N. 330 SENTENZA 26 giugno - 13 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Inquinamento - Operazioni di prelievo e campionamento di acque in cui
 vengono effettuati scarichi industriali - Procedimento Mancata
 previsione dell'obbligo per i funzionari procedenti di dare avviso al
 titolare dello scarico della facolta' di farsi assistere da un
 difensore o altra persona di fiducia Prospettata violazione del
 diritto di difesa - Insussistenza Non fondatezza della questione.
 
 (Legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 15, settimo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).
(GU n.30 del 25-7-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 15, settimo
 comma, della legge  10  maggio  1976,  n.  319  (Tutela  delle  acque
 dall'inquinamento)  e  successive  modifiche,  promosso con ordinanza
 emessa il 17 gennaio 1990 dal  Pretore  di  Padova  nel  procedimento
 penale a carico di Falaguasta Ferdinando ed altri, iscritta al n. 181
 del registro ordinanze 1990 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di Falaguasta Ferdinando, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 12 giugno 1990 il Giudice relatore
 Ettore Gallo;
    Uditi  l'avvocato  Emanuele  Fracasso  per Falaguasta Ferdinando e
 l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza  17  gennaio  1990  il  Pretore di Padova sollevava
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.15, settimo  comma,
 della   legge   10   maggio   1976   n.   319   (Tutela  delle  acque
 dall'inquinamento) e successive modificazioni, con  riferimento  agli
 artt. 24, secondo comma e 3 della Costituzione.
    La  questione  veniva  sollevata  nel  corso di un processo penale
 contro un imprenditore, imputato, fra l'altro, di plurime  violazioni
 all'art.  21,  terzo  comma  della  legge  predetta che incrimina chi
 effettua  scarichi  di  qualsiasi  tipo  in  acque   superficiali   o
 sotterranee,  sia  pubbliche che private, o in fognature, superando i
 limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle allegate alla  legge.
    Lamenta   il  Pretore  che  la  norma  impugnata  non  imponga  ai
 funzionari tecnici dei presidi e servizi multizonali  di  prevenzione
 di  dare avviso al titolare dello scarico, nel corso delle operazioni
 di prelievo  e  campionamento,  della  facolta'  di  farsi  assistere
 immediatamente  da  un  difensore  o  da  un  tecnico di sua fiducia.
 Secondo l'ordinanza, tale omissione darebbe  luogo  ad  irragionevole
 disparita'    di   trattamento   rispetto   alla   disciplina   delle
 perquisizioni, sia domiciliari che personali,  prevista  dagli  artt.
 304-bis,  304-ter,  comma  terzo, e 334 cod. proc. pen. 1930, nonche'
 dagli artt. 354 e 356 cod. proc. pen. vigente e 114  d.l.  28  luglio
 1989  n.  271,  e nel contempo violerebbe il diritto di difesa di cui
 all'art. 24, secondo comma della  Costituzione:  cio'  tenendo  conto
 della  nozione  di  "procedimento  penale" espressa dalla sentenza 15
 luglio 1983 n. 248 di questa Corte.
    Orbene,  secondo  il  Pretore, la Corte nella citata sentenza, pur
 avendo risolto positivamente, quanto all'esecuzione delle analisi, la
 questione  in  allora  sollevata  dal  Pretore di Milano, non avrebbe
 invece   affrontato   il   problema   relativo    al    campionamento
 nell'angolazione  proposta  dallo  stesso  Pretore, e sarebbe percio'
 pervenuta sul punto ad implicito giudizio negativo.
    Ritiene, percio', l'ordinanza che la questione, limitatamente alla
 parte irrisolta (di cui e' cenno solo nella motivazione  ma  non  nel
 dispositivo), possa essere utilmente riproposta.
    2.   -  Si  e'  costituito  innanzi  a  questa  Corte,  Ferdinando
 Falaguasta, imputato nel processo a quo,  che  deduce,  senza  alcuna
 motivazione, l'illegittimita' sollevata dall'ordinanza di rimessione.
    E'  anche  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,   che   ha
 innanzitutto  eccepito l'inammissibilita' della questione per difetto
 di motivazione sulla rilevanza, non avendo il Pretore riferito se  le
 operazioni  riguardassero  scarichi  relativi  a  sostanze inquinanti
 suscettibili di rapido deterioramento, presupposto  essenziale  -  ad
 avviso  dell'Avvocatura - per l'applicabilita' dei principi affermati
 nella sentenza 15 luglio 1983 n. 248 di questa Corte.
    La  questione  sarebbe,  comunque,  infondata  perche'  la fase di
 campionamento sarebbe fuori del processo  e  riguarderebbe  attivita'
 meramente amministrativa di vigilanza e di controllo.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Lamenta, in sostanza, il Pretore che la norma impugnata non
 imponga ai funzionari tecnici competenti  di  avvertire  il  titolare
 dello  scarico,  in  occasione  di  prelievi  e campionamenti, che ha
 facolta' di farsi subito assistere da difensore o da tecnico  di  sua
 fiducia.  Ricorda il Pretore che questa Corte, con la sentenza n. 248
 del 1983, ha riconosciuto spettare la garenzia del diritto di  difesa
 a  tutte  le  attivita'  "preordinate ad una pronunzia penale, che si
 traducano in processi verbali di cui  e'  consentita  la  lettura  al
 dibattimento":  e  cio' anche se si tratti di attivita' realizzate al
 di fuori dell'intervento del magistrato.  Conseguentemente  la  Corte
 ebbe  gia'  a dichiarare l'illegittimita' costituzionale della norma,
 ora nuovamente denunziata, nella parte in cui non  prevedeva  che  al
 titolare  dello  scarico  fosse dato formale avviso affinche' potesse
 presenziare,  anche  con  l'assistenza  di  difensore  e   consulente
 tecnico,  alle  operazioni  di  analisi. In tale occasione, pero', la
 Corte - secondo il rimettente - non avrebbe esaminato, nella indicata
 angolazione,  il  connesso problema che l'ordinanza di rimessione del
 Pretore di Milano aveva in  allora  proposto  anche  in  relazione  a
 prelievi e campionamenti.
    Era,  percio',  rimasto  insoluto questo aspetto nella sua patente
 incompatibilita' rispetto agli artt. 24, secondo  comma,  e  3  della
 Costituzione, che ora il Pretore di Padova risolleva.
    Rilevava il Pretore che si tratta di tipici mezzi di ricerca della
 prova, come gli accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi  e  delle
 cose  che  il codice di procedura penale prevede quali atti di vera e
 propria polizia giudiziaria: e, come questi, anche quelli  possiedono
 requisiti di utilizzabilita' nel processo penale.
    2.  - Si costituiva nel giudizio innanzi alla Corte l'imputato del
 processo penale, senza peraltro nulla  aggiungere  all'atto  di  mera
 costituzione.
    Interveniva  altresi'  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  che  chiedeva
 declaratoria    d'inammissibilita'    della    questione   o   almeno
 d'infondatezza.
    Al dibattimento, parte privata ribadiva i motivi dell'ordinanza di
 rimessione di cui condivideva le conclusioni.  L'Avvocatura  Generale
 illustrava e confermava le richieste di cui sopra.
    3.  -  L'eccezione  di  inammissibilita',  opposta dall'Avvocatura
 Generale, non puo' essere accolta.
    Non  e' esatto, infatti, che presupposto della sentenza n. 248 del
 1983 fosse il particolare carattere di rapida deteriorabilita'  delle
 acque  di  scarico  da  analizzare  nella  specie.  La detta sentenza
 presuppone, invece, in via generale, per tutte le  acque  da  scarico
 inquinate  che,  a  causa  della  loro  (naturale)  deteriorabilita',
 debbano essere sottoposte ad analisi con  la  massima  tempestivita',
 non  essendo  queste  utilmente  ripetibili  nel corso del successivo
 procedimento penale. In altri  termini,  e'  la  deteriorabilita'  in
 genere di tali acque ad essere assunta come ratio decidendi.
    4. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Il  giudice  a  quo  si e' reso ben conto che la Corte ha preso in
 esame nella citata sentenza del 1983 il punto relativo al momento del
 prelievo  e  del  campionamento delle acque per escludere che ad esso
 potesse  applicarsi  quella  declaratoria  d'illegittimita'  che   si
 accingeva,  invece,  a  pronunciare  in  ordine al successivo momento
 delle operazioni d'analisi; e cio' per l'ipotesi in cui  il  titolare
 dello  scarico  non fosse stato preavvertito del giorno e dell'ora in
 cui le analisi sarebbero seguite.
    La   Corte,   infatti,   ha   trovato   "logico   che  l'Autorita'
 amministrativa, cui compete il diritto di effettuare i  campionamenti
 delle  acque,  non  abbia  l'obbligo di preavvisare il titolare dello
 scarico circa il momento in cui verranno effettuate le operazioni  di
 prelievo,  per  evitare  che  possano essere apportate modifiche agli
 scarichi,  e  di  conseguenza  fatte  sparire  le  tracce   di   ogni
 irregolarita'".
    Il  Pretore di Padova ripropone, pero', la questione rilevando che
 l'avviso potrebbe essere dato quando le operazioni sono gia' in corso
 e i funzionari tecnici sono in grado di controllare che la situazione
 non venga alterata.
    Ma  si  tratta  di  un  equivoco.  Il problema non e' quello della
 presenza del titolare dello scarico, o di un suo  rappresentante,  al
 momento del prelievo e della campionatura, perche' quella presenza e'
 pacifica, e dev'essere  necessariamente  sollecitata  dai  funzionari
 procedenti anche sulla base delle norme regolamentari. L'interessato,
 infatti, deve controfirmare il verbale e ricevere due  delle  quattro
 aliquote sigillate del campione.
    Il  problema  giuridico,  che  la  Corte  aveva  gia' esaminato in
 occasione  della  precedente   sentenza,   e'   invece   quello   del
 "preavviso",  che  la  Corte ebbe ad escludere per le ragioni logiche
 indicate; ed ora e' quello in particolare sollevato dall'ordinanza in
 esame  dell'avvertimento  che  si  assume  dovrebbe  essere  dato  al
 titolare  dello  scarico,  se  presente,  della  facolta'  di   farsi
 assistere da un difensore o da altra persona di sua fiducia.
    5.  -  E'  esatto  che  questa Corte, nell'intento di garentire il
 cittadino, ha in piu' occasioni anticipato la tutela difensiva  anche
 ad   attivita'   preprocessuali,  quando  queste  sieno  univocamente
 finalizzate alla ricerca  della  prova  di  un  reato  e  si  rendano
 utilizzabili nel dibattimento.
    Ma  e'  inconferente  il  richiamo  a  talune norme del precedente
 codice di procedura penale, sia perche' non e' nemmeno  corretto  (il
 confronto,  infatti,  poteva  semmai essere instaurato con il secondo
 comma dell'art. 222 cod. proc. pen. 1930), sia perche' comunque sono,
 questi,  atti di conservazione e di accertamento (ed eventualmente di
 sequestro) riguardanti il corpo o le tracce del  reato,  compiuti  da
 ufficiali  ed  agenti  di  polizia  giudiziaria, dopo che un reato e'
 stato commesso, allo scopo di assicurarne le tracce o le prove.
    Al  contrario, i prelievi e i campionamenti delle acque di scarico
 vengono   compiuti   da   funzionari   ed   agenti   della   pubblica
 amministrazione,  nell'ambito di un'attivita' di normale (e per nulla
 urgente) controllo di carattere amministrativo che, per  sua  natura,
 non e' di per se stesso finalizzato all'accertamento di un reato.
    Inoltre  poi, una volta che l'art. 22 della legge 24 dicembre 1979
 n. 650 ha indicato agli  operatori  l'opportunita'  di  orientare  la
 scelta   delle  modalita'  del  prelievo  (vuoi  attraverso  campione
 istantaneo, vuoi tramite campione medio) a seconda del tipo di  ciclo
 produttivo, dei tempi e dei modi di versamento, della portata e della
 durata dello scarico, e' evidente che  gli  operatori  amministrativi
 dovranno dare atto a verbale del metodo prescelto e delle ragioni che
 lo  giustificano:  e  il  titolare  dello  scarico,  o   il   tecnico
 dell'azienda  che  lo rappresenta, essendo presenti alle operazioni e
 dovendo sottoscrivere il verbale,  ben  possono  chiedere  che  sieno
 inserite le loro eventuali osservazioni.
    Si  tratta, dunque, di operazioni amministrative, di per se stesse
 neutre, e tuttavia sufficientemente  assistite  da  garenzie  per  il
 cittadino.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 15, settimo comma,  della  legge  10  maggio  1976  n.  319
 (Tutela  delle  acque  dall'inquinamento) e successive modificazioni,
 con riferimento agli artt. 24, secondo comma e 3 della  Costituzione,
 sollevata dal Pretore di Padova con ordinanza 17 gennaio 1990.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0886