N. 547 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 giugno 1990

                                 N. 547
    Ordinanza emessa il 15 giugno 1990 dal tribunale di Torino sulla
           richiesta di riesame proposta da Vizzini Calogero
 Processo  penale  -  Provvedimenti  cautelari  -  Riesame  - Indagato
 detenuto in luogo fuori della circoscrizione del giudice competente -
 Audizione    delegata    al   giudice   di   sorveglianza   Lamentata
 impossibilita' di valido contraddittorio - Compressione  del  diritto
 di difesa.
 (C.P.P. 1988, artt. 127, terzo comma, e 309, ottavo comma).
 (Cost., art. 24).
(GU n.38 del 26-9-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha emesso la seguente ordinanza;
    Vista  la richiesta di riesame avanzata ritualmente nell'interesse
 di Vizzini Calogero  avverso  l'ordinanza  applicativa  della  misura
 della  custodia in carcere disposta dal g.i.p. presso il tribunale di
 Ivrea in data 26 maggio 1990;
    Esperita  la  procura  di  audizione  delle  parti  in  camera  di
 consiglio;
    1. - L'indagato ha avuto contestazione di tre diverse reati.
    Il  primo  riguarda  la  detenzione  e  cessione  (in  concorso in
 particolare colla propria convivente Medas Rosanna e  col  figlio  di
 lei Musco' Gianfranco) di non modiche quantita' di eroina a terzi; il
 secondo la ricettazione  di  un  bilancio  nonche'  di  vari  oggetti
 sequestrati   nella   sua  casa  e  risultati  rubati;  il  terzo  la
 costrizione mediante violenza e minaccia di tre tesimoni al  fine  di
 indurli a ritrattare le accuse mosse nei confronti del Musco'.
    Per   valutare   la   sussistenza  o  meno  dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza  a   carico   dell'indagato,   occorre   preliminarmente
 affrontare    la    questione    sollevata    dalla    difesa   circa
 l'utilizzabilita'  o  meno  degli  atti  -  raccolti  successivamente
 all'emissione  dell'ordinanza  cautelare impugnata - inviati a questo
 giudice da parte del p.m. procedente.
    Sostiene  la difesa che, ai sensi dell'art. 309, quinto comma, del
 c.p.p., possono far parte del fascicolo del tribunale della  liberta'
 unicamente   gli   atti  gia'  trasmessi  in  sede  di  richiesta  di
 applicazione della misura cautelare al g.i.p.,  e  quindi  unicamente
 gli atti anteriori all'emissione del provvedimento cautelare.
    Il  tribunale dissente da tale impostazione che non tiene conto di
 altri  riferimenti  normativi  e  che,  se  applicata,  porterebbe  a
 conseguenze abnormi.
    Innanzi  tutto  c'e' da richiamare l'art. 100 delle disp. att. del
 c.p.p. il quale, in tema di impugnazioni (nel novero delle  quali  va
 sez'altro ricompreso anche il riesame), stabilisce l'obbligo di invio
 al giudice degli atti necessari per decidere  sull'impugnazione,  non
 distinguendo  fra  atti  assunti  prima  e  dopo  dell'emissione  del
 provvedimento impugnato. La norma di  cui  all'art.  100  citato  non
 soffre  alcuna  limitazione  gerarchica  con  riferimento  alle norme
 procedurali del c.p.p., giacche' hanno tutte  pari  forza  di  legge.
 Pertanto, e' corretto il procedimento interpretativo di coordinamento
 fra le stesse.   Altro  riferimento  normativo  e'  costituito  dalla
 disciplina  dettata  dall'art.  309,  n.  9,  del  c.p.p.  in tema di
 utilizzabilita', in sede di decisione,  sia  degli  elementi  addotti
 dalle  parti nel corso della camera di consiglio, sia di elementi non
 menzionati nella motivazione del procedimento inpugnato.  Sono questi
 tutti riferimenti che portano a configurare il giudizio del tribunale
 della liberta'  come  giudizio  eminentemente  di  merito  che  tenga
 eventualmente  conto  di tutti gli elementi acquisiti fino al momento
 della decisione, senza preclusione alcuna  di  carattere  processuale
 che  non  attenga  alla  validita'  - e quindi utilizzabilita' in via
 generale - dell'atto acquisito.  D'altra parte, se si accedesse  alla
 tesi difensiva, si giungerebbe alla abnorme conclusione della mancata
 trasmissione al t.l. di atti assunti successivamente anche  nel  caso
 in   cui  essi  fornissero  la  prova  dell'innocenza  dell'indagato:
 conseguenza questa che senz'altro verrebbe  osteggiata  dalla  stessa
 difesa.  Pertanto, deve ritenersi pienamente utilizzabile il panorama
 probatorio  raccolto  dal  p.m.  precedente   anche   successivamente
 all'ordinanza impugnata.
    2.  -  La  difesa  ha  formalmente eccepito la incostituzionalita'
 della norma di cui all'art. 127, n. 3, del c.p.p.,  che  dispone  che
 l'indagato,  detenuto  fuori  della circoscrizione del giudice, debba
 essere sentito dal magistrato  di  sorveglianza,  qualora  ne  faccia
 richiesta,   e   non   dal   giudice   procedente.   Il   profilo  di
 incostituzionalita' e' stato illustrato con riferimento all'art.  24,
 secondo comma, della Costituzione.
    La  conclusione  cui  e'  pervenuto  il tribunale sub 1) induce ad
 approfondire l'eccezione, sotto il profilo della impossibilita',  per
 il  detenuto  fuori  circoscrizione,  di  validamente  replicare agli
 eventuali elementi probatori portati dall'accusa dopo l'emissione del
 provvedimento impugnato.
    Nella formulazione dell'art. 127 del c.p.p., lo stesso legislatore
 si era  posta  la  prospettata  questione  di  costituzionalita':  la
 commissione  parlamentare,  nel  primo parere sul nuovo c.p.p., aveva
 indicato come correttivo che il  giudice  procedente  (o  un  giudice
 delegato    dell'organo    collegiale)    provvedesse   personalmente
 all'audizione dell'interessato. In realta' questo correttivo  sarebbe
 stato  risolutivo  della  questione,  solo se tale audizione si fosse
 collocata  come  ultimo  momento  della  procedura  della  camera  di
 consiglio,  permettendo  quindi  da  parte  dell'interessato la piena
 conoscenza degli atti utilizzabili per la decisione.
    Comunque,  la  proposta  non  fu  accolta,  giacche'  esisteva una
 pronuncia di  legittimita'  costituzionale  (sentenza  n.  5  del  22
 gennaio  1970)  la  quale,  nel  tema  normativamente  identico della
 procedura di  incidente  di  esecuzione  del  vecchio  c.p.p.,  aveva
 ritenuto la questione manifestamente infondata.
    Va  qui subito evidenziato che la questione della possibilita' del
 pieno dispiegarsi del contradditorio si poneva anche nel procedimento
 ex art. 630 vecchio c.p.p., giacche' anche in tale sede era possibile
 al giudice  acquisire,  prima  della  decisione,  atti,  documenti  e
 perfino   informazioni   varie  sul  tema  da  decidere.  Sicche'  il
 riferimento in questa sede a tale sentenza costituzionale appare  del
 tutto conferente.
    Ed   e'   proprio   dalla   motivazione   della   citata  sentenza
 costituzionale che debbono trarsi elementi  che  rafforzano  la  tesi
 difensiva.
    Si  legge infatti nella sentenza: "In questo tipo di procedimento,
 alla  parte  privata  condannata,  la  comparizione  di  persona   e'
 consentita  per  un  fine  diverso  da  quello  per cui l'imputato e'
 convocato avanti al giudice dell'istruzione o del giudizio, e che  e'
 un   fine,  almeno  in  parte,  volto  all'acquisizione  di  elementi
 probatori.
    Nell'incidente  di  esecuzione, invece, la comparizione personale,
 per altro facoltativa, del condannato rappresenta soltanto  un  mezzo
 di  difesa  a  lui  offerto, congiunto ai vari altri mezzi di difesa,
 orali e scritti, a lui spettanti.
    Non  puo' quindi scorgersi nessuna compressione di quel diritto in
 una comparizione personale che avviene per il  tramite  di  un  altro
 giudice.  E' cio' particolarmente se si tenga conto del carattere del
 procedimento, che e' ristretto a  questioni  ordinariamente  di  solo
 diritto, ben circoscritte e determinate.
    E'  quindi  da  escludersi  la  lamentata violazione dell'art. 24,
 secondo comma, della Costituzione".
    A  contraris,  e' a questo punto agevole argomentare che, qualora,
 come nel caso di specie, il materiale utilizzabile per  la  decisione
 sia   non   conosciuto   dall'interessato  chiamato  a  integrare  il
 contraddittorio proprio su questioni attinenti la  consistenza  degli
 elementi  d'accusa  raccolti  nei  suoi  confronti,  si  verifica una
 compressione del suo diritto di difesa personale; non pare che le pur
 sussistenti esigenze di speditezza del procedimento e di economicita'
 processuale abbiano dignita' costituzionale pari a quella del diritto
 alla   difesa,   sicche'   la  compressione  di  quest'ultimo  appare
 ingiustificata.
    Pertanto,   la   questione   sollevata  dalla  difesa  appare  non
 manifestamente infondata.
    3. - Passando a valutare la rilevanza della questione prospettata,
 ritiene il tribunale che molto delicato e' il problema relativo  alla
 portata  probatoria  delle dichiarazioni che l'indagato potrebbe fare
 in sede di camera di consiglio; non si puo', cioe', in  questa  sede,
 escludere  che eventuali ulteriori dichiarazioni del Vizzini, dopo la
 conoscenza degli atti ulteriori prodotti dal p.m., possano travolgere
 o  mettere  in  dubbio gli elementi indiziari sui quali egli era gia'
 stato sentito dal g.i.p. in sede di interrogatorio.
    Va  inoltre  evidenziato  come,  in  assenza  di  quei  potenziali
 elementi  difensivi  portati  dall'indagato,   l'attuale   situazione
 probatoria  e  cautelare  comporterebbe la conferma del provvedimento
 impugnato.
    Sicche'  si  deve  ritenere  la  rilevanza  della  questione,  che
 pertanto va deferita alla Corte costituzionale, comportando quindi la
 sospensione  del  presente  procedimento  incidentale  avanti  questo
 giudice.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale del combinato disp. degli artt. 309, n.
 8,  e  127,  n.  3,  del c.p.p. nella parte in cui si prevede che, se
 l'interessato e' detenuto in luogo posto fuori  della  circoscrizione
 del  giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito dal magistrato di
 sorveglianza del luogo, per violazione dell'art. 24,  secondo  comma,
 della Costituzione;
    Dispone che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e
 che copia della presente ordinanza venga notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento;
    Sospende  il  procedimento  ex  art.  309  del  c.p.p. a carico di
 Vizzini Calogero.
      Torino, addi' 15 giugno 1990
                   Il presidente: (firma illeggibile)
    Il giudice estensore: (firma illeggibile)
                                              Il cancelliere: PORCEDDU
 90C1076