N. 33 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 8 ottobre 1990

                                 N. 33
  Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria l'8
                 ottobre 1990 (della regione Lombardia)
 Inquinamento  -  Determinazione delle linee guida per il contenimento
 delle emissioni inquinanti degli impianti  industriali  e  fissazione
 dei   valori   limite  di  emissione  -  Indicazione  dei  metodi  di
 campionamento,  analisi  e  valutazione  degli  inquinamenti  e   dei
 combustibili   e  dei  criteri  per  l'utilizzazione  delle  migliori
 tecnologie disponibili - Indebita invasione della sfera di competenza
 regionale   in  materia  di  tutela  dell'ambiente  dall'inquinamento
 atmosferico.
 (Decreto del Ministro dell'ambiente 12 luglio 1990).
 (Cost.,  art.  117  in  relazione all'art. 4 del d.P.R. n. 203/1988 e
 all'art. 101 del d.P.R. n. 616/1977).
(GU n.41 del 17-10-1990 )
                               IL PRETORE
   Ricorso  per  conflitto di attribuzioni della regione Lombardia, in
 persona  del  presidente  pro-tempore   ing.   Giuseppe   Giovenzana,
 rappresentata  e  difesa, come da delega a margine del presente atto,
 dagli avvocati prof.  Valerio  Onida  e  Gualtiero  Rueca,  e  presso
 quest'ultimo  elettivamente  domiciliata in Roma, largo della Gancia,
 1, contro il Presidente del Consiglio dei  Ministri  pro-tempore  per
 l'annullamento del decreto del Ministro dell'ambiente 12 luglio 1990,
 recante "Linee guida per il contenimento delle  emissioni  inquinanti
 degli  impianti  industriali  e  la  fissazione  dei valori minimi di
 emissione", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30  luglio  1990,
 n. 176.
    La  prevenzione  e  il  controllo dell'inquinamento dell'aria sono
 regolati oggi, oltre che dalla  legge  n.  615/1966,  dal  d.P.R.  24
 maggio  1988,  n.  203,  emanato  in  attuazione di quattro direttive
 comunitarie; tale d.P.R., recante una normativa "cornice" in materia,
 richiede,  per  la sua attuazione, una serie di atti applicativi e di
 indirizzo.
    In  particolare,  oltre  ai  decreti-legge  30 giugno 1989, n. 245
 (convertito in legge n. 28/1989) e 4 agosto 1990, n. 215, sono  stati
 finora   emanati,   per  l'attuazione  del  d.P.R.,  il  decreto  del
 Presidente  del  Consiglio  21  luglio  1989,  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento  delle  regioni,  e  il  decreto  Ministero ambiente 12
 luglio 1990, n. 51, ora impugnato.
    Il   d.P.R.   n.   203/1988   ha  introdotto  alcune  fondamentali
 innovazioni  nella  disciplina  dell'inquinamento  atmosferico:   tra
 queste,  le  piu'  rilevanti  sono, da un lato, la sua applicazione a
 tutto il territorio nazionale, abbandonando la suddivisione per  zone
 prevista  dalla  legge  n.  615/1988;  dall'altro,  la previsione dei
 limiti quantitativi relativi non  solo  alle  singole  emissioni,  ma
 anche complessivamente allo stato dell'aria.
    L'attuazione  del  d.P.R.  n.  203/1988  spetta  al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'ambiente, e alle regioni.
    Ai  sensi dell'art. 3, primo comma, con decreto del Presidente del
 Consiglio dei Ministri, su proposta del  Ministro  dell'ambiente,  di
 concerto  con i Ministri della sanita' e dell'industria, sono fissati
 ed aggiornati, per tutto il territorio  nazionale,  i  valori  limite
 (vale  a  dire,  ai  sensi  dell'art.  2, n. 2, del d.P.R., i "limiti
 massimi di accettabilita' delle concentrazioni e  limiti  massimi  di
 esposizione  relativi  ad  inquinamenti  nell'ambiente esterno") ed i
 valori guida di qualita' dell'aria (vale a dire, ai  sensi  dell'art.
 2,  n.  3,  i  "limiti  delle  concentrazioni e limiti di esposizione
 relativi ad inquinamenti nell'ambiente esterno destinati:
       a)  alla  prevenzione  a  lungo  termine in materia di salute e
 protezione dell'ambiente;
       b)  a  costituire parametri di riferimento per l'istituzione di
 zone specifiche di protezione ambientale per le quali  e'  necessaria
 una particolare tutela della qualita' dell'aria").
    Una  serie  di  competenze  spettano al Ministro dell'ambiente, da
 esercitarsi in primo luogo con il concerto dei Ministri della sanita'
 e  dell'industria,  commercio  ed artigianato e sentita la conferenza
 dei presidenti delle giunte  regionali,  un  secondo  gruppo  con  il
 concerto del solo Ministro della sanita' (art. 3, commi 2, 3 e 4).
    L'art.  4,  infine,  attribuisce  alla  competenza  regionale, tra
 l'altro: la  formulazione  dei  piani  di  rilevamento,  prevenzione,
 conservazione  e risanamento del proprio territorio, nel rispetto dei
 valori limite di qualita'  dell'aria;  la  fissazione  di  valori  di
 qualita' dell'aria, compresi tra i valori limite e i valori guida ora
 determinati dallo Stato, oppure, in casi particolari, inferiori  agli
 stessi  valori  guida;  la  fissazione  dei valori delle emissioni di
 impianti, sulla base della migliore tecnologia disponibile e  tenendo
 conto  delle linee guida fissate dallo Stato e dei relativi valori di
 emissione,  o  di  valori  piu'  restrittivi,  nel   caso   di   zone
 particolarmente inquinate.
    La  ripartizione  di  competenze  ora  ricordata e' stata ritenuta
 esente da vizi di costituzionalita' della Corte  costituzionale,  con
 la sentenza n. 101/1989.
    Il provvedimento impugnato si basa sull'art. 3, secondo comma, del
 d.P.R. n.  203/1988,  che  prevede  che  con  decreto  del  Ministero
 dell'ambiente,   di   concerto   con   i  ministri  della  sanita'  e
 dell'industria, commercio e artigianato, sentita  la  conferenza  dei
 presidenti delle giunte regionali, siano fissati e aggiornati:
       a)  le linee guida per il contenimento delle emissioni, nonche'
 i valori minimi e massimi di emissione;
       b)  i  metodi  di  campionamento,  analisi  e valutazione degli
 inquinamenti e dei combustibili;
       c)  i  criteri  per  l'utilizzazione  delle migliori tecnologie
 disponibili;
       d)  i  criteri  temporali  per  l'adeguamento progressivo degli
 impianti esistenti alla normativa del decreto.
    Per "linee guida per il contenimento delle emissioni" si intendono
 - sulla base dell'art. 2, n. 5, del d.P.R. - "criteri  in  linea  con
 l'evoluzione   tecnica   messi   a   punto  relativamente  a  settori
 industriali contenenti indicazioni su:  cicli  tecnologici;  migliore
 tecnologia  disponibile  relativamente  ai  sistemi  del contenimento
 delle emissioni; fattori di  emissione  con  o  senza  l'applicazione
 della  migliore  tecnologia  disponibile  per  il  contenimento delle
 emissioni".
    Sulla  base  di  tali  criteri  -  precisa  sempre  il n. 5 - sono
 individuati i valori minimi e massimi di emissione.
    Il  provvedimento  impugnato,  lungi  dal dare corretta esecuzione
 all'art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 203/1988, lede le competenze
 costituzionalmente  garantite alle regioni, violando l'art. 117 della
 Costituzione, in  riferimento  all'art.  4  dello  stesso  d.P.R.  n.
 203/1988,  che  attribuisce  alle  regioni  la  tutela  dell'ambiente
 dall'inquinamento  atmosferico,  e  all'art.  101,  del   d.P.R.   n.
 616/1977.
    Il  d.m.  n.  51  del  12  luglio 1990, oltre che tardivo, essendo
 giunto ben due anni dopo  l'emanazione  del  d.P.R.,  e'  sicuramente
 incompleto:  esso  infatti  non  contiene  le  "linee guida" a cui fa
 riferimento il d.P.R. n. 203/1988, ma praticamente solo i limiti alle
 emissioni  (art.  3),  i  metodi di campionamento (art. 4); i criteri
 temporali per l'adeguamento degli impianti esistenti (art. 5).
    Le linee guida, infatti, come precisa lo stesso d.P.R. n. 203/1988
 all'art. 2, dovrebbero prevedere l'analisi del ciclo produttivo di un
 determinato  settore  o  di settori tra loro omogenei; le indicazioni
 delle tecnologie disponibili per l'abbattimento e dei loro costi;  la
 definizione   dei   fattori   di   emissione   a   monte  e  a  valle
 dell'applicazione della migliore  tecnologia  di  contenimento  delle
 emissioni.
    L'art.  2  del  d.m.  si  limita  invece  a  ribadire comandi gia'
 presenti nell'ordinamento (v. primo comma, lettere a) e b),  per  poi
 fare  generici  e  incompleti  rinvii  agli  allegati.  Si puo' cosi'
 leggere che un  riferimento  vale  "per  alcuni  degli  inquinamenti"
 (secondo  comma),  oppure  "per  gli  inquinamenti  non espressamente
 indicati..."  (sesto  comma);  al  settimo  comma  si  apprende   che
 indicazioni  su cicli tecnologici relativi a specifiche tecnologie di
 impianto sono contenute nell'allegato 2", mentre di  "indicazioni  su
 alcune  delle  tecnologie  disponibili..." si parla al settimo comma;
 fino alla "perla" del nono comma che prevede, per un d.m. uscito  con
 due  anni  di  ritardo,  il  termine del 31 gennaio 1991 - quindi tra
 quattro mesi - per "le prime integrazioni ed eventuali modifiche".
    Nulla  a  che  vedere  con il modello a cui gli estensori forse si
 sono  ispirati,  quello  tedesco  delle  "technische  Anleitung   zur
 Reinhaltung  der  Luft"  (T.A. Luft): ormai passati gia' due anni, si
 poteva lavorare un  po'  di  piu'  per  ottenere  un  risultato  piu'
 presentabile, senza doversi gia' dare un termine di tempo cosi' breve
 per le prime modifiche ed integrazioni.
    Questa incompletezza non e' solo fonte di un giudizio negativo sul
 decreto dal punto di vista sostanziale e di merito, ma  si  riverbera
 anche   sulla  legittimita'  delle  residue  disposizioni.  Ai  sensi
 dell'art. 2, n. 5, del d.P.R. n. 203/1988 i valori minimi  e  massimi
 di emissione sono individuati proprio sulla base delle "linee guida",
 le quali - va da se' - devono essere complete e  non  indicative;  ai
 sensi  dell'art.  4,  lett.  d),  le  regioni  fissano i valori delle
 emissioni di impianti, sulla  base  delle  tecnologie  disponibili  e
 tenendo conto delle linee guida fissate dallo Stato.
    Oltre  ad  essere  tardivo  e  incompleto,  il d.m. contiene anche
 alcuni puntuali violazioni delle potesta' regionali.
     A)  L'art.  2,  quinto  comma,  del  d.m.  prevede che le regioni
 possano fissare i valori limite di emissione "per  le  sole  sostanze
 previste"  dallo stesso decreto o da altri emanati ai sensi dell'art.
 3, secondo comma, del d.P.R. n. 203/1988.
   Le  regioni,  come  e'  stato confermato da numerose sentenze della
 Corte costituzionale,  hanno  competenza  in  materia  ambientale  e,
 specificamente, come e' previsto dall'art. 4, primo comma, del d.P.R.
 n. 203.1988, in materia di tutela dall'inquinamento  atmosferico.  In
 particolare  questa  competenza  si sostanzia, fra l'altro, in quanto
 previsto dalla lett. d), vale a dire  nella  "fissazione  dei  valori
 delle  emissioni  di  impianti  sulla  base della migliore tecnologia
 disponibile e tenendo conto delle linee guida fissate dallo  Stato  e
 dai relativi valori di emissione".
    La  competenza regionale, dunque, "fatte salve le competenze dello
 Stato" (art. 4, primo comma), "nell'ambito dei principi contenuti nel
 presente  decreto  e  delle  altre  leggi dello Stato" (art. 4, primo
 comma), "tenendo conto delle linee guida fissate dallo  Stato  e  dei
 relativi  valori  di  emissioni"  (art.  4,  secondo comma, lett. d),
 riguarda tutte le sostanze emesse nell'atmosfera, e non  solo  quelle
 prese in considerazione dal decreto n. 51 o da altri futuri.
    Lo  stesso  d.P.C.M.  21  luglio 1989, al punto II, 7, prevede che
 "per le emissioni inquinanti per  le  quali  non  esistano  specifici
 valori limite di emissione, la regione stabilisce nell'autorizzazione
 tali limiti con riferimento  ai  limiti  di  emissione  previsti  per
 sostanze  similari  dal  punto  di  vista  chimico  e  degli  effetti
 biologici ed ambientali".
    E'  cio' per la semplice ragione - sconosciuta, come vedremo anche
 piu' avanti, agli estensori del decreto che -  l'applicazione  di  un
 criterio,  che  potrebbe  richiamare l'Enumerationsprinzip, in questo
 caso giocherebbe a sfavore della migliore tutela  ambientale:  se  lo
 Stato  non  prende  in  considerazione sostanze che possono rivelarsi
 pericolose, la regione ben puo' - sulla  base  dell'art.  4,  secondo
 comma,  lett. d), e tenendo conto delle linee guida statali - fissare
 limiti alle emissioni prima  ancora  che  lo  Stato  emani  per  essa
 sostanza apposito decreto.
    La  conferma a contrario proviene dalla seconda parte dell'art. 4,
 secondo  comma,  lett.  d),  che   tiene   fermi,   in   assenza   di
 determinazioni regionali, i valori di emissione delle linee guida.
    Il  principio,  insomma,  in  questo caso come in tutta la materia
 ambientale, e' quello della concorrenza tra (Comunita' europea) Stato
 e   regioni   nel   raggiungimento  della  massima  tutela  possibile
 (principio che, a livello  comunitario,  trova  oramai  espressamente
 negli  artt.  130  e 100 A, terzo comma, del Trattato Cee, introdotti
 con l'Atto unico del 1986) e cio' anche al fine  della  tutela  della
 salute  individuale  e  collettiva,  come  ha  sottolineato  la Corte
 costitutuzionale, sentenza n. 127/1990: per tale ragione,  l'art.  2,
 quinto  comma,  del  d.m.  impugnato,  nella  parte  in cui limita la
 competenza regionale alla fissazione dei limiti per le sole  sostanze
 previste  dallo  stesso  decreto,  e'  chiaramente incostituzionale e
 lesivo delle competenze regionali.
     B)  L'art.  4, sesto comma, del d.m. recita: "Un valore limite di
 emissione si intende rispettato quando risulta inferiore o uguale  al
 valore   medio  dei  risultati  ottenuti  dall'analisi  dei  campioni
 prelevati secondo le indicazioni del manuale U.N.I. VHIM n.  158/88".
    La  disposizione, letteralmente intesa, parrebbe voler dire che le
 emissioni di un impianto (nel loro valore medio) possano  superare  i
 valori  limite  di  emissione  (questi  si  intendono  rispettati  se
 risultando eguali o inferiori al valore medio); e' evidente l'errore:
 il  valore limite e' rispettato se il valore medio di emissione e' ad
 esso valore limite eguale o inferiore,  vale  a  dire  se  il  valore
 limite rimane superiore, cioe' non viene superato.
    Ma   la   formulazione   puo'   generare  problemi  nell'attivita'
 autorizzatoria, incertezze  nell'attivita'  di  vigilanza,  eventuale
 contenzioso.
     C)  L'art.  6  dispone  che  con  l'entrata in vigore del decreto
 "cessano di avere efficacia i  provvedimenti  regionali  difformi  da
 quanto stabilito" nel decreto medesimo.
    Il  secondo  comma  dello  stesso  articolo  prevede bensi' che le
 regioni possano riapprovare in  tutto  o  in  parte  i  provvedimenti
 preesistenti  concernenti valori limite piu' restrittivi, ma solo "in
 relazione a determinate aree" o "per talune categorie di impianti che
 richiedano la determinazione di particolari condizioni di costruzione
 o di esercizio".
    L'art.  6, primo e secondo comma, violano gravemente le competenze
 regionali,  ponendo  in  essere  una   disciplina   profondamente   e
 intimamente contraria ad ogni principio di tutela ambientale.
    Le regioni, come si e' visto, hanno ampie competenze in materia di
 inquinamento  atmosferico  e  sono   titolari   della   potesta'   di
 autorizzazione degli impianti.
    Ai   sensi   del  d.P.C.M.  21  luglio  1989,  II,  6  e  7,  fino
 all'emanazione dei decreti previsti dall'art. 3  secondo  comma,  del
 d.P.R.,  la  regione  gia'  provvede al rilascio delle autorizzazioni
 sulla base della normativa preesistente; solo dopo l'emanazione delle
 linee guida, la regione rilascia le autorizzazioni sulla base di esse
 linee guida.
    Non  ha  dunque  nessun  fondamento giuridico, ne' nell'art. 4 del
 d.P.R., ne' nel d.P.C.M.  del  luglio  1989  (che  del  d.P.R.  detta
 "criteri  interpretativi  uniformi"  per  individuare e coordinare le
 regioni) la pretesa ministeriale di far decadere hic et nunc tutti  i
 provvedimenti  regionali  difformi  da  quanto  previsto nel decreto,
 senza nemmeno distinguere tra provvedimenti  regionali  piu'  o  meno
 restrittivi del d.m.
    Legge (e buon senso) avrebbe voluto che alle regioni fosse dato un
 termine per adeguare iprovvedimenti regionali al contenuto del  d.m.:
 decorso   il   quale   potevano  poi  essere  adattati  provvedimenti
 sanzionatori o sostitutivi.
    Ne'  tale illegittimo "effetto ghigliottina" trova un temperamento
 nel disposto del secondo comma: da un lato, questo non fa  altro  che
 riformulare   un  principio  esistente  (quello  dell'adeguamento  di
 provvedimenti regionali  alla  normativa  statale);  dall'altro,  non
 offre  nessuno  scudo al "vuoto" provvedimentale che si creera' sulla
 base dell'illegittimo e incongruo comma 1: centinaia di provvedimenti
 decadranno  e  dovranno di volta in volta essere nuovamente adottati.
 Ma cio' non avverra' in tempi brevi, con le  prevedibili  conseguenze
 sulla tutela ambientale.
     D)  Il secondo comma dell'art. 6 prevede - come si e' visto - che
 le regioni possano riapprovare in tutto o in  parte  i  provvedimenti
 preesistenti  concernenti valori limite piu' restrittivi, ma solo "in
 relazione a detrminate aree" o "per talune categorie di impianti  che
 richiedano la determinazione di particolari condizioni di costruzione
 o di esercizio".
    Invece  l'art.  4,  primo  comma, lett. e), del d.P.R. n. 203/1988
 attribuisce alle regioni la competenza per la  fissazione  di  valori
 limite  delle  emissioni  piu' restrittivi dei valori minimi definiti
 nelle  linee  guida  "per  zone  particolarmente  inquinate   o   per
 specifiche  esigenze  di  tutela ambientale" (cfr. anche punto II, 5,
 del d.P.C.M. 21 luglio 1989).
    L'art.   6,   secondo   comma,  del  d.-l.  12  luglio  1990,  non
 contemplando  la  possibilita'   di   adottare   provvedimenti   piu'
 restrittivi "per specifiche esigenze di tutela ambientale", restringe
 indebitamente l'ambito della potesta' regionale.
     E)  Il  terzo  comma  dell'art.  6 stabilisce che le disposizioni
 regionali piu' restrittive cessano di avere efficacia  "comunque  dal
 30  aprile  1991", anche in assenza dei piani di risanamento previsti
 dall'art.  4,  lett.  e),  del  d.P.R.  n.  203/1988:  in  tal   modo
 prefigurando ulteriore e piu' grave vuoto di tutela.
                                P. Q. M.
    La  regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede a
 codesta ecc.ma Corte  costituzionale  di  annullare,  per  violazione
 dell'art.  117  della Costituzione, anche in riferimento all'art. 101
 del d.P.R. n. 616/1977 e 4 del  d.P.R.  n.  203/1988,  gli  artt.  2,
 quinto  comma,  4, sesto comma, e 6, primo secondo e terzo comma, del
 d.m. ambiente 12 luglio 1990, n. 51, pubblicato in Gazzetta Ufficiale
 n.  176  del 30 luglio 1990, dichiarando che non spetta allo Stato, e
 per  esso   al   Ministro   dell'ambiente,   provvedere   alla   loro
 approvazione.
      Milano-Roma, addi' 28 settembre 1990
            Avv. prof. Valerio Onida - avv. Gualtiero Rueca

 90C1186