N. 529 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 maggio 1990
N. 529 Ordinanza emessa il 7 maggio 1990 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento civile vertente tra consorzio irriguo "Torrente Calopinace" e regione Calabria ed altro Acque pubbliche e private - Tribunale superiore delle acque pubbliche - Ricorso in sede giurisdizionale avverso provvedimento amministrativo - Esperibilita' condizionata alla definitivita' del provvedimento medesimo - Conseguente necessita' del previo ricorso in via amministrativa - Irragionevole persistenza, nella materia delle acque, della regola della definitivita' del provvedimento amministrativo abbandonata con la legge n. 1034/1971 istitutiva dei t.a.r. - Violazione del diritto di difesa - Attribuzione al Tribunale superiore delle acque della qualifica di giudice speciale in contrasto con i principi costituzionali. (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143). (Cost., artt. 3, 24, 102 e 113).(GU n.36 del 12-9-1990 )
IL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 113 del ruolo dell'anno 1986, vertente tra il consorzio irriguo "Torrente Calopinace" con sede in Reggio Calabria, in persona del cavalier Santo Amaddeo, rappresentato e difeso dagli avvocati Filippo Neri e Michele Salazar, ed elettivamente domiciliato in Roma presso il primo in via dei Gracchi 130, contro la regione Calabria, rappresentata e difesa dall'avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso gli uffici della stessa; il comune di Reggio Calabria, rappresentato e difeso dall'avvocato Mario De Tommasi e domiciliato in Roma, via Teulada, 52, presso l'avv. Antonio Valensise; per l'annullamento del provvedimento 17 luglio 1986, n. 7582, dell'ufficio regionale del genio civile di Reggio Calabria; sulle seguenti conclusioni delle parti; per il ricorrente: "Piaccia all'ecc.mo tribunale superiore delle acque pubbliche accogliere il presente ricorso e annullare, previa sospensione, il decreto impugnato"; per la regione Calabria: "Si chiede che l'ecc.mo tribunale superiore delle acque pubbliche voglia rigettare il ricorso in questione con vittoria di spese"; per il comune di Reggio Calabria: "Rigettare il ricorso ex adverso proposto e la relativa richiesta di sospensiva formulata dal ricorrente". F A T T O Con ordinanza 17 luglio 1986, n. 7582, notificata il 17 settembre 1986, l'ufficio del genio civile di Reggio Calabria, sulla semplice considerazione che il comune di Reggio Calabria aveva bisogno di acqua, ha ordinato al Consorzio irriguo del torrente Calopinace, titolare di concessione di derivazione d'acqua dal torrente Calopinace in localita' Molino di Reggio Calabria giusta decreto del Ministro dei lavori pubblici 18 gennaio 1959, n. 286, di sospendere l'estrazione di acqua. Il provvedimento e' stato impugnato dal consorzio con ricorso a questo tribunale superiore notificato tra il 3 e il 14 novembre 1986; a ostegno del ricorso sono stati dedotti vari motivi, con i quali si denuncia sotto molteplici profili l'illegittimita' del provvedimento. La causa e' stata discussa all'udienza del 7 maggio 1990. D I R I T T O Il collegio deve preliminarmente rilevare che il provvedimento impugnato e' stato adottato dall'ufficio del genio civile di Reggio Calabria, ai sensi dell'art. 105 del testo unico delle leggi sulle acque interne e sugli impianti elettrici, approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, secondo cui "Nelle zone soggette a tutela... spetta esclusivamente all'autorita' amministrativa... sospendere le utilizzazioni, revocare le autorizzazioni accordate, ordinare la chiusura dei pozzi ed emettere tutti i provvedimenti che siano ritenuti idonei alla tutela degli interessi generali ed al regime idraulico della regione". A norma del terzo comma dell'art. 105, "l'esercizio di tali potesta' compete all'ufficio del genio civile, salvo ricorso gerarchico al ministro per i lavori pubblici". Nella specie, nessun ricorso gerarchico e' stato preventivamente esperito dal ricorrente e, pertanto, andrebbe d'ufficio rilevata l'inammissibilita' del ricorso giurisdizionale, stante l'art. 143 del citato testo unico, secondo cui appartengono alla cognizione diretta del tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi contro i provvedimenti "definitivi" dell'autorita' amministrativa in materia di acque pubbliche. La disposizione ora citata riprende l'art. 70 del r.d. 5 dicembre 1919, n. 2161, con il quale era stato modificata la struttura del tribunale unico per le acque, istituito con decreto luogotenenziale 20 novembre 1916, n. 1664, per attribuire al nuovo tribunale superiore, in composizione diversa da quella prevista per la giurisdizione in materia di controversie di carattere civile, conservatagli in grado di appello, la giurisdizione amministrativa, gia' individuata dai decreti precedentemente citati e sottratta alla generale giurisdizione del consiglio di Stato sull'impugnazione degli atti amministrativi, per quella esigenza che aveva ispirato il tribunale unico e che non veniva meno con la modifica del 1916. L'esercizio della giurisdizione amministrativa del Tribunale superiore e' stato disciplinato - per quel che non imponeva particolarita' di rito - in conformita' con il sistema vigente per il Consiglio di Stato (cosi' espressamente dispone l'art. 208 del testo unico) e, quindi, la ammissibilita' dei ricorsi e' stata prevista soltanto avverso i provvedimenti definitivi, come era stabilito, in via generale, per i ricorsi giurisdizionali contro gli atti amministrativi, dall'art. 34 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1954, contenente il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato. La sopravvenuta legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, ha profondamente modificato il sistema di giustizia amministrativa, non solo per la istituzione del doppio grado di giurisdizione in sede amministrativa (ancora non previsto per i provvedimenti in materia di acque) ma anche per l'accesso alla tutela giurisdizionale, che non e' piu' condizionato dalla definitivita' del provvedimento, ma e' concesso immediatamente, anche contro provvedimenti non definitivi, avverso i quali l'interessato non ritenga di esperire previamente i ricorsi amministrativi previsti dalle leggi: in tal senso e' chiaro il disposto degli art. 2 e 20 della citata legge n. 1034 ed e' pacifica la giurisprudenza. La innovazione predetta, pero', non puo' trovare applicazione per i ricorsi al tribunale superiore delle acque pubbliche, senza la rimozione della specifica ed autonoma disposizione di cui al citato art. 143 del testo unico del 1933, perche' la nuova disciplina e' limitata ai tribunali amministrativi regionali e non contiene una abrogazione espressa dell'art. 34 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (anche se, di fatto, questa si realizza attraverso l'ammissibilita' del ricorso in primo grado; ma e' il caso di osservare che il Consiglio di Stato ha ritenuto vigente la regola della definitivita' per i provvedimenti astrattamente rientranti nella competenza del tribunale amministrativo regionale per il Trentino-Alto Adige finche' quest'ultimo non fosse stato istituito), ne' riferimenti al tribunale superiore delle acque pubbliche circa la impugnabilita' dei provvedimenti attribuiti alla cognizione di questo ultimo grado, neppure laddove, all'art. 5, viene fatta salva la sua giurisdizione. Pertanto la legge n. 1034/1971 non incide sulla attualita' della disciplina del 1933, della quale neppure puo' prospettarsi la abrogazione tacita; in tal senso, del resto, la giurisprudenza e' fermissima. Deve quindi prendersi atto che si e' venuta ad istaurare, nell'ambito della giurisdizione amministrativa, una diversita' di trattamento, che non appare legata ne' al sistema generale della impugnabilita' in sede giurisdizionale degli atti amministrativi ne' a un qualche criterio attinente alla particolarita' di materia; diversita' di trattamento che non esisteva prima della menzionata legge del 1971, dato che l'art. 143 del testo unico sulle acque interne si conformava, come detto, alla regola generale dell'art. 34 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato. Basterebbe quest'ultimo rilievo per impedire che si attribuisca ora, alla disciplina antica, una ragione per una diversita' prima inesistente. Non e' poi superfluo rilevare come la stessa generalita' del disposto dell'art. 143 citato esclude la possibilita' di rinvenire, nella ragione istitutiva del tribunale superiore, un motivo per cui la materia delle acque richieda, a differenza di altre, la definitivita' del provvedimento, quando si escluda, come unica ragion d'essere della disposizione, il rispetto della regola con pari generalita' fissata dal'art. 34 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato. Correlativamente, la previsione odierna della immediata impugnabilita' dei provvedimenti amministrativi in generale, contenuta nella legge sui tribunali amministrativi regionali, esclude, appunto per la sua generalita', che la nuova regola trovi ragione nella particolarita' di determinate materie. In sostanza, la sola ragione che poteva giustificare il comune e concorde disposto degli artt. 143 e 34 dei due testi unici rispettivamente citati rispetto al sopravvenuto disposto degli artt. 24 e 113 della Costituzione, era fornita proprio dalla generalita' della previsione, ispirata alla possibilita' di rimedio in sede amministrativa prima dell'esperimento dell'azione giudiziaria di impugnazione degli atti amministrativi, senza che vi fosse invece una ragione particolare, legata alla materia, per subordinare la proponibilita' dell'azione giudiziaria al previo esperimento dei ricorsi amministrativi; al contrario, erano specificati i casi nei quali era eccezionalmente consentita l'impugnazione immediata. Con l'abbandono della regola generale della definitivita', il disposto dell'art. 143 del testo unico sulle acque interne e' rimasto isolato e privo, per la sua stessa generalita' all'interno della giurisdizione di annullamento del tribunale superiore, di ogni conforto di ipotesi particolari nelle quali possa trovare giustificazione la facolta' del legislatore ordinario di sospendere l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale fino all'espletamento di altri rimedi, congruamente regolati e tali da non creare seri ostacoli che si risolvano nella violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione. Sotto questo profilo non appare pertanto manifestamente infondata la questione, che il collegio si pone d'ufficio, di legittimita' costituzionale del ripetuto art. 143, nella parte in cui prevede la definitivita' del provvedimento per l'ammissibilita' del ricorso in sede giurisdizionale, rispetto agli artt. 24 e 113 della Costituzione; perche' la sospensione del diritto (del soggetto che si pretende leso dall'atto amministrativo) alla domanda di tutela in sede giurisdizionale non trova giustificazione e rivela la prova di questa carenza attraverso il giudizio che lo stesso legislatore ne ha dato, con la generale abolizione del requisito della definitivita' del provvedimento nel giudizio amministrativo. Non puo', poi, sottacersi, che la odierna discriminazione e l'avvenuto isolamento del disposto dell'art. 143 del testo unico possono concretare anche la violazione dell'art. 102 della Costituzione, perche' la discriminazione indicata, ponendo una diversita' di rito collegata soltanto al giudice, in difetto di ragione obiettiva, si risolve nella attribuzione a quel giudice di una specialita' nuova e vietata dall'art. 102 anzidetto. Quanto alla rilevanza della questione nel presente giudizio, essa discende dal fatto stesso che dalla sua soluzione deriva la ammissibilita' o meno del ricorso.
P. Q. M. Solleva d'ufficio, ritenutala rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 143 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, nella parte in cui condiziona l'ammissibilita' del ricorso in sede giurisdizionale alla definitivita' del provvedimento amministrativo, in relazione agli artt. 3, 24, 102 e 113 della Costituzione; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al presidente del Consiglio dei Ministri e ne sia data comunicazione ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio del tribunale superiore delle acque pubbliche il 7 maggio 1990. Il presidente: (firma illeggibile) Il cancelliere: (firma illeggibile) 90C1055