N. 63 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 ottobre 1990
N. 63 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 ottobre 1990 (della regione Toscana) Sanita' pubblica - Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990 - Accollo alla regione dell'onere economico della relativa spesa, cui la regione e' dallo Stato autorizzata a provvedere mediante alienazione di beni od utilizzazione del provento di tributi - Indebita invasione della sfera di competenza regionale e lesione dell'autonomia finanziaria della regione nonche' dei principi della copertura finanziaria e del buon andamento della p.a. (D.L. 15 settembre 1990, n. 262). (Cost., artt. 81, quarto comma, 97, 118, terzo comma, e 119).(GU n.43 del 31-10-1990 )
Ricorso della regione Toscana in persona del presidente della giunta regionale Marco Marcucci in forza di deliberazione di Giunta n. ....... del 15 ottobre 1990 rappresentata e difesa per procura a margine del presente ricorso in forza della deliberazione predetta dall'avv. Alberto Predieri con studio in Roma, via G. Carducci n. 4, ove e' elettivamente domiciliata, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, contenente "Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990". 1. - Il d.-l. n. 262/1990 e' una nuova tappa di un disegno che, pur attraverso illegittimita' ed incoerenze, persegue con determinazione la sua finalita' di addossare sempre piu' cospicue porzioni della spesa sanitaria alle regioni, come se dell'incremento di quella spesa esse fossero responsabili. A nulla hanno valso i moniti della Corte costituzionale che ancora pochi mesi fa nella sentenza 27 luglio 1989, n. 452, ribadiva quello che la Corte aveva gia' affermato nella sua sentenza n. 245/1984; che cioe': "la sanita', sebbene sia ricompresa nell'elenco predisposto dall'art. 117 della Costituzione, 'non si risolve in una materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale, sia per la particolare intensita' di limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle regioni, sia per le peculiari forme e modalita' di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia, soprattutto, per i tipici rapporti che l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima'. Su questa base, dopo aver affermato che non si puo' presupporre 'che le amministrazioni regionali portino (. . . ) l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle u.s.l.', in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di Governo dettate dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini, la stessa Corte ha concluso che doveva considerarsi costituzionalmente illegittima una norma che imponeva comunque alle regioni il ripiano del disavanzo delle unita' sanitarie locali a prescindere dai fattori che l'avessero prodotto". Cio' posto, la Corte costituzionale con la sentenza n. 452/1989 rilevava che: "la disciplina legislativa intervenuta successivamente alle norme di legge giudicate con la sentenza appena ricordata non ha certo spostato a favore delle regioni la responsabilita' della spesa sanitaria, ivi compresa quella per le spese derivanti dalle prescrizioni mediche. In particolare, il legislatore statale, al fine di tentare di far fronte a un considerevole aumento delle spese per prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno in seguito all'abolizione (a partire dal 1ยบ gennaio 1987) dei ticket, ha provveduto, per un verso, a reintrodurre questi ultimi e, per altro verso, ad affidare, con la legge impugnata, al Ministro della sanita' nuovi poteri finalizzati al contenimento della predeta spesa, fra i quali l'adozione di varie misure dirette ad eliminare gli oneri derivanti dalla prescrizione incongrua di prestazioni diagnostiche (art. 2, secondo comma) e il potere di vigilare sulla gestione delle unita' sanitarie locali utilizzando anche il mezzo delle ispezioni amministrative (art. 4, secondo comma). In breve, la legge n. 37/1989 conferma che, anche nella specifica materia sulla quale insistono le norme oggetto della contestazione ora in esame, si e' in presenza di un complesso di responsabilita' in ordine alle decisioni pubbliche incidenti sulla spesa che coinvolge tanto gli organi centrali di Governo e, in particolare, il Ministro della sanita', quanto le regioni e le unita' sanitarie locali. Pertanto, in base ai principi gia' affermati da questa Corte (sentenza n. 245/1984), la previsione contenuta nell'art. 2, comma primo, della legge n. 37/1989, la quale espressamente esclude di porre comunque a carico dello Stato le spese eventualmente eccedenti il testo fissato dallo stesso articolo di legge, e' irragionevolmente lesiva dell'autonomia finanziaria delle regioni e delle province autonome", e proseguiva: "la garanzia di tale autonomia, infatti, comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione". Sicche' - concludeva la sentenza - "non resta a questa Corte che dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge n. 37/1989, in quanto pone indiscriminatamente a carico del bilancio regionale (o provinciale) le eccedenze di spesa relative alle prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno". 2. - I vizi che invalidavano la legge n. 37/1989 si ritrovano nel decreto-legge n. 262/1990. Il decreto-legge addossa alla regione la maggior spesa sanitaria a cui le regioni debbono provvedere a proprio carico utilizzando quote del Fondo sanitario nazionale di parte corrente e con operazioni di finanziamento con onere di ammortamento parzialmente a carico dello Stato, con facolta' di autorizzare le u.s.l. e gli altri enti interessati al ripiano ad iscrivere in bilancio le sopravvenienze passive (art. 1) e con facolta' di autorizzare u.s.l. e altri enti ad assumere, per l'esercizio finanziario 1990, impegni anche in eccedenza agli stanziamenti autorizzati con il bilancio per spese improcrastinabili e di assoluta ugenza. In quest'ultimo caso, previsto dall'art. 3 del decreto-legge, le regioni assumono a propro carico le spese, finanziandole con il proprio bilancio o con la vendita dei beni disponibili o con l'assunzione di mutui, avvalendosi, per la copertura delle relative rate di ammortamento, anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge n. 158/1990. Nella sostanza, e' stato peggiorato il gia' cattivo trattamento alle regioni, perche' viene imposto un ripiano in cui l'ammortamento a carico dello Stato diminuisce per l'esercizio in corso (art. 1, primo comma) e addirittura scompare nella ipotesi dell'art. 3. 3. - La disposizione dell'art. 1, primo comma, e' tale - se bene si interpreta una disposizione che il decretatore ha scritto, al solito, in modo impreciso e nebuloso - da investire anche la spesa e le operazioni dell'anno 1990. Per il quale a norma dell'art. 1, secondo comma, lett. b), del decreto-legge n. 382/1989 convertito nella legge n. 8/1990, richiamato dall'art. 1, primo comma del decreto, la quota di finanziamento con onere di ammortamento a carico del bilancio dello Stato per le operazioni da attivare entro il 1990 a carico dello Stato era del 35%, mentre ora scende nell'anno al 20% e il 25% del 1991, con una norma illegittima per la sua irragionevolezza e per la sua retroattivita'. 4. - Alle regioni era stata assicurata una determinata previsione di concorso statale, che per l'anno 1990 viene ridotta, senza motivazione alcuna e senza ragione, pertanto la quota a carico dello Stato dal 35% al 20% per l'anno in corso, cosi' come per il 1991 si ha una detrminazione nella misura del 25% ambigua ed irrazionale. La violazione dell'autonomia e' aggravata dalla retroattivita' illegittima. Non e' sopravvenuta, dopo il 25 gennaio 1990 - data della legge di conversione - nessuna ragione che imponga, nel giro di sette mesi, o neppure consenta allo Stato di diminuire il suo concorso nella spesa sanitaria, tanto piu' quando una sua legge ha determinato questa misura. Tutto quel che la Corte ha detto resta pienamente vero e valido e se, nonostante i provvedimenti assunti dallo Stato, (fra cui l'introduzione del ticket con il decreto-legge n. 382/1989) la spesa sanitaria cresce, per ripetere le parole della Corte: la garanzia dell'autonomia, regionale sancita dall'art. 119 della Costituzione: "infatti, comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata alla Costituzione soltano in parte - e non certo quella essenziale - alla regione". 5. - La mancaza di ragioni che non siano il proposito di scaricare progressivamente, indebitamente e illegittimamente sulle regioni una maggior quota della spesa sanitaria, violando l'autonomia sancita dall'art. 119 della Costituzione, il succedersi di norme contrastanti nell'ambito di sette mesi irragionevoli le statuizioni del decreto-legge. La violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, al quale va riportata la irragionevolezza e' confermata e appalesata dalla assoluta mancanza di motivazione, a cui pure il decreto-legge e' costituzionalmente tenuto. Cinque righe di tautologia per dire che c'e' bisogno di ricorrere allo strumento della decretazione consentito dalla Costituzione nei casi di straordinaria necessita' ed urgenza, in quanto c'e' la straordinaria necessita' e urgenza, secondo il decretatore, assolverebbero gli obblighi costituzionali e consentirebbero, secondo il decretatore, alla Corte il sindacato sulla legittimita' del provvedimento. Non pare necessario soffermarsi su queste distorsioni. La violazione della Costituzione conferma l'irragionevolezza del decreto lesivo dell'autonomia regionale, e di per se', costituisce un vizio che invalida il decreto. 6. - L'adozione di uno strumento di per se' illegittimo per ledere l'autonomia regionale con un effetto di immediatezza che porta ad una lesione, che altrimenti non si sarebbe verificata quanto meno nei termini temporali con cui il decreto la produce, dev'essere denunziata alla Corte. Le disposizioni del decreto consentono al Governo, proprio in virtu' dell'immediatezza degli effetti, di diminuire istantaneamente la spesa dello Stato, di addossarla alle regioni di svolgere le programmazioni e le previsioni. Se il Governo avesse proposto un disegno di legge esso non avrebbe potuto essere oggetto di una deliberazione parlamentare che lo facesse diventare legge entro l'anno 1990, cosicche' la riduzione della spesa statale per l'anno 1990 il conseguente travolgimento, la conseguente lesione degli artt. 119 e 81 della Costituzione, quarto comma, non avrebbe potuto esservi. L'illegittimita' si presenta in relazione al combinato disposto dell'art. 119, 81, 97, 3 della Costituzione. Ne deriva che nella fattispecie e' applicabile l'insegnamento della Corte nella sentenza n. 302/1z988 secondo cui: "la Corte, nel limitare i motivi di ricorso prospettabili dalle regioni nel giudizio di costituzionalita' in via principale, non li circoscrive alle violazioni delle sole norme costituzionali che ripartiscono le competenze fra Stato e regioni ma li estende anche a quelle relative a disposizioni della Costituzione diverse dalle precedenti che possono comunque comportare, nella loro attuazione, un'incisione o un pregiudizio delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni" invero il mancato uso illegittimo di uno strumento legittimo, non avrebbe portato lesioni, e quindi non avrebbe causato una reazione. 7. - Le previsioni dell'art. 3 riguardano gli impegni per l'esercizio finanziario 1990 in eccedenza agli stanziamenti di bilancio (primo comma) per spese improcastinabili e di assoluta urgenza finanziabili con anticipazioni straordinarie di cassa (secondo comma), ponendo a carico delle regioni la maggiore spesa, imponendo che esse vi facciano fronte o con i propri mezzi di bilancio o mediante alienazione dei beni patrimoniali disponibili ovvero mediante la contrazione di mutui avvalendosi, per la copertura delle relative rate di ammortamento, anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge n. 158/1990 (terzo comma) vengono poste a carico delle regioni maggiori spese, peraltro non quantificate ne' quantificabili, senza contestualmente disporre l'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie a farvi fronte, sempre per oneri che sfuggono alla diretta responsabilita' regionale. E' troppo noto che, ad esempio, la spesa farmaceutica e' disposta dai medici sulla base di un prontuario predisposto dal Ministero della sanita', in cui sono inseriti farmaci i cui prezzi sono stabiliti dal Governo; i tickets ed il sistema di esenzioni sono fissati per legge statale; la spesa per il personale del servizio sanitario nazionale e' frutto della contrattazione collettiva nazionale; le convenzioni per l'assistenza generica e specialsitica sono definite a livello centrale. Per spese di questo genere, come per tutte le altre su cui la Corte si e' soffermata nelle sentenze che abbiano ricordato nel punto 1, le regioni vengono poste nella condizione di dover provvedere addossandosi un onere finanziario che debbono coprire secondo le indicazioni cogenti del decreto con statuizioni che determinano i modi per far fronte alle spese e di per se' costituiscono una violazione dell'autonomia regionale. Dare alle regioni l'autorizzazione a coprire le spese ad esse addossate, alienando i propri beni, dichiarando disponibili o utilizzando i proventi dei tributi, e' di per se', una lesione dell'autonomia finanziaria, indipendentemente dal concreto prodursi di effetti perversi lesivi dell'autonomia finanziaria che la malaccorta norma produce, solo in relazione all'esistenza giuridica delle disposizioni nell'ordinamento giuridico, secondo i principi enunciati dalla sentenza n. 224/1990. Le regioni non hanno alcun bisogno di autorizzazioni e di vincoli alle loro capacita' di spesa delle loro (poche) entrate di cui posono e debbono liberamente disporre. Introdurre un congegno di autorizzazione concettualmente contestuale all'imposizione di un obbligo e di un divieto implicito di disporre del proprio patrimonio disponibile e delle proprie entrate rimosso o rimovibile con autorizzazione costituisce illegittima invasione della loro autonomia regionale.
P. Q. M. Si conclude chiedendo che la Corte costituzionale dichiari illegittimo il decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, contenente "Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990" per violazione degli art. 19, 117, 118, 3, primo comma, 81, quarto comma, 97 della Costituzione. Roma, addi' 15 ottobre 1990 AVV. ALBERTO PREDIERI 90C1263