N. 468 SENTENZA 9 - 22 ottobre 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Magistrati- Responsabilita' civile- Fatti anteriori al 16 aprile 1988
 e proposti successivamente al 7 aprile 1988- Ammissibilita' delle
 domande- Verifica della non manifesta infondatezza             della
 domanda con rito camerale - Mancata previsione Conseguente esclusione
 dell'applicazione degli ordinari reclami ed impugnazioni -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 19, secondo comma).
 
 Magistrati - Responsabilita' civile - Giudice funzionalmente
 competente a giudicare delle domande di risarcimento - Fatti commessi
 da soggetti in concorso con magistrati e intimamente connessi con le
 condotte dei magistrati - Inclusione nella competenza - Mancata
 previsione - Difetto di rilevanza Inammissibilita'.
 
 (Legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 4).
 
 (Cost., artt. 24, 25 e 101).
 
 Magistrati - Responsabilita' civile - Necessaria permanenza
 dell'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia Condizione di
 proponibilita' delle domande relative a fatti anteriori alla
 caducazione referendaria - Impossibilita' di verifica della
 legittimita' costituzionale di norme abrogate Inammissibilita'.
 
 (C.P.C., artt. 55 e 74).
 
 (Cost., artt. 3, 25, primo comma, 97, 101 e 104).
(GU n.43 del 31-10-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 19 della
 legge 13 aprile  1988,  n.  117  (Risarcimento  dei  danni  cagionati
 nell'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie e responsabilita' civile
 dei magistrati), e degli artt.  55  e  74  del  codice  di  procedura
 civile, promossi con ordinanze emesse l'8 novembre 1989 dal tribunale
 di Napoli, il 24 novembre e il 18 dicembre 1989, il 10 gennaio, il 19
 aprile   e   il  4  maggio  1990  dal  Tribunale  di  Roma,  iscritte
 rispettivamente ai nn. 72, 230, 231, 438,  454  e  498  del  registro
 ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale nn. 9, 15, 28, e
 31, prima serie speciale, dell'anno 1990.
    Visti  gli  atti  di costituzione di Polichetti Renato, Leoni Pier
 Paolo, Scopelliti Francesca erede  di  Tortora  Enzo,  Dente  Gattola
 Orazio,  Vitalone  Wilfredo,  Clo'  Alberto, Ambrosio Albino e Nebbia
 Marisa, nonche' gli atti di intervento del Presidente  del  Consiglio
 dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25  settembre  1990 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  Zupo per Polichetti Renato, Enrico
 Guidi per Leoni Pier Paolo, Claudio Chiola per Scopelliti  Francesca,
 Giovanni  Giacobbe per Dente Gattola Orazio, Francesco S. Pettinari e
 Wilfredo Vitalone per Vitalone Wilfredo, Renata Bergonzoni  per  Clo'
 Alfredo,  Ambrosio  Albino  e  Nebbia Marisa e l'Avvocato dello Stato
 Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  in  cui  l'attore, con atto
 notificato  il  15  giugno  1988,  aveva  convenuto  in  giudizio  un
 magistrato  con  funzioni  di Pretore del lavoro presso la Pretura di
 Roma, la Repubblica italiana in persona del Presidente del  Consiglio
 dei  ministri,  nonche'  quest'ultimo  ed  il  Ministro  di  grazia e
 giustizia nella qualita' di firmatario della legge n. 117  del  1988,
 chiedendo  il  risarcimento  dei  danni  che  asseriva di aver subito
 all'esito  di  una  controversia  di  lavoro  -  conclusasi  con  una
 conciliazione  (che  riteneva  essere  a  lui pregiudizievole a causa
 delle  asserite  violazioni,  da  parte  del  Pretore,  della   legge
 processuale)  -  il  Tribunale  di  Roma,  con ordinanza emessa il 24
 novembre 1989, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 19 della legge 13 aprile 1988, n. 117.
    Il giudice a quo prospetta violazione degli artt. 3, 28 e da 101 a
 113  della  Costituzione,  censurando  la  norma   la'   dove   essa,
 nell'escludere  l'applicabilita'  della legge ai fatti illeciti posti
 in essere dal magistrato anteriormente alla sua  entrata  in  vigore,
 non  prevede che i giudizi introdotti in relazione a tali fatti siano
 sottoposti a condizioni di proponibilita'.
    Rileva  il  Tribunale  come  la  fattispecie sia disciplinata, sul
 piano sostanziale, dall'abrogato art.  55  del  codice  di  procedura
 civile,  ma ritiene altresi' che la correlativa norma di cui all'art.
 56  -  che  prevedeva  l'autorizzazione  del  Ministro  di  grazia  e
 giustizia per poter proporre la domanda - non sia piu' applicabile in
 quanto "essenzialmente processuale".
    Pertanto  la  denunciata  normativa  risulterebbe viziata la' dove
 omette di conferire efficacia ultrattiva al citato  art.  56  con  la
 conseguenza  che  le  domande  risarcitorie  per fatti anteriori alla
 legge, per le quali non e' neppure applicabile il preventivo giudizio
 di   ammissibilita'   di   cui   all'art.  5  della  legge  medesima,
 resterebbero   prive   di   quel   "filtro",    viceversa    ritenuto
 indispensabile dalla stessa Corte costituzionale.
    1.2.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,  che  ha  richiesto  la
 declaratoria  d'infondatezza  per  erroneita'  del presupposto da cui
 muove il giudice a quo.
    L'Avvocatura  esclude infatti che la norma denunziata abbia inteso
 far venir meno le disposizioni preposte a costituire  una  remora  ad
 azioni  temerarie  e  pretestuose  e  prospetta,  in via alternativa,
 l'applicabilita' alle fattispecie de quibus del giudizio  preliminare
 previsto  dall'art.  5  legge  n. 117 del 1988 (pur rappresentando la
 difficolta' di estendere tale meccanismo, previsto per un giudizio in
 cui  lo  Stato  e'  l'unico  legittimato  passivo),  ovvero  ipotizza
 un'ultrattivita' dell'art. 56 del codice di procedura civile, piu' in
 coerenza con la logica di quel sistema.
    1.3.  -  Nel  giudizio  dinanzi a questa Corte si e' costituita la
 parte  privata  Polichetti  Renato  insistendo  per  la  declaratoria
 d'illegittimita' della norma denunziata.
    Con  memoria  depositata  nell'imminenza dell'udienza, la parte ha
 prospettato la possibilita' che nel processo a quo siano  applicabili
 le  disposizioni  procedurali  di  cui alla legge n. 117 del 1988, in
 quanto la limitazione  dell'irretroattivita'  della  nuova  normativa
 riguarderebbe esclusivamente l'aspetto sostanziale.
    2.1.  -  Nel  corso  di  un procedimento per il risarcimento danni
 proposto nei confronti di alcuni magistrati, componenti delle Sezioni
 Unite  della Corte di cassazione (con atti notificati il 16 aprile ed
 il  28  giugno  1988)  per  l'asserita  difformita'  di  giudizio  in
 questioni  identiche che avrebbe cagionato pregiudizio all'attore, il
 Tribunale di Roma, con ordinanza  emessa  il  18  dicembre  1989,  ha
 sollevato  questione  analoga  a quella illustrata sub 1, richiamando
 anche il parametro costituito dall'art. 97 della Costituzione.
    Il  giudice a quo, richiamandosi alla ratio della norma impugnata,
 osserva  come,   nella   specie,   dovrebbe   farsi   necessariamente
 applicazione  dell'art.  56 del codice di procedura civile, in quanto
 saldamente legato agli artt. 55 e 74 del codice di  procedura  civile
 in  un  contesto normativo unitario, la' dove l'art. 19 precluderebbe
 tale soluzione in quanto dettato nel presupposto che la legge n.  117
 del  1988  sarebbe  stata  approvata  entro  i  centoventi  giorni di
 posticipazione dell'effetto abrogativo del referendum disposto - sino
 al 7 aprile 1988 - dal d.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497.
    Viceversa  la  nuova  normativa era entrata in vigore il 16 aprile
 1988 ed appunto in tale lasso di tempo  erano  stati  notificati  gli
 atti   di   citazione   (ad  eccezione  del  convenuto  Cassata).  Ne
 conseguirebbe che per tutti i magistrati, nei cui  confronti  fossero
 stati   introdotti  procedimenti  quale  quello  in  esame,  dovrebbe
 ammettersi un incontrollato giudizio di responsabilita',  mentre  per
 tutti gli altri opererebbero invece il meccanismo dell'autorizzazione
 ovvero il giudizio di ammissibilita'. La rilevanza della questione  -
 analogamente  a  quanto  sub  1  -  risulta,  a parere del Tribunale,
 dall'omessa richiesta di autorizzazione da parte dell'attore.
    2.2.  -  Nel  giudizio  dinanzi a questa Corte si e' costituita la
 parte attrice chiedendo la  declaratoria  di  manifesta  infondatezza
 della  questione sull'assunto dell'applicabilita', nel lasso di tempo
 considerato, dell'art. 23 del d.P.R. 10  gennaio  1957,  n.  3,  come
 conseguenza  della  valenza  immediatamente  precettiva  dell'art. 28
 della Costituzione.
    Si  assume  in  particolare  nella  memoria  che  una pronuncia di
 fondatezza della  questione  determinerebbe  "una  ingiustificata  ed
 ingiustificabile  posizione di privilegio in favore dei magistrati" e
 che un "filtro" all'azione sarebbe comunque costituito  dallo  stesso
 giudizio in corso davanti al Tribunale di Roma.
    3.1. - Nel corso di un giudizio in cui l'attore aveva richiesto il
 risarcimento dei danni asseritamente cagionatigli da  due  magistrati
 rispettivamente  in  servizio  presso il Tribunale e la Procura della
 Repubblica di Roma, convenendo i medesimi, unitamente  al  Presidente
 del  Consiglio,  al Ministro di grazia e giustizia ed alla Repubblica
 italiana, il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa  il  10  gennaio
 1990,  ha  sollevato  la  medesima  questione  di cui alle precedenti
 ordinanze con riguardo agli stessi parametri (escluso l'art. 97 della
 Costituzione),  sinteticamente  svolgendo  considerazioni  analoghe a
 quelle sviluppate nei suddetti provvedimenti di rimessione.
    3.2.  - E' intervenuta l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza
 del Presidente del Consiglio dei ministri, richiamando le conclusioni
 e  gli  argomenti di cui all'atto d'intervento relativo all'ordinanza
 n. 230 del 1990, prodotto in copia.
    4.1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  in  cui  Tortora Enzo aveva
 richiesto a due sostituti procuratori della  Repubblica,  al  giudice
 istruttore ed ai componenti il collegio del Tribunale penale, nonche'
 all'amministrazione dello Stato, i danni  cagionatigli  dall'ingiusta
 detenzione,  il  Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 19 aprile
 1990, ha sollevato, in relazione agli artt. 3, primo comma, 25, primo
 comma,  97,  primo comma, 101, primo comma, e 104, primo comma, della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 55
 e 74 del codice di procedura civile.
    Dette norme vengono censurate sulla premessa dell'inapplicabilita'
 dell'art. 56 del codice di procedura civile, in  quanto  disposizione
 processuale,  nella  parte  in cui non prevedono anche per il periodo
 successivo    all'abrogazione     referendaria,     la     necessita'
 dell'autorizzazione  ministeriale  di cui al citato art. 56 - e della
 conseguente designazione del giudice competente - quale condizione di
 proponibilita'  della domanda - volta ad ottenere la dichiarazione di
 responsabilita'  del  magistrato  -   proposta   successivamente   al
 verificarsi   dell'effetto   abrogativo,  ma  in  relazione  a  fatti
 risalenti ad epoca anteriore.
    Osserva  il giudice a quo come gli artt. 55, 56 e 74 del codice di
 procedura  civile,  costituissero  un  sistema  organico,   volto   a
 filtrare,  attraverso  la  preventiva  autorizzazione del Ministro di
 grazia e giustizia, l'abuso dell'azione di responsabilita',  esigenza
 riconosciuta  come imprescindibile anche dal legislatore del 1988 con
 la previsione di un giudizio di ammissibilita', onde la  mancanza  di
 un  qualsivoglia  meccanismo di controllo nel lasso di tempo corrente
 tra abrogazione  e  nuova  disciplina  parrebbe  "il  frutto  di  una
 incompleta   raffigurazione   della   esigenza   di   dettare   norme
 intertemporali, piuttosto che il risultato di positivo  esercizio  di
 sciente discrezionalita'".
    Tuttavia,  prosegue  l'ordinanza,  soltanto  questa Corte potrebbe
 avallare   un'interpretazione   che    affermasse    la    permanente
 applicabilita'   dell'art.   56:   soltanto  l'autorevolezza  di  una
 decisione interpretativa di rigetto in  tal  senso  potrebbe  infatti
 evitare  un potenziale conflitto tra poteri dello Stato (ipotizzabile
 la' dove il giudice ritenesse la domanda improponibile per difetto di
 autorizzazione  ed  il  Ministro  ritenesse  per converso non esservi
 luogo ad alcuna attivita' autorizzatoria).
    D'altra    parte   sostenere   che   fattispecie   sostanzialmente
 inquadrabili ex art. 55 del codice di procedura civile debbano essere
 processualmente  disciplinate dall'art. 5 della legge n. 117 del 1988
 darebbe luogo ad un "monstrum  giuridico,  con  problemi  ermeneutici
 davvero irrisolvibili".
    La  censura  va  prospettata,  a  parere  del  remittente,  per la
 disparita' di trattamento conseguente al diverso momento  cronologico
 della  vocatio  in  ius,  sotto  il  profilo  della  possibilita' per
 l'attore di sottrarre  il  processo  al  giudice  che  sarebbe  stato
 designato  ex  art.  56 del codice di procedura civile, per l'effetto
 d'inutile ed indeterminabile proliferazione di domande  risarcitorie,
 ed  infine  per  la  potenziale  attitudine ad incidere negativamente
 sull'indipendenza del giudice.
    4.2.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per  la declaratoria d'infondatezza della questione, qualificata come
 sostanzialmente identica a quelle sollevate negli altri giudizi.
    4.3.  - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituito Dente
 Gattola Orazio il quale ha anzitutto sostenuto l'inammissibilita'  di
 un'azione  proposta  contro  i  singoli  componenti di un collegio in
 relazione ad una manifestazione di volonta', qual  e'  la  decisione,
 essenzialmente  unitaria  e  non scindibile in una pluralita' di atti
 individuali, a  meno  di  concretare  una  forma  di  responsabilita'
 oggettiva.  La  parte  convenuta,  atteso il vincolo del segreto, non
 sarebbe comunque in grado di apprestare un'adeguata difesa,  onde  si
 prospetterebbe un contrasto con l'art. 24 della Costituzione, secondo
 un profilo che, si sostiene, non  sarebbe  incompatibile  con  quanto
 affermato da questa Corte con sentenza n. 18 del 1989.
    4.4. - Si e' altresi' costituita Scopelliti Francesca chiedendo la
 declaratoria   d'inammissibilita',   ovvero   d'infondatezza    della
 questione, che riguarderebbe la stessa norma abrogativa referendaria,
 avendo il  giudice  a  quo  nella  sostanza  richiesto  "un'ulteriore
 ultrattivita'"  del regime di cui all'art. 56 del codice di procedura
 civile.
   Sempre  con  riguardo alla dedotta inammissibilita', si obietta che
 la stessa competenza del Tribunale di Roma verrebbe posta  in  dubbio
 la'  dove  si  ritenesse  applicabile  l'art.  56  citato,  in quanto
 diverrebbe nuovamente operante  il  meccanismo  di  designazione  del
 giudice   da   parte   della  Suprema  Corte.  Parimenti  irrilevante
 risulterebbe la denunzia dell'art. 19 della legge n.  117  del  1988,
 inapplicabile nel giudizio a quo.
    Riaffermata  la  natura  processuale  dell'art.  56  del codice di
 procedura civile ed escluso che una disparita' di  trattamento  possa
 mai  scaturire  dalla  successione  delle  leggi nel tempo, la difesa
 della parte privata contesta  che  la  scelta  legislativa  circa  il
 filtro  di  ammissibilita'  rappresenti  una  risposta  alla volonta'
 referendaria e che possa  essere  assunta  a  parametro  (si  osserva
 altresi'   come  nessuna  condizione  sia  richiesta  per  promuovere
 l'azione penale nei confronti del magistrato e come,  in  definitiva,
 il  meccanismo  di  cui  all'art.  56 del codice di procedura civile,
 prevedesse l'intervento di un organo politico, quale il Ministro).
    Quanto  al  richiamo  agli  artt.  25  e 97 della Costituzione, si
 sostiene in memoria che nell'art. 56 del codice di  procedura  civile
 vi  era  la negazione stessa del principio del giudice naturale e che
 il buon  andamento  dell'amministrazione  non  potrebbe  mai  passare
 attraverso una limitazione della domanda di giustizia, ne' sarebbe in
 alcun   modo   conferente   l'argomento   riguardante   la   presunta
 proliferazione di domande risarcitorie.
    Nel   concludere  sottolineando  la  necessita'  che  i  princip/'
 d'imparzialita' ed indipendenza vengano bilanciati con  altri  valori
 costituzionali,  la  parte  prospetta, in subordine, l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 56  del  codice  di  procedura  civile,  ove
 ritenuto applicabile, sia alla stregua della giurisprudenza di questa
 Corte che ha sanzionato le condizioni di procedibilita' affidate alla
 discrezionalita'   della   stessa   Amministrazione   interessata  al
 giudizio, sia in rapporto all'art.  25  della  Costituzione,  per  la
 mancanza  di criteri predeterminati che guidino la scelta del giudice
 competente da parte della Corte di cassazione.
    Nell'imminenza  dell'udienza  la parte ha poi depositato ulteriore
 memoria insistendo sulla natura processuale dell'art. 56  del  codice
 di  procedura  civile,  che  priverebbe  di  fondamento la tesi della
 sopravvivenza  di  tale  norma,  ed  escludendo  per  converso   ogni
 possibile applicabilita' della normativa di cui alla legge n. 117 del
 1988. La difesa di Scopelliti Francesca ribadisce altresi' le proprie
 considerazioni  negative circa la possibilita' di intervenire con una
 sentenza additiva per colmare un  vuoto  processuale  che,  anche  in
 mancanza di "filtro", si asserisce essere compatibile con i princip/'
 costituzionali.
    5.1.  - Nel corso di un giudizio promosso da Vitalone Wilfredo nei
 confronti  di  alcuni  magistrati  del  Tribunale  di   Modena   che,
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni  requirenti  e  giudicanti, gli
 avrebbero cagionato pregiudizio in  un  procedimento  conclusosi  nel
 1983,  il Tribunale di Roma ha sollevato la medesima questione di cui
 sub 4.1, concernente gli artt.  55  e  74  del  codice  di  procedura
 civile, in riferimento ai medesimi parametri (ad esclusione dell'art.
 25 della  Costituzione),  svolgendo  sinteticamente  motivazioni  del
 tutto analoghe.
    5.2.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato  che  ha  concluso
 per  la  declaratoria  d'infondatezza  richiamando  le considerazioni
 svolte nel giudizio di cui all'ordinanza n. 230 del 1990 e producendo
 copia del relativo atto d'intervento.
    5.3.  -  Nel  giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti i
 magistrati  Ambrosio  Albino,  Clo'  Alfredo,  Nebbia  Marisa,  tutti
 chiedendo l'accoglimento della prospettata denuncia d'illegittimita'.
    Si  e'  altresi'  costituito l'attore Vitalone Wilfredo escludendo
 che la domanda proposta dovesse essere  assoggettata  a  qualsivoglia
 "filtro"  attesa la asserita rilevanza penale della condotta ascritta
 ai   convenuti    ovvero,    in    subordine,    in    considerazione
 dell'inquadrabilita'  dell'azione  stessa  tra quelle che regolano la
 responsabilita' dei pubblici funzionari.
    6.1.  -  Il  Tribunale  di  Napoli,  nel  corso di un giudizio per
 risarcimento del danno analogo ai  precedenti  e  relativo  sempre  a
 fatti  anteriori  alla  legge  n.  117  del  1988,  ha sollevato, con
 ordinanza  emessa  l'8  novembre  1989,  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4  della  legge predetta in relazione agli
 artt. 24, 25 e 101 della Costituzione, nella parte in cui non prevede
 che  al  giudice competente a giudicare sulle domande proposte contro
 lo Stato per fatti commessi da magistrati, vengano devolute anche  le
 domande relative a fatti commessi da altri soggetti in concorso con i
 magistrati o comunque connessi alle condotte dei magistrati stessi.
    A parere del giudice a quo le disposizioni processuali della legge
 n. 117 del 1988  devono  trovare  applicazione  anche  se  le  azioni
 proposte  si  riferiscono  a  fatti  commessi  anteriormente alla sua
 entrata in vigore (e cio' sarebbe confermato, oltre  che  dai  lavori
 preparatori,  anche  dal  tenore  dell'inciso contenuto nell'art. 19:
 "nei casi previsti dagli articoli 2 e 3").
    Richiamati  alcuni  momenti salienti del processo penale dal quale
 l'attore assume essere stato danneggiato, il Tribunale osserva che la
 domanda  proposta avverso la pubblica Amministrazione di appartenenza
 dei magistrati,  non  risultando  introdotta  nella  Corte  d'appello
 viciniore  ex  art.  4  della  legge n. 117 del 1988, dovrebbe essere
 dichiarata inammissibile. Ma poiche' la norma citata non prevede  che
 analoghe  domande  per  fatti intimamente connessi posti in essere da
 altri soggetti - ovvero da questi ultimi in concorso con magistrati -
 siano  attratte  dalla  competenza  funzionale suddetta, il Tribunale
 osserva che un giudice della medesima Corte d'appello puo' finire per
 pronunciarsi  sui  comportamenti  di  un  collega  del  distretto, in
 violazione del principio del giudice  naturale  e  del  diritto  alla
 difesa.
    Rileva infine il giudice a quo come nell'omessa previsione oggetto
 della denunzia  sia  anche  ravvisabile  una  lesione  del  principio
 dell'indipendenza  del  giudice, sotteso ai meccanismi di spostamento
 di  competenza  nei  procedimenti  riguardanti   i   magistrati.   In
 conclusione  si  sottolinea come un'eventuale separazione dei giudizi
 comprometterebbe  l'economia  processuale  comportando  altresi'   il
 rischio di giudicati contrastanti.
    6.2.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dello   Stato,   eccependo
 anzitutto  l'inammissibilita'  della  questione  in quanto sarebbe da
 escludere l'applicabilita' delle disposizioni processuali di cui alla
 piu'  volte citata legge n. 117 del 1988 per fatti non regolati dalla
 normativa sostanziale della stessa,  in  quanto  antecedenti  la  sua
 entrata  in  vigore.  La stessa struttura del giudizio e la esclusiva
 legittimazione passiva dello Stato  non  consentirebbero  infatti  di
 scindere  la disciplina processuale ex artt. 4 e 5 della legge citata
 dal complesso unitario cui appartiene.
    Conclude  l'Avvocatura  osservando, nel merito, come, nell'ipotesi
 di  cause  inscindibili,  operi  comunque  la  vis  adtractiva  dello
 speciale  foro  per le domande connesse, analogamente a quanto accade
 nel caso del foro erariale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  ordinanze  dei Tribunali di Roma e di Napoli propongono
 questioni di contenuto analogo ovvero sostanzialmente identico,  onde
 possono  essere  riunite, contestualmente trattate e decise con unico
 provvedimento.
    2.  -  Il  Tribunale di Napoli, con ordinanza dell'8 novembre 1989
 (R.O. n. 72/1990), in  relazione  agli  artt.  24,  25  e  101  della
 Costituzione,   solleva   questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 4 della legge 13 aprile  1988,  n.  117  (Risarcimento  dei
 danni   cagionati   nell'esercizio   delle   funzioni  giudiziarie  e
 responsabilita' civile dei  magistrati),  nella  parte  in  cui  "non
 prevede  che  il  giudice  ivi  indicato, funzionalmente competente a
 giudicare delle domande di risarcimento contro lo Stato per fatti dei
 magistrati,  sia  funzionalmente  competente  anche in relazione alle
 domande relative a fatti commessi da altri soggetti in  concorso  con
 magistrati,  ovvero  relative  a  fatti  posti  in  essere  da  altri
 soggetti, ma intimamente connessi con le condotte dei magistrati".
    Il  giudizio  a quo concerne fatti anteriori all'entrata in vigore
 della legge citata.
    2.1. - La questione e' inammissibile.
    Come  si  dira'  piu'  diffusamente in seguito, la legge 13 aprile
 1988, n. 117, in forza della irretroattivita' sancita  dal  suo  art.
 19,  secondo  comma,  non si applica per fatti accaduti anteriormente
 alla data della sua entrata in vigore (16 aprile 1988) in alcuna  sua
 parte,  ne'  sostanziale  ne'  processuale, trattandosi di un insieme
 organico  e  non  scindibile,  fondato  su  una  ratio   radicalmente
 innovativa  del regime precedente, nel senso che, per il risarcimento
 dei  danni  cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni   giudiziarie,
 risponde ora lo Stato e in via di rivalsa il magistrato.
    L'estraneita'  della  legge n. 117 del 1988 rispetto al fatto e al
 rito del giudizio a quo rende del tutto  irrilevante  ai  fini  della
 decisione di merito la questione sollevata.
    3.  - Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 19 aprile 1990 (R.O.
 n. 454/1990), in relazione agli  artt.  3,  primo  comma,  25,  primo
 comma,  97,  primo  comma,  101, primo comma, 104, primo comma, della
 Costituzione, e con altra  ordinanza  del  4  maggio  1990  (R.O.  n.
 498/1990),   in   relazione  agli  artt.  3,  97,  101  e  104  della
 Costituzione, solleva questione di legittimita' costituzionale  degli
 artt.  55  e 74 del codice di procedura civile nella parte in cui non
 prevedono, dopo l'abrogazione referendaria, la permanente  necessita'
 dell'autorizzazione  del  Ministro di grazia e giustizia, ex art. 56,
 primo comma, del codice di  procedura  civile,  quale  condizione  di
 proponibilita'  della  domanda nel giudizio di responsabilita' civile
 del magistrato per  fatti  commessi  anteriormente  alla  caducazione
 referendaria, nonche' la designazione del giudice competente da parte
 della Corte di Cassazione, ex art. 56, secondo comma, del  codice  di
 procedura civile.
    3.1. - La questione e' inammissibile.
    Non   possono   essere   sottoposte  a  verifica  di  legittimita'
 costituzionale norme abrogate se non quando si tratti di  cancellarne
 effetti  residuali,  non invece allorche' si chieda di richiamarne in
 vigore altre ad esse collegate e parimenti abrogate.
    Sotto  un  profilo  di  mera  logica  ordinamentale,  al  fine  di
 individuare il diritto transitorio tra due normative che si succedono
 nel  tempo,  non  e'  censurabile  la legge che precede per non avere
 previsto il regime applicabile dopo la propria abrogazione, ma semmai
 la  legge  recenziore, dato che sono prerogative del legislatore, che
 riforma o innova, la scelta e la statuizione delle norme  regolatrici
 dei  rapporti  non  esauriti  o definitivamente decisi sotto l'impero
 della disciplina abrogata.
    4.  - Il Tribunale di Roma, con tre ordinanze, rispettivamente del
 24 novembre 1989 (R.O. n. 230/1990), del 18 dicembre  1989  (R.O.  n.
 231/1990),  del 10 gennaio 1990 (R.O. n. 438/1990), in relazione agli
 artt. 3, 28,  101  a  113,  nonche'  nella  seconda  anche  97  della
 Costituzione,   solleva   questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 19 della legge 13  aprile  1988,  n.  117,  in  quanto  non
 prevede condizioni di proponibilita' della domanda di risarcimento e,
 piu'   in   particolare,   l'autorizzazione   ministeriale   di   cui
 all'abrogato art. 56, primo comma, del codice di procedura civile.
    4.1.  -  Questa Corte ha riconosciuto il rilievo costituzionale di
 un meccanismo di "filtro" della domanda  giudiziale,  diretta  a  far
 valere  la  responsabilita'  civile del giudice, perche' un controllo
 preliminare della non manifesta infondatezza della domanda,  portando
 ad   escludere   azioni  temerarie  e  intimidatorie,  garantisce  la
 protezione dei valori di indipendenza e di autonomia  della  funzione
 giurisdizionale,  sanciti negli artt. da 101 a 113 della Costituzione
 nel  piu'  ampio  quadro  di  quelle  "condizioni   e   limiti   alla
 responsabilita'  dei  magistrati" che "la peculiarita' delle funzioni
 giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono"  (v.
 sentenze n. 2 del 1968 e n. 26 del 1987).
    Tale   filtro,   nell'ordinamento   introdotto   nel   1940,   era
 rappresentato dall'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia,
 che  si  configurava  come condizione di proponibilita' della domanda
 per la dichiarazione di responsabilita'  del  giudice,  ex  art.  56,
 primo comma, del codice di procedura civile.
    Gli   articoli   del   vigente   codice  di  procedura  civile  55
 (Responsabilita'  civile  del  giudice)  e  74  (Responsabilita'  del
 pubblico ministero) costituivano insieme all'art. 56 (Autorizzazione)
 un sistema coerente di tutela  della  funzione  giurisdizionale,  sia
 nella  limitazione  dei titoli di responsabilita' del giudice - dolo,
 frode o concussione, omissione o ritardo di provvedere su  istanze  o
 domande  delle parti o di compiere atti del suo ministero - sia nella
 valutazione discrezionale dell'autorita' politica titolare di  potere
 autorizzatorio.
    Questo  sistema  e'  stato caducato con referendum popolare, i cui
 effetti  abrogativi  sono  stati  posticipati  di  120  giorni  dalla
 pubblicazione  del  d.P.R.  9 dicembre 1987, n. 497: un differimento,
 sino al 7 aprile 1988, dell'efficacia dell'abrogazione  referendaria,
 giustificato  nel preambolo del citato d.P.R. n. 497 del 1987 con "la
 necessita' di evitare che, a seguito del risultato del referendum, la
 materia  della  responsabilita'  civile dei magistrati resti priva di
 disciplina specifica", donde la proroga dell'entrata in vigore  degli
 effetti  abrogativi nella misura massima prevista dalla legge data la
 complessita' della materia, nonche' per "consentire l'approvazione di
 una nuova disciplina sostitutiva della precedente". Cio' nell'intento
 di  evitare  che  la  responsabilita'  civile   del   giudice   fosse
 abbandonata alle previsioni generali dell'art. 2043 del codice civile
 (Risarcimento per fatto illecito) o dell'art. 2236 del codice  civile
 (Responsabilita'  del  prestatore  d'opera) o assimilata a quella dei
 funzionari e dipendenti dello Stato a norma dell'art. 23  del  d.P.R.
 10 gennaio 1957, n. 3, ma disciplinata con una nuova regolamentazione
 specifica senza soluzione temporale di  continuita'.  Questa  si  e',
 invece,  verificata  per  il  protrarsi  dell'iter parlamentare della
 legge n. 117 del 1988, entrata in vigore soltanto il 16 aprile  1988.
    4.2. - Se e' di tutta evidenza che i giudizi promossi, non importa
 se prima o dopo la data di entrata in vigore della legge n.  117  del
 1988,  per fatti del magistrato commessi anteriormente a quella data,
 hanno  la  fonte  della  propria  causa   petendi   nei   titoli   di
 responsabilita' previsti dall'art. 55 del codice di procedura civile,
 non sarebbe assistita da alcuna certezza quella interpretazione  che,
 scindendo  le  norme  sostanziali  da quelle processuali nel disposto
 dell'art. 19 della legge n. 117 del 1988, applicasse i canoni del ius
 superveniens  e del tempus regit actum, con la conseguenza di ridurre
 la  portata  della  irretroattivita'  della  nuova  legge  alle  sole
 fattispecie sostanziali, di cui agli artt. 2 e 3, escludendone quelle
 processuali di cui agli artt. 4 e 5.
    Una  lettura  corretta  dell'art.  19, secondo comma, non puo' che
 condurre a intendere la irretroattivita' come estesa a comprendere le
 fattispecie sostanziali insieme con l'intera struttura procedimentale
 che pone in primo piano il danno ingiusto risarcibile dallo Stato  in
 luogo  della  diretta  responsabilita'  civile del magistrato, con la
 conseguente  legittimazione   passiva   dello   Stato,   l'intervento
 facoltativo  del  magistrato,  la  successiva azione di rivalsa dello
 Stato contro di lui.
    Una  esclusione  dalla  irretroattivita'  delle norme di carattere
 processuale disposta dall'art. 19 citato, porterebbe  ad  applicarle,
 con  il  canone "in quanto compatibile", ad un procedimento del tutto
 diverso nella causa petendi  e  nel  destinatario  del  petitum,  con
 estensione  variabile  delle  regole  utilizzate  ed  opinabilita' di
 orientamenti, gravemente lesive della certezza del diritto.
    4.3. - Del tutto improponibile e', peraltro, la tesi inversa della
 conservazione in vigore, quale norma transitoria,  dell'art.  56  del
 codice  di procedura civile abrogato dal referendum, inteso come modo
 di essere dell'azione di  responsabilita'  di  cui  all'art.  55  del
 codice  di  procedura  civile,  che pur continua a costituire la base
 della  causa  petendi  per  giudizi  relativi  a   fatti   precedenti
 l'abrogazione  referendaria.  Si  deve  qui  richiamare  la peculiare
 natura  del  referendum,   quale   atto-fonte   dell'ordinamento.   A
 differenza   del   legislatore  che  puo'  correggere  o  addirittura
 disvolere quanto ha in precedenza statuito, il  referendum  manifesta
 una volonta' definitiva e irripetibile.
    La  caducazione  dell'art. 56 del codice di procedura civile, come
 non potrebbe consentire al legislatore  la  scelta  politica  di  far
 rivivere  la  normativa  ivi  contenuta  a  titolo transitorio, cosi'
 sottrae   all'interprete   l'operazione    logica    di    una    sua
 ultra-attivita'.
    4.4.  -  La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19,
 secondo comma, della legge n. 117 del  1988  e'  dunque  da  ritenere
 fondata.
    Il  legislatore,  come  risulta  dagli  atti parlamentari, era ben
 consapevole del distacco temporale che  sarebbe  intervenuto  tra  la
 abrogata  normativa codicistica e quella dettata con la irretroattiva
 nuova legge n. 117.
    Non  potendo  ignorarsi:  a) che il differimento degli effetti del
 referendum abrogativo era motivato dalla  esigenza  di  non  lasciare
 senza  una  disciplina  specifica  la  materia  della responsabilita'
 civile per fatti causati dall'esercizio della giurisdizione;  b)  che
 questa Corte aveva ribadito in sede di giudizio di ammissibilita' del
 referendum abrogativo la indispensabilita' di un "filtro" a  garanzia
 della  indipendenza  e  autonomia  della funzione giurisdizionale; la
 mancata previsione nel contesto dell'art. 19 della legge n.  117  del
 1988,  di  una  norma a tutela dei valori di cui agli artt. 101 a 113
 della Carta costituzionale determina vulnus - prima  ancora  che  dei
 suddetti  parametri - del principio di non irragionevolezza implicato
 dall'art. 3 della Costituzione.
    Per  un  equo  bilanciamento  degli  interessi giustapposti, della
 indipendenza ed autonomia  della  funzione  giurisdizionale  e  della
 giustizia   da   rendersi   al   cittadino   per  danni  derivantigli
 dall'esercizio  di  quella  funzione,   l'art.   19   va   dichiarato
 costituzionalmente  illegittimo nella parte in cui non prevede che il
 Tribunale competente, con rito camerale  e  conseguente  applicazione
 degli  ordinari  reclami  ed impugnazioni, verifichi la non manifesta
 infondatezza della domanda ai fini dell'ammissibilita' dell'azione di
 responsabilita' nei confronti del magistrato promossa successivamente
 al 7 aprile 1988, per fatti anteriori al  16  aprile  1988,  data  di
 entrata in vigore della legge n. 117.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
      dichiara  la illegittimita' costituzionale dell'art. 19, secondo
 comma, della legge 13 aprile 1988, n.  117  (Risarcimento  dei  danni
 cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'
 civile dei magistrati), nella parte in  cui,  quanto  ai  giudizi  di
 responsabilita'   civile   dei   magistrati,  relativamente  a  fatti
 anteriori al 16 aprile 1988, e proposti successivamente al  7  aprile
 1988,  non  prevede  che  il  Tribunale competente verifichi con rito
 camerale la non manifesta infondatezza della domanda  ai  fini  della
 sua ammissibilita';
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 4  della  legge  13  aprile  1988,  n.  117,
 sollevata,  in riferimento agli artt. 24, 25, 101 della Costituzione,
 dal Tribunale di Napoli con l'ordinanza in epigrafe;
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 55 e 74 del codice  di  procedura  civile,
 sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, 25, primo comma, 97, 101 e
 104 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con le ordinanze di cui
 in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C1235