N. 384 SENTENZA 12 - 31 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Espropriazione per pubblico interesse - Espropriazione di terreno
 utilizzato per finalita' di edilizia residenziale pubblica agevolata
 o convenzionata - Provvedimento espropriativo  dichiarato illegittimo
 con sentenza passata in giudicato Diritto al risarcimento del danno
 con esclusione della retrocessione del bene - Irragionevole
 legittimazione di provvedimenti ablativi della proprieta' dichiarati
 non conformi a legge ed emessi al di fuori dei casi e dei modi
 stabiliti dalle norme disciplinanti la espropriazione - Esclusione -
 Non fondatezza della questione.
 
 (Legge 27 ottobre 1988, n. 458, art. 3, primo comma).
 
 (Cost., art. 42, secondo e terzo comma).
 
(GU n.32 del 8-8-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato  DELL'ANDRO,  prof.  Gabriele PESCATORE, prof. Francesco Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma,
 della legge 27 ottobre 1988, n. 458 (Concorso dello Stato nella spesa
 degli  enti  locali  in  relazione  ai pregressi maggiori oneri delle
 indennita'  di  esproprio),  promosso  con  ordinanza  emessa  il  15
 novembre  1989  dal  Tribunale  di  Brescia  nel  procedimento civile
 vertente tra la Soc. cooperativa a r.l. Comitato di quartiere S. Polo
 Case ed altra e Zubani Aldo ed altre, iscritta al n. 191 del registro
 ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Zubani Aldo ed altre e del
 Comune di Brescia nonche' l'atto di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'avv.  Alfredo  Bucciante per Zubani Aldo ed altre, Sergio
 Panunzio per il Comune di Brescia e  l'Avvocato  dello  Stato  Franco
 Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Il tribunale di Brescia, con ordinanza emessa il 15 novembre
 1989, nel corso di un giudizio avente ad  oggetto,  tra  l'altro,  la
 restituzione  di  talune  aree  espropriate  dal  comune di Brescia e
 concesse a  due  cooperative  edilizie,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 27
 ottobre 1988, n. 458, in riferimento all'art.  42,  secondo  e  terzo
 comma, della Costituzione.
    Nell'ordinanza di rimessione si espone quanto segue.
    Il  21  agosto  1979 il sindaco di Brescia disponeva l'occupazione
 d'urgenza di alcune aree in attuazione del P.E.E.P.  di  cui  si  era
 dotato  il  comune. Il decreto veniva impugnato dai proprietari delle
 aree davanti il giudice amministrativo, il quale,  con  sentenza  del
 luglio 1984 (in seguito confermata in appello e passata in giudicato)
 annullava il decreto di occupazione di urgenza e gli atti successivi,
 anch'essi  impugnati  dai proprietari (variante del P.E.E.P., decreto
 di esproprio, proroga della validita' del piano di zona).
    Nel  frattempo  il  comune  di  Brescia  concedeva  il  diritto di
 superficie su parte delle aree anzidette alla  cooperativa  "Comitato
 di  quartiere  S.  Polo  Case"  ed alla cooperativa "Case amici di S.
 Polo".
   In  pendenza  del  giudizio  davanti  al  giudice amministrativo, i
 proprietari delle aree ottenevano dal  pretore  un  provvedimento  ex
 art.  700  c.p.c., col quale veniva disposta la restituzione da parte
 del comune di Brescia delle aree  occupate.  Le  cooperative,  pero',
 ottenevano dallo stesso pretore un altro provvedimento d'urgenza, col
 quale venivano escluse dalla  gia'  disposta  restituzione,  le  aree
 sulle quali era stato costituito il loro diritto di superficie.
    A  seguito di tale secondo provvedimento d'urgenza, le cooperative
 proponevano, nell'aprile 1981, davanti al  tribunale  competente,  il
 giudizio  a  quo,  chiedendo  la condanna del comune di Brescia e dei
 proprietari delle aree al risarcimento dei danni derivati dal ritardo
 nella  costruzione  degli  edifici e la conferma del provvedimento ex
 art.  700,  che  escludeva  le  aree  in  questione  dall'ordine   di
 restituzione  in  precedenza impartito dallo stesso pretore. Entrambe
 le parti convenute chiedevano la reiezione delle domande proposte e i
 proprietari   delle   aree   anche   la  condanna  delle  attrici  al
 risarcimento dei propri danni.
    Nelle   more  del  giudizio  a  quo,  veniva  accolto  il  ricorso
 straordinario al Capo dello Stato proposto dai proprietari delle aree
 contro le concessioni edilizie rilasciate alle cooperative, in quanto
 sprovviste di titolo per ottenerle.  Veniva  invece  respinta,  dalla
 Corte d'appello di Brescia, un'altra domanda, proposta in un giudizio
 autonomo rispetto al giudizio a quo dai proprietari delle  aree,  per
 ottenerne  la  restituzione a seguito delle declaratorie ottenute con
 l'esperimento dei ricorsi giurisdizionali amministrativi.
    Il   giudice   a  quo,  dopo  avere  premesso,  nell'ordinanza  di
 rimessione, quanto sopra, afferma che, con le  loro  conclusioni,  le
 parti  chiedono  l'accertamento,  da  parte del tribunale, le une del
 loro diritto di superficie e le altre del loro diritto di proprieta':
 "accertamento  che e' logicamente e giuridicamente preliminare per la
 decisione di ogni altra domanda".
    Tale accertamento, peraltro, sarebbe precluso dall'art. 3 della l.
 n. 458 del 1988, a norma del  quale:  "Il  proprietario  del  terreno
 utilizzato per finalita' di edilizia residenziale pubblica, agevolata
 o convenzionata, ha diritto al  risarcimento  del  danno  causato  da
 provvedimento   espropriativo  dichiarato  illegittimo  con  sentenza
 passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene".
    Da   cio'   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale della norma suindicata,  rilevanza  che  non  verrebbe
 meno  neppure  a  seguito  del passaggio in giudicato della ricordata
 sentenza della  Corte  d'appello  di  Brescia,  trattandosi  "di  una
 controversia   tra   soggetti  parzialmente  diversi  e  con  domande
 diverse", rispetto a quella oggetto del giudizio a quo.
    Quanto   alla   non   manifesta   infondatezza   della  questione,
 nell'ordinanza di rimessione si deduce che l'art.  42,  terzo  comma,
 della  Costituzione,  limita  "il  potere di esproprio della pubblica
 amministrazione - quale eccezione al riconoscimento e  alla  garanzia
 della  proprieta'  privata  di  cui al primo comma dell'articolo - ai
 soli casi  tassativi  preventivamente  stabiliti  e  tipizzati  dalla
 legge, anche in considerazione della circostanza che nei procedimenti
 ablativi della proprieta' solo attraverso  il  rispetto  delle  norme
 procedurali  e'  consentito  al  privato  di  rappresentare  i propri
 interessi ai fini di  una  piu'  adeguata  e  imparziale  valutazione
 dell'interesse   pubblico".   Sarebbe   pertanto   non   conforme   a
 Costituzione rendere legittimi, come ha fatto l'art. 3 della legge n.
 458 del 1988, comportamenti della pubblica amministrazione dichiarati
 non conformi a legge ed annullati dal giudice amministrativo.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e' intervenuto il
 Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia
 dichiarata inammissibile o infondata.
    Sotto  il primo profilo ha dedotto che l'art. 3 della legge n. 458
 del 1988 e' una mera applicazione del principio  stabilito  dall'art.
 4,  della  legge  n.  2248 del 1865, all. E, per cui la sua eventuale
 declaratoria di illegittimita' costituzionale sarebbe irrilevante.
    Sotto  il secondo profilo ha sostenuto la legittimita' della norma
 impugnata, sottolineando che e' impensabile che "gli  ex  proprietari
 del  terreno  acquisiscano  le  case costruite dalle cooperative e la
 nuda proprieta' del comune di Brescia", essendo cio' in contrasto con
 la  funzione  sociale  della  proprieta'  e con il diritto, anch'esso
 costituzionalmente protetto, degli assegnatari degli alloggi.
    3.  -  Davanti  a questa Corte si e' costituito anche il comune di
 Brescia, chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o,
 comunque,  infondata.  Sotto  il  primo  profilo,  ha dedotto che nel
 frattempo la Corte di cassazione ha respinto il  ricorso  avverso  la
 sentenza  della Corte d'appello di Brescia indicata nell'ordinanza di
 rimessione,   cosicche'   "si   sarebbe   formato   giudicato   sulla
 impossibilita'",  per  i proprietari delle aree in contestazione, "di
 richiedere al comune di Brescia (dante causa  delle  cooperative)  il
 rilascio" di tali aree.
    Ha  inoltre  dedotto  che  il  giudizio  a  quo  aveva  ad oggetto
 unicamente domande di risarcimento dei danni e  non  di  restituzione
 delle  aree,  con la conseguenza che la questione sarebbe irrilevante
 anche sotto tale profilo.
    Quanto  al  merito,  si  deduce la non fondatezza della questione,
 essendo stata la norma impugnata  il  risultato  di  una  valutazione
 comparativa fra l'interesse dei privati proprietari alla restituzione
 delle aree illegittimamente  espropriate  e  l'interesse  pubblico  a
 conservare  ad  esse la destinazione a fini di edilizia residenziale.
 La scelta di subordinare il primo interesse al  secondo  non  sarebbe
 irrazionale  e  non  confliggerebbe con l'art. 42 Cost., trovando una
 giusta contropartita  nel  diritto,  attribuito  ai  proprietari,  di
 ottenere il risarcimento del danno.
    4. - Si sono costituiti pure i proprietari delle aree espropriate,
 chiedendo la declaratoria d'illegittimita' della norma impugnata.
    Nelle  note  depositate  essi  hanno  sostenuto che l'art. 3 della
 legge n. 458 del 1988 ha sanato attivita' amministrative "scorrette e
 fraudolente"  ed  ha  posto  nel  nulla  la  tutela  contro  gli atti
 illegittimi della pubblica amministrazione - conseguita  in  sede  di
 giurisdizione  amministrativa  - sancendo la perdita della proprieta'
 su beni illegittimamente espropriati, in contrasto  con  le  garanzie
 previste dall'art. 42 della Costituzione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  giudice  a  quo  ha  sollevato la seguente questione di
 legittimita' costituzionale riferita all'art. 3, primo  comma,  della
 legge  27  ottobre  1988, n. 458: tale norma - con lo statuire che il
 proprietario  del  terreno  utilizzato  per  finalita'  di   edilizia
 residenziale  pubblica,  agevolata  o  convenzionata,  ha  diritto al
 risarcimento  del  danno  causato  da   provvedimento   espropriativo
 dichiarato  illegittimo  con  sentenza passata in giudicato, restando
 esclusa la retrocessione del bene -  contrasterebbe  con  l'art.  42,
 secondo  e  terzo  comma,  della  Costituzione, in quanto l'anzidetto
 articolo  3,  facendo  venir   meno   la   limitazione   dei   poteri
 espropriativi  connessa  alla  tipizzazione compiuta da queste norme,
 renderebbe esperibile la potesta' ablativa anche in  fattispecie  non
 preventivamente determinate.
    2. - Il comune di Brescia - parte del giudizio a quo costituitosi,
 ha eccepito in via pregiudiziale che la  questione  proposta  sarebbe
 inammissibile,  per  difetto  di rilevanza, sotto un duplice profilo.
 Innanzitutto perche' il giudizio a quo  non  avrebbe  ad  oggetto  la
 restituzione   di   beni  espropriati  con  provvedimento  dichiarato
 illegittimo;  in  secondo  luogo  per  l'esistenza  di  un  giudicato
 esterno,  in  base al quale i proprietari delle aree in contestazione
 non potrebbero, comunque, ottenerne la restituzione.
    Anche  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  intervenuta  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito l'inammissibilita'
 della  questione,  sotto  il  diverso  profilo che la norma impugnata
 sarebbe mera applicazione di una disciplina preesistente.
    3. - Dette eccezioni preliminari sono prive di fondamento.
    In  ordine  alla  prima  di  esse,  va rilevato che l'ordinanza di
 rimessione e' stata emessa nel corso di un giudizio tra i proprietari
 di   alcune  aree,  il  comune  di  Brescia  che  ne  aveva  disposto
 l'occupazione  d'urgenza  -  ottenendone  poi  l'espropriazione   con
 provvedimento, successivamente annullato dal giudice amministrativo e
 due cooperative, titolari del diritto di superficie e delle  inerenti
 concessioni   edilizie,   di  poi  annullate  a  seguito  di  ricorso
 straordinario al Capo dello Stato.
    Il  giudizio  era stato instaurato dinanzi al tribunale di Brescia
 per la convalida di un provvedimento ex art. 700  c.p.c.,  avente  ad
 oggetto  l'esclusione di talune delle aree, illegittimamente occupate
 ed espropriate, dalla restituzione ordinata dallo stesso  pretore  di
 Brescia:  oggetto principale del giudizio, era, pertanto, la conferma
 di  tale  provvedimento  pretorile.  Le  attrici  -  come  si  espone
 nell'ordinanza  di rimessione - avevano chiesto anche la condanna del
 comune di Brescia e dei proprietari delle aree  al  risarcimento  dei
 danni  derivati dal ritardo nella costruzione degli edifici; entrambe
 le parti convenute instavano per  la  reiezione  delle  domande  e  i
 proprietari  delle  aree  anche  per  la  condanna  delle cooperative
 attrici al risarcimento dei danni subiti.
    Nel  delimitare  il  contenuto  di  tali  pretese, il tribunale di
 Brescia   ha   posto   in   rilievo    il    carattere    preliminare
 dell'accertamento   dei   diritti   delle   parti   sulle   aree   in
 contestazione, accertamento che sarebbe precluso dall'impugnato  art.
 3 della legge n. 458 del 1988.
    La  motivazione  dell'ordinanza costituisce sufficiente fondamento
 alla rilevanza della questione a norma dell'art. 23  della  legge  11
 marzo  1953,  n.  87,  tenuto  conto che rientra nella competenza del
 giudice remittente  determinare  il  thema  decidendum  del  giudizio
 devoluto  alla  Corte;  questa, in sede di verifica della sussistenza
 della rilevanza, non puo', con proprie valutazioni, sindacare  l'iter
 logico  seguito  dal  giudice remittente nella impostazione prescelta
 per pervenire alla decisione del merito.  Il  controllo  della  Corte
 sulla  rilevanza  deve  contenersi  nella  verifica  che "ricorra una
 ragionevole possibilita', valutata a priori in limine litis,  che  la
 disposizione contestata sia applicabile ai fini della definizione del
 giudizio a quo" (sentenza n. 1012 del 1988),  mentre  deve  ritenersi
 esclusa  ogni  valutazione  che  implichi  statuizioni  influenti sul
 merito di esso (ordinanza n. 125 del 1987 e sentenza n. 189 el 1986).
    Non  maggior  pregio  ha  la seconda eccezione d'inammissibilita',
 sollevata dal comune di Brescia sotto il  profilo  che,  sull'oggetto
 della  domanda,  esisterebbe un giudicato esterno, in base al quale i
 proprietari delle aree in contestazione non potrebbero piu' ottenerne
 la  restituzione,  anche  se  la  norma  impugnata  fosse  dichiarata
 costituzionalmente illegittima.
    Secondo  quanto  ammette  la  stessa  ordinanza  di rimessione, il
 giudicato riguarda un giudizio  attinente  ad  una  controversia  tra
 soggetti  parzialmente diversi, con domande diverse e, come tale, non
 potrebbe operare nell'attuale controversia.
    Comunque,   avendo   il   giudice  a  quo  congruamente  motivato,
 affermando  la  permanente  rilevanza  della  questione  non  ostante
 l'anzidetto  giudicato,  il  riesame  della  motivazione al riguardo,
 attenendo al merito della causa, si sottrae  al  giudizio  di  questa
 Corte, in sede di controllo della rilevanza.
    Infondata,  infine,  e'  anche  l'eccezione d'inammissibilita' che
 l'Avvocatura generale dello Stato ricava dal  carattere  della  norma
 impugnata:   essa  sarebbe  mera  applicazione  del  principio  posto
 dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, e, come  tale,
 opererebbe   comunque,   anche   dopo   una   eventuale  declaratoria
 d'illegittimita' della norma applicativa.
    Osserva la Corte che l'art. 3 della legge n. 458 del 1988 non puo'
 ricondursi   al   principio   della   non   revocabilita'   dell'atto
 amministrativo  da  parte  del giudice ordinario, poiche' la norma e'
 chiamata ad operare in una  fattispecie  in  cui,  per  essere  stato
 annullato  l'atto  amministrativo,  il giudice ordinario non incontra
 piu',  nell'esercizio  della  sua  giurisdizione,  il  limite   posto
 dall'art.    4    della   legge   sull'abolizione   del   contenzioso
 amministrativo.
    3. - Nel merito la questione e' infondata.
    L'art.  3,  primo  comma,  della  legge  27  ottobre  1988, n. 458
 statuisce che "il proprietario del terreno utilizzato  per  finalita'
 di  edilizia  pubblica,  agevolata  o  convenzionata,  ha  diritto al
 risarcimento  del  danno  causato  da   provvedimento   espropriativo
 dichiarato   illegittimo  con  sentenza  passata  in  giudicato,  con
 esclusione della retrocessione del bene".
    Secondo  il giudice a quo tale norma contrasterebbe con l'art. 42,
 secondo e terzo comma, della Costituzione, alla stregua del quale  la
 potesta'  espropriativa  sarebbe  caratterizzata da una peculiare sua
 tipicita',  in   quanto   riferibile   a   casi   preventivamente   e
 tassativamente  individuati  dalla legge; sarebbe da escludere che il
 trasferimento coattivo della proprieta'  possa  essere  stabilito  ex
 post,  sanando  retroattivamente situazioni d'illegittima occupazione
 di beni di proprieta' privata.
    Questa  tesi  non  trova  riscontro  nel  contenuto  dell'articolo
 indicato a parametro.
    Il  secondo  comma  dell'art.  42  della  Costituzione stabilisce,
 infatti, che "la proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla
 legge,  che ne determina i modi d'acquisto, di godimento ed i limiti,
 allo  scopo  di  assicurarne  la  funzione  sociale  e  di   renderla
 accessibile  a  tutti".  In  tal  modo  viene demandata alla legge la
 determinazione dei modi di acquisto  della  proprieta',  sia  in  via
 generale,  sia in relazione a situazioni peculiari sempre in presenza
 della finalita' di assicurarne la funzione sociale.
    Il  terzo comma dell'art. 42 della Costituzione non implica che la
 potesta'  espropriativa   debba   riferirsi   ad   ipotesi   ablative
 prefigurate in via generale e accompagnate da sequenze procedimentali
 costanti ed unitarie. Quella potesta' si esplica legittimamente anche
 quando  -  sempre  se  sorretta  da  motivi d'interesse generale - si
 riferisce a concrete fattispecie ablative non usuali, e perfino  gia'
 realizzate.
    Non  e'  precluso,  infatti,  alla  legge (cfr. sentenza n. 95 del
 1966) disporre  direttamente  l'espropriazione,  anche  se  l'effetto
 ablatorio  non  si  inquadri  nell'ipotesi comune di un trasferimento
 preventivo all'operazione, sempre che questa sia assistita da  motivi
 di pubblico interesse e dal giusto indennizzo.
    Non   esattamente,   dunque,  il  giudice  a  quo  contrappone  la
 atipicita' di un tale intervento rispetto a quelli  che  si  pongono,
 nella  materia,  con  carattere  di generalita'. Per il solo fatto di
 essere previsti singolarmente dalla norma, essi non sono privi di una
 loro tipicita', anche se operano in uno spazio piu' limitato.
    E' quanto ricorre nella fattispecie, considerata nell'ordinanza di
 rimessione. La norma, della cui legittimita' si dubita,  fu  inserita
 (alla stregua dei lavori preparatori) nella legge 27 ottobre 1988, n.
 458, allo scopo di "assicurare  giustizia  equitativa"  ed  eliminare
 situazioni  d'"incertezza  giuridica",  in relazione ai molti casi in
 cui i  comuni  avevano  proceduto  al  rilascio  di  concessioni  per
 costruzioni   di   edilizia   residenziale   pubblica,   agevolata  o
 convenzionata, senza che la procedura espropriativa dei  suoli  fosse
 stata esperita regolarmente.
    Trattasi  di  una  fattispecie  strutturalmente diversa da quella,
 esaminata  da  questa  Corte  (sentenza  n.  549  del  1989),   della
 privazione ritenuta legittima del diritto alla retrocessione dei beni
 espropriati che non abbiano avuto la  prevista  destinazione,  ma  ad
 essa  assimilabile sotto il profilo del comune giudizio di prevalenza
 del pubblico interesse  rispetto  al  diritto  dell'espropriato  alla
 restituzione dei beni.
    Con  la  norma  ora  impugnata  il  legislatore, nel contrasto fra
 l'interesse dei proprietari  dei  suoli  ad  ottenerne,  in  caso  di
 espropriazione  illegittima,  la  restituzione e l'interesse pubblico
 realizzato con l'impiego dei predetti beni per finalita' di  edilizia
 residenziale  pubblica, agevolata o convenzionata, ha dato prevalenza
 a quest'ultimo interesse.
    Siffatta  scelta  legislativa  persegue  una finalita', segnata da
 sicuri motivi d'interesse generale,  compatibile  con  la  disciplina
 dell'art.  42,  secondo  e terzo comma, della Costituzione, in quanto
 esplicazione concreta della funzione  sociale  della  proprieta'.  Al
 raggiungimento  di  un  siffatto  obbiettivo  il disposto dell'art. 3
 della legge n. 458 del 1988 accompagna, proprio per le modalita'  con
 le quali la finalita' pubblica si realizza, un'attenta considerazione
 della posizione dei titolari dei beni impiegati.
    Il  legislatore,  infatti, con la norma impugnata, in una completa
 ed adeguata valutazione degli interessi in gioco, non si e'  limitato
 a   corrispondere   "l'indennizzo",   ma   ha   previsto  l'integrale
 risarcimento del danno subito, ivi compresi (art.  3,  ultimo  comma,
 della  legge  impugnata)  quanto  dovuto  a  titolo  di  svalutazione
 monetaria "e le ulteriori somme di cui all'art. 1224, secondo  comma,
 c. civ., a decorrere dal giorno dell'occupazione illegittima".
    Al  mancato  adempimento  della  pretesa  restitutoria, imposto da
 preminenti ragioni di pubblico interesse, si  sostituisce  la  tutela
 risarcitoria (art. 2043 c.civ.), integralmente garantita.
    Non  sussiste pertanto la dedotta violazione dell'art. 42, secondo
 e terzo comma, della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, primo  comma,  della  legge  27  ottobre  1988,  n.  458
 (Concorso  dello  Stato nella spesa degli enti locali in relazione ai
 pregressi maggiori oneri delle indennita' di  esproprio),  sollevata,
 in   riferimento   all'art.   42,   secondo   e  terzo  comma,  della
 Costituzione, dal tribunale di Brescia, con l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: PESCATORE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 31 luglio 1990.
                        Il cancelliere: DI PAOLA
 90C0994