N. 267 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 gennaio 1990

                                 N. 267
 Ordinanza  emessa  il  22  gennaio  1990  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di  Reggio  Emilia  nel  procedimento
 penale a carico di Re Gilberto
 Imposta  IRPEF  -  Redditi di lavoro autonomo o di impresa - Infedele
 dichiarazione  dei  redditi  -   Lamentata   indeterminatezza   nella
 configurazione  del  reato (simulazione, dissimulazione e alterazione
 in misura  rilevante)  -  Interpretazione  della  norma,  secondo  la
 giurisprudenza  prevalente,  nel  senso  della sufficienza della mera
 omessa indicazione di elementi  positivi  o  nella  enunciazione  non
 veritiera  di  componenti  negativi del reddito per la configurazione
 del reato - Ingiustificata disparita' di  trattamento  rispetto  alla
 dichirazione  infedele relativa a redditi non soggetti ad annotazione
 contabile  -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte   n.   247/1989,
 interpretativa    di   rigetto   di   analoga   questione,   la   cui
 interpretazione della norma impugnata e' stata disattesa e  confutata
 dalla prevalente giurisprudenza.
 (D.L.  10 luglio 1982, n. 429, art. 4, comma primo, n. 7, convertito
 in legge 7 agosto 1982, n. 516).
 (Cost., art. 3).
(GU n.21 del 23-5-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha proninciato la seguente ordinanza.
    L'art.  4  primo  comma,  n. 7, della legge 7 agosto 1982, n. 516,
 sanziona la condotta del contribuente "titolare di redditi di  lavoro
 autonomo  di  impresa",  il  quale "al fine di evadere le imposte sui
 redditi o l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire  un  indebito
 rimborso  ovvero  di  consentire  l'evasione  o  indebito  rimborso a
 terzi", "redige le scritture contabili obbligatorie, la dichiarazione
 annuale  dei redditi ovvero il bilancio o rendiconto ad essa allegato
 dissimulando componenti positivi o simulando componenti negativi  del
 reddito  tali  da  alterare  in  misura  rilevante il risultato della
 dichiarazione".
    Si  tratta  di norma, come e' noto, di significato non univoco per
 la difficolta' di  interpretazione  che  deriva  non  soltanto  dalla
 complessa  struttura  sintattica, ma anche dall'uso di espressioni di
 senso non sufficientemente determinato ("alterare in misura rilevante
 il  risultato della dichiarazione") e di termini ambigui ("simulando"
 e "dissimulando").
    In  particolare  i  concetti  di  "dissimulazione"  di  componenti
 positivi e di "simulazione" di componenti negativi del reddito  hanno
 dato  origine  a  opinioni  contrapposte,  comprendendo gli uni nella
 "dissimulazione" la mera omessa indicazione e nella "simulazione"  la
 mera  enunciazione  di  componenti dal reddito, esigendo gli altri la
 presenza di un quid pluris  idoneo  a  connotare  di  fraudolenza  la
 condotta dell'agente.
    Entrambe  le  tesi  sono  sostenibili,  e  sono  state  in effetti
 sostenute con seri e validi argomenti contrapposti. Tuttavia,  mentre
 la   seconda   non   pone   problemi  sul  piano  della  legittimita'
 costituzionale della norma, non altrettanto puo' dirsi  della  prima,
 la  quale  in sostanza ritiene punibile sulla base della disposizione
 in oggetto la semplice infedelta' della dichiarazione.
    Infatti,  ove la dissimulazione di componenti positivi del reddito
 potesse  concretarsi  in  un  mera  omissione,  e   la   simulazione,
 simmetricamente,  in  una  semplice mendace indicazione di componenti
 negativi, la condotta in esame si sovrapporrebbe,  in  pratica,  alle
 ipotesi  contravvenzionali  dell'art.  1:  la  qual cosa non soltanto
 determinerebbe gravi contraddizioni sistematiche (perche', essendo le
 predette  contravvenzioni  soggette  a  soglia  di punibilita', al di
 sotto della stessa soglia potrebbe,  paradossalmente,  subentrare  la
 punibilita' a titolo di frode) ma porrebbe la norma in contraddizione
 col  fondamentale  principio  di  uguaglianza,  per   l'irragionevole
 disparita'  di  trattamento,  consistente  nel  sanzionare  lo stesso
 comportamento,    l'infedele     dichiarazione,     come     semplice
 contravvenzione  oblazionabile  quando  ha  ad  oggetto  redditi  non
 soggetti ad annotazione contabile, e grave  delitto  quando  concerne
 redditi di lavoro autonomo o d'impresa, derivanti da cessione di beni
 o prestazione di servizi.
    Secondo  il  costante insegnamento della Corte costituzionale, una
 disposizione che ammette  piu'  interpretazioni  non  e'  soggetta  a
 caducazione  quando  solo  una delle interpretazioni confligga con la
 Costituzione: ma l'interprete e'  impegnato  a  far  applicazione  di
 quello  o quelli fra i possibili significati che, per essere conformi
 al dettato costituzionale, consentono la salvezza della norma.
    Di  conseguenza,  per  elidere ogni dubbio sulla costituzionalita'
 rispetto al principio di uguaglianza dell'art.  4  n.  7  citato,  e'
 sufficiente  (e necessario) adottare tra le possibili interpretazioni
 quella che esige un quid pluris rispetto alla mera omissione  o  alla
 mera  enunciazione di componenti del reddito per integrare il delitto
 secondo il pensiero  -  sopra  pressoche'  testualmente  riportato  -
 espresso da Corte costituzionale, 16 maggio 1989, n. 247.
    E' tuttavia necessario riconoscere che la giurisprudenza di merito
 prevalente e la giurisprudenza  di  legittimita'  sono  orientate  in
 senso   opposto,   sicche'   ogni   diversa   interpretazione  appare
 sostenibile  sul  piano  teorico,  ma  (ormai)  perdente  sul   piano
 dell'applicazione giurisprudenziale.
    Cio'  dimostra  il  fatto  che  pure dopo la citata sentenza della
 Corte costituzionale, la Corte di cassazione (Cass. pen. sez. III; 26
 settembre   1989,   Vangelisti)   ha  ribadito  il  proprio  rigoroso
 orientamento, non solo sulla base della non  vincolativita',  per  il
 giudice  ordinario,  delle  sentenze  costituzionali di rigetto e del
 carattere incidentale dell'interpretazione della Corte costituzionale
 sul  punto,  ma  soprattutto  affermando l'avvenuta confutazione, nel
 merito, delle argomentazioni addotte dal giudice delle leggi.
    E'  innegabile,  a questo punto, che l'indirizzo giurisprudenziale
 in discussione debba essere considerato "diritto vivente", e  che  la
 costituzionalita'  dell'art.  4,  n.  7,  rispetto  all'art.  3 della
 Costituzione vada ormai verificata non  alla  stregua  dei  possibili
 diversi significati della norma, ma con riferimento a quell'unico che
 si e' concretamento imposto nella  giurisdizione:  con  il  risultato
 inevitabile  di  ritenerne  l'illegittimita'  sulla base dei medesimi
 argomenti enunciati dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  piu'
 volte citata e che questo giudice fa propri.
    Quanto  alla  rilevanza  della decisione nel presente giudizio, va
 premesso che il punto e' limitato alla dissimulazione  di  componenti
 positivi  del  reddito,  poiche' le pretese simulazioni di componenti
 negativi  sono  state   anche   dal   pubblico   ministero   ritenute
 insussistenti  e tali sono effettivamente, derivando in un caso dalla
 (solo  parzialmente)  contestata  ammortizzabilita'  di  cespiti,   e
 nell'altro  da  un  errore  imputabile  a  terzi:  e  la rilevanza e'
 indubbia, dovendosi  in  caso  di  accoglimento  della  questione  di
 costituzionalita'   prosciogliere   l'imputato,   in  caso  contrario
 disporne il rinvio a giudizio.
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 1 della legge Costituzionale 9 febbraio 1948, n.
 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva   d'ufficio   questione   di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 4 primo comma, n. 7, del d.-l.  10  luglio  1982,  n.  429,
 convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, in relazione all'art. 3
 della Costituzione nella parte in cui prevede come condotta idonea ad
 integrare  il  reato  la mera omessa indicazione, nella dichiarazione
 annuale dei redditi, di componenti positivi del reddito;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale sospendendo il presente giudizio;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata  all'imputato  non  presente   all'udienza,   nonche'   al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri, e comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
      Reggio Emilia, addi' 22 gennaio 1990
             Il giudice per le indagini preliminari: FANILE

 90C0584