N. 550 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 1989- 4 settembre 1990

                                 N. 550
       Ordinanza emessa il 16 novembre 1989 (pervenuta alla Corte
    costituzionale il 4 settembre 1990) dal tribunale amministrativo
  regionale per l'Emilia-Romagna, sede di Bologna, sui ricorsi riuniti
  proposti da Cuffiani Verter ed altri contro la Camera di commercio,
       industria, artigianato e agricoltura di Ravenna ed altri.
 Industria  e  commercio - Panificazione - Autorizzazione della camera
 di commercio, industria, artigianato e agricoltura, per i panifici di
 nuovo  impianto  in  base  a valutazioni di opportunita' in relazione
 alla densita' dei panifici esistenti e  al  volume  della  produzione
 nella  localita'  ove e' richiesta l'autorizzazione Illogicita' della
 norma impugnata nel sistema attuale di economia dinamica in contrasto
 con  i  principi  di  liberta'  di  iniziativa  economica  e  di buon
 andamento della  p.a.,  attesa  anche  l'insufficienza  di  strumenti
 operativi e conoscitivi di cui dispone la C.C.I.A.A.
 (Legge 31 luglio 1956, n. 1002, art. 2).
 (Cost., artt. 3, 41 e 97).
(GU n.38 del 26-9-1990 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi: N. 1370/86
 proposto  da  Cuffiani  Verter,  Arniani  Rino,   Plazzi   Giancarlo,
 Guardigli   Onorio,  Casadio  Mirta,  rappresentati  e  difesi  dagli
 avvocati Giancarlo Fanzini e Maurizio  Salari,  e  domiciliati  nello
 sstudio  del  primo,  in  Bologna,  via  S. Stefano n. 43, N. 1762/86
 proposto da  Fucci  Marzia,  Spada  Rita,  Lotti  Valerio,  Montanari
 Guerrino,  rappresentati  e difesi dagli avvocati Giancarlo Fanzini e
 Maurizio Salari e domiciliati nello studio del primo, in Bologna, via
 S.  Stefano  n.  43,  N. 1763/86 proposto da Cuffiani Verter, Arniani
 Rino,   Plazzi   Giancarlo,   Guardigli   Onorio,   Casadio    Mirta,
 rappresentati  e  difesi  dagli avvocati Giancarlo Fanzini e Maurizio
 Salari, e domiciliati nello studio  del  primo  in  Bologna,  via  S.
 Stefano  n.  43, N. 640/87 proposto da Cuffiani Verter, Arniani Rino,
 Plazzi Giancarlo Guardigli Onorio, Casadio Mirta, Fucci Marzia, Spada
 Rita,  Lotti  Valerio,  Montanari  Guerrino,  Illero Casadio, Collina
 Otello, Silvi Anna Maria, Bonaga Romano, Guido Guidi, Castaldi Bruno,
 Fellini  Giorgio,  Sbrighi  Gilberto,  rappresentati  e  difesi dagli
 avvocati Giancarlo Fanzini e  Maurizio  Salari  e  domiciliati  nello
 studio  del  primo,  in  Bologna,  via  S.  Stefano n. 43, N. 1004/88
 proposto da  Cuffiani  Verter,  Fucci  Marzia,  Spada  Rita,  Casadio
 Illero, rappresentati e difesi dagli avvocati Maurizio Salari e Paola
 Marzocchi e domiciliati presso quest'ultima in via S. Stefano n.  43,
 Bologna;  contro  la  Camera  di  commercio, industria, artigianato e
 agricoltura di Ravenna, in persona del legale rappresentante avvocato
 Pietro  Beccarini, rappresentata e difesa dall'avvocato Goffredo Tosi
 e domiciliata in Bologna, piazza S. Francesco n. 2 presso  l'avvocato
 Alberti;  e  nei  confronti  delle  societa'  Cofar  e  Pineta S.p.a.
 Agritech, in  persona  dei  legali  rappresentanti,  rappresentate  e
 difese  dagli  avvocati Giuliano Bindi di Ravenna e Arrigo Allegri di
 Parma;  e  nei  confronti  (ricorso   n.   1004/88)   del   Ministero
 dell'Industria,  del  Commercio  e  dell'Artigianato,  in persona del
 Ministro in carica pro-tempore, non costituitosi; per  l'annullamento
 ricorso  n.  1370/86 della deliberazione della giunta camerale n. 229
 del 26 maggio 1986 con la quale si  e'  disposto  di  autorizzare  la
 ditta  Cofar  e  Pineta  S.p.a.  ad  installare un nuovo impianto per
 l'esercizio della pianificazione in Ravenna, via Rotta, 114,  nonche'
 per  l'annullamento  di  ogni  altro  atto  presupposto,  connesso  o
 conseguenziale.
    Ricorsi  n. 1762/86 e n. 1763/86 della deliberazione n. 359 del 22
 settembre 1986 con la quale si e' disposto:
      1) di dare atto che l'autorizzazione di cui alla delibera n. 229
 del 26 maggio 1986 fa capo alla ditta Agritech  S.p.a  anziche'  alla
 ditta Cofar e Pineta S.p.a.;
      2)   di   modificare   la   precedente  deliberazione  cambiando
 l'ubicazione dell'impianto dalla localita'  di  Ravenna,  via  Rotta,
 114,  alla  localita'  S.  Michele  di  Ravenna, via Braccesca n. 54,
 nonche' di ogni altro atto ad essa delibera presupposto,  connesso  o
 conseguenziale  in  particolare  della  delibera n. 229 del 26 maggio
 1986.
    Ricorso n. 640/87 del provvedimento in data 2 febbraio 1987 con il
 quale la c.c.i.a.a. di Ravenna  ha  rilasciato  alla  ditta  Agritech
 S.p.a  la  richiesta  di  esercizio per eseguire la panificazione nei
 locali situati al n. 54 di  via  Braccesca  del  comune  di  Ravenna,
 frazione  S.  Michele,  il cui impianto ha una potenzialita' di q 120
 nelle 24 h (licenza limitata alla produzione di  prodotti  atti  alla
 distribuzione  con  la  linea  del  freddo), nonche' per quanto possa
 occorrere della deliberazione della giunta camerale della  c.c.i.a.a.
 di Ravenna n. 359 del 22 settembre 1986.
    Ricorso  n.  1004/88  della deliberazione n. 132 del 21 marzo 1988
 adottata dalla giunta camerale della Camera di commercio,  industria,
 artigianato  e  agricoltura di Ravenna portante autorizzazione per un
 impianto di  produzione  di  pane  surgelato  alla  S.p.a.  Agritech,
 nonche'   per   l'eventuale  annullamento  del  d.  m.  del  Ministro
 dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 13  aprile  1987
 (Gazzetta Ufficiale n. 101 del 4 maggio 1987, all. 2).
    Visti  i  ricorsi con i relativi allegati e richiamata la sentenza
 in pari dati con la quale tra l'altro i ricorsi sono stati riuniti;
    Visto l'atto di costruzione in giudizio della Camera di commercio,
 industria,  artigianato  e  agricoltura  di  Ravenna  nonche'   della
 societa'  per  azioni  Cofar  e  Pineta  e  della societa' per azioni
 Agritech;
    Viste  le  memorie  ed  i  documenti  prodotti da tutte le parti a
 sostegno delle rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla pubblica udienza del 16 novembre 1989 la relazione del
 dottor Roberto Capuzzi  e  uditi,  altresi',  gli  avvocati  Fanzini,
 Salari,   Tosi   e  Allegri  in  rappresentanza  di  tutte  le  parti
 costituite;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    I ricorrenti che esercitano attivita' di panificatori in Ravenna o
 in altre citta' emiliane hanno impugnato con cinque separati  ricorsi
 n.  1370/86,  n.  1762/86, n. 1763/86, n. 640/87, n. 1004/88, quattro
 distinti provvedimenti adottati dalla Camera di commercio di  Ravenna
 nonche' il decreto del Ministro dell'industria del 13 aprile 1987.
    Nel  ricorso 1370/86 e' stata impugnata la delibera adottata dalla
 Camera di commercio di Ravenna n. 229 del 26 maggio 1986 con la quale
 la  ditta  Cofar-Pineta  veniva autorizzata alla apertura di un nuovo
 impianto  di  panificazione  in  Ravenna  deducendosi  la  violazione
 dell'articolo  2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002, nonche' eccesso
 di  potere  per  carenze  di  motivazione,   illogicita'   manifesta,
 contraddittorieta', difetto del presupposto.
    Nei  ricorsi  1763/86  e  1762/86  e'  stata impugnata la delibera
 adottata dalla Camera di Ravenna n. 359 del 22 settembre 1986 con  la
 quale  si  dava  atto  che la precedente autorizzazione n. 229 del 26
 maggio 1986 faceva capo alla  ditta  Agritech  S.p.a.  anziche'  alla
 Cofar   e   Pineta   S.p.a.   nonche'  si  modificava  la  precedente
 autorizzazione cambiando l'ubicazione dell'impianto  dalla  localita'
 di  Ravenna,  via Rotta n. 114, alla localita' S. Michele di Ravenna,
 via Braccesca n. 54. Si deducevano i medesimi profili  di  violazione
 di legge (art. 2 della legge n.  1002/56) e di eccesso di potere gia'
 denunziati a proposito del ricorso n. 1370/86.
    Nel ricorso n. 640/87 e' stato impugnato il provvedimento adottato
 dalla camera di commercio di Ravenna in data 2 febbraio 1987  con  il
 quale  si  e'  rilasciata  alla  ditta Agritech S.p.a. la licenzia di
 esercizio per eseguire la panificazione nei locali situati al  n.  54
 di via Braccesca in Ravenna, frazione S. Michele, per un impianto con
 potenzialita' di  quintali  120  nelle  24  ore.  La  licenza  veniva
 limitata  alla  produzione di prodotti atti alla distribuzione con la
 linea del freddo.
    Si deduceva illegittimita' derivata e difetto del presupposto.
    Nel  ricorso  n.  1004/88  e'  stato  impugnato  il  provvedimento
 adottato dalla Camera di commercio di Ravenna n.  132  del  21  marzo
 1988, di autorizzazione alla apertura di un impianto di produzione di
 pane surgelato ai sensi del  d.m.  del  Ministro  dell'industria  del
 commercio   e  dell'artigianato  del  13  aprile  1987  (su  Gazzetta
 Ufficiale n. 101 del 4 maggio 1987). E' stato impugnato, sia pure  in
 via  subordinata,  anche  il suddetto decreto ministeriale. Avverso i
 suddetti provvedimenti si deduceva illegittimita'  derivata,  difetto
 del  presupposto nonche' violazione dell'art. 2 della legge 31 luglio
 1956, n. 1002.
    Si  e'  costituito la Camera di commercio di Ravenna in difesa dei
 provvedimenti assunti nonche' la controinteressata Agritech S.p.a.
    Tutte  le  parti  costituite  producevano memorie a sostegno delle
 proprie argomentazioni. La Agritech,  in  subordine  al  rigetto  del
 ricorso   chiedeva   che   venisse   sollevata   davanti  alla  Corte
 costituzionale  la  questione   della   legittimita'   costituzionale
 dell'art. 2 della legge n. 1002/1956.
    Dopo  l'udienza  di  trattazione  del  16  novembre 1989, la causa
 veniva assunta dal Colleggio per la decisione.
    Con separata sentenza in pari data, il collegio, riuniti i ricorsi
 di cui sopra e risolte alcune questioni  inerenti  la  legittimazione
 dei   ricorrenti   ha  deciso  di  rimettere  all'esame  della  Corte
 costituzionale  con  la  presente  ordinanza   la   questione   della
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 2 della legge 31 luglio 1956,
 n. 1002, ritenuta rilevante e pregiudiziale ai fini  del  decidere  e
 non manifestatamente infondata.
    Ha   cosi'   sospeso   il  giudizio  per  quanto  attiene  ai  due
 fondamentali profili di violazione della suddetta  legge  nonche'  di
 eccesso di potere sotto vari profili.
                             D I R I T T O
    Come  esposto  nella  sentenza  emessa  in pari data nonche' nella
 esposizione  in  fatto  della  presente  ordinanza   il   contenzioso
 all'esame del collegio prende le mosse dalla deliberazione n. 229 del
 26  maggio  1986  con  la  quale  la  societa'  Cofar-Pineta   veniva
 autorizzata  dalla  Camera  di  commercio,  industria,  artigianato e
 agricoltura  di  Ravenna  alla  apertura  di  un  nuovo  impianto  di
 panificazione in Ravenna, via Rotta n. 114.
    L'autorizzazione  di  che  trattasi, che richiamava il disposto di
 cui all'art. 2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002, veniva rilasciata
 sulla base di due ordini di considerazioni, la prima delle quali deve
 considerarsi determinante ai fini del rilascio  della  autorizzazione
 rispetto alla seconda.
    La  prina  considerazione,  e'  che la produzione dell'opificio da
 autorizzare era destinata in assoluta prevalenza al mercato nazionale
 ed  internazionale  il che giustificava di per se' l'opportunita' del
 nuovo impianto.
    La  seconda  e' che la modesta parte residua di produzione, ovvero
 quella  che  per  non  essere  destinata  al  mercato  nazionale   ed
 internazionale  era diretta a soddisfare esigenze del mercato locale,
 non sarebbe stata di turbamento all'equilibrio esistente in relazione
 alla  densita'  dei  panifici esistenti ed al volume della produzione
 nella localita' di apertura del nuovo esercizio.
    C'e'  da  aggiungere, che la deliberazione in questione richiamava
 il parere della commissione istituita ex art. 2 della ripetuta  legge
 n. 1002/1956 che pure sottolineava che la nuova attivita' travalicava
 i confini della localita' ove essa si svolgeva e che  la  circostanza
 che   in   Ravenna   era  commercializzato  pane  avente  particolari
 caratteristiche non di tipo tradizionale (quale  il  pane  surgelato)
 faceva presupporre una carenza produttiva.
    Le  censure  dedotte  avverso  la  deliberazione  camerale  229/86
 nonche' avverso gli altri provvedimenti impugnati, ai quali  peraltro
 non   puo'  essere  riconosciuto  un  valore  decisorio  autonomo  ed
 ulteriore in ordine alla localizzazione  ed  opportunita'  del  nuovo
 impianto, attengono sostanzialmente alla violazione dell'art. 2 della
 legge n. 1002/1956. Tale articolo tuttavia fa sorgere perplessita' in
 relazione alla sua compatibilita' con norme di livello costituzionale
 tali  da  indurre  il   collegio   a   chiedere   una   verifica   di
 costituzionalita' al giudice delle leggi.
    Il  collegio  ritiene  necessaria una premessa necessariamente non
 breve sulla interpretazione del ripetuto art. 2.
    Questo stabilisce: "I panifici di nuovo impianto, su domanda degli
 interessati,  sono  soggetti  ad  autorizzazione  della   Camera   di
 commercio,  industria  ed  agricoltura  della  provincia, sentita una
 commissione" (presieduta dal presidente della Camera di commercio  la
 quale  "accerta  l'opportunita'  del nuovo impianto in relazione alla
 densita' dei panifici esistenti e del volume della  produzione  nella
 localita' ove e' stata chiesta l'autorizzazione".
    L'art. 3 della ripetuta legge prevede il rilascio della licenza di
 panificazione "previo accertamento della efficienza degli impianti  e
 della loro rispondenza ai requisiti tecnici ed igienico-sanitari.....
 .".
    E'  stato  sottolineato  che  alla  base  della valutazione di cui
 all'art. 2 della legge, vi e' la  duplice  finalita'  perseguita  dal
 legislatore,   di   controllare  il  rilascio  di  nuove  licenze  di
 panificazione in relazione alla  funzione  della  panificazione  alla
 funzione  sociale  della  panificazione  il cui prodotto ha, ed ancor
 piu'  aveva,  una  rilevanza  centrale  nella   alimentazione   degli
 italiani,  e  nel contempo di valorizzare il lavoro dei panettieri ai
 quali la legge ha voluto garantire la piena occupazione  cercando  di
 evitare  concentrazioni  o  frammentazioni  della offerta con effetti
 deleteri sulla concorrenza (cosi' c.d.s., sezione VI, 12 giugno 1985,
 n. 306).
    Tali  finalita' sono state assicurate attraverso un equilibrio tra
 domanda ed offerta di pane o piu' precisamente tra fabbisogno di pane
 della  popolazione  residente  in  una  determinata  localita'  e  la
 capacita' produttiva degli impianti.
    Ne  segue  che non sarebbe possibile autorizzare nuovi impianti di
 panificazione ogni  qualvolta  il  fabbisogno  venga  assicurato  dai
 panifici esistenti sulla base del suddetto indice statistico dato dal
 rapporto pane-popolazione in una determinata  localita'  e  che  solo
 nella  ipotesi  in cui si accerti che tale rapporto e' alterato e nei
 limiti di tale alterazione,  potrebbe  venire  rilasciata  una  nuova
 autorizzazione.
    Quanto  alla localita' ove la camera di commercio deve operare gli
 accertamenti volti ad assicurare il disposto equilibrio  tra  domanda
 ed  offerta,  la  teminologia  utilizzata  dal  legislatore  presenta
 oggettivamente alcuni margini di ambiguita'.
    In  proposito,  tuttavia,  si  e'  formato  un  ampio orientamento
 giurisprudenziale  che  il   collegio   condivide,   che   tende   ad
 identificare  nel  comune  l'ambito  territoriale  cui  rapportare il
 giudizio sulla opportunita' del nuovo impianto  considerato  come  un
 ambito  di  mercato  in se' autosufficiente ed omogeneo (cosi' c.d.s.
 sezione VI, 12 giugno 1985, n. 306 cit.), mentre solo eccezionalmente
 viene  fatto riferimento ad un ambito meno vasto la' dove la frazione
 o borgata costituisca un  agglomerato  autonomo  rispetto  al  comune
 distaccato  da  altri  nuclei  abitati (c.d.s. sezione VI, 6 novembre
 1970, n. 756).
    Non sono mancate decisioni giurisprudenziali di diverso avviso che
 facendo leva soprattutto sul disposto di cui all'art. 11 della  legge
 del  1956,  secondo cui e' consentito il libero trasporto del pane da
 un comune ad un altro, sia pure limitatamente  a  quei  panifici  che
 abbiano  attuato  tutte le prescrizioni di impianti e di attrezzature
 previste  dalla  legge,  forniscono  una  interpretazione   evolutiva
 dell'art.  2 della legge (cosi' t.a.r. Lombardia - Milano 10 novembre
 1983, n. 138; t.a.r. Basilicata 26 settembre  1985,  n.  291;  t.a.r.
 lombardia, Milano, 2a sezione, 139, 5 maggio 1987).
    Tale giurisprudenza perviene ad una trasformazione del concetto di
 localita' posto dall'art. 2, in  quello  di  "zona  di  mercato"  ove
 rapportare  l'indagine  sui  possibili  effetti  distorsivi del nuovo
 panificio da autorizzare con l'effetto  di  poter  autorizzare  anche
 impianti  di  panifici  che  destinano  il  pane alla esportazione in
 ambito regionale, nazionale o internazionale.
    Tale interpretazione non puo' essere condivisa perche' il concetto
 di  localita'  "ove   e'   stata   richiesta   l'autorizzazione"   e'
 inequivocabilmente  ristretto cosi' come ristretta e' la indagine sul
 fabbisogno locale demandata ad un organismo la  Camera  di  commercio
 avente ambito territoriale limitato.
    Ne'  c'e'  contrasto, a parere del collegio, tra l'art. 2 e l'art.
 11 come ha ritenuto un  tribunale  argomentando  sul  fatto  che  una
 produzione   di  pane  tenuta  costantemente  in  equilibrio  in  una
 localita', non potrebbe essere trasportata in  altro  comune  perche'
 cio'   altererebbe   quella   miriade   di  equilibri  locali  (quasi
 microeconomici) perseguita dal legislatore (ordinanza di rinvio  alla
 Corte  costituzionale  del  t.a.r.  Sicilia, Catania, del 24 febbraio
 1987  nella  Gazzetta   Ufficiale   11   novembre   1987   dichiarata
 inammissibile  con  sentenza  del  26  settembre - 6 ottobre 1988, n.
 960).
    Ritiene  al  contrario  il  collegio che l'art. 11, secondo comma,
 anziche'  superare,   confermi   il   carattere   localistico   della
 autorizzazione   come   puo'   desumersi  dal  fatto  che  l'impianto
 complessivo del secondo comma ha carattere eccezionale e  derogatorio
 consentendo  e'  vero il libero trasporto del pane, ma con cautele ed
 oneri ulteriori rispetto  a  quelli  richiesti  in  via  ordinaria  e
 prevenendo  che  il  trasporto  "avvenga  da  un  comune  all'altro",
 confermando quindi irrimediabilmente  la  tesi  che  circoscrive  nel
 comune l'indagine sulla opportunita' del nuovo panificio.
    C'e'  da  aggiungere  che  se  l'equilibrio tra domanda ed offerta
 viene raggiunto in tutto il Paese, sia pure prendendo  a  riferimento
 la   situazione   locale,   non  potra'  verificarsi  un  eccesso  di
 concorrenza.
    Infatti la possibilita' di commercializzare al di fuori della area
 di produzione riconosciuta dall'art. 11, solo apparentemente andrebbe
 a  pregiudicare gli equilibri esistenti in altre localita', perche' a
 fronte  di  un   eccesso   di   commercializzazione   di   una   zona
 corrisponderebbe  squilibrio  negativo  in altre, sicche' il sistema,
 nel medio termine, si riporterebbe naturalmente in equilibrio, il che
 e'  appunto  il fine evidente perseguito dal legislatore del 1956 nel
 porre l'art. 2 della legge.
    Si  spiega  quindi  la portata dell'art. 11 che se consente in via
 eccezionale l'esportazione di pane, non  porta  a  superare  l'ambito
 ristretto nel quale deve nascere la valutazione per la autorizzazione
 del nuovo panificio.
    Si  aggiunga ancora che la contrastata interpretazione che porta a
 superare il concetto localistico dell'art.  2,  renderebbe  di  fatto
 impossibile  poter  procedere  alla individuazione della densita' dei
 panifici e del volume della produzione  data  la  indeterminatezza  e
 genericita'  di  un  mercato quale quello nazionale e la complessita'
 della indagine che verrebbe demandata alla Camera di commercio.
    Quanto  ai  problemi  specifici  connessi alla produzione del pane
 surgelato  autorizzata  sulla  base  di  alcuni   dei   provvedimenti
 impugnati,  e' da ritenere che questo ultimo sia soggetto alla stessa
 disciplina unitaria dettata per  il  pane  ordinario  potendo  essere
 prodotto  solo  da chi e' munito della autorizzazione e della licenza
 di cui alla legge 1022/1956.
    Infatti  il  pane  e'  un  prodotto  a  denominazione  c.d. legale
 cosicche' tale si deve considerare ogni impasto  portato  a  cottura,
 contenente  gli ingredienti indicati all'art. 14 della legge 4 luglio
 1967,  n.  580,  mentre  gli  aspetti  relativi  alla   surgelazione,
 attinendo ad un momento successivo a quello della produzione cioe' al
 momento della conservazione, sono soggetti  a  regole  proprie,  come
 tali discipinate dalla legge 27 gennaio 1968, n. 32.
    Ne' innovazione alla disciplina unitaria alla quale deve ritenersi
 assoggettato sia il pane tradizionale  che  quello  surgelato  poteva
 essere  introdotta dal decreto ministeriale del 13 aprile 1987 (nella
 Gazzetta Ufficiale 4 maggio 1987, n. 101)  concernente  "norme  sulla
 produzione   di  pane  surgelato"  il  quale,  anzi,  all'art.  1  ha
 confermato  (ne  avrebbe  potuto  fare  altrimenti   trattandosi   di
 provvedimento   amministrativo)   che   i   panifici  destinati  alla
 produzione  di  pane  surgelato  sono  soggetti  alla  autorizzazione
 prevista dall'art. 2.
    Fissata   dunque  nei  termini  sopraindicati  la  interpretazione
 dell'art. 2 della legge n. 1002/1956,  il  collegio  ritiene  che  lo
 stesso  violi  il  principio  di  eguaglianza di cui all'art. 3 della
 Costituzione in se' ed in relazione al principio  della  liberta'  di
 impresa  di  cui  all'art.  41 della Costituzione ed il principio del
 buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione di cui  all'art.
 97 della Costituzione.
    Il  sistema  della legge del 1956, come visto, ha ricondotto ad un
 ambito strettamente locale il giudizio sulla opportunita'  del  nuovo
 impianto.
    Tuttavia  l'applicazione  della norma rende pressoche' impossibile
 la realizzazione di un panificio industriale, sia esso  diretto  alla
 produzione  di  pane  di  tipo  tradizionale,  sia  esso diretto alla
 produzione di pane surgelato da commercializzare con la  c.d.  "linea
 del freddo".
    L'autorizzazione  di cui all'art. 2 e' stata concepita avendo come
 punto di riferimento un tipo di economia ed un  tipo  di  consumatori
 diversi  dagli  attuali,  quando  il  mercato  era  assai meno ricco,
 dinamico  ed  articolato  rispetto  ad  oggi  mentre   le   abitudini
 alimentari  delle  classi  meno  abbienti,  di gran lunga prevalenti,
 vedevano nel pane l'alimento principale ed insostituibile.
    Da  qui  la ritenuta esigenza di una regolamentazione rigida della
 produzione finalizzata anche alla riduzione,  per  quanto  possibile,
 degli  sprechi  di  un prodotto che allora si considerava giustamente
 deperibile, attraverso  una  equilibrata  distribuzione  dei  singoli
 esercizi  sul  territorio, evitando concentrazioni dell'offerta da un
 lato e frammentazioni dall'altro.
    Ma se tale pianificazione, propria di una economia statica, poteva
 forse giustificarsi in relazione alla situazone economica del paese a
 stento  uscito  dalle ristrettezza del dopoguerra ed indirizzato solo
 da poco,  e  con  grandi  incertezze,  alla  crescita  del  benessere
 economico, la stessa pianificazione non si giustifica in una economia
 dinamica come quella odierna che si sviluppa  proprio  perche'  viene
 data la possibilita' di affermazione a nuove imprese tecnologicamente
 avanzate e vede nella liberta' di iniziativa  economica  in  tutti  i
 settori  dell'attivita'  imprenditoriale,  e quindi non ultimo quello
 alimentare, riconosciuta dall'art. 41 della Costituzione, i motivi di
 crescita e di successso.
   La  norma  del  1956, nel suo esasperato protezionismo localistico,
 appare  quindi  contrastare  con  il  principio  di   equaglianza   e
 ragionevolezza   normativa  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione
 discriminando  tra  produttori  e  finendo  attraverso  un  controllo
 amministrativo  sulla  opportunita'  dell'insediamento produttivo che
 ricorda  sistemi  politici  (autorizzazione  ministeriale  ai   nuovi
 impianti  industriali  di  cui alla legge 12 gennaio 1933, n. 141) pe
 proteggere le imprese esistenti, conservando lo status quo, impedendo
 non solo l'affermarsi ma la stessa nascita di nuove imprese.
    E  cio'  e'  tanto  piu'  illogico e discriminante considerato che
 l'autorizzazione puo' essere negata, pur a parita' di tutte le  altre
 condizioni,  semplicimente  sulla  base  della  circostanza meramente
 casuale  della  potenzialita'  produttiva  degli  impianti  esistenti
 nell'area ristretta ove si richiedere la ubicazione dell'impianto.
    La   norma   cosi'  impedisce  la  produzione  di  pane  su  scala
 industriale e l'affermarsi di nuovi prodotti quale il pane  surgelato
 che  pur  equiparabile,  in  base  alla  vigente  normativa,  al pane
 tradizionale, per la  sua  minore  deperibilita'  ha  prospettive  di
 produzione,   commercializzazione  e  trasporto,  affatto  peculiari,
 imprevedibili e sconosciute  al  legislatore  del  1956.  Tutto  cio'
 avviene  in  un  momento di liberalizzazione degli scambi commerciali
 che vede le imprese di Paesi  stranieri,  ove  la  produzione  ed  il
 consumo  di  pane  prodotto industrialmente ed in particolare di pane
 surgelato e' notoriamente molto piu' sviluppata che  in  Italia,  non
 sottoposte  ad  alcuna  limitazione  sia  sul mercato interno che sul
 mercato italiano.
    Ne' puo' ritenersi che la giustidficazione dell'art. 2 della legge
 del 1956 risieda  nel  secondo  e  terzo  comma  dell'art.  41  della
 Costituzione.
    Infatti  se  e'  vero che la iniziativa economica privata non puo'
 svolgersi in contrasto con  l'utilita'  sociale  e  che  quindi  sono
 consentiti  a  livello  legislativo  programmi  e controlli opportuni
 sull'attivita' economica, non puo' essere ragionevolmente negato  che
 l'interesse  protetto  dal  legislatore del 1956 si sia drasticamente
 ridimensionato all'epoca attuale, non potendosi piu'  riconoscere  al
 pane  una importanza e quindi una utilita' sociale superiore a quella
 di altri prodotti non protetti.
    E   cio',  per  il  rilevato  profondo  mutamente  del  quadro  di
 riferimento sociale, di costume, di  abitudini  non  solo  alimentari
 della  popolazione,  che  non  potevano  essere  tenute  presenti dal
 legislatore del 1956.
    In  ogni  caso  la  ragione  dell'utilita' sociale non puo' essere
 presa a base pe negare  autorizzazioni  a  produttori  che  intendano
 superare i confini del mercato locale per misurarsi in una dimensione
 piu' ampia, nazionale o internazionale.
    Risulta  infine  contrastare  con  l'art.  97  della  Costituzione
 demandare la valutazione sulla opportunita' di  un  impianto  di  uno
 stabilimento  avente  lo  scopo di realizzare un prodotto industriale
 come il  pane  surgelato  rivolto  all'intero  mercato  nazionale  ed
 internazionale,  da  una  autorizzazione  emessa  da un organo avente
 strumenti  operativi  e  conoscitivi  limitati  quale  la  Camera  di
 commercio la cui competenza e' ristretta a livello provinciale.
    Per  le  suesposte  ragioni,  il  collegio ritiene giustificato il
 dubbio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge piu'
 volte   ripetuta   del   1956,   per  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione  in  se'  ed  in  relazione  all'art.  41,  nonche'  per
 violazione dell'art. 97 della Costituzione.
    Appare  inoltre  evidente la rilevanza e la pregiudizialita' della
 questione in esame ai fini della definizione del giudizio.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta  la  rilevanza  della  questione  ai fini della pronunzia
 relativa ai  cinque  ricorsi  riuniti,  dichiara  non  manifestamente
 infondata  la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 2
 della legge 31 luglio 1956, n. 1002, per contrasto con gli  artt.  3,
 41  e  97  della  Costituzione  in conformita' alla analoga eccezione
 sollevata dalla societa' controinteressata;
    Sospende il giudizio sui cinque ricorsi riuniti nei termini di cui
 in narrativa ed in conformita' alla sentenza emanata in pari data;
    Ordina  la  trasmissione  alla  Corte  costituzionale  degli  atti
 relativi ai cinque ricorsi, ai sensi  dell'art.  23  della  legge  11
 marzo 1953, n. 87;
    Ordina   alla   segreteria  della  sezione  di  questo  t.a.r.  di
 provvedere alla notifica della presente ordinanza alle parti in causa
 ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e di comunicare la stessa
 alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica.
    Cosi'  deciso in Bologna nella camera di consiglio del 16 novembre
 1989.
                         Il presidente: SINAGRA

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