N. 703 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 ottobre 1990

                                 N. 703
     Ordinanza emessa il 4 ottobre 1990 dal giudice per le indagini
  preliminari presso il tribunale di Bergamo nel procedimento penale a
                        carico di Adamo Gaetano
 Processo  penale  -  Nuovo  codice - Procedimenti speciali - Giudizio
 immediato - Richiesta di  rito  abbreviato  -  Dissenso  del  p.m.  -
 Insindacabilita'  da parte del giudice - Conseguente inapplicabilita'
 della diminuente ex art. 442,  secondo  comma  Mancata  garanzia  del
 diritto   di   difesa   -   Irragionevole   posizione  di  supremazia
 riconosciuta ad una parte (p.m.)  -  Disparita'  di  trattamento  fra
 coimputati   o   rispetto   agli   imputati  sottoposti  al  giudizio
 direttissimo - Compressione del potere giurisdizionale del giudice ad
 opera  di  una parte in ordine non solo alla scelta del rito ma anche
 alla misura della pena.
 (C.P.P. 1988, art. 458).
 (Cost., artt. 3, 24, 101 e 102).
(GU n.46 del 21-11-1990 )
                 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Rilevato che Adamo Gaetano in data 21 giugno 1990 veniva arrestato
 in  flagranza  del  reato  di  detenzione  di  11  dosi   di   eroina
 (quantificati in gr 0,287 di sostanza pura dal laboratorio di analisi
 dell'U.S.S.L. 29 di  Bergamo  incaricato  dal  p.m.)  e  in  sede  di
 convalida   ammetteva  non  solo  la  detenzione  attuale,  ma  anche
 detenzioni pregresse nonche' la sua attivita' di piccolo spaccio;
    Rilevato   inoltre  che  il  predetto,  attualmente  agli  arresti
 domiciliari ai sensi dell'ordinanza pronunciata  in  data  25  giugno
 1990  dal g.i.p. all'esito dell'udienza di convalida, veniva rinviato
 a giudizio con decreto di giudizio immediato del 18  agosto  1990  su
 richiesta del p.m. del 10 agosto 1990;
    Rilevato  infine  che  l'Adamo,  a  mezzo  del difensore munito di
 procura  speciale,  chiedeva  in  termini  l'applicazione  del   rito
 abbreviato ai sensi dell'art. 458 del c.p.p., e che il p.m. esprimeva
 il proprio dissenso "non intendendo rinunciare alla  possibilita'  di
 appello  della  sostanza qualora fosse irrogata una pena non ritenuta
 proporzionata ai fatti e alla personalita' del prevenuto".
                             O S S E R V A
    Il  meccanismo  processuale di cui all'art. 458 del c.p.p. prevede
 un  "giudizio  abbreviato  atipico"  conseguente  all'emissione   del
 decreto  di  giudizio  immediato,  evidentemente  al duplice scopo di
 offrire all'imputato per il quale il p.m. abbia scelto  la  procedura
 di cui agli artt. 453 e seguenti del c.p.p. di usufruire dei benefici
 - processuali sostanziali del rito abbreviato  consentendo  anche  in
 questo  caso  alle  parti  la  possibilita' di concludere il processo
 prima del dibattimento, pure gia' fissato.
    Tuttavia l'articolo oggetto di esame non prevede ne' l'obbligo per
 il p.m. che dissenta di manifestare il proprio dissenso (in quanto il
 silenzio  nei  termini  di  legge  configura  una  sorta di "silenzio
 rifiuto")  ne'  quello  di  motivare  tale   dissenso   eventualmente
 manifestato.
    Questi  due  profili rivestono grande interesse per quanto attiene
 alla   legittimita'   costituzionale    dell'istituto    in    quanto
 indirettamente  rendono  il p.m. arbitro dell'applicazione di un rito
 che, pur avendo effetti di natura squisitamente processuale,  non  e'
 certo  privo  di  effetti sostanziali, vantaggiosi per l'imputato - e
 spesso per lui di gran lunga piu' allettanti dei primi -  cio'  priva
 l'imputato non solo della possibilita' di veder celebrato il processo
 in camera di consiglio e ottenere  la  riduzione  automatica  di  1/3
 della pena, ma perfino del diritto a veder valutata la sua istanza da
 parte  del  giudice,  con  violazione  degli  artt.  3  e  24   della
 Costituzione.
    I  suddetti  profili  non  appaiono tuttavia rilevanti nel caso di
 specie in quanto p.m. ha espresso in  termini  un  dissenso  motivato
 alla richiesta di rito abbreviato presentata dall'Adamo Gaetano.
    Tuttavia,  come  la  Corte costituzionale nelle sue sentenze n. 66
 dell'8 febbraio 1990 e n. 183 del 18 aprile 1990 non  ha  mancato  di
 sottolineare,  la  motivazione  del dissenso da parte del p.m. non ha
 alcun senso logico-giuridico se non e' poi consentito al  giudice  di
 valutare il dissenso stesso ed eventualmente disattenderlo applicando
 comunque la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo  comma,
 del c.p.p.
    Nel  caso  di specie la normativa speciale di cui all'art. 458 del
 c.p.p., cosi' come  quella  generale  dalla  stessa  richiamata,  non
 prevede alcun meccanismo di controllo da parte del giudice.
    Cio' si appalesa in contrasto:
      1)  con  l'art.  24 della Costituzione perche' non garantisce il
 diritto della difesa  alla  valutazione  e  decisione  da  parte  del
 giudice  su  un'istanza  da cui possono discendere importanti effetti
 anche di carattere sostanziale;
      2)   con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la  irragionevole
 posizione di supremazia  implicitamente  riconosciuta  ad  una  parte
 processuale  (p.m.)  rispetto all'altra attraverso l'esercizio di una
 sorta di diritto di veto su un'istanza da questa avanzata;
      3)  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la  disparita'  di
 trattamento che potrebbe verificarsi  fra  coimputati  con  posizioni
 uguali cui il p.m. rispettivamente conceda o neghi il consenso;
      4)  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la  diversita'  di
 trattamento in cui viene a trovarsi l'imputato che chiede il giudizio
 abbreviato   nel  caso  del  giudizio  direttissimo  e  del  giudizio
 immediato, per effetto della sentenza della Corte  costituzionale  n.
 183  del  18  aprile  1990  la  quale nel primo caso ha dichiarato la
 incostituzionalita' della norma che non prevedeva  la  sindacabilita'
 del  dissenso  del  p.m.  e  ha consentito al giudice di applicare la
 riduzione di pena quando abbia ritenuto  ingiustificato  il  dissenso
 stesso;
      5)  con  gli  artt.  101  e  102  della  Costituzione perche' in
 contrasto con le attribuzioni proprie del giudice, impone  all'organo
 giudicante  delle  limitazioni  incompatibili  con  l'esercizio della
 potesta' giurisdizionale che gli compete e lo rende soggetto non piu'
 solo   alla   legge,  ma  al  potere  discrezionale  (in  quanto  non
 sindacabile) del p.m. cui viene per questa via attribuito  un  potere
 decisorio,  sia  pure  mediato  dalla scelta del rito, in ordine alla
 misura della pena;
      6)   con   l'art.   25  della  Costituzione  perche',  affidando
 all'arbitrio  del  p.m.  l'applicazione  del  rito  e  quindi   della
 riduzione  di  pena, fa dipendere la misura della stessa (con o senza
 la riduzione di 1/3) non  dalla  legge,  ma  da  un  atto  di  parte,
 violando  sul  punto la riserva di legge che viceversa imporrebbe per
 scelte  anche  procedurali  che  incidono  direttamente  sulla   pena
 l'individuazione di criteri astratti, generali e sindacabili.
    La  questione  di  legittimita' costituzionale, cosi' prospettata,
 oltre che non  manifestamente  infondata  appare  rilevante  per  due
 motivi:
      1)  perche'  l'imputato  non  avrebbe  piu'  la  possibilita' di
 reiterare la sua richiesta in quanto il  rito  abbreviato  e'  tipico
 della fase antecedente al dibattimento (ad accezione dei casi di rito
 direttissimo e transitorio);
      2)  perche'  in  concreto questo giudice ritiene che il possesso
 sia definibile allo stato degli atti sicche' il  motivo  addotto  dal
 p.m.  non  puo'  assumere  rilievo e rappresenta una motivazione solo
 apparente,   che   in   realta'   nasconde   un'opzione   del   tutto
 discrezionale.  Infatti,  conformemente  a  quanto  evidenziato dalla
 Corte costituzionale nelle gia' citate sentenze e a quanto emerge  da
 una   interpretazione   sistematica   dell'istituto,   i  criteri  di
 riferimento del p.m.  per  la  motivazione  del  dissenso  dovrebbero
 ricollegarsi alla decidibilita' del processo allo stato degli atti.
    In  ogni  caso  la  suddetta  motivazione  non e' condivisibile in
 quanto  investe  uno  degli  effetti  tipici  del  rito   abbreviato,
 normativamente  previsto  (v.  art.  442,  secondo  comma, richiamato
 dall'art. 458 del c.p.p.) e voluto dal legislatore nell'esercizio del
 suo  potere sovrano cui il p.m. e il giudice non possono e non devono
 sottrarsi con forme di disapplicazione, quale sarebbe il diniego  del
 rito abbreviato per il solo motivo che uno degli effetti dello stesso
 non e' gradito o condiviso.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 458 del c.p.p. in relazione  agli  artt.  3,
 24, 101 e 102 della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso a carico di Adamo Gaetano;
    Ordina  che  la  presente ordinanza sia notificata alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei
 due rami del Parlamento;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli   atti  alla  Corte
 costituzionale.
      Bergamo, addi' 4 ottobre 1990
           Il giudice per le indagini preliminari: AZZOLLINI
                                Il funzionario di cancelleria: MELILLI
 90C1349