N. 315 SENTENZA 26 giugno - 5 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Imputato contumace irreperibile - Sentenza
 contumaciale - Impugnazione - Impossibilita' di proporla per il
 difensore privo di mandato speciale - Prospettata disparita' di
 trattamento rispetto all'imputato presente o considerato tale con
 conseguente lesione del diritto di difesa - Asserito contrasto con la
 convenzione europea dei diritti dell'uomo Insussistenza - Non
 fondatezza della questione.
 
 (C.P.P. 1930, art. 192, terzo comma, come sostituito dall'art. 2
 della legge 23 gennaio 1989, n. 22).
 
 (Cost., artt. 3 e 24; convenzione europea per la salvaguardia dei
 diritti dell'uomo, art. 6).
(GU n.28 del 11-7-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni Conso;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 192, ultimo
 comma, del codice di procedura penale del 1930, sostituito  dall'art.
 2  della  legge  23  gennaio  1989,  n.  22  (Nuova  disciplina della
 contumacia), promosso con ordinanza emessa il 25 settembre 1989 dalla
 Corte  di  cassazione  nel  procedimento  penale  a carico di Trovero
 Adriano, iscritta al n. 1 del registro ordinanze  1990  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale,
 dell'anno 1990.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  21 marzo 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - La Corte di cassazione, con ordinanza del 25 settembre 1989,
 emessa nel corso del procedimento penale a carico di Trovero Adriano,
 ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione ed
 all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, questione
 di  legittimita' dell'art. 192, ultimo comma, del codice di procedura
 penale del 1930, quale sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23
 gennaio  1989,  n. 22, "per la parte in cui non consente al difensore
 di imputato contumaciale  irreperibile  impugnazione  della  sentenza
 contumaciale se non sia stato munito di specifico mandato".
    Analizzati  gli  argomenti  addotti  dalla  Relazione  al progetto
 preliminare  del  nuovo  codice  di  procedura  penale,  estremamente
 significativi  sul  punto,  in quanto la norma denunciata costituisce
 anticipazione dell'assetto organico dato dal  codice  del  1988  alla
 contumacia,  il  giudice  a  quo  si sofferma, con specifico riguardo
 all'art.  192  del  codice  di  procedura  penale  del  1930,   sulla
 necessita'  dello  "specifico  mandato",  come "logica ed inevitabile
 conseguenza  della  nuova  disciplina  della   contumacia   e   della
 restituzione  in  termini  introdotta dalla legge n. 22/89". Ma detto
 risultato  sarebbe  non  del  tutto  convincente  sul   piano   della
 legittimita'  costituzionale,  lasciando  "presumere  che  l'imputato
 abbia effettuato una  preventiva  valutazione  circa  le  conseguenze
 dell'attivita'  che  il difensore potra' compiere nel suo interesse",
 un'eventualita' che e', invece, da escludere  categoricamente  quando
 l'imputato   sia   irreperibile.   Di   conseguenza,   in   caso   di
 irreperibilita'  sarebbe  assolutamente  irragionevole  ritenere  "il
 silenzio come sintomatico di una volonta' di non impugnare".
    D'altro  canto, il difensore d'ufficio di un imputato irreperibile
 mai avrebbe potuto ricevere  lo  specifico  mandato  richiesto  dalla
 legge;  quindi,  "il diverso minor diritto a chiedere la restituzione
 in  termini"  attribuito  all'imputato  non  sarebbe  in   grado   di
 bilanciare  la  sottrazione  al  difensore  del  diritto  di proporre
 gravame,  donde   una   duplice   violazione   dell'art.   24   della
 Costituzione,  sia  con  riguardo  al difensore sia con riguardo allo
 stesso imputato.
    Specie  con riferimento alla difesa tecnica risulterebbe vulnerato
 il diritto protetto dalla norma costituzionale, se e' vero che,  ogni
 qual volta l'autodifesa non sia concretamente esercitabile, "la legge
 processuale riconosce alla difesa tecnica poteri di  sostituzione  in
 virtu'  dei  quali  si realizza quella integrazione con l'altra parte
 tanto da soddisfare i principi costituzionali".
    Nei  "casi  estremi  di irreperibilita'" sottrarre al difensore il
 potere autonomo di impugnare equivale ad estromettere  di  fatto  dal
 processo   la   difesa   tecnica,  che  potrebbe  subito  far  valere
 l'illegittimita' della decisione.
    Ulteriori  perplessita'  quanto alla conformita' all'art. 24 della
 Costituzione della norma denunciata si  profilerebbero  alla  stregua
 dell'art.  6  della  Convenzione  europea dei diritti dell'uomo, "che
 garantisce ad ogni accusato il diritto a difendersi da se' o ad avere
 l'assistenza  di  un difensore per assicurare l'equita' del processo,
 ossia un equilibrio di autodeterminazione dell'imputato in un  quadro
 di garanzie tecniche che hanno rilevanza anche oggettiva per l'intera
 societa'".
    Sotto  tale  aspetto,  al  giudice  a quo appare preminente per il
 "cittadino  sottoposto  a  procedimento  penale"  la   presenza   del
 difensore   tecnico:   tanto   piu'  quando  questo  "cittadino"  sia
 contumace, latitante, all'estero o irreperibile.
    La mancanza del diritto di impugnare per il difensore non potrebbe
 dirsi adeguatamente compensata dal nuovo  regime  della  restituzione
 nel  termine.  E  cio'  perche'  "la  restituzione  in  termini  puo'
 arrivare, quando ne ricorrano i presupposti, allorche' gravi danni si
 siano  gia'  verificati  per effetto del passaggio in giudicato della
 sentenza e dell'inizio della esecuzione della pena detentiva, sicche'
 il  rinvio  successivo  si  risolve in una minore garanzia rispetto a
 quella assicurata dall'autonomo potere di impugnativa del difensore".
    Con  riguardo alla violazione, pur'essa dedotta, dell'art. 3 della
 Costituzione, il giudice a quo rileva come una irrazionale disparita'
 di   trattamento  debba  ravvisarsi  nella  disciplina  riservata  al
 contumace rispetto alla disciplina riservata all'imputato assente (ma
 non contumace) e all'imputato presente. Infatti, un imputato assente,
 non essendo contumace, e'  validamente  rappresentato  dal  difensore
 legittimato  a  proporre impugnativa secondo le regole generali anche
 in mancanza di uno specifico mandato  ad  impugnare;  cosi'  come  e'
 egualmente  garantita  la  posizione  dell'imputato  presente  il cui
 difensore puo', anche in tal caso, senza necessita' di uno  specifico
 mandato, autonomamente proporre impugnazione.
    Quanto  alla  "posizione  degli imputati irreperibili (ipotesi non
 considerata     dalla     norma     denunciata      per      sospetta
 incostituzionalita')",  il  giudice  a  quo  ricorda  come  sia stata
 "ripetutamente ritenuta inapplicabile la procedura del decreto penale
 contro  gli  irreperibili  essendo  i  decreti  opponibili solo dagli
 interessati  e  non   anche   da   difensori",   cosi'   univocamente
 riconoscendosi  che  all'irreperibile  deve  garantirsi  comunque una
 rappresentanza che si esplichi attraverso un difensore tecnico.
    Conclusivamente,   la   sovrapposizione  al  regime  dell'autonomo
 gravame del difensore del regime della restituzione nel termine  crea
 "una  frattura  pericolosa  tra difesa tecnica e difesa diretta, essa
 stessa inammissibile per dettato  costituzionale':  la  difesa  "deve
 sempre  e  comunque esprimersi in fatto e in diritto, quanto meno con
 riferimento alla realta' processuale".
   2.  -  L'ordinanza,  ritualmente  notificata e comunicate, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 3, prima serie  speciale,  del
 17 gennaio 1990.
    E'   intervenuto   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 riportandosi  integralmente  ad  altro  atto  difensivo  prodotto per
 questione del tutto identica sottoposta  all'esame  della  Corte  dal
 Tribunale di Roma con ordinanza del 29 aprile 1989.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte di cassazione dubita che l'art. 192, terzo comma,
 del codice di procedura penale del 1930, quale  sostituito  ad  opera
 dell'art.  2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, sia in contrasto con
 gli artt. 3 e 24 della  Costituzione,  nonche'  con  l'art.  6  della
 Convenzione  europea  dei  diritti dell'uomo, "nella parte in cui non
 consente  al  difensore   di   imputato   contumaciale   irreperibile
 l'impugnazione della sentenza contumaciale se non munito di specifico
 mandato".
    2. - Ad avviso del giudice a quo, la norma impugnata lederebbe sia
 il  principio  di  eguaglianza,   in   quanto   "si   presenta   come
 ingiustificatamente   penalizzante   della   posizione   processuale"
 dell'imputato  contumace   irreperibile   rispetto   alla   posizione
 dell'imputato  presente  o  considerato  tale,  sia  il  principio di
 inviolabilita' del diritto di difesa, in quanto, "nei casi estremi di
 irreperibilita'", che tolgono "di fatto la possibilita' di esprimersi
 alla  difesa  personale",  l'eliminazione  del  potere  autonomo   di
 impugnativa  del difensore viene altresi' ad "estromette(re) di fatto
 dal processo la difesa  tecnica".  Il  che  porta  a  dubitare  della
 legittimita'  della  norma  anche  con  riferimento  alla Convenzione
 europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
 fondamentali,  la'  dove, all'art. 6, "garantisce ad ogni accusato il
 diritto  di  difendersi  da  se'  o  ad  avere  l'assistenza  di   un
 difensore".
    La questione non e' fondata.
    3.  - Per quanto concerne la prima doglianza, e' ben vero che, nel
 testo sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n.
 22,  il  terzo comma dell'art. 192 del codice di procedura penale del
 1930 riserva  una  previsione  del  tutto  particolare  al  difensore
 dell'imputato  contumace,  sia  questi pure irreperibile o no. E cio'
 perche' con la seconda parte del comma, del tutto priva di  riscontro
 nel   testo  sostituito,  si  stabilisce  che  "contro  una  sentenza
 contumaciale il difensore puo' proporre impugnazione solo  se  munito
 di   specifico   mandato,   rilasciato   con   la   nomina   o  anche
 successivamente nelle forme per questa previste",  cosi'  apertamente
 derogando alla regola generale enunciata nella prima, ed inizialmente
 unica, parte dello stesso comma ("L'impugnazione  puo'  anche  essere
 proposta  dal  difensore  che ha assistito o rappresentato l'imputato
 nel procedimento").
    Peraltro,  anche  a proposito della nuova diversita' di disciplina
 in tal modo  introdotta  dal  legislatore  del  1989  fra  l'imputato
 contumace e l'imputato presente e, quindi, fra l'imputato contumace e
 l'imputato assente per espressa rinuncia - rispetto  ad  esso  l'art.
 427,  secondo  comma, del medesimo codice prescrive, infatti, che "si
 procede come fosse presente" - questa Corte  non  puo'  non  ribadire
 quanto  ha gia' avuto modo di affermare (v. sentenze n. 48 del 1976 e
 n. 136 del 1971; ordinanza n. 76  del  1973)  a  proposito  di  altre
 diversita'  di  disciplina  riscontrabili  fra l'imputato contumace e
 l'imputato assente: e, cioe', che la  disparita'  di  trattamento  e'
 "pienamente   giustificata   dalla   diversita'   delle   situazioni"
 confrontate.  A  differenza  dell'assente,  il  contumace   "non   ha
 manifestato  alcuna  volonta'  negativa in ordine alla comparizione e
 alla presenza in udienza,  e  potrebbe,  in  estrema  ipotesi,  anche
 ignorare  l'esistenza  del  giudizio  o  la data del dibattimento". A
 quest'ultimo riguardo, il caso dell'imputato contumace  irreperibile,
 che   l'ordinanza   di  rimessione  assume  a  base  della  sollevata
 questione,   si   prospetta   estremamente   sintomatico,   ponendosi
 addirittura  in  antitesi  al  caso dell'imputato rinunciante e, piu'
 ancora, al caso dell'imputato presente.
    Resta,   naturalmente,   ferma   l'esigenza   che  il  particolare
 trattamento predisposto dal legislatore per la  situazione  "diversa"
 sia  rispettoso  del "principio di ragionevolezza" (v., fra le tante,
 sentenze n. 15 del 1982, n. 164 del 1971, n.  7  del  1965)  e  degli
 altri   parametri   costituzionali   eventualmente  invocati,  quale,
 appunto, nella specie, l'art. 24, secondo comma,  essendosi  espresso
 dal  giudice  a  quo  l'avviso  che  la  "necessita' dello 'specifico
 mandato'" al  difensore  ponga  "seri  problemi  di  limitazione  del
 diritto  di difesa", in quanto non "logica e inevitabile conseguenza"
 della nuova disciplina dovuta alla legge n. 22 del 1989.
    4.  - Come puntualizza la stessa Corte di cassazione, la doglianza
 riferita all'art. 24,  secondo  comma,  della  Costituzione  non  va,
 dunque,  esaminata  considerando  alla stregua di una norma fine a se
 stessa la parte del terzo comma dell'art. 192 sottoposta al vaglio di
 legittimita'  costituzionale.  Adottando  una  simile ottica, i dubbi
 circa la conformita' della  norma  denunciata  all'art.  24,  secondo
 comma,  potrebbero  divenire davvero difficilmente superabili, e cio'
 non  solo  sotto  lo  specifico   aspetto   della   difesa   tecnica,
 direttamente  coinvolta  dall'art.  192,  terzo  comma, del codice di
 procedura penale, ma anche nel quadro globale del diritto di  difesa,
 trattandosi  di imputato irreperibile, concretamente impossibilitato,
 almeno di massima, ad impugnare nel termine ordinariamente  previsto.
    Una  verifica  cosi'  circoscritta  avrebbe,  pero',  il  torto di
 prescindere dallo stretto legame che unisce  la  norma  in  questione
 alle altre norme della legge 23 gennaio 1989, n. 22, l'ultima ad aver
 novellato il codice di procedura penale del 1930 poco prima della sua
 abrogazione  da parte del nuovo codice di procedura penale, all'epoca
 anzi gia'  pubblicato.  Tale  collegamento  assume  rilievo  decisivo
 soprattutto per quanto attiene all'art. 1, che, nel sostituire l'art.
 183- bis del vecchio codice, ha notevolmente modificato  ed  ampliato
 la sfera di applicazione dell'istituto della restituzione in termini.
    A   seguito   dell'intervenuta   sostituzione,  il  secondo  comma
 dell'art. 183- bis, anch'esso  privo  di  ogni  riscontro  nel  testo
 precedente,  dispone,  infatti, che "Se e' stata pronunciata sentenza
 contumaciale..., puo' essere chiesta la restituzione nel termine  per
 proporre  impugnazione...  nonche'  per  la  presentazione dei motivi
 anche dall'imputato che provi di non aver avuto effettiva  conoscenza
 del  provvedimento impugnato, sempre che l'impugnazione non sia stata
 gia' proposta dal difensore e", ulteriore condizione, "il  fatto  non
 sia  dovuto  a  sua  colpa ovvero, quando la sentenza contumaciale e'
 stata notificata a norma dell'art. 170..., egli non si sia  sottratto
 volontariamente  alla conoscenza degli atti del procedimento". Con il
 che  il  legislatore  del  1989  ha  dedicato  specifica   attenzione
 all'ipotesi  dell'imputato irreperibile, destinatario, appunto, delle
 notificazioni  eseguite  ex  art.  170   "mediante   deposito   nella
 cancelleria  o  segreteria  dell'ufficio  giudiziario  nel  quale  si
 procede"  e  contemporaneo  avviso   del   deposito   al   difensore,
 solitamente nominato d'ufficio.
    Lo scopo perseguito affiancando il novellato terzo comma dell'art.
 192 al novellato secondo comma dell'articolo 183-bis e'  trasparente:
 evitare  che  l'impugnazione  proposta  dal  difensore  non munito di
 specifico mandato in situazioni del  tipo  di  quella  delineata  dal
 giudice  a quo comprometta ogni possibilita' di impugnazione da parte
 dell'imputato: questi, verosimilmente  gia'  non  in  grado,  proprio
 perche'  irreperibile,  di  avvalersi del termine di tre giorni dalla
 notificazione della sentenza mediante  deposito  in  cancelleria  (v.
 artt. 170, 198, terzo comma, e 500 del codice di procedura penale del
 1930), non si troverebbe nemmeno in grado  di  proporre  impugnazione
 una  volta venuto ad effettiva conoscenza della decisione pronunciata
 nei suoi confronti, proprio perche' in quel momento  l'esercizio  del
 relativo potere risulterebbe consumato dall'iniziativa del difensore.
    L'ordinanza  di  rimessione  da' fedelmente conto di questo motivo
 ispiratore di una  riforma  che,  avendo  voluto  "anticipare  eguali
 disposizioni  del nuovo codice di procedura penale (art. 175 e 571)",
 trova  nella  Relazione  al  progetto  preliminare  di  quel   codice
 l'esplicazione   della   sua   ragion   d'essere,   ravvisata,   come
 puntualmente  riporta  l'ordinanza,  "nel  fatto  che  l'impugnazione
 proposta  dal  difensore  esaurisce per l'imputato la possibilita' di
 ottenere, se contumace, la restituzione in termini" (e, va  aggiunto,
 la  rinnovazione  del  dibattimento,  a  norma dell'art. 520, secondo
 comma, del codice di procedura penale,  quale  inserito  dall'art.  6
 della   legge   n.   22   del   1989),  donde  la  limitazione  della
 "legittimazione del difensore nel caso di sentenza contumaciale, allo
 scopo  di  impedire  gli effetti preclusivi che scaturirebbero da una
 impugnazione frettolosamente proposta da un difensore il  quale,  sia
 esso  legato  o  meno da un rapporto fiduciario, e' ben possibile non
 abbia potuto prendere  contatto  con  l'imputato  nel  breve  termine
 previsto per la proposizione del gravame".
    Lo stesso giudice a quo ritiene, peraltro, che gli argomenti cosi'
 addotti non siano "convincenti" e tali, quindi, da non escludere  una
 indebita compressione del diritto di difesa. Cio' perche', al fine di
 controbilanciare  il  limite  posto  all'impugnativa  del  difensore,
 "l'imputato  si  vedrebbe  riconosciuto  il  diverso  minor diritto a
 chiedere la restituzione in termini", la quale "puo' arrivare, quando
 ne  ricorrono  i  presupposti,  allorche'  gravi  danni si siano gia'
 verificati per effetto del passaggio in giudicato  della  sentenza  e
 dell'inizio della esecuzione della pena detentiva, sicche' il rimedio
 successivo si risolve  in  una  minore  garanzia  rispetto  a  quella
 assicurata dall'autonomo potere di impugnativa del difensore".
    L'osservazione  e'  senz'altro  calzante, con particolare riguardo
 all'ipotesi, piu' facilmente verificabile, in cui l'interessato venga
 ad  effettiva  conoscenza  dell'atto  dopo  il passaggio in giudicato
 della sentenza contumaciale, a fronte di un ordine di carcerazione e,
 quindi,  in  coincidenza  con  l'inizio  dell'esecuzione  della  pena
 detentiva. E', infatti,  dal  momento  in  cui  l'imputato  ha  avuto
 effettiva conoscenza dell'atto che comincia a decorrere il termine di
 dieci giorni previsto dal terzo comma dell'art. 183- bis  del  codice
 di  procedura  penale  del  1930 per la presentazione dell'istanza di
 restituzione nel termine, il cui esame, a sua volta, puo'  richiedere
 anche tempi non brevi.
   Il rilievo non coinvolge, tuttavia, l'art. 192, terzo comma, in se'
 e per se' considerato,  bensi'  i  suoi  rapporti  con  la  normativa
 concernente  l'esecuzione  della  sentenza  e, in particolare, con il
 settimo comma dell'art. 183-bis, che, senza distinguere tra le  varie
 ipotesi  di  restituzione  in  termini,  subordina  "la scarcerazione
 dell'imputato detenuto in esecuzione della sentenza" all'accoglimento
 dell'istanza  di  restituzione  nel termine per proporre impugnazione
 avverso la sentenza di condanna.
    La    prospettazione    di   eventuali   dubbi   di   legittimita'
 costituzionale nei confronti di questa o  di  altra  norma  attinente
 all'esecuzione  delle  sentenze  di  condanna  sarebbe, comunque, non
 pertinente in questa sede, non riscontrandosi in ordine  alla  specie
 oggetto  del  giudizio  a quo alcuna situazione di liberta' personale
 ristretta. Il che, ovviamente,  non  esclude  l'opportunita'  di  una
 rimeditazione   a   livello   legislativo   della   disciplina  della
 restituzione nel termine  per  impugnare  la  sentenza  contumaciale,
 soprattutto  quando emessa nei confronti di un imputato irreperibile,
 cosi'  da  evitare  che   il   diritto   di   proporre   impugnazione
 personalmente si traduca in un "minor" diritto a causa del sacrificio
 della liberta' personale che ne accompagna l'esercizio.
    5.  -  Per  quanto  riguarda  la lamentata mancanza di adeguamento
 all'art. 6, paragrafo 3, lettera c), parte prima,  della  Convenzione
 europea  per  la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
 fondamentali  -  anche  a  prescindere  dal   piu'   volte   ripetuto
 insegnamento che la norma pattizia "non si colloca di per se stessa a
 livello costituzionale" (v. sentenza n. 15 del 1982; nonche' sentenza
 n.  188  del  1980,  proprio  con  specifico  riferimento all'art. 6,
 paragrafo 3, lettera c, della Convenzione richiamata  dal  giudice  a
 quo)  - le considerazioni sopra svolte in ordine al diritto di difesa
 portano comunque ad escludere che l'art. 2  della  legge  23  gennaio
 1989,  n.  22,  sostitutivo dell'art. 192, terzo comma, del codice di
 procedura  penale  del  1930,  sia  non  conforme  alla  prescrizione
 pattizia.  L'aver privilegiato, ai fini dell'esercizio del diritto di
 impugnazione, l'autodifesa rispetto alla difesa tecnica e'  in  linea
 con  una  delle  regole  minime  -  per  l'esattezza, la sesta ("...i
 termini di ricorso non devono decorrere che a partire dal momento  in
 cui  il  condannato  ha  avuto  conoscenza  effettiva  della sentenza
 notificata, salvo  che  sia  accertato  che  egli  si  sia  sottratto
 volontariamente  alla  giustizia")  -  la  cui  osservanza  e'  stata
 raccomandata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa con  la
 Risoluzione n. 11 del 21 maggio 1975.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 192, terzo comma, del codice di procedura penale del  1930,
 quale sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n.
 22,  nella  parte  in  cui  esclude  che  il  difensore  di  imputato
 irreperibile  possa impugnare la sentenza contumaciale quando non sia
 munito di specifico mandato, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
 24  della Costituzione ed all'art. 6 della Convenzione europea per la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
 dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1990.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: CONSO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0855