N. 402 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 1990

                                 N. 402
 Ordinanza  emessa  il  5  aprile  1990  dal  giudice  per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento  penale  a
 carico di Trire' Stefania
 Processo penale - Nuovo codice - Disposizioni di attuazione - Decreto
 di archiviazione  -  Richiesta  del  p.m.  -  Requisito  sufficiente:
 inesistenza  di  elementi  idonei  a sostenere l'accusa in giudizio -
 Lamentata  omessa  previsione  solo  per   il   caso   di   manifesta
 infondatezza della notitia criminis - Violazione dei principi fissati
 dalla legge-delega.
 (C.P.P.  1988,  art. 408, primo comma; d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271,
 art. 125).
 (Cost., artt. 76 e 77).
(GU n.26 del 27-6-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel corso del procedimento
 penale pendente innanzi a questo ufficio, in  esito  a  richiesta  di
 rinvio  di decreto di archiviazione presentata dal p.m. nei confronti
 di Trire' Stefania,  nata  ad  Acquapendente  il  13  dicembre  1945,
 residente  in  Castagneto Po, via Rossina s.n., indagata in ordine al
 delitto cui all'art. 589, primo comma, del c.p., per avere cagionato,
 per  colpa,  la  morte di Tassi Giancarlo, verificatasi in Torino l'8
 giugno 1989.
    Osserva pertanto quanto segue;
                                IN FATTO
    Con  esposto  presentato  alla  procura della Repubblica di Torino
 l'11  settembre  1989  Silvani  Rosina  chiedeva  che  si  procedesse
 penalmente  nei  confronti  dei  sanitari  interessati  alla  vicenda
 clinica che si era conclusa con la morte del marito Tassi  Giancarlo,
 verificatasi in Torino l'8 giugno 1989.
    Il p.m. sequestrava pertanto la documentazione clinica relativa al
 ricovero del Tassi presso  l'ospedale  Nuova  astanteria  Martini  di
 Torino,  identificava  i  medici  che  si erano occupati, presso tale
 ospedale, di quello specifico caso e disponeva quindi perche' venisse
 espletata  una  consulenza tecnica in ambito medico-legale, intesa ad
 accertare se, nel comportamento dei sanitari  che  avevano  avuto  in
 cura il Tassi, fossero ravvisabili dei profili di colpa professionale
 dotati di efficacia causale sull'evento letale.
    Avendo  acquisita  la  disposta relazione di consulenza tecnica di
 parte,  il  p.m.  trasmetteva  il  procedimento  a   questo   g.i.p.,
 richiedendo  il  decreto  di  archiviazione  nei  confronti del dott.
 Rimella e della dott. Trire', che aveva indentificato come  i  medici
 in  servizio  presso  l'ospedale  Nuova astanteria Martini che, il 22
 maggio  1989,  avevano  prestato  la  loro  opera  professionale  nei
 riguardi del soggetto di cui trattava l'esposto.
    Contro  questa  richiesta l'esponente Silvani Rosina, agendo quale
 persona offesa, presentava tempestiva opposizione a  norma  dell'art.
 410   del   c.p.p.;   in   essa   indicava,  tra  l'altro,  l'oggetto
 dell'investigazione  suppletiva  che,   a   suo   giudizio,   avrebbe
 giustificato la prosecuzione delle indagini preliminari (audizione di
 una testimone, oltre che della stessa esponente).
                               IN DIRITTO
    Ritiene  questo  giudice  che,  da  un  lato, le indagini compiute
 consentono di  emettere  il  chiesto  decreto  di  archiviazione  nei
 confronti   di   Rimella   Giancarlo   (decreto  che  viene  pertanto
 separatamente  emesso),  mentre,  dall'altro,  pongono  in  luce   un
 possibile  profilo  di  incostituzionalita' della norma dell'art. 125
 delle disp. att. del c.p.p., la cui risoluzione e' rilevante ai  fini
 della  decisione  che  deve  essere emessa nei riguardi della persona
 sottoposta alle indagini Trire' Stefania.
    Questo profilo concerne la conformita' della norma in questione, -
 e, forse, della norma  contenuta  nell'art.  408,  primo  comma,  del
 c.p.p.,  -  con  la  statuizione contenuta nell'art. 2 punto 50 della
 legge  delega  16  febbraio  1987,  n.  81;  dunque,  anche  con   le
 disposizioni  degli  artt.  76 e 77, primo comma, della costituzione,
 per essere divergenti dal principio stabilito nella legge delega.
    Questa prevedeva infatti il potere-dovere del giudice di disporre,
 su richiesta del pubblico ministero,  l'archiviazione  per  manifesta
 infondatezza  della  notizia  di reato. Gia' l'art. 408, primo comma,
 del c.p.p.,  peraltro,  ha  dato  solo  parziale  attuazione  a  tale
 principio,  limitandosi  a  disporre che il pubblico ministero, se la
 notizia di reato e'  infondata,  presenta  al  giudice  richiesta  di
 archiviazione:  ha  subordinato  dunque l'archiviazione alla semplice
 infondatezza, anziche' alla manifesta infondatezza della  notizia  di
 reato.  Appare  pertanto dubbia la stessa conformita' della norma del
 primo comma dell'art. 408, del c.p.p. con il principio sancito  dalla
 legge  delega,  a meno di ritenere, non senza sforzo, che l'omissione
 dell'avverbio manifestamente  sia  del  tutto  indifferente  ai  fini
 esegetici,  nel  senso che secondo la previsione dell'art. 408, primo
 comma, del c.p.p., l'archiviazione deve  essere  ugualmente  disposta
 nei  casi,  e  soltanto  nei  casi,  in  cui  la notizia di reato sia
 manifestamente infondata. Tuttavia la norma contenuta  nell'art.  125
 delle  disposizioni  di  attuazione  del nuovo codice ha, in seguito,
 diversamente disciplinato la materia,  poiche',  nel  determinare  le
 condizioni    in   presenza   delle   quali   deve   essere   chiesta
 l'archiviazione da parte del p.m.,  ha  espressamente  stabilito  che
 questo presenta al giudice richiesta di archiviazione, quando ritiene
 l'infondatezza della notizia di reato perche' gli elementi  acquisiti
 nel  corso  delle  indagini  preliminari  non  sono idonei a sostenre
 l'accusa in giudizio.
    Non   sembra  anzitutto  ragionevole  negare  che  il  legislatore
 delegato, con la richiamata disposizione dell'art.  125  delle  disp.
 att.  del  c.p.p.,  non  ha  solamente  inteso  indirizzarsi al p.m.,
 prescrivendogli un  criterio  per  determinare  in  quali  casi  deve
 richiedere  il  decreto  di  archiviazione, ma si e' anche rivolto al
 giudice per le indagini preliminari, offrendogli un preciso parametro
 a  cui  ancorare  la valutazione circa la fondatezza o l'infondatezza
 della notizia di reato, in quanto gli impone  di  verificare  se  gli
 elementi acquisiti nelle indagini preliminari sono idonei a sostenere
 l'accusa in giudizio.
    Pare  tuttavia  sia  legittimo, a questo punto, avanzare il dubbio
 che, introducendo con l'art. 125 citato il nuovo criterio da cui fare
 dipendere  l'infondatezza della notizia di reato, - criterio che, per
 le ragioni esposte, e' vincolante anche per il giudice, oltre che per
 il  p.m.,  -  il  legislatore  delegato  abbia  finito  per  regolare
 l'istituto  dell'archiviazione  in  modo   sensibilmente   divergente
 dall'indicazione  che  gli  era stata data dal legislatore delegante.
 Questi  aveva  infatti  previsto  che  il  giudice  potesse  disporre
 l'archiviazione  per  manifesta  infondatezza della notizia di reato,
 senza fare alcun riferimento alle ipotesi ora delineate dall'art. 125
 delle  disp.  att.   del  c.p.p.  E'  dunque spontaneo domandarsi se,
 configurando queste ipotesi, il legislatore delegato abbia legiferato
 in  difformita'  dalla  delega, eccedendo dai limiti che questa aveva
 lasciato a sua disposizione.
    Ad avviso di questo giudice la risposta a tale domanda deve essere
 affermativa.
    Infatti  l'esigenza  che  la  notizia  di reato sia manifestamente
 infondata sta a significare l'evidente mancanza di basi della notitia
 criminis,  e'  sinonimo,  in altre parole, di palese inattendibilita'
 della notizia o per la sua intrinseca inconsistenza o per mancanza di
 prove;  indica pertanto un requisito che attiene al manifesto difetto
 di elementi utili a confermare la notizia di reato, che, proprio  per
 questo   motivo,  non  appare  sufficiente  a  giustificare  l'inizio
 dell'azione penale in uno dei modi previsti dall'art. 405 del  c.p.p.
 Prevedendo  il  potere-dovere del giudice di disporre l'archiviazione
 per manifesta infondatezza della notizia  di  reato,  il  legislatore
 delegante    aveva    cioe'    voluto   subordinare   l'archiviazione
 all'esistenza di una condizione (la manifesta infondatezza) che  deve
 essere  valutata  con  esclusivo riferimento alla fase delle indagini
 preliminari  e  che   si   sostanzia   nell'evidenza,   ictu   oculi,
 dell'infondatezza;  in  definitiva, aveva ritenuto che questa dovesse
 essere valutata allo stato delle risultanze, senza anticipare l'esito
 del  giudizio  dibattimentale.  Stabilendo invece che il criterio per
 riconoscere l'infondatezza e'  rappresentato  dall'inidoneita'  degli
 elementi  acquisiti  a sostenere l'accusa in giudizio, il legislatore
 delegato ha drasticamente innovato rispetto  al  principio  enunciato
 dalla  legge  delega.  Ha infatti introdotto un giudizio di prognosi,
 poiche' la valutazione circa l'idoneita' degli elementi  a  sostenere
 l'accusa   richiede   chiaramente   l'anticipata   valutazione  della
 probabilita'   che   le   tesi   dell'accusa   reggano   al    vaglio
 dibattimentale.
    E',  dunque, innegabile che tale giudizio di prognosi deve vertere
 anche su circostanze che poco o nulla  hanno  a  che  vedere  con  la
 fondatezza  della  notizia di reato, valutata rebus sic stantibus, ma
 si riferiscono invece alla previsione che la  tesi  accusatoria,  che
 sia  stata  sviluppata  in  seguito a quella notizia, possa resistere
 alle future verifiche ed alle future confutazioni proprie della  fase
 dibattimentale   (si   pensi  all'inevitabile  incidenza,  su  questo
 giudizio di prognosi, delle considerazioni che ineriscono al  calcolo
 dell'attitudine  dei  testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti,
 sulle cui  dichiarazioni  si  puo'  basare  l'accusa,  a  rendere  in
 dibattimento  deposizioni persuasive ed a non lasciarsi confondere in
 occasione dei controesami a cui saranno sottoposti).
    Ebbene,  se  queste  osservazioni  sono  esatte, nel richiedere il
 giudizio di prognosi stabilito dall'art. 125 disp. att.  del  c.p.p.,
 il  legislatore delegato ha allora introdotto un parametro nuovo, del
 tutto eterogeneo rispetto alla disciplina dell'archiviazione che  era
 stata    prevista   dal   legislatore   delegante.   Questa   diversa
 regolamentazione dell'istituto  appare  pertanto  contraddistinta  da
 divergenza con la legge delega; divergenza che e' dunque suscettibile
 di integrare un possibile vizio di  legittimita'  costituzionale  per
 eccesso  di  delega con riferimento all'art. 76 ed all'art. 77, primo
 comma,  della  costituzione  (si   veda   al   riguardo   l'indirizzo
 giurisprudenziale  inaugurato  con  Corte  costituzionale, 26 gennaio
 1957, n. 3).
    E'   quindi   non   manifestamente   infondata   la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  125  delle  disp.  att.  del
 c.p.p.,   nonche'   dell'art.   408,  primo  comma,  del  c.p.p.  (di
 quest'ultimo, tuttavia, solo se  viene  interpretato  nel  senso  che
 deroga al principio che l'archiviazione e' subordinata alla manifesta
 infondatezza della notizia di reato di cui al punto  50  dell'art.  2
 della legge delega).
    Il  presente  procedimento  non  puo',  inoltre,  essere  definito
 indipendentemente dalla risoluzione della  prospettata  questione  di
 legittimita' costituzionale. E' infatti innegabile che la valutazione
 della situazione probatoria che e' stata riassunta nelle  pagine  che
 precedono  non permette una prognosi positiva circa l'idoneita' degli
 elementi acquisiti a  sostenere  l'accusa  in  giudizio,  secondo  la
 disposizione piu' volte citata.
    Occorre  ricordare,  a  questo  proposito,  che  la  relazione  di
 consulenza tecnica disposta dal p.m. ha concluso ravvisando  solo  un
 probabile  rapporto di causalita' tra il comportamento della Trire' e
 la morte del Tassi. Ha infatti ritenuto che  risponde  a  criteri  di
 probabilita',  ma  non di certezza, ammettere un rapporto causale fra
 il comportamento colposo della dott.ssa Stefania Trire' ed il decesso
 di  Giancarlo  Tassi (relazione citata, p. 69). Da questa conclusione
 il p.m. ha percio' tratto materia per ritenere che tale  mancanza  di
 certezza  (che,  vigente  il c.p.p. abrogato, avrebbe determinato una
 formula  dubitativa,  giustificata  dal  dubbio  sul  nesso  causale)
 imporrebbe ora l'archiviazione a mente dell'art. 125 delle disp. att.
 del c.p.p.  Infatti,  stando  alla  motivata  valutazione  anticipata
 compiuta  dal  p.m.  della situazione probatoria appena riassunta, la
 norma dell'art.  125  citato  non  consentirebbe  altra  conclusione,
 tranne  quella  appunto  di  chiedere  al  giudice  per  le  indagini
 preliminari di emettere il decreto di archiviazione, perche' sussiste
 incertezza circa il rapporto di causalita'.
    In   base  a  questa  valutazione  prognostica  delle  risultanze,
 ragionevole e percio' condivisibile, poiche' il nesso causale tra  la
 condotta  e l'evento non e' certo, ma solo probabile, si profilerebbe
 dunque  l'inidoneita'  degli  elementi   acquisiti   delle   indagini
 preliminari  a sostenere l'accusa in giudizio; pertanto si verserebbe
 nella situazione che impone il  decreto  di  archiviazione  in  forza
 della norma dell'art. 125 della disp. att. del c.p.p.
    E'  quindi indubbio, alla stregua di queste considerazioni, che la
 questione di legittimita' costituzionale della  norma  dell'art.  125
 delle  disp. att. del c.p.p., ed anche, nei sensi di cui in premessa,
 dell'art. 408, primo comma, del c.p.p.,  e'  rilevante  ai  fini  del
 decidere,  poiche',  se  le  norme  ora  citate  non dovessero essere
 ritenute viziate da  illegittimita'  costituzionale  con  riferimento
 all'art.   76  ed  all'art.  77,  primo  comma,  della  Costituzione,
 dovrebbe, in tal caso,  essere  verosimilmente  emesso  il  richiesto
 decreto   di   archiviazione.    All'opposto,   se  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dovesse invece essere giudicata  fondata,
 ben  difficilmente  la  richiesta  di  archiviazione  potrebe  essere
 accolta,   la   mera   probabilita',   in   luogo   della   certezza,
 dell'esistenza  di  un nesso di causalita' tra la condotta e l'evento
 non essendo di insuperabile ostacolo a che si ravvisi  ugualmente  il
 nesso  di causalita' di cui si discute, sul fondamento della prudente
 valutazione che puo' essere compiuta allo stato  delle  risultanze  e
 senza  pregiudicare  l'esito del giudizio.  Infatti e' stato ritenuto
 dalla giurisprudenza della suprema Corte, pronunciatasi in ordine  ad
 una fattispecie non molto dissimile, che:  in tema di responsabilita'
 per colpa professionale sanitaria, il  nesso  di  causalita'  tra  la
 condotta  imperita,  negligente  o  imprudente  del sanitario che non
 abbia disposto cautele ed accertamenti suscettibili di determinare un
 collecito  intervento chirurgico su un infortunato e l'evento mortale
 che ne e' seguito, sussiste sempre quando tale intervento,  anche  se
 non  avrebbe salvato con certezza il ferito, aveva buone possibilita'
 di raggiungere lo scopo. Infatti al  criterio  della  certezza  degli
 effetti  si puo' sostituire quello della probabilita' di tali effetti
 (e dell'idoneita' della condotta a produrli) quando e'  in  gioco  la
 vita  umana;  pertanto sono sufficienti anche solo poche probabilita'
 di successo  di  un  immediato  o  sollecito  intervento  chirurgico,
 sussistendo,  in  difetto, il nesso di causalita' qualora un siffatto
 intervento non sia stato possibile a causa dell'incuria del sanitario
 che  ha visitato il paziente (Cass.  sezione quarta, 12 maggio 1983).
    Pertanto     un'eventuale    dichiarazione    di    illegittimita'
 costituzionale della norma dell'art. 125 delle disp. att. del  c.p.p.
 potrebbe esplicare effetti determinanti sul contenuto della decisione
 che dovra' essere adottata in merito alla richiesta di  archiviazione
 presentata dal p.m.
    E' quindi evidente che, proprio per questo motivo, il giudizio non
 puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della
 prospettata questione di legittimita' costituzionale.
    Tale  questione  viene dunque sollevata d'ufficio da questo stesso
 giudice, perche' rilevante, oltre che non manifestamente infondata.
    Deve  conseguentemente  essere  disposta  l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale, previ gli  adempimenti  di  cui
 all'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Deve   inoltre   essere   ordinata  la  sospensione  del  presente
 procedimento penale nei confronti di Trire' Stefania, in attesa della
 definizione della sollevata questione di legittimita' costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
    Solleva  d'ufficio  questione di legittimita' costituzionale degli
 art. 408, primo comma, del c.p.p. e 125 del d.-lgs. 28  luglio  1989,
 n.  271,  con  riferimento  agli  artt.  76  e 77, primo comma, della
 Costituzione ed all'art. 2, punto 50) della legge 16  febbraio  1987,
 n. 81;
    Dispone  pertanto  l'immediata  trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale;
    Sospende conseguentemente il procedimento in corso;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata  all'indagata  ed  al  p.m.,  nonche'  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri;  che  sia  inoltre comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del parlamento.
      Torino, addi' 5 aprile 1990
                Il giudice per le indagini preliminari:
                                 OGGE'

 90C0768