N. 297 SENTENZA 14 - 19 giugno 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Cure termali - Requisito
 dell'indilazionabilita' - Insussistenza del preteso contrasto tra la
 norma come interpretata dalla sentenza della Corte di cassazione n.
 5634/1988 e il dettato costituzionale di cui alla sentenza n.
 559/1987 della Corte - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 13, terzo comma, convertito in
 legge 11 novembre 1983, n. 638, con modificazioni).
 
 (Cost., artt. 3, 32, 36, 38 e 102).
(GU n.26 del 27-6-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13, terzo
 comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in
 materia  previdenziale  e sanitaria e per il contenimento della spesa
 pubblica,   disposizioni   per   vari    settori    della    pubblica
 amministrazione   e  proroga  di  taluni  termini),  convertito,  con
 modificazioni, in legge  11  novembre  1983,  n.  638,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  12  gennaio  1990  dal  Pretore  di Torino nel
 procedimento civile vertente tra Salice Franca e  la  S.p.a.  S.E.I.,
 iscritta  al  n.  121  del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  12,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1990;
    Visto l'atto di costituzione della S.p.a. S.E.I. nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 23 maggio 1990 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Decidendo circa la spettanza dell'indennita' di malattia di
 cui all'art. 2110 cod. civ. per  un  periodo  di  fruizione  di  cure
 idrotermali  risultate rispondenti ad effettive esigenze terapeutiche
 ma non indilazionabili fino al periodo feriale, il Pretore di Torino,
 con  ordinanza  del  12  gennaio  1990,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale   dell'art.   13,   terzo   comma,   del
 decreto-legge   12   settembre   1983,   n.   463,   convertito,  con
 modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in  cui
 -  secondo  l'interpretazione  delle  Sezioni  Unite  della  Corte di
 cassazione (sentenza n. 5634 del 1988) - pone a tal fine il requisito
 dell'indilazionabilita'  delle  cure,  che  a  suo avviso porrebbe la
 norma in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 32, primo comma, 36,
 primo e terzo comma, 38, secondo comma e 102 primo comma, Cost.
    L'ordinanza  prende  le mosse dalle enunciazioni della sentenza di
 questa Corte n. 559 del 1987, con le quali nel concetto di "malattia"
 di  cui  all'art.  2110  cod. civ. sono state ricomprese le affezioni
 croniche  ed  e'  stato  riconosciuto  che  il  diritto  al  relativo
 trattamento   economico  spetta  -  pur  in  assenza  di  un  attuale
 impedimento al lavoro - qualora per le cure idrotermali  disciplinate
 dal  citato  art.  13  sussistano  "effettive esigenze terapeutiche o
 riabilitative", da intendersi nel senso  che  "risulti  accertata  la
 reale  esigenza - per il conseguimento dei divisati scopi terapeutici
 o riabilitativi - che esse siano effettuate in periodo extraferiale".
    La citata sentenza delle Sezioni Unite, enunciando il principio di
 diritto secondo cui l'indennita' di malattia spetta solo ove sussista
 "l'accertata  necessita', non dilazionabile sino alle ferie annuali o
 ai congedi ordinari, di sottoposizione  del  dipendente  a  specifici
 trattamenti  idrotermali"  -  i  quali debbano quindi essere eseguiti
 "con  conveniente  tempestivita'  nel  periodo  extraferiale"  -   si
 sarebbe,  secondo  il Pretore, discostata dall'indirizzo della Corte,
 in  quanto  avrebbe  in  sostanza  riesumato  requisiti,   quali   la
 "necessita'  non dilazionabile" e l'"indifferibilita'" delle cure, da
 questa definiti "impropri e troppo restrittivi".
    Intesa  nel senso suddetto, la norma confliggerebbe, innanzitutto,
 con gli artt. 3 e 102 Cost. Essa, infatti, risulterebbe irragionevole
 giacche'  -  sostiene il giudice a quo - le cure idrotermali sono per
 loro  natura  sempre  differibili,  in  quanto  esse   concorrono   a
 migliorare,  o  a  ritardare il decorso della patologia, senza che ne
 derivi  un   beneficio   immediato,   ne'   un   danno   dalla   loro
 procrastinazione. L'interessato, quindi, non potra' mai dimostrare il
 requisito dell'indifferibilita' - come  dimostrerebbero  le  numerose
 decisioni  di  rigetto  basate sul mancato assolvimento di tale onere
 probatorio -; e d'altra parte sarebbe impedita  l'esplicazione  della
 funzione  giurisdizionale,  dato  che  il giudice sarebbe chiamato ad
 applicare "una norma impossibile".
    Inoltre,  costringere  i  soggetti  affetti da malattie croniche a
 rinviare le cure termali significherebbe, di fatto, impedir  loro  di
 curarsi  e  quindi  dar  luogo ad un trattamento deteriore rispetto a
 quello  delle  malattie  acute;  a  nulla  rilevando,  in  proposito,
 l'efficacia solo coadiuvante e complementare delle cure in questione.
 Ne' sarebbe plausibile differenziare i malati cronici tra loro, sotto
 il  profilo  della  differibilita'  o meno delle cure, senza con cio'
 ledere il loro diritto alla salute.
    Sarebbero  ancora violati, ad avviso del Pretore, gli artt. 3 e 36
 Cost., dato che il lavoratore sarebbe posto in  condizione  di  dover
 rinunciare   o   ad  una  retribuzione  sufficiente  e  dignitosa  o,
 alternativamente, alle ferie,  con  conseguente  vanificazione  della
 funzione di ristoro psico-fisico di queste. Del resto, la coincidenza
 tra le ferie e le cure idrotermali rispondenti ad effettive  esigenze
 di  cura  e  riabilitazione  sarebbe  da escludere alla stregua della
 sentenza di questa Corte n. 616 del  1987,  con  la  quale  e'  stata
 dichiarata  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2109 cod. civ.,
 nella parte in cui non prevede che la  malattia  insorta  durante  il
 periodo di ferie ne sospenda il decorso.
    2.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, intervenuto nel
 giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, ha  chiesto  che
 la  questione  sia  dichiarata inammissibile - in quanto gia' risolta
 con la citata sentenza n. 559 del 1987 - o comunque infondata.
    A  suo  avviso, il requisito della non dilazionabilita' delle cure
 e' coerente con la motivazione di tale sentenza, laddove  si  afferma
 l'esigenza  di  "tempestiva fruizione" delle cure termali, si esclude
 che il lavoratore possa "essere costretto a rinviare ad  altra  epoca
 cure   termali  che,  se  effettuate  prima,  si  rivelerebbero  piu'
 efficaci", e si sottolinea l'esigenza che per esse siano, da sanitari
 qualificati,  indicate  "le effettive esigenze" che ne impediscono la
 fruizione in altro periodo.
    3.  -  Anche la Societa' Editrice Internazionale S.p.a., convenuta
 nel giudizio principale, costituitasi a  mezzo  degli  avv.ti  C.  N.
 Barone e S. Savasta Fiore, sostiene l'infondatezza della questione. A
 suo avviso, le interpretazioni  della  norma  impugnata  adottate  da
 questa  Corte  e dalle Sezioni Unite della Cassazione sono pienamente
 coincidenti, in quanto anche la sentenza n. 559 del 1987, richiedendo
 che  vi  sia  una  reale esigenza di esecuzione delle cure termali in
 periodo extraferiale e sottolineando  l'importanza  di  una  motivata
 prescrizione  al  riguardo  del  medico  specialista,  ha in sostanza
 prospettato la distinzione tra  cure  differibili  e  non.  Ne'  tale
 distinzione  potrebbe  ritenersi  incostituzionale,  dato che sarebbe
 legittimo,   nell'ambito   del   rapporto    di    lavoro,    dettare
 regolamentazioni particolari a seconda del tipo di malattia.
    In  una memoria aggiunta, poi, la S.E.I. sostiene che la questione
 sarebbe inammissibile, non  solo  perche'  il  principio  di  diritto
 enunciato  dalle  Sezioni  Unite  della  Corte  di cassazione sarebbe
 conforme alle enunciazioni della sentenza di questa Corte,  ma  anche
 perche' in caso contrario, non avendo l'interpretazione delle Sezioni
 Unite valore vincolante, il giudice a  quo  avrebbe  dovuto  adottare
 l'interpretazione  da  lui  ritenuta  corretta  e  non  sollevare  la
 questione di costituzionalita'. Questa  sarebbe  peraltro  infondata,
 dato  che corrisponde ad un razionale contemperamento degli interessi
 in gioco che le cure idrotermali siano fruite in periodo extraferiale
 solo  se siano accertati e comprovati i requisiti di reale esigenza e
 conveniente tempestivita' enucleati dalle due Corti e condivisi dalla
 quasi  unanime  giurisprudenza  di merito e dallo stesso legislatore,
 che ha al riguardo stabilito che la loro prestazione deve in tal caso
 iniziare  entro 30 giorni dalla richiesta del medico curante (art. 1,
 ottavo comma, legge n. 8 del 1990).
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  l'ordinanza indicata in epigrafe, il Pretore di Torino
 dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 13,  terzo  comma,
 del   decreto-legge  12  settembre  1983,  n.  463,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella  parte  in
 cui  richiede,  per  la  fruizione  di  cure  idrotermali  in periodo
 extraferiale  con  diritto  alla  retribuzione,  la  sussistenza   di
 "effettive  esigenze  terapeutiche  o  riabilitative": cio' in quanto
 tale requisito sarebbe stato interpretato dalle Sezioni  Unite  della
 Cassazione  (sentenza  n.  5634  del 1988) in modo difforme da quanto
 ritenuto da questa Corte (sentenza n. 559  del  1987),  e  cioe'  nel
 senso   di   richiedere   la   "necessita'   non   dilazionabile"   e
 l'"indifferibilita'" fino alle ferie  annuali  delle  suddette  cure.
 Queste,  secondo  il  giudice  a  quo,  sono  per  loro natura sempre
 differibili: e percio' la disposizione, intesa  nel  predetto  senso,
 risulterebbe     irragionevole     e     porrebbe    il    lavoratore
 nell'impossibilita' di provare tale requisito  (e  quindi  di  godere
 dell'indennita' di malattia) ed il giudice nella condizione di dovere
 applicare "una norma impossibile",  con  cio'  confliggendo  con  gli
 artt.  3  e  102, terzo comma, Cost. Risulterebbero violati, inoltre,
 gli artt.  3  e  32  Cost.,  in  quanto  il  requisito  in  questione
 comporterebbe  arbitrarie  discriminazioni  sia  tra malattie acute e
 croniche,  sia  tra  malattie  croniche  le  cui  cure  siano  o  non
 differibili,  con  conseguente menomazione della tutela della salute.
 La disciplina contrasterebbe, infine, con gli artt. 3 e 36 Cost.,  in
 quanto  il lavoratore sarebbe posto in condizioni di dover rinunciare
 o alle cure o alle ferie e verrebbe violata la regola - di  cui  alla
 sentenza  di  questa  Corte  n.  616  del  1987 - per cui la malattia
 insorta durante le ferie ne sospende il decorso.
    2. - La questione non e' fondata.
    Essa poggia su un preteso contrasto tra la norma come interpretata
 dalle Sezioni Unite e il dettato costituzionale  indicato  da  questa
 Corte  nella  sentenza  n. 559 del 1987, che un'attenta lettura delle
 due pronuncie rivela insussistente.
    Il  criterio  guida, infatti, per entrambe le Corti discende dalla
 correlazione tra efficacia e tempestivita' delle cure, nel senso  che
 si  richiede  non  gia'  l'assoluta  necessita'  di cure immediate, o
 comunque anticipate rispetto alle  ferie,  bensi'  la  loro  maggiore
 utilita'  ai  fini  di un piu' efficace conseguimento degli obiettivi
 terapeutici o riabilitativi di volta in volta perseguiti.
    Percio'  il  giudice  a  quo,  quando  basa  le proprie censure di
 irragionevolezza e di  impossibilita'  di  applicazione  della  norma
 impugnata sull'assunto secondo cui le cure idrotermali sarebbero "per
 loro natura sempre differibili, poiche' dalla loro effettuazione  non
 deriva  un  beneficio  immediato  (ne'  un danno immediato dalla loro
 procrastinazione)", incorre in un duplice errore. Sul piano  clinico,
 sia   perche'   la  maggiore  efficacia  di  un  trattamento  termale
 tempestivo va misurata  non  sull'arresto  o  sulla  risoluzione  del
 processo  morboso  ma  sulla  funzione  terapeutica  o  riabilitativa
 complementare che esso per lo piu' svolge; sia  perche'  in  parecchi
 casi la tempestivita' gioca un ruolo rilevante, come ad esempio nelle
 malattie tendenti alla recidiva o quando  sia  richiesta  una  pronta
 riabilitazione.  Sul  piano giuridico, perche' il diritto a fruire di
 cure tempestive sussiste non solo quando, a giudizio  del  sanitario,
 se  ne possa ricavare un beneficio (o evitare un danno) immediato, ma
 in tutti i casi in cui esse appaiono piu' utili ed efficaci  rispetto
 allo scopo cui sono preordinate.
    Intesa   in   questi  termini,  la  norma  impugnata  non  e'  ne'
 irragionevole, ne' di impossibile applicazione, ne' comunque tale  da
 comportare  speciali  difficolta'  sul  piano  probatorio:  le  quali
 possono agevolmente risolversi sol che i sanitari preposti  adempiano
 al  dovere  che  da esso deriva di esprimere uno specifico e motivato
 giudizio  sulla  maggiore  efficacia  ed  utilita'  della   cura   se
 effettuata in periodo extraferiale.
    Inoltre, una volta che sia assicurata la tempestivita' delle cure,
 vengono a cadere le ulteriori censure riferite  agli  artt.  3  e  32
 Cost.  Il diritto alla salute e' infatti adeguatamente tutelato, e le
 eventuali differenziazioni - quanto alla fruizione o meno delle  cure
 in  periodo  extraferiale  -  tra  malattie  acute e croniche, ovvero
 nell'ambito di quest'ultime risultano  razionalmente  correlate  alle
 esigenze di trattamento proprie delle singole manifestazioni morbose.
    3.  -  Infondate sono, infine, anche le questioni che investono il
 rapporto tra le cure idrotermali e le ferie.
    Dal  momento,  infatti, che non e' vero che tali cure siano sempre
 differibili,  ne'  che  sia   normativamente   prescritta   la   loro
 indifferibilita'  per  la  fruizione in periodo extraferiale, viene a
 cadere l'assunto della costante, pratica coincidenza tra cure e ferie
 in  base  al  quale  il  giudice a quo sostiene che il lavoratore, in
 violazione degli artt. 3 e 36 Cost., sarebbe posto nell'alternativa o
 di  curarsi rinunciando alla ferie o di fruire di queste omettendo le
 cure.
    Vero e' invece che tale coincidenza si verifica quando le esigenze
 sanitarie non consiglino l'esecuzione  delle  cure  in  questione  in
 periodo  extraferiale;  ed  e'  quindi  con  riferimento  a tale sola
 ipotesi che va esaminata l'ulteriore censura di violazione  dell'art.
 36,  terzo  comma, Cost., che il giudice a quo prospetta argomentando
 dalla regola della  sospensione  delle  ferie  in  caso  di  malattia
 insorta  nel  corso di esse, stabilita da questa Corte nella sentenza
 n. 616 del 1987.
    Sarebbe   certamente   artificioso   negare  l'effetto  sospensivo
 osservando che nelle ipotesi qui esaminate non e' la malattia in  se'
 ad  incidere sulle ferie, bensi' le cure necessarie per dati processi
 morbosi  che  in  quanto  tali  non  ne  impediscono  normalmente  la
 fruizione:  cio'  infatti  equivarrebbe, nella sostanza, a riproporre
 rispetto alle ferie quell'arbitraria distinzione tra malattie acute e
 croniche  che  questa Corte ha espressamente rigettato nella sentenza
 n. 559 del 1987.
    Altrettanto  artificioso  sarebbe,  pero', sostenere che l'effetto
 sospensivo  si  produca  immancabilmente  in  virtu'  della  rilevata
 indistinguibilita',  ai  fini  in  esame,  tra  la malattia ed il suo
 momento curativo: giacche' in  tal  modo  verrebbe  aprioristicamente
 pretermessa  ogni  concreta  verifica della effettiva incidenza delle
 cure  sul  godimento  delle  ferie,  che  e'  invece  essenziale  per
 stabilire se e quando il principio costituzionale di cui all'art. 36,
 terzo comma possa dirsi violato.
    Entrambe  le  tesi si muovono in una prospettiva diversa da quella
 enunciata da questa Corte nelle citate sentenze nn.  559  e  616  del
 1987:  le quali convergono nell'additarne la soluzione in un adeguato
 bilanciamento degli interessi che muova dall'essenziale  salvaguardia
 dei valori costituzionali in gioco.
    In  questa  prospettiva,  il quesito circa l'effetto sospensivo si
 risolve in quello sulla  compatibilita'  dell'esecuzione  delle  cure
 idrotermali  con  la salvaguardia dell'essenziale funzione di riposo,
 recupero delle energie  psico-fisiche  e  ricreazione  propria  delle
 ferie.  L'esigenza  di  una  disciplina  di dettaglio enunciata nella
 sentenza  n.  616  discende  appunto  da  cio',  che   il   principio
 dell'effetto sospensivo non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni,
 per  l'individuazione  delle  quali  occorre   aver   riguardo   alla
 specificita'  degli  stati  morbosi  e  delle  cure di volta in volta
 considerate.
    Certo,  nel  caso delle cure idrotermali, le caratteristiche della
 maggior parte delle affezioni per cui esse risultano  appropriate  e,
 soprattutto,  le peculiari connotazioni modali delle relative terapie
 comportano  che  in  diverse  situazioni   non   si   determina   una
 compromissione della effettiva realizzazione delle finalita' feriali.
    In  tali  casi,  l'incidenza  sulla facolta' di scelta del modo di
 fruizione delle ferie - o piu' precisamente di una parte di queste  -
 non  e'  che  il  riflesso  del  fatto  che  in  concreto le esigenze
 terapeutiche non richiedevano che le cure si svolgessero  in  periodo
 extraferiale:   sicche'   il   diniego   dell'effetto  sospensivo  si
 giustifica per le medesime  ragioni  di  legittimo  bilanciamento  di
 interessi  gia'  illustrate  a tal riguardo nella sentenza n. 559 del
 1987.
    Cio'  non  toglie, pero', che anche in materia di cure idrotermali
 l'effetto sospensivo delle ferie vada riconosciuto quando, in ragione
 della  specificita'  e/o  gravita'  della  manifestazione  morbosa ed
 altresi' (o altresi') delle modalita' del trattamento  terapeutico  o
 riabilitativo,  l'essenziale  funzione  delle  ferie  possa  dirsi in
 concreto pregiudicata.
    Spetta  quindi alla disciplina di dettaglio - cioe' al legislatore
 e/o alla contrattazione collettiva - stabilire specificamente,  sulla
 base  degli  anzidetti principi, i casi od i criteri in base ai quali
 l'effetto  di  sospensione  delle  ferie  possa  essere  in  concreto
 affermato, nonche' le modalita' dei relativi controlli.
    E  poiche'  la  norma impugnata non e' di ostacolo ad una siffatta
 disciplina, essa - intesa nei predetti sensi - deve ritenersi  immune
 da censura.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,  terzo  comma,   del
 decreto-legge  12  settembre  1983, n. 463 (Misure urgenti in materia
 previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
 disposizioni  per  vari  settori  della  pubblica  amministrazione  e
 proroga di taluni  termini),  convertito,  con  modificazioni,  nella
 legge  11  novembre 1983, n. 638, sollevata in riferimento agli artt.
 3, 32, 36, 38 e 102 della Costituzione, dal  Pretore  di  Torino  con
 ordinanza del 12 gennaio 1990 (r.o. n. 121/90).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 19 giugno 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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