa  dirsi  costituzionalmente
 legittima, nella parte in cui si riferisce alla nomina di procuratore
 generale  di  corte d'appello, la normativa di legge disciplinante la
 preposizione ad uffici superiori giudiziari (segnatamente,  l'art.  6
 della  legge 24 maggio 1951, n. 392, e l'art. 188 del r.d. 30 gennaio
 1941, n. 12, quest'ultimo nei limiti in cui e' ancora applicabile).
    Stanti  i detti dubbi, il collegio ritiene di dover rimettere alla
 Corte  costituzionale  la  questione  di  legittimita'  delle  teste'
 specificate   norme  sull'ordinamento  giudiziario  in  relazione  ai
 suindicati articoli della Costituzione, apparendo tale questione come
 rilevante  nel presente processo amministrativo a causa del fatto che
 comunque, per la risoluzione della controversia, deve necessariamente
 farsi capo alle norme di legge in discorso, delle quali il ricorrente
 ha lamentato la violazione nel caso di specie.
                                P. Q. M.
    Visti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11  marzo  1953,
 n. 87;
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, deferisce
 alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale
 degli  artt.  6 della legge 24 maggio 1951, n. 392, e 188 del r.d. 30
 gennaio 1941, n. 12 (di quest'ultimo, nei limiti  in  cui  e'  ancora
 applicabile),  per quanto attiene alla nomina di procuratore generale
 della corte d'appello, in relazione agli artt. 107,  terzo  e  quarto
 comma, 112 e 108, primo comma, della Costituzione;
    Sospende  il giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  alla  segreteria  di notificare la presente ordinanza alle
 parti del giudizio ed al Presidente del Consiglio dei Ministri  e  di
 comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Milano,  il  20  dicembre  1989,  dal tribunale
 amministrativo regionale per la Lombardia.
                        Il presidente: MANGIONE
    Il consigliere estensore: LEO
   Il referendario: PIAZZA
 90C0497