N. 406 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 1989- 8 giugno 1990
N. 406 Ordinanza emessa il 14-28 giugno 1989 (pervenuta alla Corte costituzionale l'8 giugno 1990) dal tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Nani Vincenzo ed altra contro il comune di Napoli Edilizia e urbanistica - Opere eseguite senza concessione o in totale difformita' - Ordine di demolizione - Mancata ottemperanza - Conseguente acquisizione al patrimonio indisponibile del comune sia dell'opera che dell'area su cui insiste - Surrettizia previsione espropriativa di suolo senza indennizzo. (Legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15, terzo comma). (Cost., art. 42).(GU n.26 del 27-6-1990 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 803/1983 reg. sez., proposto da Nani Vincenzo rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Civai ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Napoli alla piazza Mercato n. 196; con l'intervento della Fer.Fab-S.r.l. Lavori edili, in persona degli amministratori Fabrizio Di Domenico e Roberto Di Lorenzo, rappresentata e difesa dall'avv.to Antonio Lamberti ed elettivamente domiciliato in Napoli alla via Mattia Preti n. 10, contro il comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocatura municipale, per l'annullamento dell'ordinanza n. 20651-01298 dell'8 luglio 1982, depositata in data 16 dicembre 1982 presso l'avvocatura municipale ai sensi dell'art. 140 del c.p.c., con la quale si dispone, ex art. 15, terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, l'acquisizione al patrimonio comunale del suolo e della costruzione siti in Napoli alla via Cimitero viale Privato delle Mimose, traversa in fondo a dx, seconda costruzione a sx, Secondigliano, nonche' di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenti ed in particolare dell'ordinanza di demolizione n. 14998 del 29 maggio 1982; Visto il ricorso con i relativi allegati notificato e depositato rispettivamente il 27 gennaio e 26 febbraio 1983; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli; Visto l'atto d'intervento della Fer.Fab S.r.l.; Viste le memorie prodotte dal Comune resistente a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti di causa; Udita alla publica udienza del 14 giugno 1989 la relazione del Referendario dott. Renzo Conti; Udito altresi' per le parti l'avv.to Lamberti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato gli atti e proposto le domande indicati in epigrafe deducendo: 1) l'illegittimita' costituzionale della legge 28 gennaio 1977, n. 10, per violazione dell'art. 42 della Costituzione; 2) l'illegittimita' Costituzionale della citata legge n. 10 per violazione dell'art. 3 della Costituzione; 3) l'illegittimita' costituzionale della citata legge n. 10 per violazione degli artt. 42 e 44 della Costituzione; 4) violazione dell'art. 32 della legge urbanistica; difetto di procedimento; eccesso di potere; violazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 11, quarto e ottavo comma; violazione delle norme sui procedimenti amministrativi; 5) violazione della legge comunale provinciale e delle norme sulla competenza degli organi comunali; 6) mancata indicazione e comparazione degli interessi; 7) violazione e falsa applicazione della legge 17 agosto 1942, n. 1556, della legge 6 agosto 1947, n. 765, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, nonche' dei principi generali in materia di diritto di proprieta' e di repressione di pretesi abusi edilizi; eccesso di potere; errore nei presupposti; 8) difetto di motivazione; sproporzione ed iniquita' della sanzione; violazione art. 15 della legge n. 10/1977. Con atto di intervento ad adiuvandum si e' costituita la Fer.Fab S.r.l., la quale, riproducendo sostanzialmente gli stessi motivi di gravame proposti dal ricorrente principale, ha concluso con la richiesta di accoglimento del gravame. Si e' costituito per resistere il comune intimato il quale ha opposto l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza del gravame. La causa e' stata quindi chiamata e posta in decisione all'udienza pubblica del 14 giugno 1989. F A T T O Con sentenza, non definitiva, deliberata il 14 e 28 giugno 1989 questo tribunale ha dichiarato il ricorso inammissibile, quanto all'impugnativa della diffida a demolire, mentre lo ha rigettato, per quanto si riferiva all'impugnativa dell'ordinanza di acquisizione, con riferimento a tutte le censure proposte ad eccezione del terzo motivo di gravame, nella parte in cui veniva eccepita l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, per violazione dell'art. 42 della Costituzione limittamente alla previsione di acquisizione gratuita (anche) dell'area su cui insiste la costruzione abusiva. Il tribunale, pertanto, avendo riconosciuto la non manifesta infondatezza e la rilevanza della predetta questione sollevata dal ricorrente (nonche' dall'interventore ad adiuvandum) si e' riservato di pronunciarsi definitivamente dopo l'esito del giudizio da parte della Corte costituzionale. D I R I T T O Il ricorrente ha sostenuto la incostituzionalita' dell'art. 15, terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, per contrasto con l'art. 42 della Costituzione, nella parte in cui e' prevista la acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del comune dell'area su cui insiste la costruzione abusiva. Sulla questione il tribunale si e' gia' espresso con ordinanzna n. 614/82,e anche se in relazione ad altro giudizio, e, non sussistendo motivi di discostarsi, non puo' che riproporre le stesse argomentazioni, salvo verificare la sussistenza della rilevanza della questione alla luce della nuova disciplina dettata dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, entrata in vigore nelle more del presente giudizio. Come gia' precisato nella citata ordinanza n. 614/82 la richiamata eccezione non appare manifestamente infondata. Invero il detto terzo comma, dopo aver previsto la demolizione, a cura e spese del proprietario, della opera eseguita in totale difformita' o in assenza della concessione, ha individuato la conseguenza, per il caso di inottemperanza, nella confisca, e cioe' nella gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del comune sia dell'opera che del suolo su cui la costruzione insiste. Indubbiamente tale confisca, a differenza della demolizione, non assume un carattere riparatorio (ne' in forma specifica ne' per equivalente) dell'ordine giuridico violato; infatti la intervenuta violazione non viene riparata in forma specifica, stante che il bene e' conservato in essere; e neanche e' riparata per equivalente, in quanto il bene non e' conservato nelle mani del suo titolare. Non resta che da concludere nel senso che la confisca in argomento e' da annoverare tra le misure punitive. Indubbiamente rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire la punizione da infierire a chi commetta illeciti; non sembra pero' al tribunale che tale discrezionalita' abbia una latitudine talmente ampia da poter attribuire alle sanzioni i connotati propri di altri istituti giuridici. Ove cio' avvenga, infatti, non di esercizio di potesta' normativa sanzionatoria potrebbe parlarsi, bensi' di esercizio di altra potesta', che tuttavia, mascherata da diversa qualificazione, sfuggirebbe alle regole costituzionali che la disciplinano. E' quindi da riterere che non il momen dato dal legislatore, o la collocazione nell'ambito delle leggi, siano rilevanti per qualificare una certa precisione normativa, bensi' le caratteristiche intrinseche della stessa previsione. L'acquisizione della quale trattasi, apparentemente qualificabile come sanzione sia per la intitolazione (sanzioni amministrative) dell'art. 15 in esame, sia per la stretta connessione con l'aquisizione delle opere abusive (la norma invero prevede che le dette opere siano "gratuitamente acquisite, con l'area su cui insitono", in realta', a ben considerare, sfugge al concetto di sanzione. Posto infatti che l'acquisizione dell'opera abusiva rientra senz'altro in una logica sanzionatoria, in quanto si trata di determinare, nel titolare del prodotto dell'illecito compiuto, la perdita dello stesso prodotto, non altrettanto puo' dirsi per l'acquisizone dell'area; non si vede infatti come quest'ultima posa rientrare nella detta logica, atteso che costituisce un bene diverso dalla costruzione. Infatti la costruzione ha una sua individuabilita' giuridica che non necessariamente si confonde con la individualita' giuridica del suolo. Ben vero che vige tuttora il principio, di derivazione romana, secondo cui quid quid inaedificatur solo cedit; tuttavia, a parte i temperamenti di carattere patrimoniale stabiliti a tale regola dal codice civile (in particolare dall'art. 936), e' da osservare che l'ordinamento giuridico prevede l'istituto della superficie, in cui la proprieta' della costruzione e' separata dalla proprieta' del suolo; inoltre le leggi sulla edilizia residenziale pubblica (in particolare l'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865) prevedono che sulla maggior parte delle aree comprese nei piani delle zone da destinare alla cotruzione di alloggi a carattere economico e popolare, ed espropriate in favore di comuni e loro consorzi, venga concesso il solo diritto di superficie. Cio' induce a ritenere che non esiste l'inscindibile unita' costruzione-suolo, che invece il legislatore ha mostrato di presupporre nel prevedere la confisca anche del suolo su cui insiste la costruzione abusiva. Del resto il suolo e' un dato materiale che preesiste alla edificazione abusiva, ed esula quindi dal concetto di opera e edilizia abusiva. Sembra quindi da ritenere che privare il soggetto anche dell'area non concreti una sanzione, bensi' una acquisizione preordinata a una diversa finalita' (non punitiva). Diversa finalita' che invero e' da individuare nella utilizzazione del bene a fini pubblici; infatti l'acquisizione dell'area su cui insiste l'opera abusiva e' espressamente finalizzata, dall'art. 15, terzo comma, in esame, a tale utilizzazione. E' vero che la utilizzazione a fini pubblici e' prevista anche per la costruzione abusiva; tale previsione tuttavia e' pur sempre connessa alla qualificazione di illeceita' della costruzione, onde appare comunque non come il fine primario della norma, bensi' come una finalita' che la norma persegue in considerazione della disponibilita' che dell'immobile viene ad avere la pubblica amministrazione a seguito della applicazione della sanzione; il fine principale della norma resta pur sempre quello di punire il sogetto che ha commesso un illecito. Nella acquisizione dell'area invece, come osservato sopra, il fine di sanzionare il soggetto autore dell'illecito non si rinviene, essendo una ipotetica sanzione di questo genere decisamente al di fuori del rapporto illeceita'-sanzione, e quindi rispetto all'illecito priva di un collegamento che la renda ragionevole. Il fine primario appare in definitiva quello di avere la disponibilita' del terreno per la sua utilizzazione a fini pubblici. Il che pero' fa assumere alla disposizione un deciso carattere espropriativo; nella espropriazione infatti si ha proprio il coattivo passaggio della proprieta' di un bene da un soggetto a un altro per motivi di pubblica utilita'. Ma l'art. 42 della Costituzione stabilisce, per la legittimita' della previsione espropriativa, la fissazione di un indennizzo, che nella specie manca. Per contrastare la suddetta qualificazione espropriativa potrebbe ritenersi che in definitiva il soggetto, lungi dal subire la perdita dell'area, in realta' questa abbandoni spontaneamente, in quanto il provvedimento di acquisizione gratuita e' preceduto dalla diffida a demolire; e, ove venga ottemperato a tale diffida, non si da' luogo ad acquisizione. Tale interpretazione pero' non appare sostenibile. Non puo' invero, dalla mancata ottemperanza all'ordine di demolizione, dedursi l'implicita volonta' dell'interessato di dismettere la proprieta' dell'area. Infatti nel momento della adozione dell'ordine di demolizione non e' certo che verra' senz'altro in prosieguo adottato il provvedimento di acquisizione, in quanto potrebbero rilevarsi non sussistenti, in sede di (futura) verifica, i presupposti per farsi luogo alla acquisizione; e comunque il provvedimento acquisitivo non e' l'unico adottabile, potendo essere emanato in suo luogo il provvedimento di demolizione con spese a carico del proprietario. Ne' potrebbe ritenersi che una volta notificato il provvedimento di acquisizione, il soggetto possa utilmente demolire conservando la proprieta' dell'area. La censura di incostituzionalita' della norma in esame non e' in definitiva manifestamente infondata. La rilevanza della questione sollevata discende dalla esigenza di stabilire la legittimita' o meno del provvedimento di acquisizione impugnato atteso che, come precisato in punto di fatto, essendo state ritenute infondate tutte le altre censure proposte, detta legittimita' rimane subordinata unicamente al giudizio di legittimita' costituzionale del richiamato art. 15, terzo comma, in applicazione del quale e' stato adottato il citato provvedimento. Ne' puo' ritenrsi che la rilevanza della questione sia venuta meno per effetto dell'entrata in vigore, nelle more del giudizio, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la quale ha, tra l'altro, dettato una nuova disciplina in materia di sanzioni nei confronti dei responsabili di abusi edilizi. Cio' nella considerazione che detta ultima legge, all'art. 7, terzo comma, non solo ha confermato la possibilita' di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del comune dell'area sualla quale insiste l'opera abusiva, ma ha ulteriormente resa piu' grave la predetta "sanzione" estendendo l'acquisizione gratuita "all'area di sedime" nonche' a "quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive", con il solo limite che "l'area acquisita non puo' essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita". Ne' risulta che il ricorrente abbia proposto l'istanza di concessione in sanatoria ex art. 31 della citata legge n. 47/1985, la quale, in caso di esito positivo della stessa, avrebbe reso non piu' rilevante la predetta questione di legittimita' Costituzionale.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzioanle 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, per vilazione dell'art. 42 della Costituzione, nella parte in cui e' prevista l'acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune dell'area su cui insiste la cotruzione abusiva; Sospende il definitivo giudizio sul ricorso in epigrafe; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' si pronunci sulla predetta qustione; Dispone, altresi', che la presente ordinanza, a cura della segreteria, sia notificata a tutte le parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Napoli nella camera di consiglio del 14 e 28 giugno 1989. Il presidente: BRIGNOLA Il referendario estensore: CONTI 90C0799