N. 329 SENTENZA 26 giugno - 13 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pensioni - Dipendenti civili dello Stato - Personale femminile
 Pensioni attribuite ai sensi dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 23
 dicembre 1973, n. 1092, prevedente un aumento del servizio effettivo
 fino al massimo di cinque anni - Previsto differimento del
 trattamento di quiescenza al termine del periodo di tempo pari
 all'aumento di servizio utile concesso ai fini del conseguimento
 dell'anzianita' minima - Prospettata violazione dei principi volti
 alla tutela della essenziale funzione familiare della donna e del
 principio di adeguatezza della retribuzione - Insussistenza - Non
 fondatezza della questione.
 
 (D.-L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, quinto comma, conv. in legge
 25 marzo 1983, n. 79; legge 27 dicembre 1983, n. 730, art.  21,
 undicesimo comma).
 
 (Cost., artt. 31, 36 e 37).
(GU n.30 del 25-7-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 10, quinto
 comma, del decreto-legge 29  gennaio  1983,  n.  17  (Misure  per  il
 contenimento  del  costo  del  lavoro  e per favorire l'occupazione),
 convertito con modificazioni nella legge 25  marzo  1983,  n.  79,  e
 dell'art.  21, undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730
 (Legge finanziaria 1984), promosso con ordinanza emessa il 15  maggio
 1989  dalla  Corte  dei  Conti  sul ricorso proposto da Chiuchiarelli
 Izsak Maria Cristina, iscritta al n. 116 del registro ordinanze  1990
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 23 maggio 1990 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza in data 15 maggio 1989, la Corte dei Conti ha
 sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10,
 comma quinto, d.l. 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento
 del costo del lavoro), convertito in legge 25 marzo 1983,  n.  79,  e
 dell'art. 21, comma undicesimo, legge 27 dicembre 1983, n. 730 (legge
 finanziaria 1984), nella parte in  cui  dispongono  che  le  pensioni
 attribuite  ai  sensi  del  terzo  comma  dell'art.  42 del d.P.R. 29
 dicembre 1973, n. 1092, siano differite al  termine  del  periodo  di
 tempo  pari  all'aumento  di  servizio  utile  concesso  ai  fini del
 conseguimento dell'anzianita' minima.
    La  questione  si e' posta a seguito del ricorso proposto da Maria
 Cristina Chiuchiarelli  Izsak,  che  agiva  per  ottenere  di  essere
 ammessa  al  godimento  della  pensione  con  effetto  dalla  data di
 collocamento in quiescenza.
    La  Chiuchiarelli  -  osserva  la  Corte  -  presento'  domanda di
 dimissioni, con i benefici di  cui  all'art.  42,  terzo  comma,  del
 d.P.R.  n.  1092  del  1973,  in  data  18  gennaio  1983, fissandone
 l'effetto dall'1 ottobre  1985,  con  la  conseguenza  che  alla  sua
 posizione  pensionistica  si  applicano  le  modifiche legislative in
 seguito intervenute.
    Orbene,  l'ultimo  comma dell'art. 10 del d.l. 29 gennaio 1983, n.
 17,  stabili'   che   la   decorrenza   della   pensione   attribuita
 successivamente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, in
 forza dell'art. 42 del  d.P.R.  29  dicembre  1973,  n.  1092,  fosse
 differita  al  termine  del  periodo  di  tempo  pari  all'aumento di
 servizio utile  concesso,  ai  fini  del  compimento  dell'anzianita'
 minima,  ai  sensi del terzo comma del richiamato art. 42. In sede di
 conversione (legge 25 marzo 1983, n. 79) fu data la possibilita',  al
 personale  che  anteriormente  alla  data  di  entrata  in vigore del
 decreto n. 17 avesse fatto domanda di dimissioni,  con  decorrenza  a
 far  tempo dalla data stessa, di chiedere la revoca delle dimissioni,
 se ancora in servizio.
    Successivamente,  con gli ultimi commi dell'art. 21 della legge 27
 dicembre 1983, n. 730, (finanziaria 1984) fu  stabilito  che  per  il
 personale  che  avesse presentato domanda di dimissioni anteriormente
 al 29 gennaio 1983 per l'attribuzione del beneficio di  cui  all'art.
 42,  terzo  comma,  o all'articolo 219, quarto comma, del decreto del
 Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092,  e  che,  alla
 data  di  entrata  in  vigore  della  legge,  era ancora in servizio,
 trovasse  applicazione  il  differimento   della   decorrenza   della
 pensione,   previsto   dal   quinto   comma   dell'articolo   10  del
 decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con  modificazioni,
 nella legge 25 marzo 1983, n. 79.
    Al personale di cui al precedente comma era tuttavia data facolta'
 di chiedere, entro 60 giorni dalla data di entrata  in  vigore  della
 legge di conversione, la revoca della domanda di dimissioni.
    Il  disposto  differimento della pensione risulterebbe tuttavia di
 dubbia costituzionalita'.
    E' ben noto - osserva il giudice rimettente - che la Costituzione,
 "oltre a riconoscere i diritti della famiglia come societa'  naturale
 fondata  sul matrimonio" (art. 29), prevede che la Repubblica agevoli
 "con misure  economiche  e  altre  provvidenze  la  formazione  della
 famiglia  e  l'adempimento  dei  compiti  relativi"  e  protegga  "la
 maternita',  l'infanzia  e  la  gioventu',  favorendo  gli   istituti
 necessari  a  tale  scopo"  (art.  31);  disponendo, altresi' che "le
 condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della essenziale
 funzione  familiare (della donna) e assicurare alla madre del bambino
 una speciale adeguata protezione" (art. 37).
    In  applicazione  di  tali  principi,  il legislatore ordinario ha
 posto svariate disposizioni per consentire alla donna lavoratrice  la
 cura  della  famiglia e della prole, e non certo per precostituire in
 suo favore  posizioni  di  vantaggio  o  di  privilegio.  Tra  queste
 previsioni andrebbe annoverato anche l'art. 42, terzo comma, del T.U.
 n. 1092.
    Viceversa,   in   un'ottica   riduttiva   e  demagogica,  anziche'
 promuovere l'estensione del beneficio a chi ne era del tutto escluso,
 si  e'  preferito  attivarsi  per  comprimerlo  e  limitarlo  con  la
 penalizzazione del differimento  (che  si  aggiunge  a  quello  della
 riduzione  della  indennita'  integrativa  speciale, se la domanda di
 dimissioni e' successiva al d.l. n. 17 del 1983, e  alla  sospensione
 del  godimento  della  pensione  nell'ipotesi di cui all'ultimo comma
 dell'art. 10), dimostrando cosi' per la donna dimissionaria  ex  art.
 42,  terzo  comma,  uno sfavore ancora maggiore di quello manifestato
 verso gli altri soggetti anticipatamente collocati a riposo.
    L'art.  10,  quinto  comma,  del  d.l.  29  gennaio  1983,  n. 17,
 convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983,  n.  79,  e
 l'art.  21,  undicesimo  comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730,
 violerebbero quindi gli artt. 31 e 37 della Costituzione.
    Sotto  altro  profilo  - prosegue il giudice rimettente - non puo'
 non ritenersi che le norme suddette violino anche  l'art.  36,  primo
 comma,  della  Costituzione.  Ed  invero, durante tutto il periodo di
 differimento, alla donna dimissionaria - non  piu'  impiegata  e  non
 ancora  pensionata  -  non vengono erogati ne' stipendio ne' pensione
 con conseguente pregiudizio economico della ex dipendente e della  di
 lei  famiglia,  che  subiscono  una  drastica  riduzione  se  non  un
 azzeramento del loro reddito normale.
    2.  -  L'ordinanza  e'  stata ritualmente comunicata, notificata e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  12,  prima
 serie speciale, del 21 marzo 1990.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
 concluso per l'infondatezza della proposta questione.
    La  norma  censurata  -  si  legge  nell'atto  di  intervento - e'
 pienamente legittima e in particolare non contrasta con gli  invocati
 artt. 31, 36 e 37 della Costituzione.
    Proprio  in  ossequio  a  tali  prescrizioni costituzionali, anzi,
 nell'art. 10 impugnato venne  introdotto  il  comma  sesto  (ribadito
 successivamente   dall'art.   21,   comma   dodicesimo,  della  legge
 finanziaria 1984), il quale prevedeva  la  facolta'  di  chiedere  la
 revoca  delle  dimissioni  anche  quando  fosse  divenuto efficace il
 provvedimento di cessazione dal servizio, con conseguente continuita'
 a  tutti  gli  effetti  del  rapporto  di  lavoro. In tal modo veniva
 immediatamente reintegrato nel diritto allo  stipendio  il  personale
 che  non  avesse  ritenuto  o  potuto  economicamente  sopportare  il
 differimento della decorrenza della  pensione  previsto  dalla  nuova
 normativa.
    Puo'  ben  dirsi quindi - conclude l'Avvocatura - che il personale
 che  si  sia  avvalso   della   norma   di   prepensionamento   abbia
 adeguatamente   ponderato   gli   effetti   economici  della  propria
 decisione, accettandoli senza riserve.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  richiamo agli artt. 31, 36 e 37 della Costituzione, la
 Corte dei Conti dubita della legittimita' dell'art. 10, comma quinto,
 d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito nella legge 25 marzo 1983, n.
 79, e dell'art. 21, comma undicesimo, legge 27 dicembre 1983, n. 730.
    Tali disposizioni sono censurate nella parte in cui dispongono che
 le pensioni attribuite con un aumento del servizio effettivo sino  al
 massimo  di cinque anni alle dipendenti dimissionarie coniugate o con
 prole a carico - ai sensi del terzo  comma  dell'art.  42  d.P.R.  29
 dicembre  1973, n. 1092 - vengano differite al termine del periodo di
 tempo pari all'aumento  del  servizio  utile  concesso  ai  fini  del
 conseguimento dell'anzianita' minima.
    Tale  disciplina  -  ad  avviso del giudice a quo - contrasterebbe
 anzitutto con gli artt. 31 e 37 della Costituzione,  perche'  elimina
 previsioni  dirette  a favorire l'adempimento da parte della donna di
 essenziali funzioni nella cura della famiglia e della prole.  Sarebbe
 inoltre  violato  l'art. 36, primo comma, della Costituzione perche',
 durante tutto il periodo di differimento,  non  vengono  erogati  ne'
 stipendio  ne'  pensione, con conseguente pregiudizio economico della
 lavoratrice e della sua famiglia.
    La questione non e' fondata.
    2.  -  Le  norme  impugnate  non  hanno fatto cadere la previsione
 dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, per il  quale
 alla  dipendente dimissionaria coniugata o con prole a carico spetta,
 ai fini del compimento dell'anzianita' stabilita nel  secondo  comma,
 un  aumento  del  servizio  effettivo sino al massimo di cinque anni.
 Esse si sono limitate a differire  al  termine  di  tale  periodo  la
 corresponsione della pensione.
    Il  provvedimento  e' stato adottato nell'ambito di una iniziativa
 legislativa  diretta  ad  eliminare   distorsioni   in   materia   di
 trattamento  pensionistico  nel  settore  pubblico.  Tra  l'altro, si
 intese per  l'appunto  disincentivare  il  ricorso  ai  pensionamenti
 anticipati,  ponendo  condizioni che contenessero il fenomeno, venuto
 con  grande  risalto  all'attenzione   dell'opinione   pubblica,   di
 percettori di trattamenti pensionistici in eta' ancora assai giovane.
    Si  provvide  tuttavia  a salvaguardare ogni posizione. In sede di
 conversione del d.l. 29 gennaio  1983,  n.  17,  nell'art.  10  venne
 inserito  il comma sesto, con il quale si diede facolta' al personale
 che  avesse   presentato   domanda   di   dimissioni   dal   servizio
 anteriormente  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto, con
 decorrenza a far tempo dalla  data  stessa,  di  chiedere,  entro  60
 giorni  dall'entrata  in vigore della legge di conversione, la revoca
 delle dimissioni, con conseguente continuita' a tutti gli effetti del
 rapporto di lavoro.
    Si  consenti'  quindi a ciascuna dipendente di prendere la propria
 decisione   sulla   base   della    nuova    disciplina,    valutando
 comparativamente   la   convenienza   di   proseguire  nell'attivita'
 lavorativa ovvero di dedicarsi ad un piu' ampio impegno familiare.
    3.  -  Il  giudice a quo insiste in modo particolare sull'asserita
 violazione dell'art. 31, relativo all'obbligo per  la  Repubblica  di
 agevolare  la  formazione  della famiglia e l'adempimento dei compiti
 relativi, e dell'art. 37, con riguardo all'obbligo che le  condizioni
 di lavoro consentano l'essenziale funzione familiare della donna.
    Questa  Corte,  pero',  proprio con riferimento all'art. 42, terzo
 comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, del cui contenuto precettivo
 si  chiedeva  l'estensione  all'uomo  lavoratore,  ha  gia' affermato
 (sentenza n. 374 del 1989)  che,  "in  relazione  ai  riflessi  della
 societa'  in  evoluzione  sul  rapporto  di  pubblico impiego ed alle
 relative   implicazioni   retributive,   spetta   esclusivamente   al
 legislatore  determinarne  contenuti  e  limiti  di  incidenza o, per
 quanto  riguarda  la  fattispecie,  l'opportunita'  di   abrogare   o
 modificare la norma impugnata".
    La stessa sentenza, richiamandosi alla precedente n. 252 del 1983,
 ha rilevato  altresi'  che  l'art.  31,  primo  comma,  si  riferisce
 soltanto  alle  situazioni legate ad un rapporto di necessita' con la
 formazione della famiglia e con l'adempimento dei compiti relativi, e
 non anche quindi alle situazioni ad incidenza indiretta su di essi. A
 ben guardare, dunque, "spetta alla discrezionalita' del  legislatore,
 con  la  salvaguardia dei valori costituzionali, apprestare le misure
 atte ad agevolare l'adempimento,  da  parte  dei  coniugi,  dei  loro
 compiti nella famiglia".
    4.  - Rilievi analoghi vanno fatti per quanto concerne il richiamo
 all'art.  36  Cost.  ed  al  pregiudizio  economico  derivante   alla
 lavoratrice  pensionata  dalla mancata erogazione, durante il periodo
 di differimento, sia dello stipendio che della pensione.
    Con  sentenza n. 531 del 1988 questa Corte, richiamando vari altri
 precedenti,  ha  gia'  statuito  che  la  determinazione  della  base
 retributiva,  utile ai fini del trattamento di quiescenza, appartiene
 alla discrezionalita' del legislatore.  E'  dunque  devoluto  a  tale
 discrezionalita'  disporre  in  merito  ai  modi  e  alla  misura del
 trattamento.
    Del  potere di apprezzamento rimessogli il legislatore ha fatto un
 uso che non si presta a censure, ne' in riferimento agli artt.  31  e
 37,  ne'  in  riferimento  all'art.  36  della  Costituzione. Va anzi
 sottolineato che, di fronte all'emergere di nuove esigenze e di nuovi
 problemi,  si  e'  ricercato  un  contemperamento,  il piu' possibile
 equilibrato.
    Mantenendo   il  particolare  beneficio  riconosciuto  alla  donna
 lavoratrice dal terzo comma dell'art. 42 d.P.R.  n. 1092 del 1973,  e
 quindi  l'anticipata  maturazione  del  diritto  alla pensione, si e'
 avuto riguardo al maggiore impegno che normalmente si  richiede  alla
 donna   nell'ambito   familiare.   Differendo  peraltro  l'erogazione
 dell'assegno   previdenziale,   si   e'   comprensibilmente    inteso
 contrastare   quel  fenomeno  del  precoce  e  talvolta  precocissimo
 pensionamento  che  era  stato  oggetto  di   molte   e   preoccupate
 considerazioni  critiche.  In  ogni  caso,  si  e'  avuta cura di non
 pregiudicare le  posizioni  acquisite  e  di  consentire  a  ciascuna
 dipendente  di valutare la propria convenienza, in relazione a quanto
 dettato dalla nuova disciplina.
    La  questione  di legittimita' costituzionale proposta dalla Corte
 dei Conti va dunque dichiarata non fondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 10, comma quinto, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n.  17
 (Misure  per  il  contenimento  del  costo  del lavoro e per favorire
 l'occupazione) convertito con  modificazioni  nella  legge  25  marzo
 1983,  n.  79,  e  dell'art.  21,  comma  undicesimo,  della legge 27
 dicembre  1983,  n.  730  (Legge  finanziaria  1984),  sollevata,  in
 riferimento  agli  artt.  31, 36 e 37 della Costituzione, dalla Corte
 dei Conti, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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