N. 270 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 1990

                                 N. 270
 Ordinanza  emessa  il  15  febbraio 1990 dal tribunale di Bergamo nei
 procedimenti penali riuniti a carico di Consoli Costantino ed altri
 Processo  penale  -  Pretore - Confluenza della funzione requirente e
 giudicante - Nuova disciplina del rito pretorile - Mancata inclusione
 nelle  norme  transitorie  dei procedimenti gia' iniziati col vecchio
 rito - Conseguenze - Possibile giudizio da parte della stessa persona
 fisica   che   ha   espletato  l'istruzione  sommaria  Disparita'  di
 trattamento tra imputati giudicati col vecchio o con il nuovo rito.
 (D. Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 241 e segg.).
 (Cost., art. 3).
(GU n.21 del 23-5-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Visti  gli  atti  dei  procedimenti  penali nn. 20038 e 20892/1989
 pendenti presso la pretura di Bergamo - sezione distaccata di Lovere;
    Viste   le   dichiarazioni   di  ricusazione,  quale  giudice  del
 dibattimento  dei  processi  suddetti,  del  dott.  Roberto  Pertile,
 pretore  addetto  al  citato  ufficio  giudiziario,  presentate dagli
 imputati Consoli Costantino, Ruffini Lucio e Romele Francesco;
    Visto il parere del p.m.;
 ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Gli   imputati   ricusano  il  dott.  Pertile  quale  giudice  del
 dibattimento  in  quanto  promotore  dell'azione  penale   nei   loro
 confronti  ed  istruttore  dei  processi sfociati nella emissione dei
 decreti  di  citazione  a  giudizio.  Ravvisano  cioe'  la  causa  di
 incompatibilita'  prevista  dall'art.  61, terzo comma, prima ipotesi
 del c.p.p.  abrogato  ("Chi  in  un  procedimento  ha  esercitato  la
 funzione  di  pubblico  ministero...  non puo' esercitarvi ufficio di
 giudice") e la conseguente previsione di ricusabilita' ex art. 64, n.
 6,  stesso codice ("Il giudice puo' essere ricusato... 6) se si trova
 in una delle condizioni prevedute dagli artt. 61 e 62").
    Riconoscono   i  ricusanti  che  per  la  costante  giurisprudenza
 anteriore alla entrata in vigore del nuovo c.p.p. la commistione  dei
 ruoli  nella  figura  del  pretore non poteva integrare la denunciata
 situazione di incompatibilita', tuttavia evidenziano che ad oggi, con
 l'entrata  in  vigore  del nuovo codice di rito e delle norme ad esso
 collegate sono mutati  i  presupposti  su  cui  tale  interpretazione
 giurisprudenziale si basava. La nuova normativa, secondo i ricusanti,
 che prevede da un lato l'abolizione della preture  mandamentali  (con
 la  scomparsa  del  giudice-ufficio  monopersonale)  e  dall'altro la
 creazione dell'ufficio del p.m. presso le preture, consente - ed anzi
 impone  - che, indipendentemente dal rito, "nuovo" o "vecchio", cui i
 processi  sono  sottoposti,  le  funzioni  proprie  del  p.m.   siano
 esercitate  in via esclusiva dai magistrati addetti istituzionalmente
 al relativo ufficio di procura e che,  comunque,  il  magistrato  che
 abbia  esercitato  tali  funzioni non possa rivestire, poi, quelle di
 giudice nel  dibattimento.  Aggiungono  infine  i  ricusanti  che  la
 contraria  opinione  non  troverebbe  fondamento  neppure nel diritto
 transitorio. E' vero, sostengono,  che  l'art.  241  del  d.-lgs.  n.
 271/1989   stabilisce   che   a   certe  condizioni  (presenti  nella
 fattispecie) i processi in corso alla data di entrata in  vigore  del
 nuovo  codice proseguano con l'applicazione delle norme anteriormente
 vigenti, ma queste ultime sono solo quelle di procedura e non  quelle
 di  ordinamento,  mentre  proprio  in  queste  ultime - che non vi e'
 ragione di ritenere ultrattive - rientrerebbero  appunto  quelle  che
 consentivano  o  in  ogni  caso  prevedevano il cumulo delle funzioni
 istruttorie  e  giudicanti  nel  pretore,  siccome  modellate   sulla
 struttura  stessa  del  giudice unico mandamentale ed estesa poi, per
 ragioni di uniformita', anche alle preture "pluripersonali".
    Ritiene   il   tribunale  che,  allo  stato  della  normativa,  la
 ricusazione proposta dovrebbe essere dichiarata inammissibile.
    Invero,  premesso  che  e' pacifico, che, nella vigenza del codice
 abrogato, il cumulo delle funzioni di istruttoria e di giudizio nella
 stessa  ed  unica  persona  del  magistrato-pretore era perfettamente
 legittima e che alcun problema  si  pone  per  i  processi  che  sono
 iniziati  con  il  nuovo  rito,  osserva  il  collegio che non sembra
 accoglibile l'opinione dei ricusanti in ordine alla  possibilita'  (o
 necessita')  di  applicazione immediata delle nuove norme ai processi
 iniziati con il vecchio rito; non sembra invero possibile distinguere
 tra  norme  di  procedura (o processuali in senso stretto) e norme di
 ordinamento (pur esse processuali)  atteso  lo  stretto  collegamento
 esistente  tra  le prime e le seconde; inoltre l'applicazione pratica
 dell'invocato principio si  scontrerebbe  con  difficolta'  pratiche,
 creando disfunzioni e disarmonie nel sistema, nell'ambito comunque di
 una procedura che non troverebbe - sempre allo stato della  normativa
 vigente - ne' nel nuovo ne' nel vecchio rito.
    La questione tuttavia merita ulteriore approfondimento sotto altro
 profilo e cioe' in relazione alla illegittimita' costituzionale della
 normativa  transitoria, illegittimita' prospettata dai ricorrenti nel
 processo n. 20038 e che comunque il  collegio  intende  sollevare  di
 ufficio, ritenendo la relativa eccezione non manifestamente infondata
 ed in ogni caso rilevante per la decisione  della  procedura  qui  in
 esame  (in  tal  senso  si  e'  espresso anche il p.m. nel suo parere
 scritto).
    Come  e' noto, piu' volte la Corte costituzionale ha avuto modo di
 occuparsi  della   legittimita'   costituzionale   del   procedimento
 pretorile  previsto  dal  c.p.p.  abrogato,  proprio  in relazione al
 cumulo di funzioni (di esercizio della azione penale, di istruttoria,
 di  giudizio)  previste per il magistrato-pretore. Ed ha affermato di
 ritenere  tale  rito   conforme   alle   previsioni   costituzionali,
 giustificando   la   anomalia   del  cumulo  delle  funzioni  con  le
 particolarita' della figura di tale magistrato.
    Senonche'  con la sentenza n. 268/1986 la Corte stessa ha ritenuto
 che tale indifferenziazione di funzioni requirenti e  giudicanti  non
 fosse  piu' sopportabile alla luce della evoluzione sociale, civile e
 normativa; ha giudicato comunque  non  apportuno  un  suo  intervento
 diretto  sulla normativa allora vigente (intervento che avrebbe avuto
 carattere "dirompente")  e  ritenne  giustificata  l'opportunita'  di
 attendere  che  fosse  lo  stesso  legislatore (gia' allora impegnato
 nella approvazione della "legge delega") a dare al rito pretorile una
 completa  disciplina;  anche  per  l'esigenza di dover intervenire in
 quella parte del connesso settore dell'ordinamento giudiziario che la
 riforma "in fieri" avrebbe finito per coinvolgere.
    Orbene,  cio'  che la Corte auspicava e' finalmente avvenuto e non
 appare oggi incongruo sottoporre al  giudizio  costituzionale  quella
 materia  che  era  stata dalla Corte stessa sottratta alla censura di
 incostituzionalita'  proprio  in  prudente  previsione  della  futura
 emanazione della nuova disciplina.
    Il  mantenimento,  invero,  anche per i soli processi regolati dal
 "rito transitorio" della vecchia normativa - ai sensi degli artt. 242
 e   segg.   nel   d.-lgs.   n.  271/1989  (norme  di  attuazione,  di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) crea  una
 evidente  e  stridente disparita' di trattamento rispetto ai processi
 ormai soggetti al nuovo rito, che piu' non consente l'anomalo "cumulo
 di  funzioni" giudicanti e requirenti nello stesso magistrato. E tale
 disparita' non  appare  giustificata  ormai  da  alcuna  esigenza  di
 opportunita',  ben  potendosi,  in  caso  di eliminazione delle norme
 transitorie   in   questione,   procedersi   alla   definizione   del
 procedimento  con  l'utilizzazione  degli strumenti normativi e delle
 strutture previsti dalla legislazione vigente.
    Osserva  per ultimo il collegio che analoga questione risulta gia'
 sollevata da altri organi giurisdizionali e  trovasi  gia'  all'esame
 della  Corte (vedasi in particolare ordinanza del tribunale di Biella
 in data 16 novembre 1989 pubblicata sulla Gazzetta  Ufficiale  n.  2,
 prima serie speciale, del 10 gennaio 1990, pag. 104).
    Gli  atti  pertanto  vanno  rimessi  alla Corte costituzionale per
 l'esame   della   questione   sopra   evidenziata,   riguardante   la
 legittimita'  costituzionale  degli  artt. 241 e segg. del d.-lgs. n.
 271/1989 nella parte  in  cui  consentono  che  nei  procedimenti  di
 competenza   del  pretore  possa  procedere  al  giudizio  lo  stesso
 magistrato-persona che ha esercitato, nel processo  stesso,  funzione
 di pubblico ministero o comunque funzioni istruttorie.
    Il giudizio in corso dovra' essere conseguentemente sospeso.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  non  manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3
 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli
 artt.  241  e  segg.  del  d.-lgs.  n.  271/1989,  nella parte in cui
 consentono che nei  procedimenti  di  competenza  del  pretore  possa
 procedere al giudizio lo stesso magistrato-persona che ha esercitato,
 nel processo  stesso,  funzioni  di  pubblico  ministero  o  comunque
 funzioni istruttorie;
    Dispone   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
    Sospende  il  giudizio sulle istanze di ricusazione presentate nei
 confronti del pretore dott. Roberto Pertile;
    Dispone  che  la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e che la stessa sia  comunicata
 al  Presidente  della  Camera dei deputati e al Presidente del Senato
 della Repubblica.
      Cosi' deciso in Bergamo, il 15 febbraio 1990.
                    Il presidente-estensore: ROBERTO
   I giudici: DE RISI - CIMINI
 90C0587