N. 320 ORDINANZA 26 giugno - 5 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimento gia' in corso
 all'entrata in vigore del codice - Formalita' di apertura del
 dibattimento gia' esperite - Applicazione della pena su richiesta
 dell'imputato - Esclusione - Inapplicabilita' della diminuente  ex
 art. 444 del c.p.p. 1988 - Lamentata disparita' di trattamento a
 seconda dello stato dei giudizi - Diversita' delle situazioni poste a
 raffronto - Manifesta infondatezza della questione.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 248).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.29 del 18-7-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 248 del decreto
 legislativo  28  luglio  1989,  n.  271   (Norme   d'attuazione,   di
 coordinamento  e  transitorie  del  codice  di  procedura  penale) in
 relazione all'art. 444 del codice di procedura penale,  promossi  con
 le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 30 novembre 1989 dal Pretore di Brescia -
 Sezione distaccata di Breno - nel procedimento  penale  a  carico  di
 Catturich Ducco Pietro, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 1990
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  8/1Π s.s.
 dell'anno 1990;
      2)  ordinanza emessa il 26 ottobre 1989 dal Pretore di Messina -
 Sezione distaccata di Milazzo,  nei  procedimenti  penali  riuniti  a
 carico di Tromba Mario, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1990
 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  8,  prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  d'intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  4 aprile 1990 il Giudice
 relatore Renato Dell'Andro;
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  del 30 novembre 1989 (Reg. ord. n.
 57/1990) il Pretore di  Brescia,  Sezione  distaccata  di  Breno,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 all'art. 3 Cost., dell'art. 248 del  decreto  legislativo  28  luglio
 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
 codice  di  procedura  penale)  nella  parte  in  cui  non   consente
 l'applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'art.
 444 del codice di procedura penale, anche ai procedimenti per i quali
 siano  state  compiute  le  formalita' d'apertura del dibattimento di
 primo grado;
      che,   invero,   secondo   il   Pretore   di  Breno,  l'istituto
 dell'applicazione della pena  su  richiesta  delle  parti,  oltre  ad
 essere  finalizzato  ad  una  rapida  decisione  del processo penale,
 comporta anche rilevanti conseguenze sostanziali, a cominciare  dalla
 diminuzione  della  pena  fino  ad  un  terzo,  sicche' si verrebbe a
 determinare  un'irrazionale  disparita'  di   trattamento   tra   gli
 imputati,  fondata  esclusivamente  sul dato estrinseco e formale del
 compimento delle formalita' d'apertura del dibattimento;
      che  analoga  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
 medesima norma di cui al citato art. 248 del decreto  legislativo  n.
 271  del  1989  e'  stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24
 Cost., dal Pretore di Messina, Sezione  distaccata  di  Milazzo,  con
 ordinanza del 27 ottobre 1989 (Reg. ord. n. 67/90);
      che,  in  particolare,  a parere del Pretore di Messina, Sezione
 distaccata di Milazzo, il divieto di  chiedere  l'applicazione  della
 pena  su  richiesta  delle  parti anche nell'ipotesi di processo gia'
 inoltrato viene a precludere l'esercizio d'un diritto della difesa da
 parte   di   cittadini  che  si  trovano  nella  medesima  situazione
 sostanziale di altri e che non lo hanno potuto esercitare prima,  per
 fatto  a  loro  non  riferibile,  in  tal modo determinando, oltre ad
 un'irrazionale disparita' di trattamento, anche  una  violazione  del
 diritto di difesa;
      che  in  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
 infondata;
      che,   infatti,   a   parere   dell'Avvocatura,   la   finalita'
 dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta  delle  parti
 e'   quella   d'incentivare  l'immediata  definizione  del  processo,
 eliminando la fase dibattimentale e quella dell'appello, di modo  che
 la  riduzione  della  pena  non  rappresenta  un beneficio bensi' una
 contropartita-premio per la rinuncia al rito ordinario;
      che,  di  conseguenza,  il  termine  per  avanzare  la richiesta
 dell'applicazione della pena e' stato non  illogicamente  individuato
 nella  dichiarazione  d'apertura  del dibattimento, superato il quale
 non potrebbe piu' realizzarsi la funzione  dell'istituto  e  verrebbe
 meno  il  collegamento fra incentivo e rito differenziato; sicche' la
 prospettata diversita' di trattamento trova razionale giustificazione
 nella diversita' delle situazioni processuali;
    Considerato  che  i  giudizi, concernendo questioni analoghe e, in
 parte, identiche, possono essere riuniti;
      che  le  considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n.
 277 del 1990 - relativa all'impossibilita' (a norma dell'art. 247 del
 medesimo decreto legislativo n. 271 del 1989) di chiedere il giudizio
 abbreviato quando siano gia' state compiute le formalita'  d'apertura
 del   dibattimento  -  valgono  anche  per  l'analoga  questione  qui
 trattata, relativa  alla  possibilita'  di  richiedere  l'attivazione
 dell'istituto  dell'applicazione  della pena su richiesta delle parti
 soltanto  prima  del  compimento  delle  formalita'  d'apertura   del
 dibattimento di primo grado;
      che,  in  particolare,  nella  citata  sentenza  la Corte ha fra
 l'altro sottolineato - con osservazione valida anche in  ordine  alla
 disposizione  oggetto  del presente giudizio - l'"inscindibile unita'
 finalistica" della disposizione in quella sede impugnata,  osservando
 che  la  riduzione  della  pena  in  tanto e' consentita in quanto e'
 diretta  a  sollecitare  la  richiesta,   da   parte   dell'imputato,
 dell'attivazione   d'un  istituto  inteso  ad  assicurare  la  rapida
 definizione del maggior numero di processi;  di  modo  che,  divenuto
 impossibile,   con   l'apertura   del  dibattimento,  raggiungere  le
 finalita' che il legislatore si prefigge, diventa conseguentemente  e
 razionalmente  impossibile  all'imputato realizzare il c.d. "diritto"
 alla riduzione della pena;
      che, pertanto, tale essendo lo scopo degli istituti del giudizio
 abbreviato e dell'applicazione della pena su  richiesta  delle  parti
 (esclusione  della  fase  dibattimentale) e' del tutto razionale che,
 per i procedimenti gia' in corso  all'entrata  in  vigore  del  nuovo
 codice   di   procedura   penale,  tali  istituti  siano  stati  resi
 applicabili soltanto quando il loro scopo  possa  essere  interamente
 perseguito;
      che   la   precitata   sentenza   ha  altresi'  aggiunto  -  con
 considerazione anch'essa estensibile  all'istituto  dell'applicazione
 della  pena su richiesta delle parti - che irrazionale sarebbe semmai
 l'applicabilita'  in  quella  sede  del  giudizio  abbreviato,   dopo
 l'apertura del dibattimento; giacche' in tal caso i benefici concessi
 all'imputato non sarebbero piu' giustificati ne' dallo  scopo  (ormai
 impossibile)  d'eliminare  la  fase  dibattimentale  ne'  dal rischio
 assunto dall'imputato (il quale si troverebbe nella comoda situazione
 di  decidere  dopo  che  il pubblico ministero ha gia' offerto le sue
 prove  e  comunque  dopo  aver  potuto   valutare   l'andamento   del
 dibattimento stesso);
      che, pertanto, non e' producente il confronto fra imputati per i
 quali il dibattimento sia  stato  o  non  sia  stato  ancora  aperto,
 appunto perche' si tratta di situazioni oggettivamente diverse;
      che, di conseguenza, le questioni di legittimita' costituzionale
 sollevate   con   le   ordinanze   in   epigrafe   vanno   dichiarate
 manifestamente infondate;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i  giudizi,  dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle
 questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  248  delle  norme
 d'attuazione,  di coordinamento e transitorie del codice di procedura
 penale del 1988 (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio
 1989, n. 271) sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore
 di Brescia,  Sezione  distaccata  di  Breno,  con  ordinanza  del  30
 novembre  1989  e, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dal Pretore
 di Messina, Sezione distaccata  di  Milazzo,  con  ordinanza  del  26
 ottobre 1989.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: DELL'ANDRO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0860