N. 321 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 1990

                                 N. 321
 Ordinanza  emessa  il  20  febbraio  1990  dal  pretore di Torino nel
 procedimento civile vertente tra Chirico Antonio e Caniglia Pietro ed
 altra
 Procedimento  civile  -  Prova  per  testimoni  -  Teste  sospetto di
 falsita' o di  reticenza  -  Arresto  in  udienza  -  Possibilita'  -
 Disparita'  di trattamento rispetto al processo penale (v. art.  476,
 secondo comma, del c.p.p. 1988) -  Lesione  del  principio  del  buon
 andamento  della  giustizia e dell'imparzialita' del giudice Richiamo
 ai principi della sentenza n. 18/1989.
 (C.P.C., art. 256).
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.23 del 6-6-1990 )
                               IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  civile  n.
 7316/89, promossa dacanti a questo pretore da Chirico Antonio  contro
 Caniglia   Pietro   e   la  S.p.a.  Phenix  Soleil  per  ottenere  il
 risarcimento del danno conseguente a sinistro stradale del 25 gennaio
 1988,  sono  stati  ascoltati, all'udienza istruttoria del 9 febbraio
 1990, due testi sulle cui testimonianze e' sorto il fondato  sospetto
 di falsita'.
    In forza dell'art. 256 del c.p.c., questo giudice, oltre ad essere
 tenuto alla denuncia al p.m., poteva anche ordinare l'arresto dei due
 testimoni,  ma  ha  ritenuto  di  sollevare  questione incidentale di
 incostituzionalita', per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione, della citata norma che consente al giudice istruttore e
 quindi al pretore in forza dell'art. 311 del  c.p.c.  -  di  ordinare
 l'arresto, in udienza, del teste, sulla cui testimonianza e' sorto il
 fondato sospetto di falsita' o di reticenza.
    Come  gia' sottolineato in sentenza di questa Corte costituzionale
 10 ottobre 1979, n. 117, esiste  una  stretta  interconnessione,  nel
 processo  civile e nel processo penale, dei doveri morali e giuridici
 del teste a dire la verita', pertanto appare  conseguenziale  che  un
 cittadino,  chiamato  a  testimoniare nell'uno o nell'altro processo,
 debba  godere  delle   stesse   garanzie,   quando   rende   la   sua
 testimonianza.
    Con  l'entrata  in  vigore  del nuovo c.p.p. (artt. 207, 475 e 500
 nuovo c.p.p.) e' stata cancellata, dal codice di rito, la  norma  che
 consentiva  al  giudice,  di  fare  arrestare il teste sospettato del
 reato, di cui all'art. 372 del c.p.
    Questa  norma,  nella vigenza degli artt. 359 e 458 del c.p.p. del
 1930, piu' che sostanziarsi in una ragionevole regola procedurale, si
 era,  spesso,  risolta in un modo di compulsare il teste per ottenere
 la ritrattazione o dichiarazioni corrispondenti al convincimento  del
 giudice.
    Il   legislatore   postcostituzionale,  con  il  nuovo  codice  di
 procedura penale,  al  fine  di  evitare  i  sempre  possibili  dubbi
 interpretativi;  ha  ribadito  espressamente,  nell'art. 476, secondo
 comma,   l'insussistenza   del   potere,   da   pare   dell'autorita'
 giudiziaria, di arrestare il teste in udienza.
    Osserva   questo   giudicante   che   un   cittadino,  chiamato  a
 testimoniare, svolge  un  munus  pubblicistico,  da  considerarsi  di
 identico  valore  morale civile e giuridico nel processo civile e nel
 processo penale, per cui appare  irragionevole  mantenere,  nell'art.
 256  del  c.p.c.,  la  norma,  retaggio  di  antiche legislazioni, di
 consentire al giudice l'ordine  di  arresto  in  udienza  del  teste,
 sospettato  di  testimonianze  false o reticenti, se non in dispregio
 dell'art. 3 della Costituzione, quando ormai  tale  forma  repressiva
 non  e' piu' ammessa nel processo penale e non e' compatibile nemmeno
 con l'arresto in flagranza (art. 381  del  nuovo  c.p.p.  e  372  del
 c.p.).
    Secondo  quanto  ha  statuito questa Corte costituzionale (sent. 7
 maggio 1982, n. 86, sentenza 19 gennaio 1989, n. 18) l'art. 97  della
 Costituzione,  nello stabilire che i pubblici uffici sono organizzati
 secondo disposizioni di legge in modo  che  sia  assicurato  il  buon
 andamento  e  l'imparzialita'  dell'amministrazione,  non  ha  inteso
 riferirsi ai soli organi  della  pubblica  amministrazione  in  senso
 stretto, ma anche agli organi dell'amministrazione della giustizia.
    Orbene,  secondo il giudice a quo, l'ordine di arresto, in udienza
 del testimone sospettato di falsita', si rileva essere solo una forma
 di intimidazione del teste e non pare rispondere ne' al principio del
 buon andamento del processo ne' all'imparzialita' del giudice che sta
 conducendo il processo.
    Infatti  l'arresto del testimone in udienza appare essere un corpo
 estraneo al processo che  si  sta  conducendo,  dal  momento  che  il
 giudice,   nel   processo   civile,  non  ha  l'obbligo  di  ritenere
 attendibile il teste che abbia ottenuto sentenza  di  proscioglimento
 (Cassazione  6  giugno  1981,  n.  3674, Cassazione 27 marzo 1979, n.
 1797).
   Ordinare,  ancora oggi, in forza dell'art. 256 del c.p.p. l'arresto
 del teste in udienza, e' solo un elemento ad colorandum del processo,
 che,  sul  semplice  sospetto, limita la liberta' personale e che non
 serve al processo, perche' il teste  puo'  essere  sempre  dichiarato
 inattendibile  in  sentenza  e,  se  colpevole, condannato nella sede
 competente.
    Sulla   rilevanza   della   questione  che  si  sottopone  in  via
 incidentale a questo Corte, il giudice a quo non puo' che ripetere le
 stesse considerazioni di questa Corte di sentenza 19 gennaio 1989, n.
 18 (in Foro it. 89, I, 305). "L'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n.
 87,  stabilendo  che la questione di costituzionalita' proposta debba
 essere  tale   che   il   giudizio   non   possa   essere   definito,
 indipendentemente  dalla risoluzione di essa, implica, di regola, che
 la rilevanza  sia  strettamente  correlata  all'applicabilita'  della
 norma  impugnata  nel  giudizio a quo. Tuttavia, come questa Corte ha
 gia'  esplicitamente  ritenuto  in  altre   occasioni   (cfr.   Corte
 costituzionale  24  novembre  1982, n. 196; 4 luglio 1977, n. 125; 15
 maggio 1974, n. 128) debbono ritenersi influenti sul  giudizio  anche
 le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a
 quo, attengono  allo  status  del  giudice,  alla  sua  composizione,
 nonche'  in generale alle garanzie ed ai doveri che riguardano il suo
 operare. L'eventuale incostituzionalita' di tali norme  e'  destinata
 ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale
 regolano lo status, la composizione, le  garanzie  ed  i  doveri:  in
 sintesi,  la  protezione  dell'esercizio della funzione nella quale i
 doveri si accompagnano ai diritti.
    Ritiene  questo giudice a quo che non si possa negare che ordinare
 l'arresto del teste in udienza attenga alle garanzie ed ai doveri che
 riguardano il suo operare.
    Il  pretore,  pertanto,  ritiene  di  dover  rimettere, d'ufficio,
 l'esame della questione che non appare  manifestamente  infondata,  e
 che  comunque  puo'  incidere  sulla decisione della causa sottoposta
 alla  sua  cognizione,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione,  di incostituzionalita' dell'art. 256 del c.p.c., nella
 parte in cui prevede che 'il giudice puo'  anche  ordinare  l'arresto
 del  testinone'  e  quindi, ordina la sospensione del procedimento in
 corso e l'esecuzione degli adempimenti ex  art.  23  della  legge  n.
 87/1953".
      Torino, 20 febbraio 1990
                          Il pretore: TOSCANO

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