N. 736 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile - 6 dicembre 1990

                                 N. 736
        Ordinanza emessa il 5 aprile 1990 (pervenuta alla Corte
     costituzionale il 6 dicembre 1990) dal tribunale amminitrativo
   regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso
         proposto da Branca Salvatore c/u.s.l. n. 36 di Catania
 Impiego  pubblico  -  Stato giuridico del personale delle uu.ss.ll. -
 Medici ospedalieri occupanti un posto di ruolo con qualifica  apicale
 alla  data  del  16  giugno  1964  (entrata  in vigore della legge n.
 336/1964)  -  Possibilita'  di  trattenimento  in  servizio  fino  al
 compimento  del  settantesimo  anno  di  eta' - Mancata previsione di
 detta possibilita' anche per i medici  in  posizione  non  apicale  -
 Ingiustificato  deteriore  trattamento  dei  medici  in posizione non
 apicale rispetto ai medici in posizione apicale, attesa la previsione
 del  trattenimento  in servizio fino al settantesimo anno di eta' dei
 dirigenti  statali,  oltre  alla  categoria  dei  magistrati  e   dei
 professori   tradizionalmente   beneficiari   di   tale   trattamento
 privilegiato  -  Incidenza  sul  diritto  alla  retribuzione   (anche
 differita)  proporzionata  ed  adeguata  -  Riferimento alle sentenze
 della Corte costituzionale nn. 461/1980, 33/1982 e 207/1986.
 (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53; d.-l. 27 dicembre 1989, n.
 413, art. 1, comma 4-quinquies, convertito, con modificazioni,  nella
 legge 28 febbraio 1990, n. 37).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.50 del 19-12-1990 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 429 del 1990
 proposto  da  Branca  Salvatore,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Salvatore  Mauceri,  nel  cui  studio e' elettivamente domiciliato in
 Catania, via Conte Ruggero n. 9; contro l'unita' sanitaria locale  n.
 36  di  Catania,  in  persona del presidente del comitato di gestione
 pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Michele Ali'  nel
 cui  studio  e' elettivamente domiciliata in Catania, via Crocieri n.
 60; per l'annullamento del rifiuto formatosi, anche a  seguito  della
 diffida  notificata  dall'odierno  ricorrente  il 17 gennaio 1990, di
 deliberare il  trattenimento  in  servizio  del  ricorrente  fino  al
 compimento  del  settantesimo  anno  di  eta',  o  comunque,  fino al
 compimento del quarantesimo anno  di  servizio;  nonche'  avverso  la
 delibera  del  comitato  di  gestione n. 458 del 2 marzo 1990, con la
 quale l'unita' sanitaria locale resistente ha deliberato di collocare
 il ricorrente a riposo a decorrere dal 7 aprile 1990;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'unita' sanitaria
 locale resistente;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore per la camera di consiglio del 5 aprile 1990 il
 primo referendario Vincenzo Salamone;
    Uditi   per   il   ricorrente  l'avv.  Salvatore  Mauceri  e,  per
 l'Amministrazione  resistente  l'avv.   Mingiardi   in   sostituzione
 dell'avv. prof. Micele Ali');
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  il  gravame  introduttivo  del  giudizio  si  espone  che  il
 ricorrente e' medico alle dipedenze dell'unita' sanitaria  resistente
 con  la  qualifica  di  dirigente sanitario e con le mansioni di capo
 servizio dell'assistenza sanitaria  di  base  e  di  secondo  livello
 presso la sede del servizio in Catania, via Pasubio, 19.
    Prima di transitare alla detta unita' sanitaria locale per effetto
 del disposto dell'art. 68 delle legge 23 dicembre 1978,  n.  833,  il
 ricorrente era occupato presso l'E.N.P.A.S., sede di Catania, nel cui
 ambito aveva avuto la funzione di dirigente sanitario ed aveva svolto
 le  mansioni  di  direttore  sanitario  dell'ufficio  provinciale  di
 Catania.  Funzioni  e  mansioni  svolte,  peraltro,  gia'  da   epoca
 anteriore  al 10 giugno 1964, alla quale data egli ricopriva il posto
 di ruolo di medico principale (equiparato alla funzione di  primario)
 ed  esplicava  -  da  poco piu' di un mese - le mansioni di dirigente
 sanitario del detto ufficio provinciale.
    Il  7  aprile  1990  il ricorrente avrebbe compiuto sessantacinque
 anni (e trentasei anni di servizio); ma non ritiene di dovere cessare
 dal  servizio: che', in virtu' del disposto dell'art. 5 della legge 3
 gennaio 1982, n. 627, nonche' dell'art. 54 del  regolamento  organico
 dell'ente  di  provenienza  egli  ha  diritto di essere trattenuto in
 servizio fino al settantesimo anno  di  eta'  o,  comunque,  fino  al
 raggiungimento del quarantesimo anno di servizio.
    Temendo,  tuttavia,  che  l'unita'  sanitaria  resistente  potesse
 andare in contrario avviso e potesse disporre la  di  lui  cessazione
 dal  servizio  al  compimeto  del  sessantacinquesimo anno di eta' il
 ricorrente,  anche  al  fine  di   evitare   dannose   soluzioni   di
 continuita',  con diffida formata ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 10
 gennaio 1957, n. 3, e notificata il 17 gennaio 1990, ha  invitato  la
 u.s.l.  resistente  a  deliberare il di lui trattenimento in servizio
 fino al raggiungimento  del  settantesimo  anno  di  eta'  ovvero  il
 quarantesimo   di   servizio,   avvertendola,   che   in  difetto  di
 provvedimenti nel  termine  di  giorni  trenta  dalla  notificazione,
 avrebbe ritenuto denegato qualsiasi provvedimento.
    La  u.s.l.  resistente  ha  omesso  di  assumere  i  provvedimenti
 richiestile, sicche' si e' formato il silensio-rigetto su detti.
    Solo successivamente alla assunzione della descritta iniziativa il
 ricorrente ha appreso, sia  pur  in  via  informale,  che  la  unita'
 resistente  ha  provveduto positivamente per il di lui collocamento a
 riposo a decorrere dal  compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di
 eta'.
    A sostegno del gravame vengono dedotte le seguenti censure:
      1)  Eccesso  di potere per difetto assoluto di motivazione e per
 rifiuto di atto dovuto in relazione all'art. 25 del d.P.R. 10 gennaio
 1957,   n.   3;  Violazione  e  falsa  applicazione  di  detta  norma
 (limitatamente al silenzio-rigetto).
      2)  Violazione  e  falsa  applicazione dell'art. 5 della legge 3
 settembre 1982, n. 627; degli artt. 1 e 6 della legge 10 maggio 1964,
 n.  366;  dell'art.  66  della  legge  12  febbraio  1968,  n.  132 e
 dell'art. 53 del d.P.R. 20  dicembre  1979,  n.  761;  illegittimita'
 costituzionale di una diversa "lettura" dei detti disposti normativi,
 per contratto con l'art. 3 della costituzione della Repubblica.
      3)  Violazione  e falsa applicazione dell'art. 59 della legge 12
 febbraio 1968, n. 132 e del secondo comma dell'art. 53 del d.P.R.  20
 dicembre  1979,  n.  761,  in  relazione  all'art. 54 del Regolamento
 Organico del Personale dell'E.N.P.A.S. del 31 maggio 1947.
      4)  Violazione e falsa applicazione dell'art. 53, secondo comma,
 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 in  relazione  all'art.  104  del
 Regolamento dell'E.N.P.A.S. del 1º dicembre 1978.
    Osserva  l'amministrazione resistente che con deliberazione C.d.G.
 n. 458 del 2 marzo  1990,  rigettava  l'istanza  di  mantenimento  in
 servizio  sia  perche'  non  ravvisava  in  capo  all'interessato  la
 sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 5 del  d.-l.  2  luglio
 1964,  n.  336,  sia  perche'  l'art.  54  del  regolamento  organico
 dell'E.N.P.A.S. non ha attribuito ai dipendenti il diritto di  essere
 mantenuti  in  servizio oltre il limite dei sessantacinque anni, fino
 al completamento dei quarantanni di servizio ed ha pertanto  eccepito
 la  inammissibilita'  del  primo  motivo di gravame e la infondatezza
 degli altri motivi.
    Alla  camera di consiglio del 5 aprile 1990 la parte ricorrente ha
 insistito per l'adozione del provvedimento cautelare  di  sospensione
 della delibera di Co.Ge. n. 453, del 2 marzo 1990.
    Il  Collegio  con ordinanza collegiale n. 246 del 5 aprile 1990 ha
 disposto  la  sospensione  dell'efficacia  di  questo   ultimo   atto
 deliberativo   sino   alla   camera   di  consiglio  successiva  alla
 restituzione degli  atti  da  parte  della  Corte  costituzionale,  a
 seguito della decisione dell'incidente di costituzionalita' sollevata
 con la presente ordinanza.
                             D I R I T T O
    1.  -  Il  Collegio  ritiene  che  vanno  sottoposti  al  giudizio
 incidentale di costituzionalita' l'art. 53  del  d.P.R.  20  dicembre
 1979  n.  761,  (stato giuridico del personale delle unita' sanitarie
 locali) e l'art. 1, comma quarto  quinquies  del  d.-l.  27  dicembre
 1989,  n.  413,  convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio
 1990, n. 37, per contrasto con gli artt. 3 e 38, secondo comma, della
 costituzione in quanto:
      il  collocamento  a  riposo  e'  obbligatorio  ed e' eseguito di
 ufficio, indipendentemente da ogni  altro  causa  al  compimento  del
 sessantacinquesimo  anno di eta' per il personale sanitario e tecnico
 laureato, amministrativo, di  assistenza  religiosa  e  professionale
 (art. 53 d.P.R. n. 761, del 1979);
      i  sovraintendenti  sanitari,  i  direttori  sanitari restano in
 servizio sino al compimento del settantesimo  anno  di  eta'  qualora
 alla  data  di  entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n. 336,
 occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate, art. 5  del
 d.-l. n. 402 del 1987;
      solo  i  dirigenti civili dello Stato, in servizio alla data del
 1º ottobre 1974, che al compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di
 eta'  non  hanno  raggiunto il numero di anni di servizio attualmente
 richiesto per il massimo della pensione (o per raggiungere il  minimo
 o  per  incrementarlo) possono rimanere in servizio su richiesta fino
 al raggiungimento del limite massimo e consegue oltre il settantesimo
 anno  di  eta'  (con richiama delle norme per il personale ispettivo,
 docente e non docente della scuola) art. 1, comma quarto quinques del
 d.-l. n. 413/1989.
    2.  -  Cio'  premesso  osserva  il  collegio  che  la questione di
 legittimita' delle predette norme si appalesa rilevante ai fini della
 decisione del gravame introduttivo del giudizio.
    Osserva  il  collegio in primo luogo che il ricorrente non rientra
 nella categoria di personale che puo' beneficiare della norma di  cui
 all'art.  5  del d.-l. n. 402/1982 (conv. con mod. dalla legge n. 627
 del 1982) in quanto alla data di entrata in  vigore  della  legge  10
 maggio  1964,  n. 336, non occupava un posto di ruolo (Cons. St. V 1º
 febbraio 1990, n. 58) nella qualifica  di  sanitario  ospedaliero  in
 posizione apicale (Corte costituzionale 4-9 giugno 1986; Cons. St. V,
 10 gennaio 1990 n. 11-12; t.a.r. Catania, I, 14 marzo 1990, n.  172).
    Il  ricorrente, infatti, alla data del 10 giugno 1964 possedeva la
 qualifica  di  medico  principale   dell'E.N.P.A.S.   (con   funzioni
 dirigente  sanitario dell'ufficio provinciale E.N.P.A.S. di Catania),
 difettando il presupposto del possesso della qualifica apicale presso
 struttura ospedaliera.
    Osserva,  inoltre,  il  collegio  che  l'art.  54  del regolamento
 organico dell'E.N.P.A.S., prevedeva, come ha  correttamente  rilevato
 l'amministrazione   resistente  nel  corpo  della  motivazione  della
 delibera C.d.G. n. 458 del 2 marzo 1990, il collocamento a riposo del
 personale     alternativamente     con    il    raggiungimento    del
 sessantacinquesimo anno di eta' o quarantesimo anno di servizio.
    Raggiunto  uno  dei  due  limiti  il  dipendente  andava  comunque
 collocato a riposo per raggiungimento del limite massimo di eta'.
    Ne'  e'  possibile  per  il  ricorrente  assumere  l'esistenza  di
 qualsivoglia diritto quesito,  in  forza  di  norma  regolarmente  in
 contrasto  con la normativa di rango primario (art. 53 del d.P.R., n.
 761/1979 e art. 5 del d.-l. 402/1982 conv. in legge n. 627/1982), che
 ha  sancito  il  limite  di  eta'  per  il  collocamento a riposo nel
 raggiungimento del sessantacinquesimo anno  di  eta',  senza  che  la
 posizione  di  legittima  aspettativa del sanitario possa assurgere a
 dignita' di diritto (Corte cost. n. 33 dell'11 febbraio 1982).
    Per le medesime considerazioni non giova al ricorrente invocare la
 disciplina dell'art. 59 della legge n. 132/1968 e dell'art. 68  della
 legge  n. 833/1978, non sussistono alcun obbligo in capo alla p.a. e,
 tanto meno, al legislatore di far salve le aspettative -  quand'anche
 esistenti  -  sorte in ordine al limite di eta' per il collocamento a
 riposo (cfr. Corte cost. 11 febbraio 1982,  n.  33;  t.a.r.  Sicilia,
 Catania sez. I, n. 172 del 14 marzo 1990).
    3.  -  A  differenti  conclusioni  potrebbe  pervenire il Collegio
 qualora la Corte costituzionale ritenesse che la norma  dell'art.  1.
 comma  quarto  quinquies  del d.-l. n. 413 del 1989, anziche' trovare
 applicazione limitata ai dirigenti civili dello Stato  per  contrasto
 con gli artt. 3 e 38 della costituzione, dovesse trovare applicazione
 anche ai pubblici dipendenti appartenenti ad  Enti  pubblici  diversi
 dallo  Stato  e  quindi  la  deroga  ivi  prevista  dovesse ritenersi
 riferita  al  collocamento   a   riposo   del   personale   sanitario
 disciplinata dall'art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1982.
    A  tal  proposito  il  Collegio  prima  che  il  ricorrente  viene
 collocato a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di  eta'
 avendo  maturato  una  anzianita'  utile,  ai fini del trattamento di
 quiescenza, di trentasei anni e ventisette giorni di servizio.
    4.   -   Cio'   premesso  il  Collegio  ritiene  la  questione  di
 costituzionalita' non manifestamente infondata.
    Il  d.-l.  27 dicembre 1989, n. 413 (recante "Disposizioni urgenti
 in materia di trattamento economico dei dirigeti dello Stato e  delle
 catogorie  ad  esse  equiparate,  nonche',  in  materia  di  pubblico
 impiego"  e'  stato  convertito  con  modificazioni  dalla  legge  28
 febbraio 1990, n. 37. In sede di conversione il parlamento ha, tra le
 altre modifiche, approvato un emendamento al testo del d.-l.  con  il
 quale  vengono estese ai soli dirigeti civili dello Stato le norme di
 cui all'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30  luglio  1973,
 n.  477 e all'art. 10, sesto comma del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357,
 convertito con modificazioni dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417.
    Ad avviso del collegio con la norma predetta si e' determinata una
 palese ingiustificata disparita' di trattamento tra dirigenti  civili
 dello  Stato ed il rimanente personale dei vari comparti del pubblico
 impiego non tanto e non  solo  in  ordine  all'eta'  massima  per  il
 collocamento   a   riposo   quanto,   soprattutto,  in  relazione  al
 trattamento economico di quiescenza godibile.
    La "ratio" della normativa estesa adesso ai dirigenti civili dello
 Stato fu individuata con precisione dalla Corte costituzionale con la
 sentenza  n.  207,  del  9-24  luglio 1986, nella quale si legge: "le
 disposizioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 15 della legge
 n.  477,  del  1975,  costituiscono  un  regime  transitorio: poiche'
 infatti anteriormente alla legge de qua  i  professori  delle  scuole
 secondarie   venivano   collocati   a  riposo  a  settanta  anni,  il
 legislatore nel  momento  in  cui  abbassava  il  limite  di  eta'  a
 sessantacinque  anni  ha ritenuto, dettando i due surriportati commi,
 di disciplinare il passaggio della vecchia alla nuova disciplina".
    La   ratio   della  predetta  norma  non  e'  individuabile  nella
 disposizione di cui all'art. 1, comma quarto quinquies del  d.-l.  n.
 413  del 1989 dal momento che i dipendenti civili dello Stato al pari
 della generalita' dei pubblici dipendenti venivano collocati a riposo
 (anche    prima    del   1º   ottobre   1974)   al   compimento   del
 sessantacinquesimo anno di eta'.  Ne'  puo'  argomentarsi  che  altre
 categorie  di  pubblici  dipendeti godano di un trattamento di favore
 (come i magistrati o i docenti universitari).
    Per  queste  ultime  categorie,  infatti,  il  legislatore  non e'
 intervenuto con norme che disciplinano il collocamento  a  riposo  in
 ragione  dell'anzianita'  utile  al trattamento di quiescenza, bensi'
 con norme che prevedono un maggiore limite di eta' in  via  generale,
 riconoscendo    da   un   lato   la   peculiarita'   della   funzione
 (giurisdizionale o docente) e dall'altro l'esigenza di  utilizzazione
 di personale dotato di maggiore esperienza professionale.
    Identica ratio non puo' rinvenirsi per la norma di cui all'art. 1,
 comma quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989.
    In primo luogo, infatti, la finalita' della disposizione e' quella
 di consentire l'incremento della base stipendiale pensionabile.  Cio'
 e' tanto piu' evidente dal momento che con l'art. 10, sesto comma del
 d.-l. n. 357 del 1989 (norma anche stesa ai  dirigenti  civili  dello
 Stato)   si  e'  disposto  che  il  servizio  utile  da  prendere  in
 considerazione, insieme con il servizio effettivo, ai sensi dell'art.
 40  del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini della permanenza in
 servizio prevista dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30
 luglio 1973, n. 477, deve intendersi comprensivo di tutti i servizi e
 periodi riscattati, computati e ricongiunti  per  il  trattamento  di
 quiescenza con provvedimento formale.
    E'  evidente,  pertanto,  che  la  norma  di cui all'art. 1, comma
 quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989 ha  voluto  provedere  una
 disciplina  di  favore  per  i  dirigenti  civili  dello Stato che al
 compimento del sessantacinquesimo anno di eta'  (norma  tenuta  ferma
 per quanto riguarda il collocamento a riposo ai sensi dell'art. 4 del
 testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092), non hanno  maturato  quaranta
 anni  di  servizio  utile  a  pensione  e che quindi godrebbero di un
 trattamento di quiescenza inferiore a quello previsto per il  massimo
 del servizio valutabile.
    La  differente portata della norma che consente l'incremento della
 base contributiva  previdenziale  da  quelle  che  prevedono  in  via
 generale  un  superiore  limite  di eta' per il collocamento a riposo
 assume un indubbio rilievo al fine di valutarne la compatabilita' con
 i  principi  costituzionali  di  cui agli artt. 3 e 38, secondo comma
 della Costituzione.
    Nella  seconda  ipotesi,  infatti,  (limiti generali differenti di
 collocamento  a  riposo)  ben  puo'   giustificarsi   un   differente
 trattamento  in considerazione della peculiarita' delle carriere o di
 contingenze che rendono razionale sacrificare o  agevolare  posizioni
 di impiego (Corte costituzionale 9 giugno 1986 n. 134).
    In  ordine alla prima ipotesi (norme che tendono a incrementare la
 base  contributiva)  non  puo'   giustificarsi   la   previsione   di
 trattamenti  differenziati  solo  con  riferimento alla differenza di
 tipologia delle carriere, atteso  che  l'esigenza  di  assicurare  un
 adeguato  trattamento  previdenziale  di  fine  rapporto e' garantito
 dall'art. 38, secondo comma della Costituzione a tutti i  lavoratori,
 per  cui  eventuali differenziazioni non possono rimettersi alla mera
 discrezionalita' del legislatore.
    A tal proposito il collegio non ignora che la Corte costituzionale
 con la sentenza n. 461 del  19-27  luglio  1989,  ha  dichiarato  non
 fondata  la  norma  dell'art.  4  del  t.u.  29 dicembre 1973 n. 1092
 ritenendo che:
      a  ragione  non  viene  estesa  a  tutto il settore del pubblico
 impiego la disposizione dell'art. 15 della legge n. 477 del 1973  che
 ha natura transitoria ed e' collegata ad una peculiare contingenza;
      si tratta di una norma derogatoria che non puo' essere assunta a
 metro  di  legittimita'  della  regola  generale   dettata   in   una
 determinata materia.
    Cio'  premesso il collegio ritiene non manifestamente infondata la
 questione  di  legittimita'   delle   norme   che   disciplinano   il
 collocamento  a  riposo del personale dipendente delle uu.ss.ll. alla
 luce delle disposizioni che disciplinano, adesso  (dopo  la  sentenza
 della  Corte  n.  469 del 1989), l'incremento della base contributiva
 per i dipendenti civili dello Stato.
    Il  Collegio osserva, infatti, che prima dell'emanazione dell'art.
 1 quarto comma quinquies del d.-l.  n.  413  del  1989  esisteva  una
 sostanziale  omogeneita'  tra tutte le categorie del pubblico impiego
 caratterizzata (salvo poche  eccezioni  in  relazione  a  particolari
 categorie)  da  una  sostanziale parita' di determinazione della base
 contributiva a fini previdenziali.
    Non  vi e' dubbio che con la previsione di una norma di favore per
 i dirigenti civili  dello  Stato  viene  a  determinarsi  una  palese
 disparita'   di   trattamento  ingiustificata  nella  disciplina  dei
 rapporti di pubblico impiego.
    Lo  stato  economico  e giuridico dei dirigenti civili dello Stato
 disciplinato dalla legge 30 giugno 1972, n. 748, infatti, ha lasciato
 inalterato  il trattamento di quiescenza, regolato in modo uguale per
 tutti i dipendenti dello Stato dalla legge 29 dicembre 1973, n.  1092
 (e sostanzialmente dalle singole normative di settore).
    A cio' va aggiunto che la stessa categoria della dirigenza statale
 presenta caratteristiche di anomalia  dal  momento  che  al  possesso
 della qualifica dirigenziale non consegue la esplicazione di relative
 funzioni, per  la  qualifica  dirigenziale  viene  a  costituire  uno
 sviluppo della carriera direttiva e niente piu'.
    Tale  contesto  della  realta'  normativa  evidenzia  vieppiu' che
 l'art. 1 comma quarto  quinquies  del  d.-l.  n.  413  del  1989  nel
 limitare  il beneficio alla sola cagegoria dei dirigenti civili dello
 Stato costituisce un ingiustificato privilegio  in  violazione  degli
 artt. 3 e 38 secondo comma della Costituzione.
    E'  difficile  comprendere  come  una posizione di privilegio puo'
 applicarsi per i dipendenti statali (spesso  non  svolgenti  funzioni
 dirigenziali)  e  non  per  quelli  delle unita' sanitarie locali che
 effettivamente (come il ricorrente) ricoprono qualifica  dirigenziale
 e  svolgono le relative funzioni. (Alla qualifica apicale corrisponde
 la funzione dirigenziale).
    Come incomprensibile e' la estensione di una norma (l'art 15 della
 legge n. 477 del 1973)  che  concerneva  un  settore  della  pubblica
 Amministrazione   (personale   della  scuola,  senza  distinzione  di
 qualifica)  venga  estesa  esclusivamente  ad   una   categoria   con
 qualifiche dirigenziali.
    La  stessa  Corte  costituzionale  con  riferimento  a  norme  che
 disciplinano il servizio utile a conseguire un  adeguato  trattamento
 di  quiescenza  ha  ritenuto  che  non  puo'  ritenersi conforme alla
 Costituzione  una  disciplina  che  discrimini  in   relazione   alla
 qualifica  o  al grado posseduto. (Corte costituzionale n. 154 del 13
 maggio 1984, n. 531 dell'11 dicembre 1989).
    Cio' premesso il collegio conclude ritenendo che e' ingiustificata
 e illogica la norma di privilegio che limita ai soli dirigenti civili
 dello Stato, anziche' estendere il beneficio a tutte le categorie dei
 pubblici dipendenti che maturano con il quarantesimo anno di eta'  il
 diritto  al  piu'  elevato  trattamento di quiescenza le norme di cui
 all'art. 15, secondo e terzo comma della legge  n.  477  del  1973  e
 dell'art.  10,  sesto  comma,  del  d.-l. n. 357 del 1989 (convertito
 dalla legge n. 417 del 1989), per contrasto con gli  artt.  3  e  38,
 secondo comma della Costituzione.
    Per  quanto  riguarda  il  personale delle uu.ss.ll. ugualmente va
 sollevata la questione di costituzionalita' con riferimento  all'art.
 53 del d.P.R. n. 761 del 1979, sempre per contrasto con gli artt. 3 e
 38, secondo comma della Costituzione.
    Il   collegio  ritiene,  pertanto,  che  ricorrono  i  presupposti
 normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Va,  pertanto,  diposta  la sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della sopra prospettata questione di costituzionalita'.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   art.   134   della  Costituzione  e  23  dela  legge
 costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 dichiara la  rilevanza  e  la  non
 manifesta  infondatezza,  in  relazione  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione, sulla questione di incostituzionalita' dell'art. 53 del
 d.P.R.  20  dicembre  1979,  n.  761 e dell'art. 1, e 4 quinquies del
 d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413  (conv.  con  modif.  della  legge  28
 febbraio  1990,  n.  37)  in  quanto  non  prevede l'estensione delle
 disposizioni dell'art. 15, secondo  e  terzo  comma  della  legge  30
 luglio  1973, n. 477 e dell'art. 10, sesto comma del d.-l. 6 novembre
 1989 n. 357 (conv. con modif. dalla legge 27 dicembre 1989,  n.  417)
 anche al personale dirigente delle unita' sanitarie locali.
    Sospende  il giudizio promosso con ricorso n. 429 del 1990 sez. I.
    Ordina    l'immediata    rimessione    degli   atti   alla   Corte
 costituzionale.
    Dispone  che  a  cura  della  segreteria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Catania, nella Camera di Consiglio del 5 aprile
 1990.
                   Il presidente: (firma illeggibile)

 90C1401