N. 445 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 1990

                                 N. 445
 Ordinanza  emessa  il  10  maggio  1990  dal  giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento  penale  a
 carico di Greco Vincenzo ed altra
 Imposte  -  Infedele  dichiarazione  dei  redditi  - Estensione della
 punibilita',   secondo   il   "diritto   vivente"   (conforme    alla
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione), alla mera omissione di
 componenti positivi del reddito  e  alla  simulazione  di  componenti
 negativi  dello  stesso  -  Difformita'  dall'interpretazione accolta
 dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247/1989 (necessita'  di
 un'attivita'  preparatoria fraudolenta) - Irragionevole disparita' di
 trattamento tra eguali comportamenti sanzionati come  contravvenzione
 oblazionabile  se  relativi  a  redditi  non  soggetti ad annotazioni
 contabili e invece come delitto se  relativi  a  redditi  autonomi  o
 d'impresa  -  Indeterminatezza della fattispecie penale per contrasto
 interpretativo.
 (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7).
 (Cost., artt. 3, secondo comma, e 25, secondo comma).
(GU n.29 del 18-7-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  il  giudice dell'udienza
 preliminare dott. Aldo Cuva;
    A  scioglimento  della  riserva  in data odierna nel proc. pen. n.
 1666/90 GIP nei confronti di Greco Vincenzo e Balzola Maria, imputati
 (tra  l'altro)  del  reato  di  cui  all'art. 4, n. 7, della legge n.
 516/82;
    Pronunciando   sull'eccezione   di  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 4, comma primo, n. 7 della legge n. 516/82, in relaz.  agli
 artt.  25,  secondo  comma,  e  3,  della Cost. proposta dal PM dott.
 Perduca cui si e' associato l'avv.  M.G.  Siliquini  difensore  degli
 imputati;
                                PREMESSO
      che  gli  imputati  Greco  Vincenzo  e  Balzola Maria sono stati
 tratti al giudizio di questo g.u.p. per frode fiscale, specificamente
 consistita  nella  dissimulazione  di componenti positivi da reddito,
 relativi alla loro attivita' di imprenditori commerciali, soci  della
 s.n.c.  Greco  &  C.,  per  la  vendita di articoli di abbigliamento,
 dissimulazione consistita nella mancata annotazione, sulle  scritture
 contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e sul valore
 aggiunto, di corrispettivi e nella mancata fatturazione degli stessi;
      che  secondo  quanto  e' dato rilevare in atti il reato di frode
 fiscale sarebbe dato nella specie dalla  mancata  riproduzione  degli
 stessi corrispettivi sulla dichiarazione dei redditi, dall'83 all'86,
 senza la commissione di altri mezzi di inganno verso l'Erario;
      che  si  ripropone,  quindi,  il  problema  di come intendere la
 dissimulazione alla stregua dell'omonimo termine lessicale  contenuto
 nell'art.  4,  primo  comma, n. 7, della legge n. 516/1982 se, cioe',
 sia sufficiente ad integrare il reato il  semplice  mendacio  di  chi
 nella  dichiarazione  annuale  ometta  componenti  positivi  del  suo
 reddito  oppure  sia  necessario  un   comportamento   oggettivamente
 artificioso;
      che questo tribunale di Torino in passato ebbe ad esprimersi con
 pronunce,  peraltro  conformi  all'orientamento   della   Corte   dei
 cassazione  (Cass.  terzo  20  settembre  1989 e Cass. terzo 3 luglio
 1989), ritenendo sufficiente ai fini della sussistenza del delitto de
 quo,  anche  un  comportamento  non necessariamente caratterizzato da
 segni obiettivi di  artificiosita'  e  quindi  connotato  dalla  mera
 mancanza di registrazione dei ricavi;
      che  attualmente  sono  mutati  i  supporti  giurisprudenziali a
 seguito di sentenza (n.  247  del  15-16  maggio  1989)  della  Corte
 costituzionale,  che,  per  quanto  investita  direttamente  di altra
 questione (sulla legittimita' dell'art.  4,  n.  7,  della  legge  n.
 516/1982  laddove  si  richiede l'alterazione in misura rilevante del
 risultato della dichiarazione, quale effetto della  dissimulazione  o
 simulazione),   contiene   caratteri  interpretativi  sugli  elementi
 oggettivi   della   fattispecie   de   qua,   nell'ottica   di   dare
 determinatezza alla condotta criminosa della stessa fattispecie;
      che  secondo il giudizio, nel merito, della Corte costituzionale
 non sarebbe sufficiente, ai fini dell'integrazione del reato, il solo
 simulare  o  dissimulare, di cui alla norma, ma sarebbe necessario un
 "quid pluris", un'attivita', cioe', preparatoria  (fraudolenta)  alla
 dichiarazione  finale,  volta  all'alterazione  del  risultato  della
 dichiarazione stessa;
      che  la  sentenza n. 247 cit., in definitiva, sembra dar ragione
 alle tesi (disputate in dottrina e  in  giurisprudenza)  secondo  cui
 senza il "quid pluris" anzidetto vi sarebbe non solo una duplicazione
 di previsione sanzionatoria per lo stesso comportamento, ex  art.  1,
 comma  2,  n.  3,  della  legge  n.  516/1982,  ma  si introdurrebbe,
 surrettiziamente, una punibilita', addirittura a titolo di dolo,  per
 condotte  escluse dalla ipotesi contravvenzionale di cui al cit. art.
 1, secondo comma, n. 3, allorche' tali da non superare la  soglia  di
 punibilita'  prevista,  con possibilita' di non evitare disparita' di
 trattamento,  consistenti  nel  sanzionare  lo  stesso  comportamento
 (l'infedele     dichiarazione)    come    semplice    contravvenzione
 oblazionabile  quando  ha  per  oggetto  redditi  non   soggetti   ad
 annotazione  contabile  e  grave  delitto  quando concerne redditi di
 lavoro  autonomo  o  d'impresa,  derivanti  da  cessioni  di  beni  o
 prestazione di servizi;
      che,  per  quanto  non  siano vincolanti le decisioni di rigetto
 della Corte costituzionale per il Giudice ordinario, allo  scrivente,
 in  particolare,  non  convincono per diversi motivi, primo dei quali
 perche',  secondo  giurisprudenze  consolidate   e   mai   messe   in
 discussione,  con riferimento a fattispecie penali comuni e a dizioni
 lessicali  comuni  (art.  641  c.p.;  art.  218  l.f.),  al   termine
 "dissimulare"  si e' abitualmente dato il significato di "nascondere"
 o "passare sotto silenzio", senza  necessita'  di  atti  positivi  di
 occultamento,  dandosi  cosi'  rilevanza al silenzio, se rapportato a
 fatti che si e' tenuti a esteriorizzare;
      che, a parte l'indeterminatezza della norma che cosi' si viene a
 creare per via del mutato quadro interpretativo, quanto alla presunta
 violazione  del  principio  di uguaglianza, desunta dalla presunzione
 che per una stessa condotta (falsa dichiarazione)  i  percettori  dei
 diversi  tipi  di  reddito sarebbero sanzionati in maniera diseguale,
 sembra che si connotino invece di "diversita'" e non  uguaglianza  le
 situazioni  considerate,  rispettivamente,  dalle disposizioni di cui
 all'art. 1, comma 2, n. 3 e art. 4, n. 7, della  legge  n.  516/1982,
 atteso   che   il   reato   contravvenzionale   investe  soltanto  il
 contribuente che non e'  obbligato  ad  annotazioni  delle  scritture
 contabili, diversamente dall'ipotesi delittuosa, a parte il fatto che
 l'elemento soggettivo si atteggia differentemente, a seconda che  sia
 riferito all'una (colpa) o all'altra (dolo) fattispecie;
      che   resta  intanto  contraria  l'interpretazione  della  Corte
 costituzionale, anche se non e' stato esemplificato da questa in cosa
 potrebbero,   in   concreto,   esplicitarsi  le  necessarie  condotte
 fraudolente, senza ricadere in altra ipotesi criminosa  espressamente
 prevista  ma  l'autorevolezza  dell'Organo da cui proviene il diverso
 giudizio fa si' che il Giudice di merito ne prenda atto e  si  adegui
 all'impostazione offerta;
      che  permane ugualmente il disorientamento interpretativo, anche
 per le oscillazioni decisorie della Corte di cassazione sul punto, si
 impone  quindi  un intervento della Corte costituzionale, ritenendosi
 sussistenti entrambi  i  requisiti,  di  rilevanza  e  non  manifesta
 fondatezza, della questione di incostituzionalita' sollevata;
      che  in  ordine  al primo requisito, si e' gia' premesso che gli
 imputati sono stati tratti al giudizio del g.u.p., per  avere  omesso
 di  indicare  nella  propria  dichiarazione,  ai  fini  delle imposte
 dirette, componenti positivi dal  reddito,  senza  usare  particolari
 tecniche  fraudolente,  di talche' e' indubbio che la questione della
 necessita', o  meno,  di  un  "quid  pluris",  rispetto  al  semplice
 mendacio, si pone come rilevante ai fini del decidere;
      che,  quanto al secondo requisito, la Corte costituzionale si e'
 gia' espressa statuendo che solo  l'interpretazione  offerta  avrebbe
 potuto   evitare   un  patente  vizio  di  incostituzionalita'  della
 fattispecie sotto il profilo della sua indeterminatezza;
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale dell'art.  4,  n.  7,  della  legge  n.
 516/1982,  in  relazione  agli  artt. 25, secondo comma, e 3, secondo
 comma, della Costituzione;
    Sospende il processo in corso;
    Visto l'art. 18, lett. b), del c.p.p.;
    Ordina la separazione degli atti relativi al reato di cui all'art.
 4, n. 7, della legge citata e dispone che gli atti vengano  trasmessi
 alla  Corte costituzionale e che copia della presente ordinanza venga
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Torino, addi' 10 maggio 1990
              Il giudice delle indagini preliminari: CUVA

 90C0869