N. 443 SENTENZA 26 settembre - 12 ottobre 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale- Nuovo codice- Applicazione della pena su richiesta
 delle parti- Costituzione di parte civile- Condanna dell'imputato al
 pagamento delle spese processuali- Mancata  previsione -
 Ingiustificato pregiudizio della parte civile Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (C.P.P. 1988, art. 444, secondo comma, secondo periodo).
 
 Processo penale - Nuovo codice - Applicazione della pena su richiesta
 delle parti - Costituzione di parte civile Inefficacia della sentenza
 nei giudizi civili e amministrativi  Trattamento deteriore della
 parte civile rispetto all'imputato - Difetto di rilevanza -
 Valorizzazione dell'autonomia del rito civile per la complessiva
 tutela del danneggiato Inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (C.P.P. 1988, art. 445, primo comma, secondo periodo; art. 444,
 secondo comma, secondo periodo).
 
 (Cost., artt. 3, 24, primo comma, e 25, primo comma).
(GU n.41 del 17-10-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 444, secondo
 comma, e 445, primo comma, del codice di procedura  penale,  promosso
 con  ordinanza  emessa  il  23  febbraio 1990 dal Pretore di Roma nel
 processo penale a carico di Mallia Salvatore, iscritta al n. 235  del
 registro  ordinanze  1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 26 giugno 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
                             Ritenuto in fatto
    1.  - Prima dell'apertura di un dibattimento davanti al Pretore di
 Roma, imputato e pubblico ministero chiedevano  l'applicazione  della
 pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale.
    Su  eccezione  della  parte  civile  costituita,  il  Pretore, con
 ordinanza del 23 febbraio 1990, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  3,  24,  primo  comma,  e 25, primo comma, della Costituzione,
 questioni di legittimita' degli artt.  444,  secondo  comma,  e  445,
 primo  comma,  del  codice  di procedura penale del 1988, "laddove le
 norme in  esame  prevedono:  la  prima  che  il  giudice,  se  vi  e'
 costituzione  di  parte  civile,  non  debba  decidere sulla relativa
 domanda; la seconda che, anche quando sia stata pronunciata  dopo  la
 chiusura  del  dibattimento, la sentenza non ha efficacia nei giudizi
 civili o amministrativi".
    Il  diritto  di  azione,  assicurato dagli artt. 74 e seguenti del
 codice di procedura penale, come "espressione primaria" dell'art. 24,
 primo comma, della Costituzione, risulterebbe vulnerato a causa delle
 limitazioni  imposte  dalle  norme  denunciate:   e   cio'   perche',
 nonostante  all'esercizio  dell'azione  civile  in  sede penale siano
 collegati "rilevanti effetti giuridici  e  sostanziali,  quanto  alla
 sussistenza dei fatti costitutivi del diritto al risarcimento" (artt.
 538,  539,  540),  risulterebbero  vanificati  "non  solo  la  tutela
 giudiziaria  riconosciuta  alla persona offesa dal reato nel giudizio
 penale,  ma  anche  gli  effetti  rilevanti  da   tale   costituzione
 derivanti,  e  ascrivibili  ad una previsione legislativa di "maggior
 favore" per il  danneggiato,  gia'  previsti  sotto  la  vigenza  del
 vecchio  c.p.p.  e  reiterati  con  l'entrata  in  vigore  del nuovo,
 identificabili nella possibilita' per il giudice penale di  liquidare
 integralmente  il  danno  subito  dalla  parte civile, di accordare a
 quest'ultima   una   provvisionale"   e,   infine,   "di   dichiarare
 provvisoriamenteesecutivi i capi civili della sentenza".
    E cio' nonostante che il legislatore del 1988 non abbia, in via di
 principio, escluso la possibilita' di far valere  la  pretesa  civile
 nei  procedimenti  penali  "speciali"  caratterizzati  dalla mancanza
 della fase dibattimentale: come e' dimostrato dalla tutela assicurata
 alla  parte  civile  nel  giudizio  abbreviato,  procedimento  che, a
 differenza dell'applicazione della pena su richiesta  (v.  art.  445,
 primo  comma,  ultima parte, del codice di procedura penale), attiene
 alla  sola  scelta  del  rito  e  che  non  comporta,  quindi,   come
 immancabile punto di approdo, una decisione di condanna.
    Sarebbe,  inoltre,  violato  il  principio  del  giudice  naturale
 precostituito  per  legge,  perche'  "l'opzione  del  rito  speciale"
 preclude  al  giudice  penale,  "nel  caso  di  costituzione di parte
 civile, di prendere in esame le istanze  formulate  da  quest'ultima,
 cosi' sottraendo all'autorita' giudiziaria penale competente ai sensi
 dell'art. 74 c.p.p. (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447) - in ordine ai
 diritti  fatti  valere  in  quella  sede dai soggetti danneggiati dal
 reato - ogni  decisione  di  carattere  restitutorio  o  risarcitorio
 devoluti alla sua cognizione".
    Risulterebbe,  infine,  violato  il  principio  di eguaglianza: in
 primo luogo, perche'  i  "benefici  sostanziali  quoad  poenam"  sono
 concessi  all'imputato  "a  tutto  scapito  della  parte  civile". In
 secondo luogo, perche' si darebbe vita ad  un'irrazionale  disparita'
 di  trattamento  fra  il  danneggiato  da un reato "la cui previsione
 sanzionatoria edittale (pena contenuta nei due  anni  di  reclusione)
 consente  all'imputato  di far ricorso all'istituto dell'applicazione
 su richiesta della pena" e il danneggiato da un reato per cui non  e'
 consentita  l'applicazione  della  pena  su richiesta, in quanto solo
 quest'ultimo soggetto puo'  "esplicare  immediatamente  nel  processo
 penale  la propria azione civile, con tutti gli innegabili benefici e
 vantaggi inscindibilmente insiti a  tale  scelta".  In  terzo  luogo,
 perche', "a fronte di un identico reato, un imputato 'puo' avvalersi'
 dell'istituto  in  oggetto,  con  esclusione  della   parte   civile,
 difformemente  da  un altro imputato che definisca la causa penale in
 via ordinaria".
    Il  legislatore  avrebbe,  cioe', posto a fondamento dell'istituto
 dell'applicazione della pena su richiesta "l'astratta valutazione  di
 gravita'  dei  reati",  prescindendo  da  ogni  verifica  quanto alle
 conseguenze civili di ciascun reato. Un criterio  arbitrario  perche'
 "a  parita'  di  condizioni,  ossia di soggetti egualmente lesi dalla
 commissione di un reato, il legislatore  ha  configurato  un  sistema
 discriminatorio,  escludendo  di  fatto  - per una categoria di parti
 offese -  il  ricorso  a  rimedi  giudiziari  piu'  celeri  quali  la
 costituzione  di  parte civile". Senza contare l'efficacia vincolante
 degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice penale alla  stregua
 del disposto dell'art. 651 del nuovo codice di rito.
    2.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 20, prima serie speciale,  del
 16 maggio 1990.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 riportandosi  integralmente  alle deduzioni svolte con riferimento al
 giudizio instaurato dall'ordinanza emessa il  21  novembre  1989  dal
 Tribunale  di  Busto  Arsizio,  giudizio definito da questa Corte con
 ordinanza n. 129 del 1990.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore di Roma sottopone al vaglio di questa Corte gli
 artt. 444, secondo comma, e 445, primo comma, del codice di procedura
 penale,   "laddove"  rispettivamente  "prevedono:  la  prima  che  il
 giudice, se vi e' costituzione di parte civile,  non  debba  decidere
 sulla  relativa  domanda;  la  seconda  che,  anche  quando sia stata
 pronunziata dopo la chiusura del dibattimento,  la  sentenza  non  ha
 efficacia nei giudizi civili o amministrativi".
    Le  due  norme  impugnate,  relative  entrambe  a quel particolare
 procedimento  speciale  denominato  "applicazione   della   pena   su
 richiesta delle parti", sarebbero in contrasto, anzitutto, con l'art.
 24,   primo   comma,   della    Costituzione    perche'    "importano
 un'ingiustificata  limitazione  della tutela giudiziaria riconosciuta
 alla persona offesa dal reato nel giudizio  penale";  "inoltre",  con
 l'art.  25,  primo  comma, perche' - ed e' preoccupazione che attiene
 essenzialmente alla questione riguardante l'art. 444, secondo comma -
 "l'opzione  per  il  rito  speciale  dell'applicazione  della pena su
 richiesta impedisce al giudice adi'to, in  caso  di  costituzione  di
 parte   civile,   di  prendere  in  esame  le  istanze  formulate  da
 quest'ultima"; infine, con l'art. 3, sia perche' i notevoli  benefici
 sostanziali e processuali riconosciuti all'imputato dagli artt. 444 e
 seguenti del codice di procedura penale vanno "del  tutto  a  scapito
 della  parte  civile",  sia perche' "la discriminazione sostanziale a
 carico di chi e' stato leso nei propri interessi civili da  un  reato
 la cui previsione sanzionatoria edittale (pena contenuta nei due anni
 di reclusione) consente  all'imputato  di  far  ricorso  all'istituto
 dell'applicazione  su richiesta della pena", rispetto "a chi e' stato
 leso da un reato che non puo' essere definito ai sensi degli articoli
 in   esame",   non   sembra   confortata   "da  alcuna  plausibile  e
 giustificabile scelta", sia perche' altrettanto ingiustificata appare
 la  discriminazione  "ravvisabile nell'ipotesi in cui, a fronte di un
 identico reato, un imputato si avvalga dell'istituto in oggetto,  con
 esclusione della parte civile, difformemente da un altro imputato che
 definisce la causa penale in via ordinaria".
   2.  -  In  tal  modo  il  giudice a quo viene a far sue, parola per
 parola,  le   argomentazioni   svolte   e   le   conclusioni   tratte
 nell'ordinanza  di rimessione del Tribunale di Busto Arsizio, nei cui
 confronti la Corte si e', frattanto, pronunciata con  l'ordinanza  n.
 129  del  1990,  dichiarando manifestamente inammissibili - in quanto
 sollevate durante un procedimento, che, gia' in corso all'entrata  in
 vigore  del  nuovo  codice  di  procedura  penale,  era da intendersi
 assoggettato  non  alla  disciplina  di  quest'ultimo,  bensi'   alla
 disciplina  transitoria  -  le  stesse  questioni di legittimita' qui
 ripresentate.
    L'ostacolo   allora  frappostosi  all'ulteriore  esame  dei  dubbi
 avanzati  dal  Tribunale  di  Busto  Arsizio  appare,  questa  volta,
 insussistente,  avendo  il  procedimento di competenza del Pretore di
 Roma avuto inizio dopo l'entrata in vigore del codice del 1988.
    Cio'  non  significa,  peraltro,  che  tutte  le  nuove  questioni
 presentino il necessario requisito della  rilevanza.  Ne  sono  prive
 quelle   aventi  ad  oggetto  l'art.  445,  secondo  comma,  o,  piu'
 precisamente, il secondo periodo di tale comma, in  riferimento  agli
 artt.  24,  primo  comma,  25,  primo  comma, e 3 della Costituzione:
 infatti, la norma che nega alla "sentenza prevista dall'articolo 444,
 secondo   comma"  efficacia  nei  giudizi  civili  o  amministrativi,
 riguardando  le  parti  di  questi  giudizi,  mai  potrebbe   trovare
 applicazione  in  un  giudizio penale, com'e' il giudizio a quo. Tali
 questioni vanno, pertanto, dichiarate  manifestamente  inammissibili,
 qualunque  possa  essere  la  sorte delle questioni aventi ad oggetto
 l'art. 444, secondo comma, o, piu precisamente, l'ultimo  periodo  di
 tale  comma, che, concernendo uno dei limiti cui i poteri del giudice
 sono sottoposti nello speciale giudizio disciplinato dagli artt.  444
 e  448 del nuovo codice, trova immediata applicazione in sede penale.
    3. - Nell'affrontare il merito delle questioni che, in riferimento
 agli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e 3 della  Costituzione,
 investono  l'art.  444, secondo comma, nella parte in cui prevede che
 "Se vi e' costituzione di parte civile, il giudice non  decide  sulla
 relativa    domanda",    si    profila   come   premessa   necessaria
 l'individuazione dei possibili contenuti della "domanda" della  parte
 civile  sottratta  alla  cognizione  del  giudice penale quando venga
 disposta  con  sentenza  l'applicazione  della  pena  consensualmente
 indicata dall'imputato e dal pubblico ministero. Tali contenuti sono,
 infatti,  cosi'  svariati  da  rendere  ipotizzabile,  anche  perche'
 praticamente  combinabili  tra  loro in diversi modi, una non univoca
 incidenza dei parametri costituzionali  invocati  sulla  legittimita'
 della  globale sottrazione delle domande della parte civile ai poteri
 di decisione del giudice penale.
    Da  un  passaggio  dell'ordinanza di remissione ("Al promuovimento
 dell'azione civile nel processo penale conseguono  rilevanti  effetti
 giuridici   e   sostanziali,   quanto   alla  sussistenza  dei  fatti
 costitutivi del diritto al risarcimento - cfr. artt. 538, 539  e  540
 del  d.P.R. n. 447/1988 - che sarebbero esclusi dall'omessa pronuncia
 del giudice penale sulla domanda azionata dalla parte civile nel caso
 di  giudizio  conseguente  alla  richiesta formulata dall'imputato ex
 art. 444, secondo comma, del nuovo c.p.p.", appunto approvato con  il
 d.P.R.  22  settembre  1988, n. 447) si ricava che anche il giudice a
 quo ha prestato attenzione a questo aspetto: nell'art. 538  si  parla
 di  "domanda  per  le  restituzioni  e  il  risarcimento  del danno",
 nell'art.  539  di  "richiesta  della  parte  civile"  di  condannare
 l'imputato  "al  pagamento  di  una  provvisionale", nell'art. 540 di
 "richiesta  della  parte  civile"  di  dichiarare   "provvisoriamente
 esecutiva"  la  condanna  alle  restituzioni  ed  al risarcimento del
 danno. Ma l'arco dei contenuti e', in  realta',  piu'  ampio,  se  si
 tiene  conto,  sempre nell'ottica delle "domande" della parte civile,
 dell'art. 541, primo comma (cui si ricollega  l'art.  153  del  testo
 delle  norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, approvato
 con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), ove, di  riflesso
 all'accoglimento della "domanda di restituzione o di risarcimento del
 danno", e' prevista la condanna  dell'imputato  "al  pagamento  delle
 spese  processuali  in  favore  della  parte  civile,  salvo  che (il
 giudice) ritenga di disporne, per  giusti  motivi,  la  compensazione
 totale  o parziale", e dell'art. 543, ove, ancora su "richiesta della
 parte civile",  e'  prevista  la  "pubblicazione  della  sentenza  di
 condanna a norma dell'art. 186 del codice penale".
    Tutto  questo  rientra,  dunque,  nell'esclusione, drasticamente e
 globalmente sancita dall'art. 444, secondo  comma,  secondo  periodo,
 come  la  stessa  ordinanza  di  rimessione  sottolinea  nelle parole
 conclusive della motivazione: a causa di tale esclusione, "l'emananda
 sentenza non potrebbe avere ad oggetto le statuizioni civili relative
 alla domanda formulata dalla parte civile costituita".
    4.  -  La  prima  questione  di legittimita' avente per oggetto la
 norma che preclude al giudice  penale  di  decidere  sulla  "domanda"
 formulata   dalla  parte  civile,  nell'adottare  come  parametro  di
 riferimento l'art. 24, primo comma, della Costituzione,  si  presenta
 imperniata  su un'argomentazione di estrema sinteticita': inserendosi
 in un sistema che, grazie agli artt. 74 e seguenti del  nuovo  codice
 di  procedura  penale,  definiti  "espressione  primaria della citata
 norma costituzionale", consente al "soggetto al  quale  il  reato  ha
 recato  danno ovvero ai suoi successori universali" di esercitare nel
 processo penale  "l'azione  civile  per  le  restituzioni  e  per  il
 risarcimento  del  danno  di cui all'articolo 185 del codice penale",
 l'art. 444, secondo comma, secondo periodo, del codice  di  procedura
 penale  -  con  il precludere al giudice ogni decisione sulla domanda
 della parte civile in caso di applicazione della pena su richiesta  -
 importerebbe    "una   ingiustificata   limitazione"   del   precetto
 costituzionale che "assicura ad ogni cittadino la tutela  giudiziaria
 dei propri diritti", in quanto "vanificherebbe" la tutela giudiziaria
 riconosciuta in sede penale al soggetto al quale il reato  ha  recato
 danno.
    Il  contrasto  con  la  garanzia costituzionale di cui all'art. 24
 "vieppiu'"  risulterebbe  da  "un  esame  comparativo"  dell'istituto
 dell'applicazione  della  pena su richiesta, disciplinato dagli artt.
 444 e 448, con l'istituto del giudizio abbreviato, disciplinato dagli
 artt.  438  e  443,  dove,  pur  in presenza di "una scelta sul rito"
 operata dall'imputato e dal pubblico  ministero,  "e'  consentito  al
 giudice  di pronunciare sentenza sulla domanda presentata dalla parte
 civile".
    Poiche'  questo  secondo  argomento  e' palesemente privo di forza
 probante, tanto vale occuparsene subito, cosi' da  concentrare,  poi,
 l'attenzione  sui  limiti  che  la  norma  de  qua,  in se' e per se'
 considerata, ingiustificatamente apporterebbe alla tutela giudiziaria
 della persona danneggiata dal reato.
    4.1.  -  Il  raffronto  con  il giudizio abbreviato in termini che
 chiamerebbero in causa non tanto l'art. 24,  quanto  l'art.  3  della
 Costituzione,   non   e'  per  nulla  conferente  ai  presenti  fini.
 Anzitutto, nel giudizio abbreviato il giudice puo' pronunciare  sulla
 domanda  della  parte civile solamente se questa abbia "accettato" il
 rito speciale (cfr. art. 441, terzo comma). Ma  cio'  dipende,  prima
 ancora  che  da  qualsiasi  altra  considerazione  circa l'ambito dei
 poteri  rispettivamente  spettanti  al  giudice,   dalla   differenza
 strutturale  fra  i  due  riti:  la  scelta  del  giudizio abbreviato
 comporta, se  condivisa  dal  giudice,  la  trasformazione  del  rito
 ordinario  in  rito  speciale  (non  a caso, la costituzione di parte
 civile puo' intervenire anche dopo l'ordinanza con la quale sia stato
 disposto  il  giudizio  abbreviato),  mentre la concorde richiesta di
 applicazione della pena si risolve, se condivisa dal giudice,  in  un
 epilogo  del processo. Orbene, la possibilita' per la parte civile di
 optare tra l'accettazione e la non accettazione  del  rito  speciale,
 con antitetiche conseguenze sui poteri decisori del giudice in ordine
 all'azione civile, se puo' trovar posto in un giudizio che  continua,
 non puo' certamente trovar posto in un giudizio che si chiude.
    4.2.  -  Ben maggiore attenzione richiede, a questo punto, l'altro
 argomento  culminante  nel  rilievo  che  la   limitazione   prevista
 dall'art.  444,  secondo  comma,  secondo periodo, "vanificherebbe la
 tutela  giurisdizionale  riconosciuta...  nel  giudizio  penale"   al
 soggetto cui il reato ha recato danno.
    Preso  alla  lettera,  tale  argomento  non  potrebbe  non  venire
 condiviso:  precludere  al  giudice  penale,  come  fa  la  norma  in
 questione, tutte le statuizioni relative alla domanda formulata dalla
 parte civile significa sacrificare - proprio nel momento  in  cui  il
 giudizio  di  primo  grado  giunge  all'epilogo,  cioe'  nel  momento
 decisivo per le deliberazioni in favore della parte civile -  chi  si
 sia  avvalso  dello strumento messogli a disposizione per tutelare in
 sede penale il proprio diritto alle restituzioni ed  al  risarcimento
 del  danno. E cio' senza che vi sia stato nulla di addebitabile a lui
 (come, invece, nei casi, previsti dall'art. 81, primo comma,  in  cui
 "non  esistono  i  requisiti per la costituzione di parte civile") o,
 piu' specificamente, una rinuncia a  proseguire  l'azione  civile  in
 sede  penale  (come,  invece,  nei  casi  previsti dall'art. 82 e, in
 definitiva, nel caso di non accettazione del giudizio abbreviato,  ai
 sensi del gia' ricordato art. 441, terzo comma).
    Ma  tutto  questo  condurrebbe a ravvisare la lamentata violazione
 dell'art. 24, primo comma, della Costituzione soltanto se l'esercizio
 dell'azione  civile  per le restituzioni ed il risarcimento del danno
 nel processo penale si profilasse come l'unico  strumento  di  tutela
 giudiziaria  a  disposizione del soggetto al quale il reato ha recato
 danno, nel senso di non consentirgli l'utilizzazione  di  alcun'altra
 forma  di tutela giudiziaria, una volta prescelta la via del processo
 penale.
    Come gia' sotto il vigore del codice di procedura penale del 1930,
 la situazione presenta, invece, una fisionomia assai piu'  articolata
 e  complessa. Anzi, grazie al nuovo codice, l'ordinamento si e' ancor
 maggiormente allontanato da tipi di soluzione tendenti a privilegiare
 l'intervento della giurisdizione penale rispetto all'intervento della
 giurisdizione civile.
    A  quanti  si  ritengono  danneggiati  da  un reato e' data, prima
 ancora della possibilita' di esercitare la relativa azione civile  in
 sede  penale,  la possibilita' di proporla davanti al giudice civile,
 senza  preclusioni  di  sorta.  Anzi,  con  il  nuovo  codice  questa
 soluzione  viene  considerata  piu'  favorevolmente  di  quel che non
 facesse il codice precedente. E cio' non  tanto  perche'  l'esercizio
 dell'azione civile in sede penale puo' aver luogo solo "per l'udienza
 preliminare" o, successivamente, fino  a  che  non  sia  iniziato  il
 dibattimento,  quanto  perche', in forza dell'art. 75, secondo comma,
 l'azione civile anteriormente proposta in sede  civile  "prosegue  in
 sede  civile  se  non e' trasferita nel processo penale", allo stesso
 modo di quella "iniziata quando non e' piu' ammessa  la  costituzione
 di  parte  civile":  il tutto muovendo da un'ottica volta a favorire,
 sensibilmente innovando rispetto al passato, la separazione tra i due
 giudizi,  in  conformita'  a  quella  che  dovrebbe  essere una delle
 principali caratteristiche del sistema accusatorio, peraltro  accolto
 in  forma  attenuata  dalla legge delega del 1987, alla ricerca di un
 equilibrio fra molteplici esigenze  di  politica  processuale,  senza
 trascurare il peso della tradizione.
    A  conferma  del tendenziale nuovo favor per la separazione stanno
 anche le non poche eccezioni espressamente apportate alla  previsione
 dell'art.  75,  ultimo  comma,  secondo  cui  "il  processo civile e'
 sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non piu' soggetta a
 impugnazione"  quando  l'azione  "e'  proposta  in  sede  civile  nei
 confronti dell'imputato dopo la  costituzione  di  parte  civile  nel
 processo  penale  o  dopo  la  sentenza  penale  di  primo grado": le
 eccezioni riguardano i casi in cui si sospenda il processo penale per
 incapacita'  dell'imputato  o  la  parte  civile  venga  esclusa  dal
 processo penale ai sensi dell'art. 88 o la stessa non abbia accettato
 il rito abbreviato o - ed e' l'ipotesi che qui interessa direttamente
 - sia disposta con sentenza l'applicazione della pena su richiesta.
    In tutti questi casi, anche se "la tutela giudiziaria riconosciuta
 nel processo penale" alla persona danneggiata rimane senza seguito e,
 quindi,  senza  sbocco,  la  possibilita' di agire in giudizio per la
 tutela del diritto alle restituzioni ed al  risarcimento  del  danno,
 proprio  perche'  suscettibile  di  estrinsecarsi  per  un'altra  via
 su'bito percorribile liberamente, non puo' dirsi pregiudicata in modo
 irrimediabile.
    Se e' pur vero che la necessita' o di far riprendere il cammino al
 processo civile o di instaurarlo ex novo comportera' altre non  brevi
 attese,  peraltro  valutabili  a  suo  tempo sotto forma di ulteriori
 danni,  la  limitazione   (non   la   vanificazione)   della   tutela
 complessivamente  prevista per il danneggiato non puo' dirsi priva di
 giustificazioni.
    Come  questa  Corte ha piu' volte avuto occasione di osservare con
 riguardo al codice di procedura penale del 1930 (e, quindi, a maggior
 ragione,  deve  osservare  ora  con  riguardo  ad  un  codice  che ha
 accentuato, valorizzandola,  l'autonomia  del  giudizio  civile)  "il
 fatto  che  il  danneggiato  non  possa  -  per  effetto  delle norme
 impugnate - partecipare al processo  penale"  non  "incide,  in  modo
 apprezzabile,  sul diritto costituzionalmente garantito della difesa"
 e, percio', prima ancora, sul  diritto  costituzionalmente  garantito
 dell'agire in giudizio, restando "impregiudicato, per il danneggiato,
 l'esercizio dell'azione in  sede  civile"  ed  evitandosi,  al  tempo
 stesso,  di  confliggere "con le esigenze di speditezza" del processo
 penale (sentenza n. 166 del  1975).  Nell'ampliare  ulteriormente  la
 visuale,  va  ribadito  che  ogni "separazione dell'azione civile dal
 processo  penale  non  puo'  essere  considerata  come  esclusione  o
 menomazione  del  diritto di tutela giurisdizionale: essa costituisce
 una modalita' di detta tutela, che generalmente  e'  alternativa,  ma
 che  il  legislatore,  nell'ambito del suo potere discrezionale, puo'
 scegliere come esclusiva in vista di altri  interessi  da  tutelare",
 quale  quello  "alla speditezza del processo penale" (sentenza n. 171
 del 1982). Proprio in questo la limitazione insita  nella  norma  qui
 sottoposta  a  vaglio  di legittimita' trova giustificazione piu' che
 sufficiente, specie tenendo presente che  la  prima  direttiva  della
 legge delega impone la "massima semplificazione nello svolgimento del
 processo".
    Va,  quindi,  dichiarata  non fondata la questione di legittimita'
 sollevata,  in  riferimento   all'art.   24,   primo   comma,   della
 Costituzione,  nei  confronti  dell'art.  444, secondo comma, secondo
 periodo, del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  il  giudice decida, ai sensi dell'art. 538 dello stesso
 codice, intitolato alla "Condanna  per  la  responsabilita'  civile",
 "sulla  domanda  per  le  restituzioni  ed il risarcimento del danno,
 proposta della parte civile a norma degli  artt.  74  e  seguenti"  e
 relativa "liquidazione".
    Ad analoga conclusione si deve pervenire, per ineluttabili ragioni
 di ordine logico, con riguardo  a  quelle  altre  statuizioni  civili
 relative  alla  domanda  per  le  restituzioni ed il risarcimento del
 danno che risultano cosi' strettamente collegate al suo  accoglimento
 da  non  poter  essere  concepite indipendentemente da esso (come, in
 caso di condanna generica ai danni, la condanna al pagamento di  "una
 provvisionale  nei limiti del danno per cui si ritiene gia' raggiunta
 la prova  "  ex  art.  539,  secondo  comma,  e  la  declaratoria  di
 provvisoria  esecutivita'  della  condanna  alle  restituzioni  ed al
 risarcimento del danno ex art. 540, primo comma). Lo stesso  si  dica
 con  riguardo  a  quella  particolare statuizione, tanto strettamente
 collegata alla pronuncia della sentenza di  condanna,  da  non  poter
 trovare  accoglimento se non a seguito di essa, come la pubblicazione
 della sentenza di condanna ex art.  543,  primo  comma,  "qualora  la
 pubblicazione   costituisca  un  mezzo  per  riparare  il  danno  non
 patrimoniale cagionato dal reato" ai sensi dell'art. 186  del  codice
 penale.
    4.3.  -  Lo  stesso  ostacolo  di  ordine  logico  non e', invece,
 ravvisabile allorche' il potere di  decisione  sottratto  al  giudice
 penale  dall'art.  444,  seconda  parte, secondo periodo, concerna un
 oggetto non cosi' strettamente collegato alla  sentenza  di  condanna
 per  la  responsabilita'  civile  da  poter  essere  concepito  anche
 indipendentemente da essa. In un'eventualita' del genere, l'art.  24,
 primo  comma,  della  Costituzione  sarebbe da considerare violato se
 l'esclusione del potere di decisione in capo  al  giudice  penale  si
 traducesse  in un non giustificabile pregiudizio per la parte civile.
    Tipico  e'  in  proposito  il caso della statuizione relativa alle
 spese processuali sostenute dalla parte civile.
    Premesso  che  per  l'art.  541, primo comma, "Con la sentenza che
 accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del  danno,  il
 giudice  condanna  l'imputato  e  in solido il responsabile civile al
 pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo
 che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o
 parziale",  e  che,  quindi,  il  divieto  posto  al  giudice  penale
 dall'art.   444,   secondo   comma,   secondo  periodo,  ricomprende,
 ovviamente, anche il potere di  condannare  l'imputato  al  pagamento
 delle spese processuali incontrate dalla parte civile, il pregiudizio
 che  ne  deriva   a   quest'ultima   risulta   privo   di   qualsiasi
 giustificazione.  Infatti,  la  mancata  decisione sull'azione civile
 esercitata nel processo penale dal soggetto cui il  reato  ha  recato
 danno  non  puo'  essere  qui  ricollegata  ne' ad una determinazione
 dell'interessato (come, invece, nel  caso  di  non  accettazione  del
 giudizio  abbreviato),  ne'  a  qualcosa  di  addebitabile  a lui, ma
 soltanto ad una scelta tra le parti del rapporto  processuale  penale
 favorevolmente  valutata dal giudice, sino al paradosso di lasciare a
 carico della parte civile, impegnatasi dal principio alla fine, anche
 le  spese  incontrate  per iniziative o attivita' rivelatesi decisive
 nell'indurre l'imputato a richiedere o consentire il  rito  speciale.
 Tanto  il  pregiudizio  quanto  il  paradosso  diventano  ancor  piu'
 evidenti nel caso  in  cui  l'azione  civile,  inizialmente  proposta
 davanti  al  giudice civile, sia stata trasferita nel processo penale
 ai sensi dell'art. 75, primo comma, il cui periodo  finale  legittima
 espressamente  il  giudice penale a provvedere "anche sulle spese del
 procedimento civile".
    Ne  consegue  che  -  non  potendosi  in  alcun  modo estendere la
 previsione dell'art. 541, primo comma, al  di  la'  dell'ipotesi  ivi
 espressamente  configurata  in  relazione  alla  sentenza  penale che
 accoglie la domanda di restituzione o di  risarcimento  del  danno  -
 l'art.  444,  secondo  comma,  secondo periodo, dev'essere dichiarato
 illegittimo nella parte in cui  non  prevede  che  il  giudice  possa
 condannare  l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore
 della parte civile, salvo eventualmente disporne, per giusti  motivi,
 la compensazione totale o parziale.
    5.  -  Restano  da  verificare,  per  quanto riguarda quella parte
 dell'art.  444,  secondo  comma,  secondo  periodo,  del  codice   di
 procedura  penale rispetto alla quale e' stata esclusa l'esistenza di
 un contrasto con  l'art.  24,  primo  comma,  della  Costituzione,  i
 rapporti  con  gli  altri  due  parametri  invocati: l'art. 25, primo
 comma, e l'art. 3 della Costituzione.
    La conclusione non muta ne' per l'uno ne' per l'altro aspetto.
    Quanto   all'art.   25,   primo   comma,  della  Costituzione,  e'
 insegnamento reiterato di questa Corte che non comporta violazione di
 tale  parametro  il  venir  meno  della  competenza  di  un'autorita'
 giudiziaria in seguito al verificarsi di una  determinata  condizione
 espressamente  prevista  in  via generale dalla legge (v. sentenze n.
 164 del 1983, nn. 207 e 641 del 1987).  Ed  ancor  meno  i  dubbi  di
 legittimita'   avrebbero   ragione   di  porsi,  quando,  come  nella
 fattispecie, la competenza cosi' sottratta al giudice penale  e'  una
 competenza   originariamente  spettante  al  giudice  cui  viene  ora
 restituita, dopo essergli stata sottratta in seguito  al  verificarsi
 di  un'altra  condizione  egualmente  prevista  in via generale dalla
 legge,  quale  l'avvenuto  esercizio  dell'azione   civile   per   le
 restituzioni  ed  il  risarcimento  del  danno  da reato nel processo
 penale in forza dell'art. 74 del nuovo codice. Al limite, se la  tesi
 del giudice a quo fosse condivisibile, ne risulterebbe, prima ancora,
 travolta la norma che aveva precedentemente consentito  di  sottrarre
 al   giudice   civile   la   competenza  originaria  a  conoscere  di
 quell'azione.
    Quanto  all'art. 3 della Costituzione, chiamato in causa sotto tre
 profili,  sia  cio'  che  viene  lamentato  a  proposito  del   primo
 (riconoscimento di notevoli benefici all'imputato del tutto a scapito
 della parte civile), sia cio' che viene  lamentato  a  proposito  del
 secondo  (impossibilita'  per  i  danneggiati  da reati punibili meno
 gravemente di fruire,  quando  vi  sia  applicazione  della  pena  su
 richiesta, dell'immediata pronuncia in sede penale sull'azione civile
 di cui sempre possono fruire i danneggiati da reati piu' gravi),  sia
 cio'  che  viene  lamentato  a  proposito del terzo (eventualita', di
 fronte ad un identico reato contestato a due imputati, che  la  parte
 civile   venga   esclusa  dal  solo  giudizio  relativo  all'imputato
 avvalsosi,  diversamente  dall'altro,  del  rito  speciale)   trovano
 giustificazione  nella "profondamente diversa posizione dell'imputato
 rispetto a quella della parte civile".
    Come piu' volte sottolineato nei confronti del codice di procedura
 penale del 1930, e come deve dirsi a maggior  ragione  nei  confronti
 del  nuovo  codice,  "l'azione  di  restituzione  o  risarcitoria  ha
 carattere  accessorio  e  subordinato  rispetto  all'azione   penale,
 sicche'  essa subisce tutte le conseguenze derivanti dalla funzione e
 struttura  del  processo  penale",  con  una  subordinazione  che  si
 realizza,  fra  l'altro,  "con  la  prevalenza  data dal legislatore,
 nell'interesse pubblico e dell'imputato, all'esigenza di  una  rapida
 conclusione  del  processo  penale"  (v.  sent.  n.  171  del  1982):
 un'esigenza particolarmente perseguita dai nuovi riti speciali -  tra
 cui,  appunto,  l'applicazione  della  pena su richiesta - che, con i
 loro incentivi, concorrono a promuovere celerita' e speditezza.
    Poiche',  seguendo  gli argomenti addotti dal giudice a quo, tutte
 le discriminazioni lamentate sarebbero eliminabili soltanto al prezzo
 di  rinunciare  ad  una  piu' rapida conclusione di numerosi processi
 penali,  non  resta  che  concludere  per  la  non  fondatezza  delle
 questioni cosi' prospettate.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 444, secondo
 comma, secondo periodo, del codice di procedura penale,  nella  parte
 in  cui  non  prevede che il giudice condanni l'imputato al pagamento
 delle spese processuali in  favore  della  parte  civile,  salvo  che
 ritenga  di  disporne,  per  giusti motivi, la compensazione totale o
 parziale;
    Dichiara  non fondate le altre questioni di legittimita' dell'art.
 444, secondo comma, secondo periodo, nel codice di procedura  penale,
 sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  24,  primo comma, 25, primo
 comma, e 3 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza in
 epigrafe;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  445,  primo  comma,   secondo   periodo,   sollevata,   in
 riferimento  agli  artt.  24, primo comma, 25, primo comma, e 3 della
 Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 settembre 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: CONSO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C1210