N. 382 SENTENZA 12 - 31 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Ricorsi delle regioni Toscana e Lombardia - Finanza regionale - Norme
 urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra
 Stato e regioni - "Residuo importo" del fondo comune regionale -
 Ripartizione secondo criteri rimessi alla discrezionalita' del
 Governo - Asserita violazione della riserva di legge - Sussistenza -
 Illegittimita' costituzionale in parte qua
 
 (D.-L. 28 dicembre 1989, n. 415, convertito in legge 28 febbraio
 1990, n. 38, art. 17 terzo comma).
 
 (Cost., art. 119).
 
 Ricorso della regione Lombardia - Finanza regionale - Norme urgenti
 in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra Stato e
 regioni - Istituzione dell'albo dei fornitori del Servizio sanitario
 nazionale - Prevista emanazione da parte del Ministro della sanita'
 di un atto d'indirizzo e coordinamento diretto a stabilire i criteri
 in materia di acquisto e approvvigionamento di beni e servizi del
 settore sanitario Asserita violazione delle competenze regionali -
 Esclusione Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (D.-L. 28 dicembre 1989, n. 415, convertito in legge 28 febbraio
 1990, n. 38, art. 25, quinto comma, terzo e quarto periodo).
 
 (Cost., artt. 117 e 118).
 
 Ricorso della regione Lombardia - Finanza regionale - Norme urgenti
 in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra Stato e
 regioni - Fondo comune regionale - Ammontare complessivo ritenuto
 svincolato dal gettito dei tributi erariali  - Prevista concessione
 ai comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti di mutui
 ventennali per la costruzione di fognature, impianti di depurazione
 delle acque e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani - Asserita
 violazione della autonoma finanziaria e delle competenze regionali -
 Esecuzione - Non fondatezza delle questioni.
 
 (D.-L. 28 dicembre 1989, n. 415, convertito in legge 28 febbraio
 1990, n. 38, artt. 2, primo comma- bis, e 17).
 
 (Cost., artt. 117 e 119).
 
(GU n.32 del 8-8-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2, primo comma
 bis, 17, 25, quinto comma, del decreto-legge  29  dicembre  1989,  n.
 415, convertito con modifiche nella legge 28 febbraio 1990 n. 38, dal
 titolo "Norme urgenti in materia di  finanza  locale  e  di  rapporti
 finanziari  tra  lo  Stato e le Regioni, nonche' disposizioni varie",
 promossi con ricorsi delle Regioni Toscana e Lombardia, notificati il
 27  e  il 30 marzo 1990, depositati in cancelleria il 4 e il 9 aprile
 successivi ed iscritti ai nn. 26 e 33 del registro ricorsi 1990;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi  gli  Avvocati  Alberto  Predieri  per  la  Regione Toscana,
 Valerio Onida per la  Regione  Lombardia  e  l'Avvocato  dello  Stato
 Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso ritualmente notificato e depositato la Regione
 Toscana  ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  17,  terzo  comma,  del decreto-legge 28 dicembre 1989, n.
 415, convertito in legge 28 febbraio  1990,  n.  38,  per  violazione
 dell'art. 119 della Costituzione.
    Secondo  la  ricorrente,  l'art.  17,  nel disporre che il residuo
 importo (mille miliardi) del fondo ivi indicato sia ripartito in base
 a  criteri  che  verranno  fissati  con  decreto  del  Presidente del
 Consiglio   dei   ministri   sentita   la    Conferenza    permanente
 Stato-regioni,  violerebbe  innanzitutto  la  riserva  di legge posta
 dall'art. 119 della Costituzione.
    In  secondo  luogo, lo stesso articolo, nella parte in cui prevede
 che il residuo importo del fondo anzidetto sia ripartito in  funzione
 perequativa,  violerebbe  ancora  l'art.  119  della Costituzione, in
 riferimento  al  gettito  diversificato   delle   entrate   regionali
 stabilito  dall'art.  23 del medesimo decreto-legge. In altre parole,
 precisa la ricorrente, il  meccanismo  discrezionale  previsto  dalla
 disposizione   impugnata  comporterebbe  uno  svantaggio  per  quelle
 regioni, tra cui la Toscana, che  hanno  esercitato  correttamente  i
 poteri  di  riscossione  tributaria  previsti in relazione alla tassa
 automobilistica,  dal  momento  che   da   esso   conseguirebbe   una
 sottrazione  di  parte delle somme che, per la loro inerenza al fondo
 comune di cui all'art. 8 della legge  n.  281  del  1970,  dovrebbero
 essere   ripartite   secondo  criteri  perequativi,  e  non  gia'  in
 proporzione alle entrate riscosse.
    2.  - Con un distinto ricorso regolarmente notificato e depositato
 la  Regione  Lombardia  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  nei  confronti  di vari articoli del decreto-legge n.
 415 del 1989.
    In  primo  luogo,  la  ricorrente  contesta  la  costituzionalita'
 dell'art. 2, primo comma bis, che - nel prevedere mutui (i cui  oneri
 di ammortamento sono a totale carico dello Stato) a favore dei comuni
 con popolazione inferiore a cinquemila abitanti per la  realizzazione
 di  opere  pubbliche  nei  settori degli acquedotti, delle fognature,
 degli impianti di  depurazione  delle  acque  e  di  smaltimento  dei
 rifiuti  solidi  urbani  -  configurerebbe una lesione delle relative
 competenze regionali, garantite  dall'art.  117  della  Costituzione,
 nell'attuazione  ad esso conferita dagli artt. 87 e 109 del d.P.R. n.
 616 del 1977 e dall'art. 6 del d.P.R. n.  915  del  1982.  Ad  avviso
 della  ricorrente,  l'articolo  impugnato, diversamente dalle ipotesi
 gia' sottoposte al giudizio di questa Corte, mancherebbe di prevedere
 che si debba tener conto della programmazione regionale nelle materie
 su cui incidono gli interventi di cui beneficiano i finanziamenti ivi
 predisposti.
    La   Regione   Lombardia   contesta,   altresi',  la  legittimita'
 costituzionale dell'art. 17 del decreto-legge impugnato, dal  momento
 che quest'ultimo farebbe venir meno, persino formalmente, quel legame
 con le "quote di  tributi  erariali"  previsto  dall'art.  119  della
 Costituzione (peraltro gia' venuto meno sostanzialmente a partire dal
 quinquennio di efficacia della legge n. 356 del  1976).  Infatti,  ad
 avviso della ricorrente, la disposizione impugnata, dopo aver fissato
 una quota  del  gettito  dell'imposta  di  fabbricazione  degli  olii
 minerali (13,18%), stabilisce in modo autonomo l'ammontare del fondo.
 E di questo ammontare, mentre una parte (cinquemila  miliardi)  viene
 ripartita  in base a criteri storici, un'altra parte (mille miliardi)
 e' distribuita secondo criteri che verranno fissati, in  relazione  a
 scopi  "perequativi",  con  decreto  del Presidente del Consiglio dei
 ministri. In tal modo, la tassa automobilistica - che e' l'unico  dei
 tributi  propri a dare entrate significative a favore delle regioni -
 darebbe luogo a  entrate  aleatorie  nel  loro  ammontare  e  sarebbe
 collegata   a   un   meccanismo  di  ripartizione  "perequativo"  che
 colpirebbe maggiormente quelle regioni, fra cui la  Lombardia,  nelle
 quali il gettito della tassa automobilistica e' piu' elevato.
    L'ultima  questione sollevata dalla ricorrente concerne l'art. 25,
 quinto comma, nella parte in cui istituisce  un  albo  dei  fornitori
 presso  il Ministero della sanita' nell'ambito dell'"osservatorio sui
 prezzi e sulle tecnologie sanitarie come  articolazione  del  sistema
 informativo  sanitario".  Secondo  la  Lombardia,  l'istituzione  del
 suddetto albo presso il Ministero comporterebbe la  cessazione  degli
 albi regionali, in contrasto con quanto affermato da questa Corte con
 la sentenza n. 245 del 1984. Lo stesso articolo, poi,  nel  prevedere
 un  atto  di  indirizzo  e  di  coordinamento  in  materia  senza  la
 predeterminazione di alcun criterio per l'esercizio di tale funzione,
 violerebbe   il  principio  di  legalita'  e  porterebbe  all'assurdo
 risultato di imporre alle Unita' Sanitarie Locali  le  regole  valide
 per  le  forniture  curate  dal  Provveditorato generale dello Stato,
 finendo cosi' con l'attribuire al Governo il  potere  sostanziale  di
 definire i capitolati per le forniture delle Unita' Sanitarie Locali.
    3.  -  Con  distinti atti si e' costituito in ambedue i giudizi il
 Presidente del Consiglio dei ministri  per  chiedere  il  rigetto  di
 tutte le questioni sollevate.
    Premesso  che,  sulla  base dei dati desumibili dalla relazione al
 disegno  di  legge  di  conversione   dell'impugnato   decreto-legge,
 l'ammontare   complessivo   del  fondo  comune  per  l'anno  1990  e'
 determinabile in 6689 miliardi e che  il  gettito  presumibile  della
 tassa  automobilistica  assommi  a  900  miliardi (cioe' un ammontare
 sostanzialmente coincidente con i mille miliardi scorporati dal fondo
 e   ripartiti   secondo   criteri   perequativi   da   applicarsi  "a
 consuntivo"), l'Avvocatura dello  Stato  osserva  che  non  sussiste,
 nell'art. 17, alcuna violazione della riserva di legge, sia perche' i
 criteri di ripartizione sarebbero vincolati alla  predetta  finalita'
 perequativa,  sia  perche'  il  parere  obbligatorio della Conferenza
 permanente Stato-regioni costituirebbe garanzia sufficiente affinche'
 quei  criteri  rispondano  alle reali esigenze delle singole regioni.
 Anche in relazione all'altra censura mossa dalle ricorrenti  all'art.
 17,   l'Avvocatura   dello   Stato  sottolinea  che  le  disposizioni
 impugnate, le quali  si  iscrivono  in  una  manovra  finanziaria  di
 contenimento  del  deficit  dei  conti  pubblici,  risponderebbero al
 principio  di   "coordinamento"   stabilito   dall'art.   119   della
 Costituzione,  principio nel quale dovrebbe ricomprendersi l'esigenza
 di una correzione, per un limitato periodo, della distribuzione delle
 risorse  finanziarie tra le varie regioni, richiesta dalle condizioni
 generali della  finanza  pubblica.  Del  resto,  conclude  sul  punto
 l'Avvocatura  dello  Stato,  non  andrebbe trascurato il fatto che la
 perequazione viene prevista, non  piu'  in  riferimento  al  previsto
 introito  della  tassa automobilistica, ma con riguardo all'effettivo
 gettito della stessa.
    Riguardo  alla  questione  di  costituzionalita'  sollevata  dalla
 Regione  Lombardia  nei  confronti  dell'art.  2,  primo  comma  bis,
 l'Avvocatura  dello  Stato  sostiene  che  la ricorrente non terrebbe
 conto del fatto che  gli  interventi  previsti  rientrerebbero  nella
 categoria  di  quelli  comportanti  spese obbligatorie per i comuni e
 tali   da   non   poter   essere   condizionati   dall'attivita'   di
 programmazione della regione (v. artt. 91, lett. c, n. 14, del r.d. 3
 marzo 1934, n. 383; art. 19 della legge n. 319  del  1976).  Inoltre,
 l'art.  87  del  d.P.R.  n.  616  del 1977 riguarderebbe soltanto gli
 acquedotti d'interesse regionale, e l'art. 101, secondo comma,  lett.
 b,  dello  stesso  decreto,  limiterebbe  le  funzioni programmatorie
 regionali ai soli rifiuti solidi urbani di tipo industriale.
    In ogni caso, conclude l'Avvocatura dello Stato, le ricorrenti non
 potrebbero giovarsi dei precedenti giurisprudenziali di questa Corte,
 in  quanto  la  norma impugnata non comporterebbe che l'erogazione di
 mezzi  finanziari  si  traduca   in   esonero   degli   enti   locali
 dall'osservanza  delle  procedure  amministrative  che richiedano, in
 ipotesi,   interventi   regionali   sulla   progettazione   e   sulla
 realizzazione delle opere in questione.
    Infine, quanto alle censure mosse dalla Regione Lombardia all'art.
 25, quinto comma, l'Avvocatura dello Stato sottolinea, per un  verso,
 che   l'istituzione   dell'albo  dei  fornitori  rientra  nell'ambito
 dell'osservatorio sui prezzi, espressione necessaria  del  potere  di
 indirizzo  e  coordinamento  in  materia  e,  comunque,  che  la  sua
 istituzione presso il Ministero della sanita' non dovrebbe comportare
 la  soppressione  degli albi regionali; per altro verso, l'Avvocatura
 afferma  che  la  disposizione  impugnata  non  innoverebbe   affatto
 rispetto  a  quanto  disposto  dagli artt. 5 e 50, primo comma, n. 1,
 della legge n. 833 del 1978, limitandosi  a  ribadire  l'esigenza  di
 porre  a  base  della  gestione amministrativo-contabile delle Unita'
 Sanitarie Locali i principi generali della contabilita'  pubblica  al
 fine  dell'osservanza  dei  criteri  di  rigore e di efficienza della
 spesa pubblica.
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza  hanno  presentato memorie le
 Regioni Toscana e Lombardia, le quali, oltre a ribadire in forma piu'
 ampia  argomenti  gia'  svolti nei ricorsi, formulano alcune repliche
 alle osservazioni dell'Avvocatura dello Stato.
    In  particolare, riguardo all'art. 17, la Regione Toscana sostiene
 che non potrebbe equivalere alla riserva di legge la  previsione  del
 parere  della  Conferenza  Stato-regioni, tanto piu' che si tratta di
 parere obbligatorio, ma non vincolante.  La  stessa  Regione  osserva
 che, mentre la composizione del fondo si e' sempre basata sul gettito
 annuale dei tributi erariali (art. 8, primo comma, della legge n. 281
 del 1970) e su una quota del complesso delle entrate tributarie dello
 Stato che non prendeva in considerazione  le  entrate  proprie  delle
 regioni  (art.  1  della legge n. 356 del 1976) e mentre l'incremento
 degli importi del fondo era stato  sempre  ripartito  annualmente  in
 proporzione  alle  quote  attribuite  a  ciascuna regione al medesimo
 titolo per l'anno prima, viceversa con la disposizione  impugnata  le
 entrate   proprie   verrebbero   sommate   a  quelle  dello  Stato  e
 diventerebbero oggetto di una perequazione che violerebbe i  principi
 basilari dell'autonomia regionale.
   La  Regione Lombardia, in relazione alle censure attinenti all'art.
 2, primo comma bis, obietta all'Avvocatura che  con  la  disposizione
 impugnata   lo   Stato   ha   preteso   di   esercitare  funzioni  di
 programmazione attraverso il finanziamento delle opere  indicate,  le
 quali  sono  gia'  state trasferite alle regioni dagli artt. 87 e 101
 del d.P.R. n. 616 del 1977. Sicche'  sarebbe  del  tutto  irrilevante
 stabilire  se la competenza per l'esecuzione delle relative opere sia
 dei comuni (per i quali, comunque, l'art. 7 del decreto-legge n.  702
 del  1978,  convertito  nella  legge  n.  3  del  1979, ha abolito la
 distinzione tra spese obbligatorie e facoltative).  Ne'  si  potrebbe
 invocare,  per  la  ricorrente, il principio di coordinamento ex art.
 119 della Costituzione, trattandosi piuttosto di una  sovrapposizione
 dello Stato in materie trasferite alle regioni.
    Sull'art.  17 la Regione Lombardia, nel ribadire che il meccanismo
 escogitato penalizza le regioni che  hanno  utilizzato  lo  strumento
 della  tassa  automobilistica,  aggiunge  che  la  discriminazione si
 estenderebbe   alle   relative   popolazioni,   le   quali,   pagando
 l'accresciuta   tassa   automobilistica,   vedrebbero   andare   tale
 incremento a favore dello Stato e indirettamente delle altre regioni.
    Infine,   riguardo   all'art.  25,  quinto  comma,  la  ricorrente
 sottolinea che l'albo dei fornitori istituito presso il Ministero non
 potrebbe  essere  che  unico,  con  il  rischio di trasformare quelli
 regionali in sue mere articolazioni. Sicche'  sarebbe  impropriamente
 richiamata  dall'Avvocatura  dello  Stato  la funzione di indirizzo e
 coordinamento, come lo sarebbe anche  per  la  restante  parte  delle
 disposizioni  impugnate,  giacche'  una cosa e' l'obbligo di rispetto
 nella legislazione regionale dei principi della contabilita' pubblica
 e  altra  cosa  e'  l'emanazione  di  criteri  di azione direttamente
 operanti per le Unita' Sanitarie Locali  e  rivolti  ad  estendere  a
 queste  ultime  le  norme vigenti per gli acquisti del Provveditorato
 dello Stato.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Regione  Toscana ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  17,  terzo  comma,  del  decreto-legge  28
 dicembre  1989,  n.  415, convertito nella legge 28 febbraio 1990, n.
 38,  per  violazione  dell'art.  119  della  Costituzione.   Con   un
 successivo  ricorso  la  Regione  Lombardia ha sollevato questioni di
 legittimita' costituzionale nei confronti degli artt. 2, comma  primo
 bis,   17  e  25,  quinto  comma,  del  medesimo  decreto-legge,  per
 violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
    Poiche'  i  due  ricorsi  hanno  ad  oggetto disposizioni di legge
 analoghe o connesse, contenute in un  medesimo  atto  legislativo,  i
 relativi   giudizi  vanno  riuniti  per  esser  decisi  con  un'unica
 sentenza.
    2.  -  Le Regioni Toscana e Lombardia hanno sollevato questione di
 legittimita'  costituzionale,  per  violazione  dell'art.  119  della
 Costituzione,   nei   confronti   dell'art.   17,  terzo  comma,  del
 decreto-legge n. 415 del 1989, nella parte  in  cui  prevede  che  il
 residuo  importo  del  fondo  comune  ivi  indicato sia "ripartito ed
 erogato con i criteri che all'uopo verranno fissati con  decreto  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri".
    La  disposizione impugnata demanda a un decreto del Presidente del
 Consiglio dei Ministri -  sentita  la  Conferenza  permanente  per  i
 rapporti  tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e
 di Bolzano - la  fissazione  dei  criteri  per  la  ripartizione  del
 "residuo   importo"  (mille  miliardi)  del  fondo  comune  regionale
 (determinato ai sensi  dell'art.  17,  comma  secondo,  del  medesimo
 decreto-legge),  che  viene  ripartito  quale  "fondo perequativo che
 tenga anche conto del diversificato gettito delle maggiori entrate di
 cui  all'art. 23, comma primo", costituite da un aumento dell'importo
 della  tassa  automobilistica  regionale  pari  al  45%  della  tassa
 erariale vigente al 1› gennaio 1990. Ad avviso delle ricorrenti, tale
 disposizione violerebbe l'art. 119 della  Costituzione,  sia  perche'
 contrasterebbe  con il principio della riserva di legge stabilito nel
 primo comma di tale articolo,  sia  perche',  prefiggendosi  un  fine
 perequativo  nella distribuzione fra le regioni dell'importo relativo
 ai proventi derivanti  dalla  tassa  automobilistica,  penalizzerebbe
 quelle  regioni  nelle  quali  il maggior introito del tributo de quo
 abbia gia' prodotto un effetto di compensazione fra  tributo  proprio
 accresciuto ed entita' della partecipazione al fondo comune.
    La questione e' fondata.
    La  disposizione  impugnata, nell'autorizzare la distribuzione fra
 le regioni del "residuo importo"  del  fondo  comune  determinato  ai
 sensi  delle  disposizioni  precedenti  del  medesimo  art.  17, dice
 espressamente che esso sara' "ripartito ed erogato con i criteri  che
 all'uopo  verranno  fissati  con decreto del Presidente del Consiglio
 dei ministri, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo
 Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano". Nel
 rinviare a un atto  governativo  la  determinazione  di  qualsivoglia
 criterio  di  ripartizione del fondo residuo senza porre in proposito
 il benche' minimo limite alla discrezionalita' dell'Esecutivo, l'art.
 17,  terzo comma, viola il principio della riserva di legge stabilito
 dall'art. 119, primo comma, della Costituzione (v. sent. n.  307  del
 1983).
    Ne' si puo' ipotizzare, contrariamente a quanto mostra di supporre
 l'Avvocatura generale dello Stato, che il riferimento  operato  dalla
 stessa  disposizione  impugnata  a una generica finalita' perequativa
 della distribuzione  del  residuo  importo  del  fondo  possa  essere
 configurato  come  un  criterio,  se  pure  minimo,  di ripartizione,
 poiche' in realta' e' insito nel  concetto  stesso  di  perequazione,
 come  in  quello  strettamente  legato di eguaglianza, che esso possa
 svolgersi e attuarsi soltanto in base a parametri fungenti da  tertia
 comparationis. Tanto piu' cio' vale in una situazione che si presenta
 in pratica estremamente diversificata, nel senso che, per  un  verso,
 si e' di fronte a un gettito necessariamente differenziato da regione
 a regione in dipendenza del  numero  dei  veicoli  immatricolati  nel
 territorio di ciascuna di esse e, per altro verso, sussistono regioni
 che hanno provveduto a imporre la tassa automobilistica  nel  massimo
 consentitto  dalla  normativa  statale  e  altre  che  non  vi  hanno
 provveduto. Sicche', in mancanza di  precisi  criteri  stabiliti  dal
 legislatore,  il  rinvio  a  finalita' perequative non e' minimamente
 idoneo  a  delimitare   o   indirizzare   il   libero   apprezzamento
 dell'autorita'   governativa  in  una  materia  che  la  Costituzione
 sottopone a riserva di legge.
    Ne',  tantomeno,  puo'  essere  invocata  allo  stesso scopo, come
 vorrebbe ancora l'Avvocatura dello Stato, la  previsione  del  parere
 obbligatorio  (ma  non  vincolante)  della  Conferenza permanente fra
 Stato e Regioni (e Province autonome), poiche', pur  se  tale  parere
 fosse  vincolante,  esso  sarebbe  idoneo  a delimitare la scelta del
 Governo, ma non gia' a surrogarsi a quei limiti o a quei criteri  che
 il  principio  costituzionale  della riserva di legge esige che siano
 determinati, se pure nel loro contenuto minimo, dal legislatore.
    Resta  assorbito ogni altro profilo di legittimita' costituzionale
 sollevato dalle ricorrenti.
    3.   -   La   Regione  Lombardia  ritiene  che  l'art.  119  della
 Costituzione, il quale garantisce l'autonomia finanziaria  regionale,
 sia violato dall'art. 17 del decreto-legge n. 415 del 1989, in quanto
 quest'ultimo non  ancorerebbe  neppure  formalmente  al  gettito  dei
 tributi  erariali  l'ammontare  complessivo  del  fondo,  che sarebbe
 invece fissato in modo autonomo e in  un'entita'  (seimila  miliardi)
 superiore a quella della predetta quota di gettito erariale.
    La questione non e' fondata.
    Contrariamente  a  quanto  supposto  dalla  ricorrente, l'articolo
 impugnato non svincola la composizione  del  Fondo  comune  regionale
 dalle  quote  di  tributi  erariali,  ma  ne  mantiene  saldo,  nella
 sostanza, l'ancoraggio. Infatti, mentre il primo comma  dell'art.  17
 si  limita a ridurre la quota dell'imposta di fabbricazione sugli oli
 minerali e sui loro derivati e prodotti analoghi dal 15% al 13,8%, il
 secondo comma dello stesso articolo ribadisce che il fondo deve esser
 determinato ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n.  281,
 il quale, a sua volta, commisura il medesimo fondo al gettito annuale
 di alcuni tributi. Questo collegamento alle quote di gettito erariale
 non  viene, certo, alterato nella sua sostanza ne' dalle integrazioni
 previste dall'art. 17, secondo  comma,  al  fine  di  assicurare  una
 consistenza  del  fondo  pari  a  seimila miliardi di lire per l'anno
 1990, ne' dalle somme conglobate ai sensi dell'art. 1, secondo comma,
 della  legge  1›  febbraio  1989,  n.  40,  al fine di garantire alle
 regioni una maggior autonomia di spesa.
    4. - Ad avviso della Regione Lombardia il decreto-legge n. 415 del
 1989 conterrebbe una lesione delle competenze garantite alle  regioni
 dall'art.  117 della Costituzione nel suo art. 2, comma primo bis, il
 quale prevede la concessione ai Comuni con  popolazione  inferiore  a
 cinquemila  abitanti di mutui ventennali erogati dalla Cassa depositi
 e prestiti e  destinati  alla  costruzione,  all'ampliamento  e  alla
 ristrutturazione  di  acquedotti,  fognature, impianti di depurazione
 delle acque e di smaltimento di rifiuti solidi urbani.
    La questione non e' fondata.
    Al  fine  di  decidere  correttamente  la  questione sottoposta al
 giudizio di questa Corte con l'impugnazione ora considerata,  occorre
 tener  presente  la  distinzione  tra  finanziamenti  e  programmi (o
 attivita'). La norma impugnata, partendo dal  realistico  presupposto
 della  carenza  di  mezzi  finanziari  a disposizione dei comuni piu'
 piccoli, si preoccupa di erogare a questi ultimi mutui con  oneri  di
 ammortamento totale a carico dello Stato allo scopo di compiere opere
 pubbliche  di  prima  necessita'  relative  agli   acquedotti,   alle
 fognature,  agli impianti di depurazione delle acque e di smaltimento
 dei rifiuti solidi urbani. La  stessa  norma,  tuttavia,  non  incide
 minimamente  sui  programmi  e  sulle  attivita' cui si riferiscono i
 finanziamenti  previsti:  quelle  attivita',  infatti,   seguono   le
 relative  norme  di  competenza,  di  modo che, ove rientrino fra gli
 oggetti sottoposti ai poteri di programmazione delle regioni,  devono
 essere determinate in armonia con questi ultimi.
    5.  - La Regione Lombardia contesta la legittimita' costituzionale
 dell'art. 25, quinto comma, del decreto-legge n. 415 del 1989,  nella
 parte  in  cui  prevede,  nell'ambito  dell'osservatorio sui prezzi e
 sulle tecnologie sanitarie, l'istituzione dell'albo dei fornitori del
 Servizio sanitario nazionale e ne affida la tenuta al Ministero della
 sanita'. Tale disposizione, a giudizio della  ricorrente,  violerebbe
 gli  artt.  117  e  118  della  Costituzione,  in quanto lederebbe le
 competenze che le regioni posseggono in materia sanitaria.
    La questione non e' fondata nei sensi di cui in motivazione.
    L'istituzione  del  menzionato  albo  nazionale  dei fornitori non
 implica affatto la soppressione di quelli  regionali,  ne'  configura
 una  interferenza  con  la tenuta degli stessi da parte delle regioni
 medesime  (salvi  gli  interventi  del  Ministro   in   ordine   alle
 "tipologie",  alle  "classi  di  appartenenza"  e  ai  "requisiti per
 l'iscrizione"), sui quali questa Corte  si  e'  gia'  espressa  nella
 sentenza n. 245 del 1984. Secondo la norma impugnata, infatti, l'albo
 dei fornitori e' istituito "nell'ambito dell'osservatorio sui  prezzi
 e  sulle  tecnologie  sanitarie  per la effettuazione di rilevazioni,
 studi e controlli nel settore dell'acquisto dei beni e  servizi,  con
 particolare  riguardo ai beni di largo consumo e alle apparecchiature
 e  agli  strumenti  di  alta  tecnologia".  Come  lascia  chiaramente
 intendere  la  citazione  appena  riportata,  l'istituzione dell'albo
 nazionale dei fornitori non riguarda  i  beni  e  i  servizi  cui  si
 riferiscono gli albi regionali, ma concerne soltanto quelli sui quali
 si estende la competenza degli organi e degli enti  dipendenti  dallo
 Stato.  Essa,  in  altre  parole,  rientra  nell'ambito  di una sfera
 separata rispetto a quella sulla quale  incide  la  competenza  delle
 regioni.
    6.  - Un'ultima censura e' stata sollevata dalla Regione Lombardia
 nei confronti del medesimo art. 25, quinto comma, nella parte in  cui
 prevede che il Ministro della Sanita', sentito il Consiglio sanitario
 nazionale, emanera' un atto di indirizzo e  coordinamento  diretto  a
 stabilire  i  "criteri in materia di acquisti e di approvvigionamento
 di beni  e  servizi,  da  ispirare  ai  principi  di  garanzia  delle
 normative  vigenti  presso il Provveditorato generale dello Stato per
 le forniture alle  amministrazioni  pubbliche  statali".  Secondo  la
 ricorrente,   tale   disposizione   violerebbe   l'art.   117   della
 Costituzione,  in  quanto  lederebbe  il   principio   di   legalita'
 "sostanziale"  proprio  della  funzione di indirizzo e coordinamento,
 nonche' le competenze regionali  in  materia  di  contabilita'  delle
 Unita' sanitarie locali (art. 50 della legge n. 833 del 1978).
    La questione non e' fondata nei sensi di cui in motivazione.
    Per  i motivi espressi nel punto immediatamente precedente, i beni
 e i servizi sanitari cui si riferisce l'art. 25,  quinto  comma,  del
 decreto-legge  impugnato sono quelli rientranti fra gli oggetti delle
 competenze attribuite agli  organi  e  agli  enti  statali.  Sicche',
 quando  la  norma  impugnata  parla  di  un  atto  di  indirizzo e di
 coordinamento del Ministro  della  sanita'  non  puo'  alludere  alla
 omologa   funzione  che  il  Governo  esercita  nei  confronti  delle
 autonomie  regionali,  ma  riguarda  necessariamente  i   poteri   di
 direttiva  che  il Ministro della sanita' possiede verso gli organi e
 gli enti statali. Di qui deriva l'inconferenza delle censure proposte
 dalla  Regione  Lombardia  nei  confronti  della  disposizione appena
 considerata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
      dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  17, terzo
 comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 ("Norme urgenti  in
 materia  di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le
 Regioni, nonche' disposizioni  varie"),  convertito  nella  legge  28
 febbraio  1990,  n.  38,  nella  parte  in cui prevede che il residuo
 importo del fondo comune ivi indicato sara' "ripartito ed erogato con
 i  criteri  che  all'uopo verranno fissati con decreto del Presidente
 del Consiglio dei ministri";
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  17,  nelle  disposizioni  restanti   rispetto   a   quella
 precedentemente   indicata,   del  decreto-legge  n.  415  del  1989,
 convertito nella legge  n.  38  del  1990,  sollevata  dalla  Regione
 Lombardia,  in  riferimento  all'art.  119 della Costituzione, con il
 ricorso indicato in epigrafe;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 2, comma primo bis, del  decreto-legge  n.  415  del  1989,
 convertito  nella  legge  n.  38  del  1990,  sollevata dalla Regione
 Lombardia, in riferimento all'art. 117  della  Costituzione,  con  il
 ricorso indicato in epigrafe;
      dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in motivazione, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, quinto  comma,
 terzo  periodo,  del  decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella
 legge  n.  38  del  1990,  sollevata  dalla  Regione  Lombardia,   in
 riferimento  agli  artt. 117 e 118 della Costituzione, con il ricorso
 indicato in epigrafe;
      dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in motivazione, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, quinto  comma,
 quarto  periodo,  del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella
 legge  n.  38  del  1990,  sollevata  dalla  Regione  Lombardia,   in
 riferimento  all'art. 117 della Costituzione, con il ricorso indicato
 in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 31 luglio 1990.
                        Il cancelliere: DI PAOLA
 90C0991