N. 702 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 1990
N. 702 Ordinanza emessa il 30 aprile 1990 dal tribunale di Roma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Federazione nazionale delle rappresentanze di base Lavoro e previdenza (controversie in materia di) - Controversie in materia di lavoro e di diritti sindacali - Mancata previsione tra le controversie alle quali si applicano le disposizioni del libro secondo, titolo quarto, capo primo, del c.p.c. anche delle controversie promosse (nelle forme ordinarie e non con ricorso ex art. 28 della legge n. 300/1970) dal sindacato ed in particolare dalle organizzazioni sindacali dell'impiego statale, per far valere i propri diritti soggettivi alla liberta' e alla attivita' sindacale e all'esercizio del diritto di sciopero - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni identiche - Incidenza sul diritto di difesa in giudizio e sul principio del buon andamento della p.a. - Riferimenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 204/1982 e all'ordinanza n. 860/1988. (C.P.C., art. 409; legge 8 novembre 1977, n. 847, art. 1). (Cost., artt. 3, 24 e 97).(GU n.46 del 21-11-1990 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 27234 del 1987 e al n. 35757 del 1986 vertente tra la presidenza del Consiglio dei Ministri elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, appellante, e la Federazione sindacale delle rappresentanze di base elettivamente domiciliata in Roma, via Po, 49, presso l'avv. Emilio Rinaldi che la rappresenta e difende in virtu' di procura in atti, appellato. Oggetto: ordinanza ai sensi dell'articolo 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. M O T I V I 1. - Con ordinanza ex art. 700 del c.p.c. emessa il 29 novembre 1986 su ricorso della Federazione sindacale rappresentanze di base, il pretore di Roma, quale giudice del lavoro, ordino' alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di invitare la Federazione ricorrente alle trattative per il rinnovo dei contratti nel comparto enti pubblici non economici, fissando la data del 15 dicembre 1986 per l'inizio del giudizio di merito. Con atto di citazione notificato il 12 dicembre 1986, non iscritto a ruolo nei termini e riassunto con atto notificato il 23 dicembre 1986, la Presidenza del Consiglio dei Ministri convenne a giudizio la Federazione sindacale delle rappresentanze di base davanti al tribunale di Roma chiedendo che fosse revocata l'ordinanza cautelare, che fosse dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione - o, in subordine, il difetto di giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria - in ordine alla pretesa del sindacato ricorrente di essere ammesso a partecipare alle trattative suddette, oppure, in via ulteriormente subordinata, che fosse dichiarato che la Federazione sindacale delle rappresentanze di base non era da considerarsi organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa ex lege n. 93/1983. La Federazione sindacale delle rappresentanze di base, da parte sua, provvide ad iniziare il giudizio di merito ex art. 702, secondo comma, del c.p.c. con ricorso depositato il 15 dicembre 1989 nella cancelleria del pretore di Roma, quale giudice del lavoro, chiedendo che fosse accertato il suo diritto a partecipare alle trattative per l'accordo di comparto relativo agli enti pubblici non economici. Costituendosi nel giudizio pretorile, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deduceva, in successione, la litispendenza, in relazione al giudizio da essa promosso dinnanzi al tribunale; il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; l'incompetenza del giudice del lavoro; l'inammissibilita' del provvedimento d'urgenza e l'infondatezza, nel merito, della pretesa del sindacato ricorrente. Con sentenza non definitiva dell'11 aprile 1987 e con sentenza definitiva dell'8 giugno 1987, il pretore respinse tutte le eccezioni pregiudiziali opposte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e accolse la domanda proposta dalla Federazione sindacale delle rappresentanze di base, dichiarando il diritto di quest'ultima a partecipare alle gia' menzionate trattative. La Presidenza del Consiglio dei Ministri proposte appello contro tali decisioni con ricorso depositato il 12 ottobre 1987 nella cancelleria della sezione lavoro del tribunale di Roma, ribadendo l'eccezione di litispendenza e chiedendo che, in accoglimento di essa, il tribunale annullasse la sentenza impugnata e disponesse poi ai sensi dell'art. 39 del c.p.c. In via gradata veniva riproposta l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario e di incompetenza del pretore quale giudice del lavoro. In estremo subordine, l'appellante chiedeva il rigetto delle domande proposte dalla Federazione sindacale delle rappresentanze di base perche' infondate. Con ordinanza del 7 luglio 1989, il collegio della prima sezione civile (ordinaria), davanti al quale pendeva il procedimento di primo grado promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dispose la trasmissione degli atti al Presidente del tribunale per i provvedimenti di sua competenza ai sensi dell'art. 273 del c.p.c., avendo ritenuto che i due procedimenti, quello in grado di appello e quello in primo grado, erano relativi alla stessa causa essendo idendico il thema decidendum; che la contemporanea pendenza di tali due procedimenti davanti a sezioni diverse el tribunale non dava luogo ad una questione i litispendenza, bensi' ad una diversa anomalia, da dirimere con provvedimento di riunione; che quest'ultima non era impedita dal fatto che i due procedimenti, pendenti davanti allo stesso organo giudicante, si trovassero in grado diverso, poiche' restava salva la possibilita' di distinguere le statuizioni relative a ciascuno dei due procedimenti, anche ai fini di eventuali autonome impugnazioni. Il presidente del tribunale ordino' la riunione delle cause disponendo che il procedimento proseguisse davanti alla sezione lavoro. 2. - Dopo averla indicata alle parti ai sensi dell'art. 183, secondo comma c.p.c., il collegio solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dell'art. 409 del c.p.c., e dell'art. 1 della legge 8 novembre 1977, n. 847, nella parte in cui non comprendono, tra le controversie alle quali si applicano le disposizioni del libro secondo, titolo IV, capo I, del c.p.c., anche le controversie promosse dal sindacato - nelle forme ordinarie e non con ricorso ex art. 28 della legge n. 300/1970 - per far valere, nei confronti del datore di lavoro, ed in particolare nei confronti dello Stato, i propri diritti soggettivi alla liberta' e all'attivita' sindacale e all'esercizio del diritto di sciopero, non correlati con posizioni soggettive inerenti al rapporto individuale di impiego di singoli dipendenti (cfr., per tale interpretazione della normativa impugnata, le sentenze delle sezioni unite della Cassazione n. 4389 e 4390 del 26 luglio 1984, 4155 del 16 luglio 1985). 3. - Valutando l'eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in via interlocutoria e al solo fine di dare ingresso alla deliberazione sulla rilevanza della suddetta questione di costituzionalita', il tribunale osserva che l'eccezione stessa appare priva di fondamento, alla luce delle statuizioni enunciate dalle sezioni unite della cassazione con la sentenza n. 5569 del 14 ottobre 1988, secondo cui spetta al giudice ordinario la cognizione della controversia promossa contro l'amministrazione statale da un sindacato del pubblico impiego e avente ad oggetto la lamentata violazione del proprio diritto, quale organizzazione maggiormente rappresentativa, di essere riconosciuta titolare del diritto di esercitare quelle attivita' sindacali che la legge connetta a tale qualificazione ed in particolare del diritto a partecipare all'attivita' negoziale destinata a formare gli accordi collettivi del settore. 4. - Per quanto riguarda la contestata deduzione della Federazione sindacale delle rappresentanze di base, secondo cui sarebbe da dichiarare cessata la materia del contendere in questo giudizio (posto che essa, dopo aver partecipato alla trattativa, non sottoscrisse l'accordo collettivo che la concluse, mentre fu poi ammessa senza contestazione e con pieno riconoscimento alla trattativa per il successivo rinnovo contrattuale), il tribunale osserva, sempre ai fini della deliberazione sulla rilevanza della suddetta questione di costituzionalita', che la cessazione della materia del contendere non puo' essere dichiarata se non siano state superate le questioni di competenza, in quanto queste ultime precludono l'esame del merito della controversia e quindi anche l'accertamento e la dichiarazione che l'oggetto di essa e' cessato. 5. - Il giudizio non puo' quindi essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale enunciata al precedente n. 2. Questo collegio deve infatti decidere se competente a giudicare della controversia in oggetto in primo grado era il pretore, quale giudice del lavoro, ovvero il tribunale civile ordinario, dovendo, nel primo caso, annullare la sentenza pretorile e proseguire la trattazione del merito quale giudice di primo grado; nel secondo, dichiarare l'incompetenza del tribunale adito in primo grado dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e giudicare sull'appello da essa proposto contro la sentenza del pretore. 6. - La questione stessa appare non manifestamente infondata per i seguenti motivi. 6.1. - In molteplici occasioni la Corte costituzionale ha stabilito che il principio di uguaglianza rappresenta un canone generale di coerenza dell'ordinamento normativo (sentenza n. 204/1982) e che pertanto situazioni omogenee possono essere sottoposte a trattamenti normativi diversi senza ledere tale principio soltanto se gli elementi di diversita' che dette situazioni presentano possano ragionevolmente giustificare tale diversita' di disciplina. In caso contrario, se cioe' le situazioni non presentano elementi di differenziazione oppure se gli elementi di differenziazione che esse presentano sono tali da non lasciare ipotizzare alcun ragionevole collegamento con la disparita' di trattamento per esse disposta, tale disparita' non puo' essere ricondotta all'esercizio della insindacabile discrezionalita' politica del legislatore, ma si presenta quale manifestazione di arbitrio o di intrinseca irrazionalita' e quindi e' censurabile secono il metro dell'art. 3. Tale ipotesi si verifica in particolare - anche se non esclusivamente - allorquando la disparita' non e' frutto di una consapevole scelta legislativa, ma di causale mancanza di coordinamento normativo tra disposizioni. Questo e' proprio cio' che si verifica nella fattispecie in esame. La volonta' del legislatore di ricomprendere anche le controversie aventi ad oggetto il diritto delle organizzazioni sindacali al libero esercizio dell'attivita' ad esse propria nell'ambito di applicazione della legge n. 533/1973 venne resa manifesta dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, significativamente intitolata, appunto "Norme di coordinamento...". La lettera dell'art. 1 di detta legge, cosi' come la lettera dell'art. 409 del c.p.c., secondo l'apparente interpretazione delle sezioni unite, non consentirebbe peraltro di comprendere nell'ambito di applicazione della legge 11 agosto 1973, n. 533, anche le controversie aventi il medesimo oggetto di quelle previste dall'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ma iniziate nelle forme ordinarie anziche' nelle forme del procedimento speciale; in particolare non consentirebbe l'applicazione delle disposizioni della legge 533 alle controversie proposte dalle organizzazioni sindacali dell'impiego statale per far valere i diritti soggettivi di liberta' e di attivita' propri delle organizzazioni stesse e non correlati a posizioni soggettive inerenti al rapporto individuale di impiego, posto che tali controversie non possono essere promosse con il ricorso di cui all'art. 28. Le stesse andrebbero quindi proposte davanti al tribunale civile ordinario - essendo di valore indeterminabile - e si svolgerebbero nelle forme dell'ordinario giudizio di cognizione. Non e' invece dubitabile che tali controversie presentino caratteri identici ed esigenze uguali rispetto alle analoghe controversie iniziate con il procedimento di cui all'art. 28 per quanto riguarda sia la specializzazione del giudice, sia le forme ed i caratteri del rito. E' pur vero che la Corte costituzionale, nel disattendere la questione di costituzionalita' riguardante l'inapplicabilita' del procedimento di cui all'art. 28 ai sindacati dell'impiego statale, ha messo in luce le differenze che sussistono tra impiego statale, da un lato, ed impiego privato o impiego pubblico non statale, dall'altro, in ragione, principalmente, del fatto che il rapporto di impiego statale e' strumentalmente collegato a finalita' istituzionali le quali, per essere assunte direttamente dallo Stato, debbono intendersi come basilari per l'esistenza stessa ed il mantenimento delle condizioni indispensabili alla vita della comunita' (Corte costituzionale, ordinanza n. 860 del 21 luglio 1988). Tale considerazione, peraltro, mentre appare mettere in luce una ragionevole ipotesi di giustificazione - come tale non sindacabile dal giudice delle leggi - della scelta di salvaguardare lo Stato da uno srumento di tutela particolarmente incisivo ed efficace, quale quello apprestato dall'art. 28, non appare razionalmente collegabile ad una differente disciplina delle forme del processo ordinario di cognizione, anche in relazione alle implicazioni che cio' determina in tema di qualificazione professionale del giudice. 6.2. - L'irrazionalita' della esclusione delle controversie in oggetto dall'applicabilita' delle norme processuali previste per la generalita' delle controversie di lavoro e delle controversie in materia di diritti sindacali in senso stretto appare costituire una violazione anche del principio della naturalita' del giudice stabilito dall'art. 25 della Costituzione, inteso come specificazione, in tema di ripartizione delle competenze, di quel medesimo canone di coerenza dell'ordinamento di cui all'art. 3 e' espressione generale. 6.3. - La medesima irrazionalita', per le disfunzioni e le diseconomie processuali che essa comporta, oltre che per il maggior rischio di orientamenti giurisprudenziali inconsapevolmente disarmonici che ne deriva, appare rappresentare anche una violazione del criterio del buon andamento, che l'art. 97 della Costituzione stabilisce come canone organizzativo generale, riferibile a tutta l'organizzazione pubblica e quindi anche all'organizzazione della funzione giudiziaria (Corte costituzionale n. 177/1973, n. 86/1982, n. 18/1989).
P. Q. M. Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dell'art. 409 del c.p.c. e dell'art. 1 della legge 8 novembre 1977, n. 847, nella parte in cui non comprendono, tra le controversie alle quali si applicano le disposizioni del libro secondo, titolo IV, capo I, del c.p.c., anche le controversie promosse - nelle forme ordinarie e non con ricorso ex art. 28 legge n. 300/1970 - dal sindacato ed in particolare dalle organizzazioni sindacali dell'impiego statale, per far valere, nei confronti del datore di lavoro, ed in particolare nei confronti dello Stato, i propri diritti soggettivi alla liberta' e all'attivita' sindacale e all'esercizio del diritto di sciopero, non correlati con posizioni soggettive inerenti al rapporto individuale di impiego di singoli dipendenti; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che la medesima sia comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma il 30 aprile 1990. Il presidente: (firma illeggibile) 90C1348