N. 456 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 aprile 1990
N. 456 Ordinanza emessa il 9 aprile 1990 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Dau Pompeo e Giosia Luana Divorzio - Sentenza passata in giudicato - Indennita' di fine rapporto lavorativo di uno degli ex coniugi - Diritto dell'altro ad una percentuale, se titolare di assegno divorzile - Lamentata predeterminazione in misura fissa (40%) di detta quota - Omessa previsione di un potere del giudice di determinare l'entita' della percentuale - Ingiustificata parita' di trattamento di situazioni diverse - Sottrazione parziale del diritto del lavoratore al trattamento previdenziale. (Legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-bis, introdotto della legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 16). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.29 del 18-7-1990 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 20715 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 1987 posta in deliberazione all'udienza collegiale dell'8 marzo 1990 e vertente tra Dau Pompeo elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio, 22, presso lo studio del procuratore avv. G. della Valle che lo rappresenta e difende per procura a margine dell'atto di citazione e Giosia Luana elettivamente domiciliata in Roma, via Barberini, 3, presso lo studio del procuratore avv. L. Remiddi che la rappresenta e difende unitamente all'avv. M. Guttieres per procura a margine della comparsa di costituzione. Oggetto: opposizione decreto ingiuntivo. F A T T O Con ricorso, ex art. 633 del c.p.c., depositato il 27 maggio 1987, Luana Giosia, nata a Corropoli (Teramo) il 16 ottobre 1934, premesso: a) che il 23 dicembre 1951 aveva contratto matrimonio con Pompeo Dau, nato a Napoli il 20 agosto 1927; b) che, a seguito di separazione consensuale omologata del dicembre 1970, il tribunale di Roma, con sentenza n. 11582/1982 (annotata il 10 aprile 1984), aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, sentenza confermata, in sede di appello, dalla corte romana il 21 ottobre 1985, che aveva condannato il Dau a versarle un assegno di L. 350.000 mensili; c) che il Dau, gia' impegnato presso la Banca Nazionale del Lavoro, il 30 aprile 1987 aveva cessato il rapporto di lavoro per dimissioni e l'importo del trattamento di fine rapporto ammontava a circa L. 86.000.000 nette, per trentasette anni e quattro mesi lavorativi; d) che essa ricorrente aveva diritto, ex art. 12- bis della legge n. 74/1987, a una percentuale di tale indennita', per L. 29.754.400, pari al 40% del totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio (23 dicembre 1951-10 aprile 1984); tutto cio' premesso, chiedeva la Giosia che fosse emesso decreto ingiuntivo nei confronti del Dau per la somma indicata. Avverso il decreto - emesso il 4 giugno 1987 dal presidente del tribunale - proponeva opposizione - con atto notificato il 3 luglio 1987 - il Dau, deducendo a sua volta: a) l'inapplicabilita' nella specia della legge n. 74/1987, essendo il rapporto di coniugato gia' stato definito con sentenza passata in giudicato anteriormente all'entrata in vigore della legge, che non prevede peraltro alcuna efficacia retroattiva; b) l'inammissibilita' della procedura monitoria; c) in ogni caso, l'erroneita' della somma richiesta, essendo in essa compreso anche un importo estraneo al t.f.r. Il giudice istruttore, respinta l'istanza ex art. 648 del c.p.c., rimetteva la causa, sulle predette conclusioni, al collegio. D I R I T T O Ritiene il collegio che la legge 6 marzo 1987, n. 74 - che ha introdotto l'art. 12- bis sul quale si fonda la domanda della Giosia - sia applicabile nella fattispecie in esame. La norma citata e' chiara nell'individuare, tra le condizioni dell'azione, l'avvenuta percezione, da parte dell' ex coniuge tenuto alla corresponsione dell'assegno divorzile, della somma corrispondente all'indennita' di fine rapporto. Tale percezione senza la quale evidentemente il diritto non viene ad esistenza - e' senz'altro avvenuta in epoca successiva al 30 aprile 1987, data delle dimissioni del Dau, e quindi dopo l'entrata in vigore della legge. E' pur vero che il diritto azionato dalla Giosia presuppone lo status di ex coniuge dichiarato con sentenza di divorzio e che tale sentenza e' intervenuta anteriormente all'entrata in vigore della legge de qua. Ma, da un lato, il giudicato formatosi investe solo detta declaratoria, non anche le conseguenti statuizioni sui rapporti patrimoniali (art. 9 legge n. 898/1970); d'altro l'ato, non e' retroattiva - secondo consolidato orientamento giurisprudenziale: cfr. ad es. Cass. 28 maggio 1979, n. 3111 - la legge che regoli gli effetti non esauriti di un pregresso fatto o atto generatore di un rapporto giuridico, senza incidere su tale atto o fatto. Ritenuta, pertanto, l'applicabilita' nella fattispecie in esame dell'art. 12-bis, ritiene peraltro il collegio di dover sollevare d'ufficio (giacche' la corrispondente eccezione e' stata proposta dall'opponente solo in comparsa conclusionale, in violazione del comma secondo dell'art. 190 del c.p.c.) questione di legittimita' costituzionale di tale norma - sulla quale, come si e' detto, si fonda la domanda della Giosia -, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Sotto il primo profilo, giova innanzitutto rilevare che dai lavori parlamentari che hanno preceduto l'approvazione della legge emerge chiara la ratio di detta disposizione, laddove (cfr. relazione della commissione giustizia del Senato, pag. 15) si precisa che e' "in considerazione dei parametri cui si fa riferimento a proposito dell'assegno di mantenimento, in particolare del contributo dato da ciascuno dei coniugi alla formazione del patrimonio e dei redditi personali e comuni" che la attribuzione del diritto in questione si giustifica, alla luce peraltro del principio di "solidarita' economica che si instaura tra i coniugi durante la convivenza". Non puo', tuttavia, non rilevarsi come da tali razionali premesse (operanti su un "materiale" gia' in parte apprestato dalla elaborazione giurisprudenziale della precedente normativa della legge n. 898/1979) sia scaturita una norma che irrazionalmente parifica e appiattisce le varie e diverse forme di contributo dell' ex coniuge, che ciascuna delle situazioni familiari contempla, nella percentuale fissa del 40%, per di piu' calcolata con riferimento agli anni di matrimonio, comprendendovi cioe', in ogni caso, anche il periodo successivo alla cessazione della convivenza, sino al momento dello scioglimento del vincolo coniugale. Ora, non e' necessario spendere molte parole per evidenziare le notevoli diversita' che intercorrono tra le varie fattispecie che la norma regola unitariamente, comprendendo, quindi, nella sua previsione anche, ad esempio, una coppia senza figli che, separatasi dopo breve convivenza, ometta, per ragioni varie, per anni di chiedere il divorzio ovvero quella che abbia trascorso ugualmente molti anni in giudizi di separazione e di divorzio ovvero ancora quella nella quale sia accertata la addebitabilita' ad uno dei coniugi (che puo' anche essere quello economicamente debole) della separazione. Diversita', quelle qui enumerate a solo titolo di esempio, che possono peraltro rivestire gradi e connotazioni diverse a seconda delle singole fattispecie. In quella in esame, i coniugi si sono separati nel 1970, quando la Giosia aveva l'eta' di tentasei anni e i due figli, a lei affidati, diciotto e quindici anni; il divorzio e' divenuto definitivo solo nel 1985, quando i figli erano ormai da lungo tempo indipendenti ed autonomi. Si' che la percentuale del 40%, se applicata all'intero periodo di esistenza del vincolo matrimoniale, puo' rivelarsi sproporzionata rispetto al contributo effettivamente dato dalla Giosia stessa alla conduzione familiare negli anni successivi alla separazione. Considerazione, questa, che del resto appare implicita nelle stesse statuizioni della sentenza di divorzio, che, tenendo conto del contributo dato dalla predetta con la cura dei figli pur nel periodo successivo alla separazione, ha contenuto in L. 250.000 mensili (poi elevate dalla corte d'appello a L. 350.000), a fronte di un reddito dell'obbligato di L. 1.200.000, l'assegno spettante alla Giosia, inferiore quindi alla percentuale del 40% fissata dalla legge. Ritiene, in definitiva, il collegio che la irrazionalita' della determinazione in misura fissa della percentuale spettante all' ex coniuge risieda appunto nell'assenza di ogni possibilita' di intervento del giudice su tale determinazione. Intervento che, analogamente a quanto previsto per la determinazione dell'assegno divorziale (la cui disciplina e' implicitamente richiamata dalla stessa relazione, nella parte sopra citata, ove e' contenuto anche un coerente riferimento alla natura giuridica di retribuzione differita attribuibile all'indennita' in questione), contemperi equitativamente la componente assistenziale con quella compensativa di tale attribuizione patrimoniale. E cio', oltretutto, onde evitare la ulteriore, ingiustificata parita' di trattamento tra chi, in sede di divorzio, abbia ottenuto - in considerazione dei vari criteri posti dall'art. 5 della legge citata - una minima parte del reddito dell'obbligato e chi, invece, si sia visto riconoscere una percentuale ben piu' significativa. Ne' a tali considerazioni puo' opporsi una pretesa natura esclusivamente assistenziale dell'attribuzione ex art. 12-bis, giacce' essa trova smentita non solo nelle gia' riportate espressioni della relazione, ma anche - come approfondita dottrina ha rilevato - nella espressa limitazione agli anni di matrimonio della base di calcolo della percentuale in esame. Ne', ancora, puo' ritenersi che la predeterminazione in misura fissa della percentuale stessa si giustifichi con l'obiettivo di rendere piu' rapida e semplice l'attribuzione di tale somma all' ex coniuge. Tale obiettivo, infatti, non e' in contrasto con l'affidamento al giudice del potere di determinare la misura della percentuale spettante alle parti. Di cio' il legislatore manifesta di essere consapevole laddove, regolando la distinta ipotesi della attribuzione ripartita della pensione di reversibilita' (art. 9), conferisce appunto al giudice analogo potere, pur se con riduttivo riferimento alla sola "durata del rapporto". Infine, le considerazioni sin qui esposte, se da un lato individuano una ingiustificata parita' di trattamento di situazioni diverse, realizata dalla norma in esame, d'altro lato conducono anche ad evidenziare nel disposto della norma stessa una sottrazione, ancorche' parziale, del diritto del lavoratore al trattamento previdenziale (nel cui ambito l'indennita' in questione puo' ricondursi), riconosciuto dall'art. 38 della Costituzione. Sottrazione che, nella misura in cui non sia sorretta da motivazione corrispondente al reale sviluppo avuto, nel caso concreto, dal rapporto di solidarieta' economica durante il matrimonio (che costituisce, come si e' visto, il fondamento del diritto di cui all'art. 12- bis), si mostra in contrasto con la ricordata disposizione costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12- bis della legge n. 898/1970, introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 9 aprile 1990 Il presidente: (firma illeggibile) 90C0879