N. 670 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 1989- 15 ottobre 1990

                                 N. 670
       Ordinanza emessa il 1 febbraio 1989 (pervenuta alla Corte
   costituzionale il 15 ottobre 1990) dalla Corte dei conti, sezione
  terza giurisdizionale, sui ricorsi riuniti proposti da Pisapia Emma
 Pensioni  -  Indennita'  integrativa  speciale  - Dipendenti pubblici
 collocati a riposo, a domanda, a decorrere dalla data di  entrata  in
 vigore del d.-l. n. 17/1983 - Indennita' computata non per intero, ma
 nella minor misura di un quarantesimo,  per  ogni  anno  di  servizio
 utile, dell'importo spettante al dipendente collocato a riposo con la
 massima  anzianita'  di  servizio  -  Incidenza  sui  principi  della
 retribuzione  (anche  differita)  proporzionata  alla  quantita'  del
 lavoro svolto e dell'assicurazione dei mezzi adeguati  alle  esigenze
 di  vita  del  lavoratore  in  caso  di  vecchiaia  -  Ingiustificata
 disparita' di trattamento tra  i  dipendenti  collocati  a  riposo  a
 domanda  e  quelli  dispensati o destituiti dal servizio (per i quali
 solo con i dd.-ll.  nn.  594/1985  e  49/1986  si  e'  provveduto  ad
 adottare   la   stessa   riduzione   dell'indennita'  integrativa)  -
 Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n.  531/1988  di
 infondatezza  di  analoga questione ritenuta superabile dal giudice a
 quo.
 (D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, primo comma, sostituito dalla
 legge 25 marzo 1983, n. 79, articolo unico).
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.44 del 7-11-1990 )
                           LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sui ricorsi prodotti dalla
 signora  Emma  Pisapia,  nata  il  19  settembre  1927,  in   Milano,
 elettivamente  domiciliata  in Roma, via Barberini, 86, presso l'avv.
 Franco Salvucci che, con l'avv. Cesare Ribolzi, la  rappresentanza  e
 difende  nel  presente giudizio, avverso il decreto n. 214340 in data
 30 ottobre 1985 del Ministero del tesoro,  direzione  generale  degli
 istituti di previdenza.
                                 FATTO
    La  signora Emma Pisapia, gia' ragioniere principale del comune di
 Milano, collocata a riposo a domanda dal 20  giugno  1983,  ha  adito
 questa Corte in sede giurisdizionale con due ricorsi:
      l'uno  (n. 121749), depositato nella segreteria della sezione il
 24 aprile 1984, l'altro (n. 127643), depositato il 22 settembre  1986
 (entrambi ritualmente notificati alla amministrazione previdenziale),
 dolendosi  che  la  indennita'  integrativa  speciale  le  sia  stata
 corrisposta,  in  aggiunta,  alla  pensione,  in  misura  ridotta (in
 relazione ad anni 34  di  servizio  utile),  come  desumibile  (primo
 ricorso) dai cedolini annessi all'assegno mensile di pensione, ovvero
 (secondo ricorso) dal provvedimento  di  definitiva  concessione  del
 trattamento  di  quiescenza (decreto n. 21434 in data 30 gennaio 1985
 del Ministero  del  tesoro,  direzione  generale  degli  istituti  di
 previdenza).
    I  motivi di gravame, comuni ad entrambi i ricorsi ed alla memoria
 aggiunta depositata il 25 gennaio 1989, attengono alla  applicazione,
 nella  fattispecie,  dell'art.  10, del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17,
 nel testo sostituito dall'articolo unico della legge 25  marzo  1983,
 n.  79,  nella parte in cui (primo comma) dispone che la misura della
 indennita'  integrativa  speciale,  corrisposta  in   aggiunta   alla
 pensione,  e'  ridotta,  per  coloro  che abbiano prodotto domanda di
 pensionamento a decorrere dal 29 gennaio  1983,  ad  un  quarantesimo
 (per  ogni  anno  di  servizio  utile)  dell'importo della indennita'
 stessa spettante al personale collocato in pensione  con  la  massima
 anzianita' di servizio.
    Deduce   la  Pisapia  nei  ricorsi  che  le  prefate  disposizioni
 contrastano con  gli  stessi  principi  istitutivi  della  indennita'
 integrativa  speciale,  volta ad assicurare il costante ed automatico
 adeguamento delle retribuzioni (e delle pensioni, quali  retribuzioni
 differite)   all'aumento   del  costo  della  vita,  ed  attuano  una
 ingiustificata disparita' di trattamento, non solo  tra  soggetti  in
 situazione  giuridica  sostanzialmente  identica  (quali i dipendenti
 cessati dal servizio immediatamente "prima" ovvero subito  "dopo"  la
 data  dalla quale la misura riduttiva ha effetto, ma anche tra questi
 ultimi, in ragione della diversa causa  del  collocamento  a  riposo:
 poiche'   a  coloro  che  sono  cessati  dal  servizio  "a  domanda",
 l'indennita' e' stata corrisposta per "quarantesimi",  mentre  coloro
 che  sono  cessati  dal servizio ad altro titolo, e' stata attribuita
 per "intero".
    Nel  rilevare  che,  per effetto della riduzione de qua, vien meno
 anche la corrispondenza tra lavoro prestato e giusta retribuzione  (o
 pensione) e ne risulta, altresi', intaccato, il "minimo retributivo",
 necessario e  sufficiente  per  assicurare  al  lavoratore  (vuoi  in
 servizio,  che in quiescenza) una esistenza libera e dignitosa per se
 e  per  la  famiglia,  la  ricorrente  eccepisce  la   illegittimita'
 costituzionale  delle riferite norme per contrasto con gli artt. 36 e
 38 della Costituzione.
    Conclusivamente,   la   Pisapia   chiede,   in   via   principale,
 l'accoglimento dei ricorsi, con il riconoscimento  del  diritto  agli
 "arretrati"   (e   correlativi  interessi)  oltre,  la  rivalutazione
 monetaria; in via subordinata,  la  sospensione  del  giudizio  e  la
 rimessione  degli  atti  alla Corte costituzionale per la definizione
 della cennata questione di legittimita' costituzionale.
    Con  memoria depositata il 31 gennaio 1989, la avvocatura generale
 dello  Stato,  in  rappresentanza   e   difesa   dell'amministrazione
 resistente,  ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del primo
 ricorso, in  quanto  proposto  avverso  provvedimento  concessivo  di
 trattamento  pensionistico  provvisorio. Nel merito, ha contestato la
 eccezione di illegittimita' sollevata dalla parte attrice,  ritenendo
 conforme  a  principi  di logica giuridica e di sostanziale giustizia
 che la indennita' integrativa speciale  non  sia  erogata  in  misura
 identica  per  tutti  i  dipendenti,  ma sia invece, commisurata alla
 maggiore  o  minore  anzianita'  di  servizio  dei  singoli.  In  via
 subordinta  - nella ipotesi di accoglimento del ricorso - ha eccepito
 la prescrizione dei ratei e degli accessori.
    Alla  odierna  pubblica  udienza,  l'avv.  Cesare  Ribolzi, per la
 ricorrente, ha insistito sulle conclusioni di  cui  in  gravame.  Per
 quanto  attiene,  in  particolare,  alla  richiesta  formulata in via
 subordinata, ha puntualizzato  che  la  eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale  investe  l'art. 10 del citato d.-l. n. 17/1983, quale
 sostituito dall'articolo unico della ripetura legge n. 79/1983, nella
 parte  in cui, determinando la riduzione della indennita' integrativa
 speciale solo nei confronti dei dipendenti cessati  dal  servizio  "a
 domanda",   li   pone  ingiustificatamente  in  situazione  deteriore
 rispetto  ai  dipendenti  cessati  dal  servizio  per  altra   causa:
 disparita'  di  trattamento  che  sopravvenute  norme hanno eliminato
 parzialmente, e non integralmente, in quanto il criterio riduttivo e'
 stato,  con  esse, esteso ai dipendenti collocati a riposo "per altra
 causa", ma solo con effetto ex nunc; l'avv. Franco Salvucci, il quale
 ha  anch'egli insistito per l'accoglimento dei ricorsi, rilevando, in
 particolare, che, con il provvedimento riduttivo, la  amministrazione
 ha   unilateralmente   ed   illegittimamente   modificato,  in  senso
 peggiorativo, le c.d. "condizioni di contratto" cui il dipendente  ha
 aderito all'atto della assunzione all'impiego.
    Ha,  altresi', aggiunto che detta riduzione e' lesiva del diritto,
 generalmente riconosciuto (anche in sede  internazionale)  alla  equa
 retribuzione (equa pensione) del lavoratore.
    Si   e'  comunque,  associato  alla  richiesta  formulata  in  via
 subordinata dal collega della difesa;  l'avvocato  dello  Stato,  per
 l'amministrazione  resistente,  il  quale  ha  chiesto il rigetto dei
 ricorsi, osservando, tra l'altro, che  le  dimissioni  della  Pisapia
 furno   effetto  di  una  libera  scelta  manifestata  con  la  piena
 consapevolezza che, per la parte relativa alla indennita' integrativa
 speciale,  le  condizioni di contratto erano state modificate, e che,
 in ogni caso, la tutela costituzionalmente  accordata  al  lavoratore
 (ed   al   pensionato)   si  sostanzia  nella  garanzia  del  "minimo
 retributivo", rappresentato dallo stipendio o dalla pensione, ma  non
 si  estende  ad  eventuali, ulteriori maggiorazioni economiche, ed il
 p.m. il  quale,  rilevato  che  le  disposizioni  censurate  appaiono
 conformi  a  criteri  equitativi  logici e razionali (di guisa che il
 legislatore ha fatto corretto uso del suo  potere  discrezionale)  ed
 associatosi   alle   conclusioni   formulate   dalla   difesa   della
 Amministrazione,  ha  chiesto  la  reiezione  dei   ricorsi,   previa
 declaratoria  di  manifesta  infondatezza delle proposte questioni di
 legittimita' costituzionale.
                                DIRITTO
    Preliminarmente va disposta la riunone dei ricorsi, ai fini di una
 unica pronunzia, stante la loro evidente  connessione  soggettiva  ed
 oggettiva (art. 274 del c.p.c.).
    Ancora  preliminarmente  rileva  il  collegio  che la eccezione di
 inammissibilita' sollevata nell'atto conclusionale scritto  dal  p.g.
 in  odine  al  primo ricorso, va disattesa dappoiche', nelle more del
 giudizio, la amministrazione ha emesso, nei confronti della  Pisapia,
 il  decreto  concessivo  del definitivo trattamento di quiescenza, di
 guisa  che  la  impugnativa   della   ricorrente,   giusta   costante
 giurisprudenza,  deve  intendersi  utilmente proposta (peraltro, e in
 ogni caso, tale  ultimo  provvedimento  e'  stato  impugnato  con  il
 secondo ricorso).
    Nel  merito  la  Sezione  non  ignora  che  altro  giudica (t.a.r.
 Liguria, ordinanza  n.  65/1985),  ha  denunziato  la  illegittimita'
 costituzionale  delle  riferite  disposizioni  (art.  10 del d.-l. n.
 17/1983 cit. e articolo unico della legge n. 79/1983)  per  contrasto
 con   gli   artt.   36  e  38  della  Costituzione  e  che  la  Corte
 verificatrice, con sentenza n. 531/1988, ha dichiarato  la  questione
 non fondata.
    Reputa,  tuttavia,  il  collegio  che  la  cennata questione possa
 essere riproposta in questa sede sotto diverso profilo.
    Al  riguardo,  giova  richiamare - perche' parimenti conferenti al
 caso in esame - le  considerazioni  in  altra  fattispecie  formulate
 dalla  Sezione  stessa  (ordinanza n. 61680/1988) circa la denunziata
 illegittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma,  del  testo
 unico  approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in
 cui  dispone  la  "sospensione"  della  erogazione  della  indennita'
 integrativa  speciale  nella  ipotesi  in  cui  il pensionato (che la
 percepisca in aggiunta alla pensione) presti opera retribuita  presso
 altre amministrazioni o enti pubblici.
    Osservava,  in  tale  circostanza, la sezione che la "sospensione"
 della indennita' integrativa speicale non e'  ammissibile  perche'  -
 testualmente  -  "tale  indennita'  non  rappresenta solo un mezzo di
 adeguamento dello stipendio (o della pensione)  alle  variazioni  del
 costo  della  vita,  ma  costituisce di per se' la fascia retributiva
 minima e sufficiente per far fronte  alle  esigenze  esenziali  della
 vita: tant'e' vero che essa e' corrisposta a tutti i dipendenti senza
 eccezioni di sorta ed e' a tutti erogata in misura identica....,  che
 essa  rappresenta,  in  un  certo  senso,  la  "parte iniziale" della
 retribuzione  connessa  ai  bisogni  primari  ed  indispensabili  del
 dipendente  e  della famiglia, e realizza, sie pure a livello minimo,
 il principio costituzionale di garanzia per  il  lavoratore,  di  cui
 all'art. 36 della Costituzione... che, pertanto, e' una indennita' la
 cui erogazione ha carattere necessario ed imprescindibile,  di  guisa
 che   non  puo'  essere  assoggettata  ad  esclusione  o  sospensione
 alcuna...": considerazioni che, per la loro generale portata, possono
 intendersi  qui  integralmente  recepite ed inducono il collegio alla
 conseguente conclusione che, come la indennita' integrativa  speciale
 non puo' essere "sospesa", cosi' non puo' neppure essere assoggettata
 a  "riduzione".  Invero  "sospensione"  e  "riduzione",  pur  essendo
 concetti  ontologicamente diversi, sono assimilabili sotto l'indicato
 profilo, costituendo entrambi, una limitazione che, per quanto detto,
 mal  si  concilia,  anzi,  e' in palese contrasto, con la natura e le
 finalita' della indennita' stessa.
    Per   quanto   riguarda,   in   particolare,   la   "riduzione   a
 quarantesimi", puo' ulteriormente rilevarsi che la erogazione a tutti
 i   dipendenti   della  indennita'  integrativa  speciale  in  misura
 identica, e non in rapporto alla  maggiore  o  minore  anzianita'  di
 servizio  dei  singoli,  non  integra  -  come assume la difesa della
 amministrazione -  alcuna  violazione  dei  principi  sostanziali  di
 giustizia,  poiche'  la  valutazione  della anzianita' di servizio e'
 criterio certamente valido  (e,  peraltro,  applicato  in  ordine  al
 trattamento   economico  di  attivita'  (stipendio)  o  di  quescenza
 (pensione), ma non  e'  altrettanto  da  ritenersi  estensibile  alla
 indennita' integrativa speciale (del resto, distinta e non conglobata
 ne' con l'uno, ne con l'altra), dato il fine di assicurare,  mediante
 essa,  ai  dipendenti  e  ai  pensionati (a tutti nessuno escluso) il
 minimo essenziale  irriducibile  per  il  vivere  civile  (al  quale,
 peraltro,  tutti  indistintamente,  ed  a  prescindere  dalle singole
 posizioni soggettive, hanno parimenti diritto).
    Censurabile  e',  inoltre,  che  detta  indennita', percepita "per
 intero", nel corso  del  servizio,  sia,  poi,  attribuita  in  forma
 "ridotta"  in  sede  di  quescenza,  proprio quando la situazione del
 lavoratore-pensionato si presenta economicamente piu' debole.
    Ma  v'e'  di  piu':  se,  infatti,  la  funzione  della indennita'
 integrativa speciale e' quella di  adeguare  la  retribuzione  (o  la
 pensione)  all'aumentato  costo  della vita, tale funzione viene meno
 per effetto della disposta riduzione, in conseguenza della quale solo
 una  parte,  e  non l'intero dello stipendio (o della pensione) viene
 "adeguata" e sottratta alla progrediente svalutazione monetaria.
    Ne  deriva,  in  definitiva, che, con la riduzione, viene meno non
 solo la corrispondenza (che la  indennita'  in  questione,  dovrebbe,
 invece,  garantire  tra  lavoro prestato e retribuzione (o pensione),
 ma, altresi' tra retribuzione o (pensione) ed il minimo di  sicurezza
 sociale cui il dipendente o il pensionato hanno diritto per se' e per
 la famiglia: con conseguente, evidente violazione dai principi di cui
 agli artt. 36 e 38 della Costituzione.
    per  quanto  concerne, infine, la dedotta violazione del principio
 costituzionale di eguaglianza, questa, ad avviso della  sezione,  non
 comporti  ove  si  consideri  - come piu' volte enunciato dalla Corte
 costituzionale - che la data del collocamento a riposo non riveste un
 mero   signicato   cronologico   ma  vale,  altresi',  a  distinguere
 nettamente  le  posizioni  giuridiche   degli   ex   dipendenti   ora
 pensionati),  al  punto  che  e'  da  ritenersi  giustificata  e  non
 irrazionale una disciplina normativa non uniforme  nei  confronti  di
 coloro  che  siano cessati da servizio sotto data diversa, anche se a
 brevissima distanza di tempo (nel caso, anche se collocati a  riposto
 "prima" ovvero subito dopo la prefata data del 29 gennaio 1983.
    Detta  violazione,  invece, piu' riconoscersi sotto altro profilo:
 nel senso che il  criterio  riduttivo  introdotto  dalle  sopracitate
 norme,  in quanto applicato al solo personale cessato dal servizio "a
 domanda", e non anche a quello cessato per altra causa, ha  posto  in
 essere  una  irrazionale disparita' al trattamento che, nei casi piu'
 eclatanti, puo' portare all'aberrante risultanto  che  la  indennita'
 sia  corrisposta in misura ridotta a colui il quale, dopo un regolare
 o lodevole  servizio,  si  sia  dimesso  dall'impiego  per  libera  e
 volontaria  determinazione,  e  sia, invece, corrisposta per intero a
 colui che ne sia stato dispensato per incapacita', ovvero  destituito
 a seguito di procedimento penale o disciplinare.
    Potrebbe agevolmente obbiettarsi, in porposito, che il legislatore
 stesso,  consapevole  delle  rilevate  incongruenze,  vi   ha   posto
 successivamente  rimedio  estendendo  il criterio riduttivo a tutti i
 dipendenti, quale che fosse la causa di risoluzione del  rapporto  di
 impiego  (eccettuati solo i casi di cessazione dal servizio per morte
 o per infermita' dipendenti da causa  di  servizio).  Sta  il  fatto,
 pero',  che,  sia  pure per tempo limitato, la rilevata disparita' di
 trattamento e' esistita, quanto meno  nei  confronti  dei  dipendenti
 cessati  dal  servizio  nel  periodo dal 29 gennaio 1983 alla data di
 entrata in vigore delle cennate norme modificatrici (art. 4 del  d.l.
 2 novembre 1985, n. 594).
    Per   le   considerazioni   che   precedono,   reputa  la  Sezione
 manifestamente   non   infodata   la   questione   di    legittimita'
 costituzionale  -  che  formalmente  propone  -  dello art. 10, primo
 comma, del d.-l. 29 gennaio 1973, n. 17, quale  sostituito  dell'art.
 unico  della  legge 25 marzo 1983, n. 79, per contrasto con gli artt.
 3, 36 e 38  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  dispone  nei
 confronti  del  personale  avente diritto alla indennita' stessa, che
 abbia presentato domanda di pensionamento a  partire  dalla  data  di
 entrata  in vigore del d.-l. medesimo, che la misura della indennita'
 integrativa  speciale  corrisposta  in  aggiunta  alla  pensione,  e'
 determinata  in  ragione di un quarantesimo per ogni anno di servizio
 utile ai  fini  del  trattamento  di  quescenza,  dell'importo  della
 indennita' stessa spettante al personale collocato in pensione con la
 massima anzianita' di servizio.
    Il  giudizio  va,  quindi,  sospeso, con il rinvio degli atti alla
 Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione, 1 della legge 9 febbraio
 1948, n. 1 e 23 della legge 11 febbraio 1953, n. 87;
    Dispone  che, sospeso il giudizio in corso, gli atti siano rimessi
 alla Corte costituzionale  per  la  risoluzione  della  questione  di
 legittimita' costituzionale di cui in premessa;
    Ordina  che,  a  cura  della segreteria della sezione, la presente
 ordinanza sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale
 di  questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche'
 comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della  Repubblica.
    Cosi'  disposto  in Roma nella camera di consiglio del 1ยบ febbraio
 1989.
                   Il presidente: (firma illeggibile)

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