N. 57 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 agosto 1990

                                 N. 57
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 10 agosto 1990 (del commissario  dello  Stato  per  la
 regione Sicilia)
 Mafia  -  Istituzione di una commissione di inchiesta e vigilanza sul
 fenomeno della mafia in Sicilia - Attribuzione a detta commissione di
 poteri  di vigilanza e controllo sulle attivita' dell'amministrazione
 regionale, sugli  enti  locali  siciliani  e  su  tutti  gli  enti  o
 istituzioni   sottoposti   a   vigilanza  della  regione  -  Asserita
 violazione della competenza statale in materia di lotta  alla  mafia,
 con  possibilita'  di  non  consentite  interferenze con le attivita'
 della analoga  commissione  di  inchiesta  statale,  nonche'  con  le
 attivita' di controllo spettanti al Ministero dell'interno - Indebita
 ingerenza  in  rapporti  di  natura   privatistica   sottratti   alla
 competenza legislativa regionale.
 (Legge regione Sicilia approvata il 28 luglio 1990).
 (Cost., art. 97; statuto regione Sicilia, artt. 14 e 17).
(GU n.36 del 12-9-1990 )
    L'assemblea  regionale siciliana, nella seduta del 28 luglio 1990,
 ha approvato il disegno di legge n. 568-619, dal titolo  "Istituzione
 di  una commissione parlamentare d'inchiesta e vigilanza sul fenomeno
 della mafia in  Sicilia",  pervenuto  a  questo  commissariato  dello
 Stato,  ai  sensi  e  per  gli  effetti  dell'art.  28  dello statuto
 speciale, il successivo 31 luglio 1990.
    E'  necessaria  una  premessa: lo scrivente si rende perfettamente
 conto della notevole portata e della particolare  valenza  "politica"
 del  provvedimento  legislativo  in  esame,  atteso lo spirito che ha
 animato il legislatore siciliano e gli scopi -  altamente  sociali  e
 moralizzatori che si vogliono perseguire e che si condividono in toto
 -;  e,  d'altro  canto,  si  rende   anche   pienamente   conto   che
 l'impugnativa,  ora avanzata, a codesta ecc.ma Corte - che investe il
 disegno di legge (ribadirlo  non  guasta)  esclusivamente  sul  piano
 giuridico  e  che  solo  in  questo  senso  puo'  essere  valutata  e
 soppesata, essendogli  negato  qualsiasi  altro  tipo  di  sindacato,
 almeno  in  questa  sede  -  gli  procurera'  non  poche  critiche  e
 sfavorevoli (e spiacevoli) commenti. Ma lo scrivente e' anche conscio
 del  dovere  che  la  sua  funzione  gli  impone  di compiere, che lo
 "obbliga" ad interessare, con ricorso, la ecc.ma Corte costituzionale
 ogni   qualvolta,  sul  piano  del  diritto,  specie  costituzionale,
 ritenga, onestamente, che non siano state rispettate  le  regole  del
 "gioco" giuridico.
    Le  critiche,  i  giudizi  sfavorevoli,  di solito affrettati, del
 resto, sa che potranno soltanto venirgli, gratuitamente, da  chi  non
 e' in buona fede ed al solo scopo e solo obiettivo di buttare fumo (o
 sabbia) negli occhi di chi non sa (o non vuole sapere) o candidamente
 e' disinformato.
    Nessuno  puo' pensare che lo scrivente, con questo "travagliato" e
 "scomodo" ricorso, si voglia, comunque,  schierare  dall'altra  parte
 della  barricata,  dalla  parte  opposta  a quella scelta dall'eroico
 collega Dalla Chiesa...; o che allo scrivente non interessi o che  lo
 scrivente  non  desideri  lottare  contro  la  mafia,  le  deviazioni
 patologiche della nostra societa', su cui e' suo  dovere  intervenire
 nel settore di competenza e anche come cittadino della Repubblica.
    La   lotta   alla   mafia  e'  anche,  e  soprattutto,  lotta  per
 l'affermazione  del  diritto,  delle  regole  che   presiedono   alla
 formazione  delle  leggi,  all'ordinato  e trasparente rapporto delle
 varie componenti istituzionali.
    La  battaglia contro la mafia viene effettuata anche adempiendo ai
 propri doveri, cercando, nello  specifico,  di  far  correggere,  ove
 possibile, e sempre che i rilievi avanzati siano considerati fondati,
 le  norme  che  si  discostano  o  violano  le   regole   codificate,
 costituzionalizzate.
    Dopo  questa  doverosa premessa, necessaria oggigiorno per i tanti
 banditori  e  ciarlatani  che  battono  le  nostre  piazze,   occorre
 innanzitutto  esaminare  se  la  regione  siciliana abbia, tra le sue
 competenze,  quella  di  costituire  commissioni  d'inchiesta  e   di
 indagine del genere di quella di cui al disegno di legge in questione
 (permanenti e non strettamente funzionali ad un compito istituzionale
 della regione).
    A  questo  punto  un po' di storia dell'antimafia siciliana, sorta
 una prima volta nel 1983, non e' da ritenere superflua  pure  perche'
 serve    a    comprendere    le    ragioni    dell'attuale    vicenda
 giuridico-costituzionale.
    L'istituzione  da parte della regione siciliana di una commissione
 parlamentare per la lotta contro la criminalita'  mafiosa  scaturisce
 da un ordine del giorno - n. 127 - approvato dall'assemblea regionale
 nella seduta del 3 novembre 1983.
    La  stessa  commissione,  con  i  medesimi  compiti  (vigilanza ed
 indagine sulla attivita' della pubblica amministrazione  regionale  e
 degli  enti  sottoposti al suo controllo, raccordi con la commissione
 parlamentare nazionale, iniziativa di studio sul fenomeno mafioso) fu
 rinnovata  con  successivo  ordine  del  giorno  -  n.  7 - approvato
 dall'assemblea regionale nella seduta del 6 agosto 1986.
    L'assemblea  regionale  poi,  con  ordini del giorno n. 79, del 27
 ottobre 1988 e n. 127 del 3 agosto 1989 si e' impegnata a  ridefinire
 con  legge  ruolo,  funzioni  e  strumenti  della  stessa commissione
 regionale, al fine soprattutto di dotarla di piu'  penetranti  poteri
 d'indagine.
    L'aver  in precedenza costituito analoga commissione non con legge
 ha  praticamente  e  concretamente   sottratto   al   controllo   del
 commissariato dello Stato una tale iniziativa.
    Difatti  soltanto  le leggi, i disegni di legge possono costituire
 oggetto d'impugnativa dinanzi la Corte costituzionale, cui, peraltro,
 e'  riservato  il  controllo  di  costituzionalita' degli atti aventi
 natura legislativa  formalmente,  essendo,  dei  consigli  regionali,
 speciali  o  di  diritto  comune, qui esclusi dal controllo tutti gli
 altri atti parlamentari.
    Il  legislatore  regionale,  con  il  provvedimento  in esame, ora
 formalmente  istituisce,   con   legge,   la   suddetta   commissione
 d'inchiesta   e   di  vigilanza,  che  dovrebbe  essere  il  soggetto
 istituzionalmente preposto a continuare l'attivita' svolta,  fin  dal
 1983,  dalla  predetta commissione parlamentare istituita, come prima
 detto, in base ad  un  ordine  del  giorno  approvato  dall'assemblea
 regionale il 3 novembre 1983.
    La   legge  teste'  approvata  persegue  l'obiettivo  di  definire
 compiutamente i compiti e le funzioni della commissione medesima e di
 pervenire,  cosi',  ad  assegnarle  piu' incisivi e piu' vasti poteri
 d'indagine.
    La  legge  in  esame  prende  l'avvio  anche dalle considerazioni,
 svolte nella relazione illustrativa  al  disegno  di  legge  n.  619,
 laddove  si presenta come superato il ruolo riduttivo gia' attribuito
 dalla dottrina alle commissioni d'indagine, istituite in  genere  dai
 consigli regionali, e si afferma, invece, la conseguente possibilita'
 di assegnare con legge a dette commissioni  funzioni  ispettive  piu'
 penetranti  e "comunque attivita' di accertamento" tali da farne "non
 simulacri ma strumenti validi ed efficaci".
    L'istituzione  di  una commissione d'inchiesta deriva da un potere
 non espressamente previsto da una norma statutaria  o  di  legge  che
 sia,  ma  riconosciuto,  solo  in  via  interpretativa,  dalla  Corte
 costituzionale. Ma, mentre  la  legge  e'  fermo  principio  scritto,
 l'interpretazione e' "norma transeunte", piuma al vento del possibile
 giuridico, potendo mutare, senza formalismi e meccanismi particolari,
 da  un  momento all'altro. Commissioni che possono, invece, essere (e
 lo   sono)   normalmente   previste   dai   regolamenti   consiliari,
 finalizzate,   come   sono,  strumentali,  come  sono,  a  consentire
 approfondimenti  e  conoscenze  per  ulteriori,  magari  legislativi,
 interventi   in   materie   riservate   alla  competenza  dell'organo
 legislativo.   Laonde   commissioni   che    non    abbiano    queste
 caratteristiche  e  queste  finalita'  e'  dubbio  che possano essere
 considerate ragionevolmente possibili, specie se si tiene conto delle
 "oscillazioni" della giurisprudenza costituzionale.
    Del  resto,  se  si riconoscesse pacificamente una tale potesta' a
 tutti i consigli regionali,  che  sono  attualmente  complessivamente
 venti,  potremo  trovarci  di  fronte  a  venti  diverse  commissioni
 d'inchiesta  e  d'indagine  sulla  mafia  o  sulla  camorra  o  sulla
 'ndrangheta  o  su  simili  nefandezze, con quanto e quale "profitto"
 intuibile  e  con  quanto,  al  tempo  stesso,  "vantaggio"  per   la
 commissione  antimafia parlamentare nazionale, riconducibile all'art.
 82 della Costituzione, l'unica commissione  che,  in  questa  materia
 penale  e di "moralizzazione", veramente ha "cittadinanza" e poteri e
 necessita' di esistere e di operare.
    A  questo  punto,  si  ritiene  che  sia  il  caso di richiamare i
 precedenti     giurisprudenziali      costituzionali      concernenti
 l'istituzione, con legge regionale, di commissioni d'inchiesta.
    Codesta  ecc.ma  Corte, con sentenza n. 29/1966, pur ritenendo che
 la scelta dello strumento legislativo sia, in se', indenne da vizi di
 legittimita', ha comuqne precisato che il potere istitutivo regionale
 delle  commissioni  medesime,  in  assenza  di   specifica   potesta'
 legislativa,  debba  intendersi  come  "connaturato e implicito nelle
 varie funzioni spettanti ai consigli medesimi".
    Da  cio'  deriva, come sembra, che l'assemblea regionale siciliana
 possa  procedere  con  legge  all'istituzione  di   una   commissione
 d'inchiesta  sempre, pero', che l'oggetto dell'attivita' di inchiesta
 e di indagine, come nel caso in specie, non esorbiti dalle materie di
 competenza regionale.
    A conferma della validita' di quest'ultima considerazione sovviene
 quanto affermato da codesta  ecc.ma  Corte  nelle  motivazioni  della
 sentenza n. 19/1969.
    Orbene,  alla  luce di quanto esposto e da una lettura globale dei
 compiti  assegnati  alla  commissione  parlamentare   d'inchiesta   e
 vigilanza,  non  puo'  non  rilevarsi con le finalita' perseguite dal
 legislatore  regionale  esulino  dalle  competenze  (legislative   ed
 amministrative)  attribuite  alla  regione  siciliana  dalla  statuto
 speciale.
    Tale  e', infatti, la genericita' e la vastita' delle attribuzioni
 di inchiesta e di vigilanza sia nei confronti degli enti sottoposti a
 tali  poteri  (art.  6,  lett.  a)  -  tra gli altri "gli enti locali
 siciliani" - sia riguardo ai soggetti pubblici da inquisire (art.  6,
 lett.  b)  - "l'audizione di pubblici amministratori" - sia in merito
 all'oggetto delle indagini da  disporre  (art.  6,  terzo  comma),  -
 "l'impiego    di   finanziamenti   pubblici   ivi   compresi   quelli
 extraregionali" - da manifestare palesemente  la  mancata  necessaria
 correlazione  fra  l'attivita' svolta dalla commissione e i possibili
 interventi legislativi e/o  amministrativi  della  regione  siciliana
 nella stessa materia oggetto d'inchiesta.
    Anche   se,   per   ipotesi,   questi  amplissimi  poteri  fossero
 esclusivamente mirati all'approvazione di una o piu'  leggi-voto,  ai
 sensi dell'art. 18 dello statuto speciale, non sarebbero in ogni caso
 ammissibili - nei confronti di cittadini, siano  essi  amministratori
 pubblici  o  titolari  di  imprese,  beneficiari  di finanziamenti di
 qualsiasi sorta, e non solo per cio'  che  attiene  "particolarmente"
 alla  esecuzione  di  opere  pubbliche  e/o  alla fornitura di beni e
 servizi  alla  pubblica  amministrazione  -,  se  non  altro  perche'
 palesemente   confliggenti   con   il   potere   di  pubblici  uffici
 dell'amministrazione  statale  -  dell'Interno   in   particolare   -
 istituzionalmente   preposti   agli  accertamenti  nella  materia  in
 questione, nella finalita' di assicurare la prevenzione  e  la  lotta
 contro  la delinquenza mafiosa ed altre similari attivita' criminali.
    Non  puo',  altresi',  non porsi in evidenza la palese limitazione
 investigativa e di accertamento dei  fatti,  nelle  sedi  processuali
 proprie,  quale  inevitabilmente causata dalla disposizione ex art. 8
 del disegno di legge in  argomento,  ove  e'  stabilito  che  notizie
 derivanti  da  "fatti,  atti  e  documenti per i quali la commissione
 stabilisce che non debbano essere divulgati",  costituiscono  segreto
 d'ufficio per i soggetti indicati nel medesimo articolo.
    Si  soggiunge che la predetta norma si applica sempre per tutte le
 attivita' che  riguardano  in  tutto  o  in  parte  i  privati  e  la
 rispettiva iniziativa economica (art. 9).
    La  natura  "inquisitoria" dell'attivita' della commissione qui in
 esame si evince anche dalla lettura della lett. c) dell'art. 3 in cui
 e'  stabilito  che  spetta  alla  commissione di "verificare la piena
 attuazione da parte dell'amministrazione regionale degli enti  locali
 siciliani  e  di  ogni  altro  ente  o  istituzione  sottoposti  alla
 vigilanza della regione della legge  13  settembre  1982,  n.  646  e
 successive  modifiche  ed  integrazioni nonche' di ogni altra legge o
 provvedimento dello Stato  o  della  regione,  concernente  la  lotta
 contro   la  mafia  con  riferimento  a  tutte  le  disposizioni  che
 riguardano l'attivita' degli enti sopramenzionati".
    Siffatto  compito  di  verifica,  invero,  -  anche per la regione
 siciliana e nei confronti dell'amministrazione regionale e degli enti
 locali   siciliani  etc.  etc....  -,  e'  attualmente  svolta  dalla
 commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle
 altre associazioni criminali similari, istituita dalla legge 23 marzo
 1988, n. 94, ai sensi dell'art. 82 della Costituzione.
    Questa  incontestabile duplicazione di poteri nel medesimo oggetto
 e per la medesima finalita' non puo' che  ingenerare  -  in  assenza,
 peraltro,  di un ipotetico, ma assolutamente necessario coordinamento
 della attivita' delle commissioni di cui  trattasi  -  uno  stato  di
 incertezza  del diritto, specie nei confronti dei soggetti sottoposti
 e sottoponibili alla inchiesta e/o  alla  vigilanza,  un  inevitabile
 rallentamento   della   procedura  tendente  ad  acclarare  eventuali
 irregolarita'  o   illeciti   comportamenti,   nonche'   una   sicura
 interferenza  con il potere giudiziario, fattori tutti che certamente
 non contribuiscono alla prevenzione ed alla lotta dello Stato  contro
 le associazioni di tipo mafioso.
    Non   puo'   non   osservarsi,  infine,  che  la  "materia"  della
 prevenzione e lotta contro la mafia esula dalle  competenze  e  dalle
 finalita'  proprie  dell'ente  regione.  Il  fenomeno mafioso assume,
 invero, rilevanza sull'intero territorio nazionale e  internazionale,
 e deve, pertanto, essere ricondotto ad un unico soggetto pubblico, lo
 Stato, che deve necessariamente agire - previa l'inefficacia dei suoi
 interventi  -  in stretta collaborazione con autorita' anche di Paesi
 esteri.
                                P. Q. M.
 e  con  riserva  di  presentare  memorie  illustrative nei termini di
 legge,  il  sottoscritto  prefetto  Antonio   Prestipino   Giarritta,
 commissario  dello Stato per la regione siciliana, ai sensi dell'art.
 28 dello statuto speciale, impugna il disegno di legge n. 568/619 dal
 titolo  "Istituzione  di  una  commissione parlamentare d'inchiesta e
 vigilanza sul fenomeno della mafia in  Sicilia",  approvato  dall'ARS
 nella  seduta  del 28 luglio 1990, per violazione degli artt. 14 e 17
 dello statuto speciale, e con particolare riferimento agli  artt.  3,
 lett.  c),  6,  primo  comma,  lett.  b),  e  terzo  comma, 8 e 9, in
 relazione ai limiti posti dal  vigente  codice  di  procedura  penale
 nonche' dell'art. 97 della Costituzione.
      Palermo, addi' 3 agosto 1990
 Il  commissario  dello  Stato  per  la  regione siciliana: PRESTIPINO
 GIARRITTA
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