N. 15 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 5 maggio 1990

                                 N. 15
 Ricorso  per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 5
 maggio 1990 (della regione Toscana)
 Agricoltura  - Disposizioni di adattamento alla realta' nazionale del
 regime di aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione di  cui
 al regolamento CEE del Consiglio delle Comunita' europee n.  797/1985
 - Finanziamenti ed aiuti finalizzati al ritiro dei  seminativi  dalla
 produzione  - Domande per la concessione dei contributi - Istruttoria
 e controlli - Introduzione di un nuovo ruolo  di  intervento  diretto
 dei  Ministeri dell'agricoltura e del tesoro - Asserito contrasto con
 la precedente normativa incentrata sul ruolo regionale.
 (Decreto  del  Ministro dell'agricoltura e delle foreste n. 35 dell'8
 febbraio 1990, artt. 1, 8 e 9).
 (Cost.,  artt.  117  e  118,  in  relazione  all'art. 6 del d.P.R. n.
 616/1977, all'art. 5 della  legge  8  novembre  1986,  n.  752;  alle
 deliberazioni  del CIPE in ordine alla definizione e al coordinamento
 - ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge n. 183/1987 -  del
 programma  degli interventi finanziari da effettuarsi nell'anno 1990;
 all'art. 11 della legge n. 183/1977 e all'art. 4,  settimo  e  ottavo
 comma, della legge n. 86/1989).
(GU n.21 del 23-5-1990 )
   Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione della regione Toscana, in
 persona del  presidente  pro-tempore  della  giunta  regionale,  sig.
 Gianfranco  Bartolini, autorizzato con deliberazione g.r. n. 3391 del
 17 aprile 1990, rappresentato e difeso dal prof. avv. Mario P. Chiti,
 ed  elettivamente  domiciliato  in Roma, via G.B. Vico, 29, presso lo
 studio dell'avv. Piero D'Amelio, come da delega in calce al  presente
 atto  contro  il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in
 relazione al decreto  del  Ministero  dell'agricoltura  e  foreste  8
 febbraio  1990,  n.  35, recante "Regolamento recante disposizioni di
 adattamento alla realta' nazionale del regime di aiuti per il  ritiro
 di  seminativi  dalla  produzione  di  cui  al  regolamento  CEE  del
 consiglio delle Comunita'  europee  n.  797/1985",  pubblicato  nella
 Gazzetta  Ufficiale,  supplemento  ordinario,  n.  14 del 27 febbraio
 1990, ed in particolare agli artt. 1, 8 e 9.
                   PREMESSE ISTITUZIONALI E DI FATTO
    1.  -  Con  il  decreto del Ministero dell'agricoltura e foreste 8
 febbraio 1990,  n.  35,  si  e'  approvato  il  "Regolamento  recante
 disposizioni  di  adattamento  alla  realta'  nazionale del regime di
 aiuti per  il  ritiro  di  seminativi  dalla  produzione  di  cui  al
 regolamento CEE del consiglio delle Comunita' europee n. 797/1985".
    Come  e' precisato all'art. 1 del citato d.m. n. 35/1990, la nuova
 disciplina  viene  assunta  allo  "scopo  di  adattare  alla  realta'
 nazionale  le  disposizioni contenute nel regolamento CEE n. 797/1985
 del consiglio delle  Comunita'  europee,  limitatamente  al  previsto
 regime  di  aiuti  per  il  ritiro  dei seminativi dalla produzione".
 Merita notare fin d'ora che le innovazioni  modificano  profondamente
 il  quadro delle disposizioni nazionali di attuazione del regolamento
 CEE n. 797/1985, di cui ai decreti ministeriali  12  e  26  settembre
 1985,  26  marzo  1986  e n. 34 del 16 gennaio 1989. Quest'ultimo, in
 particolare, viene sostituito con l'impugnato decreto n. 35/1990 "per
 tener  conto  -  come  si  sostiene  in  premessa  -  dell'esperienza
 acquisita durante la prima campagna di  applicazione  del  regime  di
 aiuti  e  delle  modifiche,  nonche'  dei  chiarimenti  relativi alla
 normativa comunitaria". La rilevanza  delle  modifiche  e'  oltremodo
 significativa  in  riferimento  al nuovo quadro delle competenze, che
 alla regione Toscana appare incostituzionale, come di  seguito  sara'
 meglio evidenziato.
    2.  - Il d.m. n. 35/1990 interviene nel contesto della disciplina,
 essenzialmente comunitaria, rivolta al miglioramento  dell'efficienza
 delle  strutture  agricole. Norme base in materia sono, oltre al gia'
 citato regolamento CEE n. 797/1985, il regolamento del  consiglio  n.
 1094/1988,  ed  i  regolamenti  della commissione nn. 1272 e 1273 del
 1988.
    Sinora,  gli interventi di attuazione della disciplina comunitaria
 sono stati correttamente attribuiti  nel  rispetto  delle  competenze
 istituzionali,  previste  dall'art.  6  del  d.P.R.  n. 616/1977 (che
 trasferisce  alle  regioni  le   funzioni   amministrative   relative
 all'applicazione  dei  regolamenti  delle  Comunita'  europee,  nelle
 materie di loro competenza) e dall'art.  5  della  legge  8  novembre
 1986,  n.  752,  recante  "Legge  pluriennale  per l'attuazione degli
 interventi programmati in agricoltura" (in riferimento specifico agli
 interventi previsti dal regolamento CEE n. 797/1985).
    Tale  quadro  normativo  ed  operativo  e' stato ribadito e meglio
 precisato a seguito dell'entrata in  vigore  della  legge  16  aprile
 1983,   n.   183,   concernente   il  coordinamento  delle  politiche
 riguardanti l'appartenenza dell'Italia  alle  Comunita'  europee.  E'
 stato  infatti istituito il fondo di rotazione per l'attuazione delle
 politiche comunitarie (la cui organizzazione e le cui procedure  sono
 ora  regolate  con  il d.P.R. 29 dicembre 1988, n. 568) ed il CIPE ha
 determinato il programma degli interventi finanziari  da  effettuarsi
 mediante il concorso comunitario.
    In particolare, il CIPE ha deliberato in data 12 settembre 1989 il
 fabbisogno finanziario, statale e regionale, connesso  all'attuazione
 delle  politiche comunitarie; e di recente con deliberazione 15 marzo
 1990 - ovvero di pochi giorni successivo al decreto  impugnato  -  ha
 definito  le linee di intervento ed i collegati volumi finanziari per
 il settore "agricoltura".
    La legge n. 183/1987 e, piu' organicamente, la legge 9 marzo 1989,
 n. 86 (recante "Norme generali sulla  partecipazione  dell'Italia  al
 processo  normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli
 abblighi comunitari"), hanno poi esteso le competenze  delle  regioni
 sia   speciali   che   ordinarie  per  l'attuazione  delle  direttive
 comunitarie e per l'attuazione degli atti normativi comunitari in via
 amministrativa (rispettivamente art. 9 della legge n. 86/1989; e art.
 11 della legge n. 183/1987 e art. 4, settimo e  ottavo  comma,  della
 legge n. 86/1989).
    3. - Dal richiamato quadro normativo risulta:
       a)  la  competenza  regionale  in  ordine  all'applicazione dei
 regolamenti comunitai; nel caso, in materia di agricoltura;
       b)  la specifica responsabilita' regionale per l'attuazione del
 regolamento CEE n. 797/1985, ivi compresi gli interventi finanziari;
       c)  le  modalita'  dei  trasferimenti  finanziari  alle regioni
 attraverso il fondo di rotazione citato;
       d) l'insussistenza di alcune delle situazioni previste all'art.
 71 del d.P.R. n. 616/1977,  che  possono  giustificare  il  permanere
 delle  competenze  statali;  ed  in particolare l'insussistenza della
 situazione ivi definita "interventi di  interesse  nazionale  per  la
 regolazione del mercato agricolo".
    Svolgendo  piu'  analiticamente  questi punti, e' ben noto - anche
 alla luce della copiosa giurisprudenza della Corte  costituzionale  -
 l'ampio  margine  riconosciuto  agli  interventi  regionali.  Come e'
 scritto nella sentenza n. 433/1987: "la materia 'agricoltura'  assume
 un   autonomo   e   distinto   rilievo  rispetto  alla  'politica  (o
 regolazione)  dei  prezzi  e  dei   mercati'   in   quanto   riguarda
 direttamente  la produzione e le strutture produttive (programmazione
 della   produzione,   interventi   sulle    dimensioni    produttive,
 riconversioni,  ecc.).  Cio' significa che, contrariamente a quel che
 suppone l'avvocatura dello Stato, ai fini  della  ripartizione  delle
 competenze  tra Stato e regioni (o province autonome), gli interventi
 diretti sulla struttura degli  operatori  economici  o  delle  unita'
 produttive,  anche  se questi ultimi si collocano ovviamente sul lato
 dell'offerta dei prodotti, non possono essere confusi con quelli  sul
 mercato,  vale  a  dire con gli interventi immediatamente incidentali
 sullo sbocco finale di  una  determinata  produzione  e,  come  tali,
 direttamente  attinenti all'incontro tra domanda e offerta, oltreche'
 ai relativi termini e prezzi (costi  di  produzione,  prezzi  finali,
 ecc.)".
    Alla  luce di questi principi, il regolamento CEE n. 797/1985 e la
 connessa altra normativa sono finalizzati ad interventi  strutturali,
 che  non possono in alcun modo essere confusi con interventi relativi
 a prezzi e termini del mercato agricolo.
    La  Corte  e' ben attenta a tenere distinti i due problemi perche'
 altrimenti si rischierebbe di arrivare "a definizioni  della  materia
 in   grado  di  vanificare  del  tutto  la  competenza  regionale  in
 agricoltura, per il semplice fatto che ogni attivita' agricola e'  in
 definitiva  strumentale  rispetto  al  mercato" (sentenza n. 433/1987
 cit.).  Cosi'   come   e'   attenta   a   riconoscere   elementi   di
 procedimentalizzazione    dell'interesse   nazionale   (sentenza   n.
 994/1988), nel caso del tutto assente.
    Per quanto riguarda poi specificamente l'attuazione delregolamento
 CEE n. 797/1985 e successive modificazioni ed integrazioni, il  ruolo
 regionale e' stato sinora primario ed incontestato.
    Come gia' richiamato, l'art. 5 della legge n. 752/1986 prevede che
 le regioni e le province  autonome  siano  i  soggetti  attuatori  di
 questa politica comunitaria relativa la miglioramento dell'efficienza
 delle strutture agrarie.
    Le  deliberazioni  CIPE  del 12 settembre 1989 e del 15 marzo 1990
 confermano tale assunto, riconoscendo per il  1990  alle  regioni  un
 ruolo assolutamente predominante nell'attuazione dei regolamenti CEE.
 Ad esse spettano per l'anno in corso 661,800 miliardi, di cui 403 per
 l'attuazione  del  solo  regolamento  CEE  n. 797/1985; nel mentre al
 Ministero  dell'agricoltura  ed  all'A.I.M.A.  spettano  -   per   la
 realizzazione  di particolari interventi orizzontali o interregionali
 - solo 83 miliardi complessivi e 10 per il citato regolamento;  cosi'
 come  il  Fondo di rotazione provvedera' direttamente per complessivi
 155 miliardi, di cui 75 per il medesimo regolamento.
    Proprio  nella specifica materia considerata - aiuti per il ritiro
 di seminativi dalla produzione - lo stesso Ministero dell'agricoltura
 aveva,del  resto,  sempre riconosciuto la competenza in materia delle
 regioni e delle province autonome. Cosi', anche  nel  citato  decreto
 ministeriale  16  gennaio  1989,  n.  34,  sul  medesimo  tema ed ora
 sostituito, e' scritto esplicitamente (art.  1,  secondo  comma)  che
 "l'intervento  e'  attuato  dalle  regioni a statuto ordinario, dalle
 regioni a statuto speciale e dalle  province  autonome  di  Trento  e
 Bolzano". In conseguenza, l'intera procedura - istruzione, decisione,
 controllo sulle aziende - era affidata alle regioni.
    4.  -  Con  il  decreto  ministeriale  8 febbraio 1990, n. 35, qui
 impugnato, il Ministero dell'agricoltura modifica  inopinatamente  il
 qudro  normativo delle competenze relativamente al regime degli aiuti
 per il ritiro dei seminativi dalla produzione. Nessun mutamento nella
 regolamentazione  comunitaria  e nazionale e' di recente intervenuto,
 si' che appare ingiustificabile  l'appropriazione  di  competenze  da
 parte   del  Ministero  dell'agricoltura  in  spregio  ai  richiamati
 principi  sull'applicazione  dei  regolamenti  comunitari   e   sulla
 specifica  materia  del miglioramento dell'efficienza delle strutture
 agricole.
    Ad  unica  motivazione - invero del tutto generica e comunque tale
 da non poter alterare l'ordine istituzionale delle  competenze  -  la
 premessa  del  decreto  riporta  la  criptica  frase: "Considerata la
 necessita' di sostituirlo  (il  d.m.  n.  34/1989)  con  il  presente
 provvedimento  a  valere  dalla  compagna  1989/90  per  tener  conto
 dell'esperienza acquisita durante la prima campagna  di  applicazione
 del  regime  di  aiuti).  Nonche',  un  vago riferimento a non meglio
 precisati "chiarimenti relativi alla normativa comunitaria" ( sic).
    Una  prospettiva, come si puo' vedere, piu' consona ad un rapporto
 di gerarchia in cui il  superiore,  considerato  il  preteso  cattivo
 funzionamento  degli  organi  sottordinati,  avoca  a se' le relative
 competenze. Configurazione che, gia'  recessiva  nell'ambito  di  una
 medesima  amministrazione,  e'  ovviamente del tutto inconferente nei
 rapporti Stato-regioni.
    5.  - Pur se l'intero d.m. 8 febbraio 1990, n. 35, appare ispirato
 ad  un  modello  organizzativo  e  procedimentale  non   conforme   a
 Costituzione,  tre  appaiono  i  punti  maggiormente  criticabili. Si
 tratta di quanto previsto agli artt. 1, 8 e  9,  che  saranno  dunque
 presi    in    considerazione    analiticamente    per    dimostrarne
 l'illegittimita'.
    I.  -  Illegittimita'  dell'art.  1,  secondo  comma,  del  d.m. 8
 febbraio 1990, n. 35, per violazione degli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione,  in  riferimento  all'art.  6  del  d.P.R. n. 616/1977;
 all'art. 5 della legge 8 novembre 1986, n.  752;  alle  deliberazioni
 del  CIPE  in  ordine  alla  definizione  e  coordinamento - ai sensi
 dell'art. 3, secondo comma, della legge n. 183/1987 -  del  programma
 degli  interventi  finanziari da effettuarsi, nel corso del 1190, con
 il concorso comunitario; nonche' ai nuovi principi (art. 11 legge  n.
 183/1977  e  art.  4, settimo e ottavo comma, della legge n. 86/1989)
 sull'attuazione degli atti normativi comunitari in via amministrativa
 da parte delle regioni.
    Alle  regioni ordinarie sono attribuite le funzioni amministrative
 relative all'applicazione dei regolamenti della  Comunita'  economica
 europea,  nelle  materie  di  loro  competenza  (art. 6 del d.P.R. n.
 616/1977). La piu' recente normativa nazionale in materia comunitaria
 ha  poi  esteso  tale  competenza,  riconoscendo  alle  regioni ampie
 possibilita' di attuare direttamente in via amministrativa  gli  atti
 normativi  comunitari  (art.  11  della  legge  n. 183/1987 e art. 4,
 settimo ed ottavo comma, della legge n. 86/1989).
    In  riferimento  specifico  all'attuazione  del regolamento CEE n.
 797/1985, la competenza regionale e' stata  costantemente  confermata
 dalla legislazione nazionale (legge 8 novembre 1986, n. 752, art. 5);
 dalle  delibere  CIPE  in  occasione  delle  deliberazioni   per   la
 definizione e coordinamento dei programmi degli interventi finanziari
 da effettuarsi nel corso del 1990, con il  concorso  comunitario  (le
 piu'  recenti  sono  la  delibera  12 settembre 1989 e la delibera 15
 marzo 1990); e dagli stessi decreti del  Ministero  dell'agricoltura,
 fino a quello impugnato (cfr. tra gli altri i decreti ministeriali 12
 e 26 settembre 1985 e 16 gennaio 1989, n. 34).
    Su  queste  circostanze ci si e' dilungati nelle premesse, si' che
 possiamo senz'altro considerarle acquisite.
    L'art.  1,  secondo  comma,  dell'impugnato  d.m. n. 35/1990 rompe
 l'ordine legittimo delle competenze prevedendo che  "l'intervento  e'
 attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal Ministero
 del tesoro, dalle  regioni  a  statuto  ordinario,  delle  regioni  a
 statuto   speciale,   dalla   provincia   autonoma   di   Bolzano   e
 dall'A.I.M.A.".
    Rispetto  al sistema precedente (sul tema specifico degli aiuti al
 ritiro dei seminativi dalla produzione, ribadito dal d.m. 16  gennaio
 1989, n. 34, ora sostituito), affidato all'esclusiva competenza delle
 regioni e delle province autonome, il d.m. n. 35/1990,  introduce  un
 nuovo ruolo di intervento diretto del Ministero dell'agricoltura, del
 Ministero del tesoro e dell'A.I.M.A., in contrasto  evidente  con  la
 richiamata normativa.
    Il   sistema  dei  finanziamenti  e  degli  aiuti  finalizzati  al
 miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie, ed alle  altre
 finalita'  di  politica  agricola strutturale si e' sempre incentrato
 sul ruolo regionale, rispetto  al  quale  il  Ministero  e,  piu'  di
 recente,  il  fondo  regionale  ex  legge  n.  183/1987  hanno svolto
 attivita' meramente integrative. Basti  pensare  all'ammontare  degli
 interventi  finanziari  per  l'attuazione del regolamento n. 797/1985
 affidati dalla delibera CIPE del 15 marzo 1990 alle regioni e quelli,
 ben  piu'  modesti  globalmente e finalizzati a problemi particolari,
 riconosciuti al Ministero ed al fondo di rotazione.
    In  particolare,  la  delibera CIPE, piu' volte richiamata, del 15
 marzo  1990  per  la  definizione  del  programma  degli   interventi
 finanziari da effettuarsi nel 1990 con il concorso comunitario, e' da
 intendersi come riassunto e conferma del sistema delle competenze  di
 interventi  infrastrutturali e strutturali in agricoltura discendenti
 dalla normativa comunitaria, ed in particolare dal regolamento CEE n.
 797/1985.
    E'  allora  evidente  che  il  d.m.  impugnato  altera  del  tutto
 illegittimamente il sistema delle competenze in materia,  attribuendo
 uno  specifico  ruolo al Ministero dell'atricoltura, al Ministero del
 tesoro e all'A.I.M.A., non giustificato ne' giustificabile.
    II.  -  Illegittimita' degli artt. 8 e 9 del d.m. 8 febbraio 1990,
 n. 35, per violazione degli artt. 117 e 118  della  Costituzione,  in
 riferimento all'art. 6 del d.P.R. n. 616/1977; all'art. 5 della legge
 8 novembre 1986, n. 752; alle deliberazioni del CIPE in  ordine  alla
 definizione  e  coordinamento  - ai sensi dell'art. 3, secondo comma,
 della legge n. 183/1987 - del programma degli  interventi  finanziari
 da  effettuarsi,  nel  corso  del  1990, con il concorso comunitario;
 nonche' ai nuovi principi (art. 11 della legge n. 183/1977 e art.  4,
 settimo  ed  ottavo  comma,  della  legge n. 86/1989) sull'attuazione
 degli atti normativi comunitari in via amministrativa da parte  delle
 regioni.
    Il  disegno  istituzionale  sotteso  al  d.m. n. 35/1990 impugnato
 ulteriormente  si  chiarisce   nella   sua   incostituzionalita'   in
 riferimento  anche  al  disposto  degli  artt. 8 e 9, rispettivamente
 riguardanti le domande di aiuto, l'istruttoria  delle  domande  ed  i
 controlli.
    Sviluppando  il  principio  generale  di  cui  all'art. 1, secondo
 comma, che affida anche allo Stato e all'A.I.M.A. la  responsabilita'
 dell'intervento  (cfr.  motivo  precedente),  l'art. 8 prevede che le
 domande per ottenere la concessione dei contributi siano  indirizzate
 dagli  interessati  sia al Ministero che alle regioni. Il Ministero e
 le  regioni  determineranno  la  data  di  scadenza  annuale  per  la
 presentazione  delle  domande,  che  comunque per la campagna 1989-90
 viene direttamente fissata dal Ministero al 31 marzo 1990.
    Anche   per   quanto   riguarda   l'istruttoria   delle   domande,
 l'erogazione dei  contributi  ed  i  controlli,  l'art.  9  del  d.m.
 impugnato  modifica  il  precedente  sistema, mantenendo alle regioni
 solo il ruolo di ente responsabile per la fase  istruttoria.  Per  di
 piu'  sotto  un'inedita  forma  di  controllo  del Ministero (art. 9,
 secondo comma),  che  la  esercitera'  anche  avvalendosi  del  corpo
 forestale dello Stato.
    Per  apprezzare  appieno l'illegittimita' delle nuove disposizioni
 e' opportuno ricordare che il precedente d.m.  16  gennaio  1989,  n.
 34,  ora  sostituito dal d.m. qui impugnato, prevedeva che le domande
 di contributo fossero  presentate  esclusivamente  alle  regioni,  le
 quali   provvedevano   poi   anche  all'istruttoria  e  all'emissione
 dell'atto  di  liquidazione  dell'importo  degli  aiuti.  Ancora   le
 regioni,  in  modo  esclusivo,  avevano  il potere di controllo sulle
 aziende beneficiarie. Allo Stato veniva  unicamente  riconosciuto  di
 essere  tenuto  informato  sull'attivita'  svolta  dalle regioni, sui
 problemi da loro incontrati e  sugli  eventuali  casi  di  accertate,
 gravi irregolarita' per gli adempimenti previsti in sede comunitaria.
    Contrariamente a questo corretto modello, il nuovo d.m. n. 35/1990
 vanifica completamente il principio che le regioni  sono  i  soggetti
 responsabili  per  l'attuazione  delle  politiche  comunitarie, ed in
 particolare del regolamento CEE  n.  797/1985.  Il  ruolo  principale
 viene  adesso assunto dal Ministero dell'agricoltura - con l'apporto,
 nelle rispettive sfere, dell'A.I.M.A. e  del  corpo  forestale  dello
 Stato  -  rispetto al quale le regioni risultano solo gli enti cui e'
 demandato  un  mero  potere  istruttorio,  per  di  piu'  controllato
 annualmente ancora dagli organi dello Stato.
    Non  essendo  tali  interventi previsti dalle specifiche procedure
 del  regolamento  CEE  n.  797/1985  e  successive  modificazioni  ed
 integrazioni,  ne' consentiti dalla normativa italiana in materia, e'
 facile concludere per l'illegittimita'  del  d.m.  n.  35/1990  nelle
 parti summenzionate.
    Il  carattere  assorbente dei sopraesposti rilievi rende superfluo
 approfondire altri  motivi  connessi  all'improprio  avvalimento  del
 corpo    forestale    delle    foreste   da   parte   del   Ministero
 dell'agricoltura, in spregio al  principio  che  il  C.F.S.  e'  alle
 dipendenze  funzionali  delle  regioni; cosi' come all'aggravio delle
 procedure  e  dei  costi  relativi  posti  a  carico  delle   regioni
 dall'impugnato  decreto,  non compensati da correlativi trasferimenti
 finanziari e di personale. La ecc.ma Corte  costituzionale  ha  avuto
 modo di verificare la questione dell'avvalimento da parte dello Stato
 di uffici amministrativi vari  in  materia  di  agricoltura,  ma  nel
 riconoscere la legittimita' di talune concrete fattispecie sottoposte
 al suo esame ha tenuto  a  precisare  che  cio'  e'  possibile  "ogni
 qualvolta  l'avvalimento  non  comporti  per  gli uffici regionali un
 apprezzabile modificazione delle funzioni  originariamente  esplicate
 da tali uffici" (sentenza n. 996/1988), come invece si e' determinato
 nel caso in esame.
                                P. Q. M.
    Si  chiede e si conclude che l'ecc.ma Corte costituzionale, previa
 dichiarazione di illegittimita' e annullamento delle disposizioni del
 decreto  ministeriale  impugnate, dichiari il difetto di attribuzione
 dello  Stato  ed  affermi  corrispondentemente  l'appartenenza   alla
 regione  delle competenze in ordine agli oggetti di cui agli artt. 1,
 8 e 9 del d.m.
 8 febbraio 1990, n. 35.
                       Prof. avv. Mario P. CHITI

 90C0552