N. 736 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile - 6 dicembre 1990
N. 736 Ordinanza emessa il 5 aprile 1990 (pervenuta alla Corte costituzionale il 6 dicembre 1990) dal tribunale amminitrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Branca Salvatore c/u.s.l. n. 36 di Catania Impiego pubblico - Stato giuridico del personale delle uu.ss.ll. - Medici ospedalieri occupanti un posto di ruolo con qualifica apicale alla data del 16 giugno 1964 (entrata in vigore della legge n. 336/1964) - Possibilita' di trattenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta' - Mancata previsione di detta possibilita' anche per i medici in posizione non apicale - Ingiustificato deteriore trattamento dei medici in posizione non apicale rispetto ai medici in posizione apicale, attesa la previsione del trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta' dei dirigenti statali, oltre alla categoria dei magistrati e dei professori tradizionalmente beneficiari di tale trattamento privilegiato - Incidenza sul diritto alla retribuzione (anche differita) proporzionata ed adeguata - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 461/1980, 33/1982 e 207/1986. (D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53; d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, art. 1, comma 4-quinquies, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37). (Cost., artt. 3 e 38).(GU n.50 del 19-12-1990 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 429 del 1990 proposto da Branca Salvatore, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Mauceri, nel cui studio e' elettivamente domiciliato in Catania, via Conte Ruggero n. 9; contro l'unita' sanitaria locale n. 36 di Catania, in persona del presidente del comitato di gestione pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Michele Ali' nel cui studio e' elettivamente domiciliata in Catania, via Crocieri n. 60; per l'annullamento del rifiuto formatosi, anche a seguito della diffida notificata dall'odierno ricorrente il 17 gennaio 1990, di deliberare il trattenimento in servizio del ricorrente fino al compimento del settantesimo anno di eta', o comunque, fino al compimento del quarantesimo anno di servizio; nonche' avverso la delibera del comitato di gestione n. 458 del 2 marzo 1990, con la quale l'unita' sanitaria locale resistente ha deliberato di collocare il ricorrente a riposo a decorrere dal 7 aprile 1990; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'unita' sanitaria locale resistente; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la camera di consiglio del 5 aprile 1990 il primo referendario Vincenzo Salamone; Uditi per il ricorrente l'avv. Salvatore Mauceri e, per l'Amministrazione resistente l'avv. Mingiardi in sostituzione dell'avv. prof. Micele Ali'); Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F A T T O Con il gravame introduttivo del giudizio si espone che il ricorrente e' medico alle dipedenze dell'unita' sanitaria resistente con la qualifica di dirigente sanitario e con le mansioni di capo servizio dell'assistenza sanitaria di base e di secondo livello presso la sede del servizio in Catania, via Pasubio, 19. Prima di transitare alla detta unita' sanitaria locale per effetto del disposto dell'art. 68 delle legge 23 dicembre 1978, n. 833, il ricorrente era occupato presso l'E.N.P.A.S., sede di Catania, nel cui ambito aveva avuto la funzione di dirigente sanitario ed aveva svolto le mansioni di direttore sanitario dell'ufficio provinciale di Catania. Funzioni e mansioni svolte, peraltro, gia' da epoca anteriore al 10 giugno 1964, alla quale data egli ricopriva il posto di ruolo di medico principale (equiparato alla funzione di primario) ed esplicava - da poco piu' di un mese - le mansioni di dirigente sanitario del detto ufficio provinciale. Il 7 aprile 1990 il ricorrente avrebbe compiuto sessantacinque anni (e trentasei anni di servizio); ma non ritiene di dovere cessare dal servizio: che', in virtu' del disposto dell'art. 5 della legge 3 gennaio 1982, n. 627, nonche' dell'art. 54 del regolamento organico dell'ente di provenienza egli ha diritto di essere trattenuto in servizio fino al settantesimo anno di eta' o, comunque, fino al raggiungimento del quarantesimo anno di servizio. Temendo, tuttavia, che l'unita' sanitaria resistente potesse andare in contrario avviso e potesse disporre la di lui cessazione dal servizio al compimeto del sessantacinquesimo anno di eta' il ricorrente, anche al fine di evitare dannose soluzioni di continuita', con diffida formata ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e notificata il 17 gennaio 1990, ha invitato la u.s.l. resistente a deliberare il di lui trattenimento in servizio fino al raggiungimento del settantesimo anno di eta' ovvero il quarantesimo di servizio, avvertendola, che in difetto di provvedimenti nel termine di giorni trenta dalla notificazione, avrebbe ritenuto denegato qualsiasi provvedimento. La u.s.l. resistente ha omesso di assumere i provvedimenti richiestile, sicche' si e' formato il silensio-rigetto su detti. Solo successivamente alla assunzione della descritta iniziativa il ricorrente ha appreso, sia pur in via informale, che la unita' resistente ha provveduto positivamente per il di lui collocamento a riposo a decorrere dal compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. A sostegno del gravame vengono dedotte le seguenti censure: 1) Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e per rifiuto di atto dovuto in relazione all'art. 25 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; Violazione e falsa applicazione di detta norma (limitatamente al silenzio-rigetto). 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 3 settembre 1982, n. 627; degli artt. 1 e 6 della legge 10 maggio 1964, n. 366; dell'art. 66 della legge 12 febbraio 1968, n. 132 e dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761; illegittimita' costituzionale di una diversa "lettura" dei detti disposti normativi, per contratto con l'art. 3 della costituzione della Repubblica. 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 59 della legge 12 febbraio 1968, n. 132 e del secondo comma dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, in relazione all'art. 54 del Regolamento Organico del Personale dell'E.N.P.A.S. del 31 maggio 1947. 4) Violazione e falsa applicazione dell'art. 53, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 in relazione all'art. 104 del Regolamento dell'E.N.P.A.S. del 1º dicembre 1978. Osserva l'amministrazione resistente che con deliberazione C.d.G. n. 458 del 2 marzo 1990, rigettava l'istanza di mantenimento in servizio sia perche' non ravvisava in capo all'interessato la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 5 del d.-l. 2 luglio 1964, n. 336, sia perche' l'art. 54 del regolamento organico dell'E.N.P.A.S. non ha attribuito ai dipendenti il diritto di essere mantenuti in servizio oltre il limite dei sessantacinque anni, fino al completamento dei quarantanni di servizio ed ha pertanto eccepito la inammissibilita' del primo motivo di gravame e la infondatezza degli altri motivi. Alla camera di consiglio del 5 aprile 1990 la parte ricorrente ha insistito per l'adozione del provvedimento cautelare di sospensione della delibera di Co.Ge. n. 453, del 2 marzo 1990. Il Collegio con ordinanza collegiale n. 246 del 5 aprile 1990 ha disposto la sospensione dell'efficacia di questo ultimo atto deliberativo sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione dell'incidente di costituzionalita' sollevata con la presente ordinanza. D I R I T T O 1. - Il Collegio ritiene che vanno sottoposti al giudizio incidentale di costituzionalita' l'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, (stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali) e l'art. 1, comma quarto quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37, per contrasto con gli artt. 3 e 38, secondo comma, della costituzione in quanto: il collocamento a riposo e' obbligatorio ed e' eseguito di ufficio, indipendentemente da ogni altro causa al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' per il personale sanitario e tecnico laureato, amministrativo, di assistenza religiosa e professionale (art. 53 d.P.R. n. 761, del 1979); i sovraintendenti sanitari, i direttori sanitari restano in servizio sino al compimento del settantesimo anno di eta' qualora alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n. 336, occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate, art. 5 del d.-l. n. 402 del 1987; solo i dirigenti civili dello Stato, in servizio alla data del 1º ottobre 1974, che al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non hanno raggiunto il numero di anni di servizio attualmente richiesto per il massimo della pensione (o per raggiungere il minimo o per incrementarlo) possono rimanere in servizio su richiesta fino al raggiungimento del limite massimo e consegue oltre il settantesimo anno di eta' (con richiama delle norme per il personale ispettivo, docente e non docente della scuola) art. 1, comma quarto quinques del d.-l. n. 413/1989. 2. - Cio' premesso osserva il collegio che la questione di legittimita' delle predette norme si appalesa rilevante ai fini della decisione del gravame introduttivo del giudizio. Osserva il collegio in primo luogo che il ricorrente non rientra nella categoria di personale che puo' beneficiare della norma di cui all'art. 5 del d.-l. n. 402/1982 (conv. con mod. dalla legge n. 627 del 1982) in quanto alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n. 336, non occupava un posto di ruolo (Cons. St. V 1º febbraio 1990, n. 58) nella qualifica di sanitario ospedaliero in posizione apicale (Corte costituzionale 4-9 giugno 1986; Cons. St. V, 10 gennaio 1990 n. 11-12; t.a.r. Catania, I, 14 marzo 1990, n. 172). Il ricorrente, infatti, alla data del 10 giugno 1964 possedeva la qualifica di medico principale dell'E.N.P.A.S. (con funzioni dirigente sanitario dell'ufficio provinciale E.N.P.A.S. di Catania), difettando il presupposto del possesso della qualifica apicale presso struttura ospedaliera. Osserva, inoltre, il collegio che l'art. 54 del regolamento organico dell'E.N.P.A.S., prevedeva, come ha correttamente rilevato l'amministrazione resistente nel corpo della motivazione della delibera C.d.G. n. 458 del 2 marzo 1990, il collocamento a riposo del personale alternativamente con il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta' o quarantesimo anno di servizio. Raggiunto uno dei due limiti il dipendente andava comunque collocato a riposo per raggiungimento del limite massimo di eta'. Ne' e' possibile per il ricorrente assumere l'esistenza di qualsivoglia diritto quesito, in forza di norma regolarmente in contrasto con la normativa di rango primario (art. 53 del d.P.R., n. 761/1979 e art. 5 del d.-l. 402/1982 conv. in legge n. 627/1982), che ha sancito il limite di eta' per il collocamento a riposo nel raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta', senza che la posizione di legittima aspettativa del sanitario possa assurgere a dignita' di diritto (Corte cost. n. 33 dell'11 febbraio 1982). Per le medesime considerazioni non giova al ricorrente invocare la disciplina dell'art. 59 della legge n. 132/1968 e dell'art. 68 della legge n. 833/1978, non sussistono alcun obbligo in capo alla p.a. e, tanto meno, al legislatore di far salve le aspettative - quand'anche esistenti - sorte in ordine al limite di eta' per il collocamento a riposo (cfr. Corte cost. 11 febbraio 1982, n. 33; t.a.r. Sicilia, Catania sez. I, n. 172 del 14 marzo 1990). 3. - A differenti conclusioni potrebbe pervenire il Collegio qualora la Corte costituzionale ritenesse che la norma dell'art. 1. comma quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989, anziche' trovare applicazione limitata ai dirigenti civili dello Stato per contrasto con gli artt. 3 e 38 della costituzione, dovesse trovare applicazione anche ai pubblici dipendenti appartenenti ad Enti pubblici diversi dallo Stato e quindi la deroga ivi prevista dovesse ritenersi riferita al collocamento a riposo del personale sanitario disciplinata dall'art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1982. A tal proposito il Collegio prima che il ricorrente viene collocato a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' avendo maturato una anzianita' utile, ai fini del trattamento di quiescenza, di trentasei anni e ventisette giorni di servizio. 4. - Cio' premesso il Collegio ritiene la questione di costituzionalita' non manifestamente infondata. Il d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413 (recante "Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigeti dello Stato e delle catogorie ad esse equiparate, nonche', in materia di pubblico impiego" e' stato convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37. In sede di conversione il parlamento ha, tra le altre modifiche, approvato un emendamento al testo del d.-l. con il quale vengono estese ai soli dirigeti civili dello Stato le norme di cui all'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 e all'art. 10, sesto comma del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito con modificazioni dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417. Ad avviso del collegio con la norma predetta si e' determinata una palese ingiustificata disparita' di trattamento tra dirigenti civili dello Stato ed il rimanente personale dei vari comparti del pubblico impiego non tanto e non solo in ordine all'eta' massima per il collocamento a riposo quanto, soprattutto, in relazione al trattamento economico di quiescenza godibile. La "ratio" della normativa estesa adesso ai dirigenti civili dello Stato fu individuata con precisione dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 207, del 9-24 luglio 1986, nella quale si legge: "le disposizioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 15 della legge n. 477, del 1975, costituiscono un regime transitorio: poiche' infatti anteriormente alla legge de qua i professori delle scuole secondarie venivano collocati a riposo a settanta anni, il legislatore nel momento in cui abbassava il limite di eta' a sessantacinque anni ha ritenuto, dettando i due surriportati commi, di disciplinare il passaggio della vecchia alla nuova disciplina". La ratio della predetta norma non e' individuabile nella disposizione di cui all'art. 1, comma quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989 dal momento che i dipendenti civili dello Stato al pari della generalita' dei pubblici dipendenti venivano collocati a riposo (anche prima del 1º ottobre 1974) al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. Ne' puo' argomentarsi che altre categorie di pubblici dipendeti godano di un trattamento di favore (come i magistrati o i docenti universitari). Per queste ultime categorie, infatti, il legislatore non e' intervenuto con norme che disciplinano il collocamento a riposo in ragione dell'anzianita' utile al trattamento di quiescenza, bensi' con norme che prevedono un maggiore limite di eta' in via generale, riconoscendo da un lato la peculiarita' della funzione (giurisdizionale o docente) e dall'altro l'esigenza di utilizzazione di personale dotato di maggiore esperienza professionale. Identica ratio non puo' rinvenirsi per la norma di cui all'art. 1, comma quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989. In primo luogo, infatti, la finalita' della disposizione e' quella di consentire l'incremento della base stipendiale pensionabile. Cio' e' tanto piu' evidente dal momento che con l'art. 10, sesto comma del d.-l. n. 357 del 1989 (norma anche stesa ai dirigenti civili dello Stato) si e' disposto che il servizio utile da prendere in considerazione, insieme con il servizio effettivo, ai sensi dell'art. 40 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini della permanenza in servizio prevista dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, deve intendersi comprensivo di tutti i servizi e periodi riscattati, computati e ricongiunti per il trattamento di quiescenza con provvedimento formale. E' evidente, pertanto, che la norma di cui all'art. 1, comma quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989 ha voluto provedere una disciplina di favore per i dirigenti civili dello Stato che al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (norma tenuta ferma per quanto riguarda il collocamento a riposo ai sensi dell'art. 4 del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092), non hanno maturato quaranta anni di servizio utile a pensione e che quindi godrebbero di un trattamento di quiescenza inferiore a quello previsto per il massimo del servizio valutabile. La differente portata della norma che consente l'incremento della base contributiva previdenziale da quelle che prevedono in via generale un superiore limite di eta' per il collocamento a riposo assume un indubbio rilievo al fine di valutarne la compatabilita' con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 38, secondo comma della Costituzione. Nella seconda ipotesi, infatti, (limiti generali differenti di collocamento a riposo) ben puo' giustificarsi un differente trattamento in considerazione della peculiarita' delle carriere o di contingenze che rendono razionale sacrificare o agevolare posizioni di impiego (Corte costituzionale 9 giugno 1986 n. 134). In ordine alla prima ipotesi (norme che tendono a incrementare la base contributiva) non puo' giustificarsi la previsione di trattamenti differenziati solo con riferimento alla differenza di tipologia delle carriere, atteso che l'esigenza di assicurare un adeguato trattamento previdenziale di fine rapporto e' garantito dall'art. 38, secondo comma della Costituzione a tutti i lavoratori, per cui eventuali differenziazioni non possono rimettersi alla mera discrezionalita' del legislatore. A tal proposito il collegio non ignora che la Corte costituzionale con la sentenza n. 461 del 19-27 luglio 1989, ha dichiarato non fondata la norma dell'art. 4 del t.u. 29 dicembre 1973 n. 1092 ritenendo che: a ragione non viene estesa a tutto il settore del pubblico impiego la disposizione dell'art. 15 della legge n. 477 del 1973 che ha natura transitoria ed e' collegata ad una peculiare contingenza; si tratta di una norma derogatoria che non puo' essere assunta a metro di legittimita' della regola generale dettata in una determinata materia. Cio' premesso il collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' delle norme che disciplinano il collocamento a riposo del personale dipendente delle uu.ss.ll. alla luce delle disposizioni che disciplinano, adesso (dopo la sentenza della Corte n. 469 del 1989), l'incremento della base contributiva per i dipendenti civili dello Stato. Il Collegio osserva, infatti, che prima dell'emanazione dell'art. 1 quarto comma quinquies del d.-l. n. 413 del 1989 esisteva una sostanziale omogeneita' tra tutte le categorie del pubblico impiego caratterizzata (salvo poche eccezioni in relazione a particolari categorie) da una sostanziale parita' di determinazione della base contributiva a fini previdenziali. Non vi e' dubbio che con la previsione di una norma di favore per i dirigenti civili dello Stato viene a determinarsi una palese disparita' di trattamento ingiustificata nella disciplina dei rapporti di pubblico impiego. Lo stato economico e giuridico dei dirigenti civili dello Stato disciplinato dalla legge 30 giugno 1972, n. 748, infatti, ha lasciato inalterato il trattamento di quiescenza, regolato in modo uguale per tutti i dipendenti dello Stato dalla legge 29 dicembre 1973, n. 1092 (e sostanzialmente dalle singole normative di settore). A cio' va aggiunto che la stessa categoria della dirigenza statale presenta caratteristiche di anomalia dal momento che al possesso della qualifica dirigenziale non consegue la esplicazione di relative funzioni, per la qualifica dirigenziale viene a costituire uno sviluppo della carriera direttiva e niente piu'. Tale contesto della realta' normativa evidenzia vieppiu' che l'art. 1 comma quarto quinquies del d.-l. n. 413 del 1989 nel limitare il beneficio alla sola cagegoria dei dirigenti civili dello Stato costituisce un ingiustificato privilegio in violazione degli artt. 3 e 38 secondo comma della Costituzione. E' difficile comprendere come una posizione di privilegio puo' applicarsi per i dipendenti statali (spesso non svolgenti funzioni dirigenziali) e non per quelli delle unita' sanitarie locali che effettivamente (come il ricorrente) ricoprono qualifica dirigenziale e svolgono le relative funzioni. (Alla qualifica apicale corrisponde la funzione dirigenziale). Come incomprensibile e' la estensione di una norma (l'art 15 della legge n. 477 del 1973) che concerneva un settore della pubblica Amministrazione (personale della scuola, senza distinzione di qualifica) venga estesa esclusivamente ad una categoria con qualifiche dirigenziali. La stessa Corte costituzionale con riferimento a norme che disciplinano il servizio utile a conseguire un adeguato trattamento di quiescenza ha ritenuto che non puo' ritenersi conforme alla Costituzione una disciplina che discrimini in relazione alla qualifica o al grado posseduto. (Corte costituzionale n. 154 del 13 maggio 1984, n. 531 dell'11 dicembre 1989). Cio' premesso il collegio conclude ritenendo che e' ingiustificata e illogica la norma di privilegio che limita ai soli dirigenti civili dello Stato, anziche' estendere il beneficio a tutte le categorie dei pubblici dipendenti che maturano con il quarantesimo anno di eta' il diritto al piu' elevato trattamento di quiescenza le norme di cui all'art. 15, secondo e terzo comma della legge n. 477 del 1973 e dell'art. 10, sesto comma, del d.-l. n. 357 del 1989 (convertito dalla legge n. 417 del 1989), per contrasto con gli artt. 3 e 38, secondo comma della Costituzione. Per quanto riguarda il personale delle uu.ss.ll. ugualmente va sollevata la questione di costituzionalita' con riferimento all'art. 53 del d.P.R. n. 761 del 1979, sempre per contrasto con gli artt. 3 e 38, secondo comma della Costituzione. Il collegio ritiene, pertanto, che ricorrono i presupposti normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Va, pertanto, diposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della sopra prospettata questione di costituzionalita'.
P. Q. M. Visti gli art. 134 della Costituzione e 23 dela legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione, sulla questione di incostituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 e dell'art. 1, e 4 quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413 (conv. con modif. della legge 28 febbraio 1990, n. 37) in quanto non prevede l'estensione delle disposizioni dell'art. 15, secondo e terzo comma della legge 30 luglio 1973, n. 477 e dell'art. 10, sesto comma del d.-l. 6 novembre 1989 n. 357 (conv. con modif. dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417) anche al personale dirigente delle unita' sanitarie locali. Sospende il giudizio promosso con ricorso n. 429 del 1990 sez. I. Ordina l'immediata rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Catania, nella Camera di Consiglio del 5 aprile 1990. Il presidente: (firma illeggibile) 90C1401