N. 66 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 ottobre 1990

                                 N. 66
   Ricorso per questione di legittimita' Costituzionale depositato in
        Cancelleria il 27 ottobre 1990 (della regione Lombardia)
 Sanita'  pubblica  -  Misure  urgenti  per il finanziamento del saldo
 della maggiore spesa sanitaria relativa  agli  anni  1987  e  1988  e
 disposizioni  per  il  finanziamento  della  maggiore spesa sanitaria
 relativa all'anno 1990 - Accollo alla  regione  dell'onere  economico
 della  relativa  spesa,  cui  la regione e' dallo Stato autorizzata a
 provvedere mediante alienazione di beni od utilizzazione del provento
 di tributi - Indebita invasione della sfera di competenza regionale e
 lesione  dell'autonomia  finanziaria  della   regione   nonche'   del
 principio della copertura finanziaria.
 (D.L. 15 settembre 1990, n. 262).
 (Cost., artt. 119, 118, terzo comma, e 81, quarto comma).
(GU n.45 del 14-11-1990 )
    Ricorso  della  regione Lombardia, in persona del Presidente della
 giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato  con  delibera
 della  giunta  regionale n. 937 del 1ยบ ottobre 1990, rappresentanto e
 difeso dagli avvocati prof.  Valerio  Onida  e  Gualtiero  Rueca,  ed
 elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo in Roma, largo della
 Gancia, 1, come da delega a margine  del  presente  atto,  contro  il
 Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore   per  la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 15 settembre
 1990,  n.  262,  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 220 del 20
 settembre 1990, recante "Misure  urgenti  per  il  finanziamento  del
 saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e
 disposizioni per il  finanziamento  della  maggiore  spesa  sanitaria
 relativa all'anno 1990".
    L'art.  4  del  d.-l.  25  novembre  1989,  n. 382, convertito con
 modificazioni in legge 25 gennaio 1990, n. 8, aveva stabilito che  le
 regioni  determinassero "la maggiore spesa sanitaria corrente per gli
 esercizi finanziari 1987-1988" con i  criteri  e  le  modalita'  gia'
 disposte,   in  relazione  alla  spesa  sanitaria  per  gli  esercizi
 1985-1986, dal d.-l. 19 settembre 1987, n. 382, convertito  in  legge
 29  ottobre  1987,  n.  456  (sulla  base  cioe'  di atti ricognitivi
 deliberati  dagli  organi  di  gestione  dei  servizi);  e  potessero
 autorizzare  le  u.s.l.  e  gli altri enti di gestione dei servizi di
 iscrivere fra gli impegni  degli  esercizi  finanziari  1987-1988  le
 obbligazioni  effettivamente  assunte  e  le  sopravvenienze  passive
 accertate, in eccedenza ai rispettivi stanziamenti di bilancio.
    La maggiore spesa cosi' determinata era finanziata dalle regioni e
 dalle province autonome mediante l'impiego delle somme  eventualmente
 non  utilizzate,  a  valere  sulle  quote  degli  esercizi finanziari
 1987-1988 del Fondo sanitario nazionale di parte corrente, e mediante
 operazioni  di  finanziamento  con onere di ammortamento a carico del
 bilancio dello Stato, nella misura del 20% con operazioni di mutuo da
 attivare entro il 31 dicembre 1989, e del 35% con operazioni di mutuo
 da attivare nell'anno 1990.
    Il  quarto comma, ultima parte, di detto art. 4 stabiliva che "con
 successivo provvedimento  legislativo"  sarebbero  stati  determinati
 modalita'  e tempi per l'ulteriore finanziamento della maggiore spesa
 sanitaria per i predetti esercizi 1987 e 1988.
    Tale  provvedimento  si  inseriva  nella cattiva prassi, purtroppo
 ricorrente (e gia'  segnalato  da  questa  Corte  nella  sentenza  n.
 245/1984), per cui la spesa sanitaria viene regolarmente sottostimata
 in  via  preventiva,  definendo  l'ammontare  del   Fondo   sanitario
 nazionale  in  misura inferiore al fabbisogno; le u.s.l., non potendo
 interrompere ne' ridurre l'erogazione dei servizi, accumulano  debiti
 piu'  o meno occulti; a posteriori si chiede di accertare tale debito
 e il conseguente disavanzo degli esercizi pregressi,  provvedendo  al
 loro  ripiano  solo  in  ritardo,  spesso  in  modo  solo  parziale e
 incompleto,  e  rinviandone  l'onere  a  futuri   esercizi   mediante
 operazioni  di  ricorso  al  credito  (pur  trattandosi,  si noti, di
 coprire spesa corrente).
    In tale cattiva prassi erano state coinvolte le regioni, nel senso
 di imporre loro la stipulazione dei mutui a  ripiano  dei  disavanzi,
 pero' con onere di ammortamento assunto a carico dello Stato.
    Ora  il  d.-l.  15  settembre  1990,  n.  262, detta nuove norme e
 disposizioni per la copertura dei disavanzi degli esercizi 1987, 1988
 e 1990.
    Nulla dispone invece - ed e' una prima singolarita', quanto meno -
 per la copertura del disavanzo  sanitario  dell'esercizio  1989,  che
 pure  si  sa  in  concreto  esistente,  non  essendosi  modificate le
 condizioni di fatto ne' le prassi di finanziamento insufficiente  del
 Fondo sanitario nazionale.
    In  particolare,  l'art. 1, primo comma, del decreto-legge dispone
 come segue: "La maggiore spesa sanitaria di cui all'art. 4 del  d.-l.
 25  novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, dalla legge
 25 gennaio 1990, n. 8, non coperta con le operazioni di finanziamento
 ivi  previste,  e' finanziata mediante ulteriori operazioni di mutuo,
 con onere di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, entro  i
 limiti   del   20   per  cento  e  del  25  per  cento  da  assumere,
 rispettivamente entro gli anni 1990 e 1991 da parte delle  regioni  e
 delle  province  autonome  con  le  aziende  ed  istituti  di credito
 ordinario e speciale,  individuati  ai  sensi  dell'art.  4,  secondo
 comma,  lett.  b),  del  citato  d.-l.  25  novembre  1989,  n.  382,
 convertito con modificazioni dalla legge 25 gennaio  1990,  n.  8,  e
 secondo  condizioni,  durata  e  modalita'  stabilte  ai  sensi della
 predetta disposizione".
    Ai  sensi  dell'art. 2, primo comma "i mutui indicati nell'art. 1,
 primo comma, da assumere entro l'anno 1990, possono essere  concessi,
 in  via  di  anticipazione,  previa  autorizzazione del Ministero del
 tesoro, sulla base del  disavanzo  presunto  risulante  per  ciascuno
 degli anni 1987-1988, dalle rispettive documentazioni contabili".
    Il  secondo  comma  dello  stesso art. 2 detta le modalita' per la
 presentazione delle istenze di mutuo; il terzo comma stabilisce che i
 mutui  assunti  negli  anni  indicati  nell'art.  1, primo comma, del
 decreto medesimo, nonche' negli anni indicati nell'art. 4  del  d.-l.
 n.  382/1989  (il 1989 e il 1990) possono essere contratti negli anni
 successivi.
    A  sua  volta  l'art.  3,  primo  comma  - riprendendo in parte le
 ricordate previsioni gia' contenute, con  riferimento  agli  esercizi
 finanziari  1987  e  1988,  nell'art.  4,  primo  comma, del d.-l. n.
 382/1989 - dispone che "le  regioni  possono  autorizzare  le  unita'
 sanitarie  locali  e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari
 finanziati dalle quote regionali del  Fondo  sanitario  nazionale  ad
 assumere  impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza
 agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con  il  bilancio  di
 previsione,  per  provvedere  a spese improcrastinabili e di assoluta
 urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun
 ente".
    Ai  sensi  del  secondo  comma  "per  il finanziamento della spesa
 autorizzata in eccedenza ai sensi del primo comma, le regioni possono
 autorizzare   le  unita'  sanitarie  locali  e  gli  altri  enti  che
 gestiscono i servizi sanitari ad  assumere  con  i  propri  tesorieri
 anticipazioni  straordinarie  di cassa alle condizioni previste dalle
 convenzioni di tesoreria".
    Il terzo comma contiene invece una disposizione del tutto difforme
 da quelle dei provvedimenti precedenti. Essa stabilisce  infatti  che
 "la  spesa  effettivamente  sostenuta  a  fronte delle autorizzazioni
 concesse ai sensi del primo comma, desunta dai conti  consuntivi  dei
 singoli enti, e gli oneri derivanti dalle anticipazioni straordinarie
 di cassa di cui al secondo comma sono assunti a carico delle  regioni
 e  sono  finanziati  o  con  i  propri  mezzi di bilancio, o mediante
 alienazione dei beni patrimoniali  disponibili,  ovvero  mediante  la
 contrazione  di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere
 anche in deroga alle limitazioni previste dalle vigenti disposizioni,
 avvalendosi  per  la  copertura  delle  relative rate di ammortamento
 anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6  della  legge  14
 giugno 1990, n. 158".
    Le disposizioni citate appaiono in vario modo illegittime e lesive
 dell'autonomia della regione, per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
 Sull'art. 1.
    La  non perspicua disposizione dell'art. 1, primo comma, del d.-l.
 impugnato sembra doversi intendere nel senso che  i  disavanzi  delle
 gestioni sanitarie accertati per gli esercizi 1987-1988, per la quota
 (del 45%) non coperta  dalle  operazioni  di  finanziamento  previste
 dall'art.  4  del  d.-l. n. 382/1989, cioe' dai mutui stipulati dalle
 regioni, sono finanziate mediante nuovi  mutui,  da  stipulare  dalle
 regione  nel 1990 (per i 20% del disavanzo) e nel 1991 (per il resido
 25%), con onere di ammortamento in ogni caso a carico dello Stato.
    Se  cosi'  e',  la  regione  non  ha  motivo  di  dolersi  di tale
 disposizione se non nei limiti di quanto si  dira'  a  proposito  del
 secondo comma: resta piuttosto non comprensibile il motivo per cui il
 legislatore statale, mentre ha provveduto (prima  con  l'art.  4  del
 d.-l.  n.  382/1989,  e  poi  con  l'art.  1  del d.-l. impugnato, ai
 disavanzi del 1987 e del 1988, e mentre  provvede  (illegittimamente,
 come  si  dira')  per il finanziamento del disavanzo 1990, nulla dice
 invece sul modo in cui si finanziera' il disavanzo sanitario  per  il
 1989.
    Tuttavia  la non chiara formulazione dell'art. 1, primo comma, che
 potrebbe far pensare ad una assunzione solo parziale da  parte  dello
 Stato  dell'onere  di ammortamento dei mutui a ripiano del disavanzo,
 induce la ricorrente regione a formulare, cautelarmente, una  censura
 di  illegittimita'  anche  nei  confronti  di  tale disposizione, per
 l'ipotesi in cui essa dovesse essere interpretata in senso diverso da
 quello  prima  accennato,  e  nel  senso  cioe' che lo Stato assuma a
 proprio carico solo una parte dell'onere di ammortamento  dei  mutui,
 addossandone altra parte alla regione.
    Sarebbe   palese   infatti,   in  questa  ipotesi,  la  violazione
 dell'autonomia finanziaria regionale  nonche'  dell'art.  81,  quarto
 comma,  della  Costituzione  (anche  in riferimento all'art. 26 della
 legge n. 468/1978) per avere lo Stato addossato alla regione un onere
 di  copertura  dei  disavanzi  delle  u.s.l.,  in assenza di adeguati
 poteri di governo della spesa in capo alla regione medesima, e  senza
 attribuire  alla  regione  le  risorse  necessarie (cfr. sentenze nn.
 245/1984 e 452/1989).
    Il  secondo  comma ultima parte, dell'art. 1 prevede, in relazione
 ai mutui regionali di cui si e' parlato,  che  "non  si  applicano  i
 limiti  per l'assunzione di mutui previsti dalle vigenti disposizioni
 per le regioni e le province autonome".
   Tale  disposizione  sembra  da  intendere  nel senso che i mutui de
 quibus non incidono in alcun modo ai  fini  del  calcolo  del  limite
 massimo  dei  mutui che la regione puo' assumere (la quota annuale di
 ammortamento per l'insieme dei debiti non puo' superare  il  25%  del
 totale annuo delle entrate tributarie della regione: art. 10 legge n.
 281/1970, come modificato dall'art. 22 della legge  n.  335/1976;  e,
 per  l'elevazione del limite del 25% art. 9 della legge n. 181/1982).
 Il "tetto"  dell'indebitamento  ammesso  per  la  regione,  in  altri
 termini, non dovrebbe variare in alcun modo a seguito dell'assunzione
 dei mutui in oggetto.
    Peraltro,  la  "non  applicazione"  dei limiti per l'assunzione di
 mutui potrebbe anche,  in  ipotesi,  intendersi  nel  senso  che  per
 effetto  di tali mutui i limiti in questione possono essere superati,
 ma che, comunque, i mutui stessi concorrono a determinare il  "tetto"
 di  indebitamento,  cosi'  che,  se  la  regione aveva per ipotesi un
 indebitamento inferiore al tetto del 25%,  ma  con  l'assunzione  dei
 mutui  a  ripiano del disavanzo sanitario tale limite venga superato,
 la regione non avrebbe piu' la possibilita' di assumere  altri  mutui
 entro  il  margine che risultava non utilizzato prima dell'assunzione
 dei mutui in questione.
    Se  cosi'  fosse,  sarebbe  evidente  la  lesione  della autonomia
 finanziaria della regione, in quanto l'assorbimento di una  capacita'
 di  indebitamento residua della regione si tradurrebbe indirettamente
 in un accollo di onere alla regione  per  la  copertura  dei  deficit
 delle u.s.l., nuovo onere cui non corrisponde l'attribuzione di nuove
 risorse.
    Anche tale ultima disposizione, pertanto, viene censurata a titolo
 cautelare  dalla  ricorrente,  per  il  caso  in  cui  essa   dovesse
 interpretarsi   in  senso  lesivo  dell'autonomia  finanziaria  della
 regione.
 Sull'art. 3.
    Palesemente  e  irrimediabilmente illegittimo e lesivo e' l'art. 3
 del d.-l. impugnato.
    Esso,  infatti  come  si  e'  ricordato  nella  parte in fatto del
 presente ricorso, ricalca le orme  delle  disposizioni  dettate  (col
 d.-l. n. 382/1989 e con l'art. 1 del presente d.-l.) per la copertura
 dei  disavanzi  degli  esercizi  1987  e  1988,  nel   prevedere   il
 finanziamento  del  disavanzo  del 1990. Solo che per la copertura di
 tale disavanzo, anziche' prevedere mutui assunti  dalla  regione,  ma
 con  onere  di  ammortamento a carico dello Stato, stabilisce che gli
 oneri siano "assunti a carico delle regioni" e "finanziati  o  con  i
 propri   mezzi   di   bilancio,   o  mediante  alienazione  dei  beni
 patrimoniali disponibili, ovvero mediante la contrazione di  mutui  o
 prestiti",  e  in  questo  ultimo  caso "avvalendosi per la copertura
 delle relative rate di ammortamento anche  delle  entrate  tributarie
 previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158".
    In definitiva, dunque, l'onere del disavanzo e' posto a carico non
 gia' dello Stato ma della regione, senza peraltro attribuire ad  essa
 alcuna nuova risorsa.
    Ora,    questa    Corte    ha    gia'    ripetutamente   affermato
 l'incostituzionalita' di disposizioni legislative statali che pongano
 l'onere  della  copertura  dei  disavanzi delle u.s.l. a carico delle
 regioni, in assenza di effettivi  e  sufficienti  poteri  di  governo
 della  spesa  sanitaria  in  capo  alle  regioni  medesime,  e  senza
 l'attribuzione alle regioni medesime delle risorse necessarie.
    Nella  sentenza  n.  245/1984  la Corte osservo' che le competenze
 attribuite alle regioni  in  materia  sanitaria  non  bastano  a  far
 concludere   "che   le   amministrazioni   regionali  portino  dunque
 l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle  u.s.l.";
 che  "la  parte  essenziale  della spesa sanitaria ed ospedaliera non
 puo' non gravare sullo Stato... per l'evidente ragione che il diritto
 alla  salute spetta egualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato
 sull'intero territorio nazionale", onde non e' casuale che  la  spesa
 sanitaria  "sia  prevalentemente  rigida  e  non  si  presti a venire
 manovrata, in  qualche  misura,  se  non  dagli  organi  centrali  di
 Governo";  che  "in  breve, gran parte della spesa sanitaria si forma
 indipendentemente   dalle   scelte   regionali   (e   dalle    stesse
 deliberazioni degli organi di gestione delle unita' locali)".
    Concludeva   la  Corte,  censurando  l'art.  29,  della  legge  n.
 730/1984, che "in realta', il pie'  di  lista  permane  con  la  sola
 novita'  rappresentata  dal  subentrare  delle regioni in luogo dello
 Stato".
    Successivamente  il  legislatore  ricadde nella stessa tentazione,
 con l'art. 2, primo comma, della legge n. 37/1989, che  addossava  le
 eccedenze di spesa sanitaria alle regioni.
    Nuovamente   la   Corte  fu  costretta  ad  una  dichiarazione  di
 illegittimita'  costituzionale,  rilevando   che   si   trattava   di
 disposizione   "irragionevolmentelesiva   dell'autonomia  finanziaria
 delle regioni", poiche' "la garanzia di tale  autonomia....  comporta
 che  non possano essere addossati al bilancio regionale.... gli oneri
 derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa.... o  che,
 comunque,  dipendono  dall'esigenza  di tutelare interessi pubblici o
 diritti costituzionali dei cittadini la cui cura  e'  affidata  dalla
 Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla
 regione" (sentenza n. 452/1989).
    Sempre  nella  stessa  sentenza la Corte rilevo' che la disciplina
 legislativa intervenuta successivamente a  quella  giudicata  con  la
 sentenza n. 245/1984 "non ha certo spostato a favore delle regioni la
 responsabilita' della spesa sanitaria".
    Ora,  l'art.  3 del d.-l. impugnato realizza precisamente di nuovo
 quell'accollo dell'onere del disavanzo ai  bilanci  regionali,  senza
 attribuzione  di  risorse  corrispondenti,  che la Corte ha giudicato
 inammissibile.
    E  certo non si puo' dire che, rispetto al momento in cui la Corte
 emano'  tali  pronunce,  qualcosa  sia  cambiato  nel   senso   della
 attribuzione  alle  regioni di maggiori poteri di governo della spesa
 sanitaria.
    Tutti  i  fattori  principali  della spesa sfuggono, oggi piu' che
 mai, a qualsiasi potere determinativo o  di  governo  della  regione,
 ovvero  sono  governabili  solo  da  organi  statali:  cosi'  e'  per
 l'identificazionedelle prestazioni spettanti ai  cittadini,  per  gli
 organici   e  il  trattamento  del  personale,  per  il  costo  delle
 convenzioni dei medici generici e  degli  specialisti,  per  i  costi
 dell'assistenza farmaceutica, e cosi' via.
    Non  vale a far venire meno l'illegittimita' il fatto che il primo
 comma dell'art. 3, preveda, ipocritamente, che  le  regioni  "possono
 autorizzare"  le  u.s.l.  ad assumere impegni in eccedenza alla quota
 del fondo sanitario ad esse spettante, e che  il  secondo  comma  del
 medesimo  art.  3  prevede, altrettanto ipocritamente, che le regioni
 "possono   autorizzare"   le   u.s.l.   a   contrarre   anticipazioni
 straordinarie  di  cassa  col  proprio tesoriere per il finanziamento
 della spesa autorizzata in eccedenza.
    Che non si sia in presenza di una semplice facolta' della regione,
 che essa potrebbe esercitare o non esercitare discrezionalmente, e il
 cui  esercizio  quindi  possa legittimamente dar luogo all'assunzione
 del relativo onere da parte della regione medesima, e' reso del tutto
 evidente  dalla  stessa  disposizione  legislativa,  la quale prevede
 siffatte "autorizzazioni" per "provvedere a spese improcrastinabili e
 di assoluta urgenza".
    Se  si  tratta,  infatti, di spesa improcrastinabile e di assoluta
 urgenza,   non   c'e'    spazio    per    decisioni    discrezionali;
 l'autorizzazione  regionale  non  e'  in realta' una autorizzazione a
 spendere, che possa essere o meno discrezionalmente concessa,  ma  e'
 una  semplice  autorizzazione  a  contabilizzare  e  a pagare spese e
 debiti comunque gia' assunti, e quindi a far  emergere  un  disavanzo
 che  si  e'  comunque  inevitabilmente  creato (si tenga presente che
 siano gia' alla fine del 1990, e quindi  la  spesa  in  eccedenza  da
 "autorizzare" in realta' e' spesa in larga parte gia' intervenuta, ci
 corrispondono  debiti  delle  u.s.l.  inevitabilmente   destinati   a
 tradursi in un disavanzo dell'esercizio 1990).
    La  riprova  di cio' sta nel fatto che anche l'art. 4, primo comma
 del d.-l. n. 38/1989, che provvedeva ai  disavanzi  del  1987  e  del
 1988,  stabiliva  che  le  regioni "possono autorizzare" le u.s.l. ad
 iscrivere tra gli impegni degli esercizi  1987-1988  le  obbligazioni
 effettivamente  assunte  e  le  sopravvenienze  passive  accertate in
 eccedenza  ai  rispettivi  stanziamenti  di  bilancio:  pure  a  tali
 "autorizzazioni"   conseguiva   l'assunzione  dell'onere  dei  mutui,
 necessari per ripianare il disavanzo, a carico dello Stato  (art.  4,
 secondo comma).
    In  realta' anche il meccanismo disegnato dall'art. 3 del d.-l. n.
 262/1990 non e' che  un  meccanismo  di  ripianamento  del  disavanzo
 "necessario"   (reso   tale,   cioe',   dall'eccedenza   della  spesa
 indispensabile per la continuita' dei servizi, rispetto alla  entita'
 - sottostimata - del Fondo sanitario nazionale) mediante l'assunzione
 di  mutui  regionali:  solo  che,  come  si  e'  detto,  l'onere   di
 ammortamento  dei  mutui  e'  posto, illegittimamente, a carico della
 regione anziche' dello Stato.
    La lesione dell'autonomia regionale e' dunque palese.
    La disposizione impugnata si riferisce, per il finanziamento delle
 spese, anzitutto ai "mezzi di bilancio" della regione: ma il bilancio
 della regione, come e' ben noto, e' totalmente impegnato per le altre
 spese della regione medesima, e' non presenta  alcuna  disponibilita'
 non utilizzata.
    In   secondo   luogo   si   prevede   la   "alienazione  dei  beni
 patrimoniali".
    Non  e'  chiaro  a  quali beni si faccia riferimento letteralmente
 sembrerebbe trattarsi di beni della regione, dato che e' la regione a
 dover   finanziare   degli   oneri   che  la  disposizione  in  esame
 esplicitamente afferma dover essere "assunti a carico delle regioni".
    Ma  la  regione non possiede beni patrimoniali alienabili a questo
 scopo. In realta' probabilmente il  legislatore  voleva  alludere  ai
 beni  patrimoniali da reddito provenienti dai patrimoni degli ex enti
 ospedalieri, e che sono stati trasferiti ai comuni  (o  in  Lombardia
 alle  associazioni  intercomunali che gestiscono le u.s.l.). Solo che
 la  vendita  di  tali  beni  dipende  da  determinazioni  degli  enti
 proprietari:  la  regione potrebbe al piu' autorizzarne la vendita; e
 questa potrebbe al massimo  procurare  qualche  risorsa  alle  u.s.l.
 dipendenti dai comuni proprietari dei beni venduti, non alle altre.
    A  parte cio', e' evidente che l'alienazione di beni patrimoniali,
 oltre che essere del tutto insufficiente a coprire i  disavanzi  e  a
 richiedere  moltissimo tempo, e' strumento del tutto incongruo a tale
 scopo.
    Si tratta infatti di disavanzi relativi alla spesa corrente, e non
 si puo certo coprirli  dunque  con  entrate  straordinarie  in  conto
 capitale come quelle da alienazione del patrimonio.
    Sarebbe  come  vendere  i  beni  di  famiglia per far fronte a uno
 squilibrio  fra  entrate  correnti  e  spese  correnti  nel  bilancio
 familiare. Una volta venduti i beni, anche ammesso che si riuscisse a
 tamponare un debito, il problema si  ripresenterebbe  immediatamente,
 perche' la spesa corrente ha carattere continuativo.
    Il legislatore d'altronde sa bene che non sono questi espedienti a
 poter fornire le risorse necessarie a coprire  il  deficit:  ed  ecco
 percio'  che  impone  il ricorso all'unico mezzo disponibile, cioe' i
 mutui a ripiano. Ma, ponendo l'onere di ammortamento a  carico  della
 regione,  non  fa  che  spostare  il  problema  in avanti: la regione
 infatti non ha le risorse necessarie per sostenere tale onere.
    Non  vale  certo  fare  richiamo alle "entrate tributarie previste
 dall'art. 6 della  legge  14  giugno  1990,  n.  158";  anzitutto,  e
 decisamente,  perche'  tali  entrate  non  sussistono ancora, dovendo
 essere disciplinate da decreti legislativi  non  ancora  emanati;  in
 secondo  luogo  perche'  le  nuove  entrate previste sono destinate a
 compensare la riduzione  dei  trasferimenti  statali,  e  quindi  non
 metteranno nuove risorse a disposizione delle regioni; in terzo luogo
 comunque, perche' tali entrate saranno assai inferiori, in generale e
 in  particolare  per la regione ricorrente, all'importo dei disavanzi
 sanitari e degli oneri di  ammortamento  dei  mutui  a  ripiano,  che
 occorre coprire.
    Tanto  e'  vero che lo stesso legislatore statale, ben consapevole
 dell'assoluta insufficienza di tali risorse, si  limita  a  prevedere
 che  le regioni si avvalgano per la copertura dei nuovi oneri "anche"
 di dette entrate tributarie: ammette cioe' che, almeno in parte,  gli
 stessi oneri dovranno essere coperti con altre risorse della regione.
 Ma, appunto, cio' significa addossare alla regione nuovi oneri  senza
 provvedere alle risorse necessarie.
                                P. Q. M.
    La  regione ricorrente chiede che l'ecc.ma Corte voglia dichiarare
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del  d.-l.  15  settembre
 1990,  n.  262,  nonche' - per il caso in cui debba interpretarsi nel
 senso che accolli alla regione parte dell'onere di  ammortamento  dei
 mutui  o  che comporti una riduzione della capacita' di indebitamento
 della regione - altresi' dell'art. 1 del medesimo d.-l.  n.  262/1990
 nella  parte in cui addossa oneri finanziari alla regione e ne riduce
 la capacita' di indebitamento: in riferimento agli artt. 117,  118  e
 119   della   Costituzione   e   all'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione e anche  in  riferimento  all'art.  26  della  legge  n.
 468/1978.
      Roma, addi' 18 ottobre 1990
            Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA

 90C1322