N. 13 SENTENZA 11 - 14 gennaio 1991

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Istruzione pubblica - Insegnamento della religione cattolica -
 Facoltativita' - Richiamo alla sentenza n. 203/1989 - Ambito dello
 "stato di non obbligo" degli studenti non avvalentisi di tale
 insegnamento - Previste modulazioni di scelte alternative  Legittima
 ricomprensione, tra le libere scelte possibili, anche  di quella di
 non presentarsi o di allontanarsi dall'edificio della scuola - Non
 fondatezza nei sensi di cui in motivazione.
 
 (Legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9, n. 2; protocollo addizionale,
 punto 5, lett.  b), n. 2).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 19 e 97).
(GU n.3 del 16-1-1991 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Gabriele  PESCATORE,  avv.
 Ugo   SPAGNOLI,   prof.   Francesco  Paolo  CASAVOLA,  prof.  Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI;  prof.
 Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 9, numero 2,
 della  legge  25  marzo  1985,  n.  121   (Ratifica   ed   esecuzione
 dell'accordo,  con  protocollo  addizionale,  firmato  a  Roma  il 18
 febbraio 1984, che apporta modificazioni  al  Concordato  lateranense
 dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), e
 del  punto  5,  lettera  b),  numero  2,  del   relativo   Protocollo
 addizionale,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  4 maggio 1990 dal
 Pretore di Firenze  nei  procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra
 Sommani  Letizia  ed  altri  e  Amministrazione  scolastica ed altro,
 iscritta al n. 477 del registro ordinanze  1990  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  33, prima serie speciale,
 dell'anno 1990;
    Visto  l'atto di costituzione di Sommani Letizia ed altri, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  dicembre  1990  il giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  gli  avvocati  Stefano  Grassi,  Carlo  Mezzanotte, Corrado
 Mauceri, per Sommani  Letizia  ed  altri  e  l'Avvocato  dello  Stato
 Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  due  procedimenti  ex art. 700 del codice di
 procedura civile, in cui le parti avevano richiesto  la  declaratoria
 d'illegittimita'   degli   orari  scolastici  adottati  nelle  scuole
 elementari e medie statali frequentate dai loro figli, nella parte in
 cui l'insegnamento della religione era collocato nel novero delle ore
 obbligatorie, sull'assunto dell'inesistenza di un obbligo dei  minori
 a rimanere a scuola durante tale insegnamento, il Pretore di Firenze,
 riuniti  i  procedimenti,  con  ordinanza  del  4  maggio  1990,   ha
 sollevato,  in relazione agli artt. 2, 3, 19 e 97 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, numero 2, della
 legge 25 marzo 1985, n. 121, e del punto 5, lettera b), numero 2, del
 relativo Protocollo addizionale.
    Ricorda  il  giudice a quo di aver sollevato, in analogo giudizio,
 identica questione con una  precedente  ordinanza,  a  seguito  della
 quale venne emessa la sentenza n. 203 del 1989 dichiarativa della non
 fondatezza della questione.  Premessa  l'affermazione  della  propria
 giurisdizione,  sulla base di un esplicito riconoscimento, sul punto,
 della citata sentenza, il Pretore  rimettente  rileva  che  la  Corte
 omise  di  prendere  in  esame  la  prospettazione, "pur diffusamente
 motivata", concernente la  collocazione  dell'insegnamento  religioso
 nell'ambito   dell'orario   scolastico   obbligatorio.   I   problemi
 conseguenti sarebbero percio' rimasti insoluti, a fortiori a  seguito
 della  circolare n. 188 del 25 maggio 1989 con cui il Ministero della
 pubblica istruzione ha  offerto  agli  studenti  non  avvalentisi  la
 scelta tra: 1) attivita' didattiche e di formazione; 2) di studio e/o
 di  ricerca  individuali;  3)  nessuna  attivita'  (precisando,   con
 successiva  circolare  n.  189  del  29  maggio  1989,  che  soltanto
 l'attivita' di  cui  sub  2  viene  espletata  con  l'assistenza  del
 personale docente).
    La    collocazione   dell'insegnamento   nell'ambito   dell'orario
 ordinario comporterebbe per i non avvalentisi l'obbligo di rimanere a
 scuola,  nonche' - con particolare riguardo alla scuola elementare la
 riduzione del numero di ore  disponibili  per  la  normale  attivita'
 didattica.
    L'impugnata normativa - in quanto cosi' interpretata risulterebbe,
 a parere del giudice a quo,  lesiva:  1)  dell'art.  2  a  causa  del
 pregiudizio  derivante,  nell'ambito della formazione sociale-scuola,
 al libero sviluppo della personalita' del minore; 2) dell'art. 3  per
 la  discriminazione  tra  avvalentisi  e  non; 3) dell'art. 19 per il
 vulnus  alla  liberta'  religiosa,  intesa  come  liberta'   di   non
 professare  ed  esercitare  alcuna  fede; 4) dell'art.  97, in quanto
 idonea  a  compromettere  il  buon   andamento   dell'amministrazione
 mantenendo  nella  "inazione totale" gli allievi affidati alla scuola
 per finalita' educative e riducendo - in taluni casi - anche l'ambito
 degl'insegnamenti curriculari.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per  l'inammissibilita'  ovvero  per  l'infondatezza della questione.
 Sotto il primo profilo si eccepisce anzitutto il difetto di rilevanza
 in  quanto  si  richiederebbe alla Corte una sorta di parere circa la
 portata della denunziata normativa (peraltro irrilevante nel giudizio
 a  quo)  e  si  sostiene, in secondo luogo, che il Pretore rimettente
 sarebbe privo di giurisdizione.
    Nel   merito   si   sottolinea,   in   atto   d'intervento,   come
 l'insegnamento religioso debba  considerarsi  -  alla  stregua  della
 sentenza  n.  203  del 1989 - quale elemento per la realizzazione dei
 fini della scuola, non  diverso  da  altre  materie.  Nessun  obbligo
 potrebbe   mai   essere  tollerato  -  secondo  l'Avvocatura  -  come
 conseguenza della scelta di  avvalersi  dell'insegnamento  religioso,
 si'  che  chi  abbia deciso di avvalersene non puo' essere trattenuto
 un'ora in piu' e la religione va considerata materia curriculare come
 le   altre,  entrando  a  formare  quel  tempo  ritenuto  globalmente
 necessario per l'istruzione.
    L'Avvocatura  conclude escludendo che le circolari ministeriali di
 cui sostanzialmente si duole il giudice a quo incidano sulla liberta'
 religiosa, proprio in quanto non discriminano (trovandosi conferma di
 tale ratio nel dibattito parlamentare successivo alla sentenza  della
 Corte)  ed anzi, superando il precedente sistema dell'"esonero" - che
 conduceva  alla  sostanziale  emarginazione  dell'alunno  -   e   non
 consentendo   l'allontanamento  dalla  scuola  del  non  avvalentesi,
 considerano quest'ultimo  permanentemente  inserito  nella  comunita'
 scolastica.
    3. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite alcune
 delle parti private depositando una memoria in cui viene  chiesta  la
 declaratoria d'illegittimita' costituzionale delle norme censurate.
    4.   -   Successivamente,   nell'imminenza   dell'udienza,   hanno
 presentato memorie l'Avvocatura dello Stato e le parti private.
    5.  -  L'Avvocatura ha insistito anzitutto nelle proprie eccezioni
 d'inammissibilita',   sottolineando   l'identita'   della   questione
 rispetto a quella a suo tempo dal medesimo Pretore sollevata e decisa
 con la sentenza n. 203 del 1989.
    Dopo  un  ampio  excursus sull'argomento, si pone in evidenza come
 l'art. 9 dell'Accordo 18 febbraio  1984  assicuri  l'insegnamento  in
 parola  nel quadro delle finalita' della scuola, onde la religione va
 insegnata  a  scuola  ed  agli  alunni  e   non   fuori   dell'orario
 curriculare,  ovvero  semplicemente nei locali della scuola a ragazzi
 in eta' scolare. La collocazione dell'insegnamento non sarebbe quindi
 a  margine  o  in  appendice  all'orario  delle  lezioni, ma dovrebbe
 formarne parte integrante, in sintonia con l'esplicito riconoscimento
 legislativo  del  valore  della cultura religiosa e della coincidenza
 dei principi del  cattolicesimo  con  parte  del  patrimonio  storico
 italiano.
    Pertanto     l'organizzazione    dell'insegnamento    precederebbe
 logicamente il momento della scelta e ne prescinderebbe, non  potendo
 essa  dipendere, come un corso privato di catechesi, dall'impulso del
 singolo.  L'impostazione  di  tale  organizzazione  in   termini   di
 non-discriminazione  comporterebbe  la  necessita'  di  assicurare la
 parita' di trattamento tra avvalentisi e  non;  di  qui  l'importanza
 dell'Intesa di cui al d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751.
    Dal  principio di laicita' sancito da questa Corte deriverebbe poi
 l'impossibilita' di concepire un insegnamento religioso impartito  in
 modi  tali da scoraggiare chi decida di avvalersene: in questi ultimi
 termini  andrebbe  infatti  inquadrata  l'alternativa  di  un'ora  di
 "liberta'"  (che  incoraggerebbe  di  fatto il disimpegno), laddove i
 diritti dei non  avvalentisi  non  verrebbero  all'opposto  vulnerati
 dalla mancanza della facolta' di assentarsi da scuola.
    In  conclusione  la  scuola  resterebbe unitaria anche in presenza
 dell'esercizio  di  opzioni  diverse  e,  ove  queste  riguardino  il
 desiderio  di  non  avvalersi  dell'insegnamento  religioso,  non per
 questo possono tradursi  in  una  riduzione  del  tempo-scuola,  gia'
 individuato  legislativamente  in  quanto  necessario  alle finalita'
 educative.
    6.  -  Le  parti  private escludono anzitutto che il Pretore abbia
 sottoposto alla Corte una  richiesta  alternativa  d'interpretazione,
 richiamando   viceversa  la  chiarezza  della  questione  concernente
 l'illegittimita' di un obbligo di presenza  passiva  imposto  ai  non
 avvalentisi.
    Nel  merito la difesa, riportando la motivazione della sentenza n.
 203 del 1989 piu' volte citata, ricorda come le precedenti  circolari
 ministeriali   avessero   degradato   l'insegnamento   religioso   da
 facoltativo ad opzionale, si' che a  seguito  della  decisione  della
 Corte    sarebbe    dovuta   risultare   pacifica   la   collocazione
 dell'insegnamento dello stesso al di fuori dell'orario  obbligatorio.
    In  effetti  la Camera dei deputati, con la risoluzione del maggio
 1989, avrebbe preso atto dell'assenza di una disciplina positiva atta
 a  regolare  l'attivita'  degli  alunni  non  avvalentisi. Tale vuoto
 sarebbe stato riempito - a  parere  delle  parti  -  dalle  circolari
 ministeriali  n.  188  e  n.  189  del  1989, sostanzialmente volte a
 riproporre lo schema dell'opzione alternativa, anche se in  esse  non
 e'   mai   esplicitamente   affermato  l'obbligo  da  parte  dei  non
 avvalentisi di effettuare la scelta tra le diverse attivita' offerte.
    La  giurisprudenza  amministrativa  ed ordinaria avrebbe invece in
 prevalenza ritenuto insussistente l'obbligo  di  restare  comunque  a
 scuola, traendo, sia pure con diverse ottiche, tale conclusione dalle
 affermazioni di questa Corte (che legittimerebbero la  qualificazione
 dell'insegnamento religioso come insegnamento in piu').
    Nel  nostro  ordinamento  scolastico  - rileva poi la difesa - non
 esiste un orario obbligatorio di permanenza a scuola,  ma  un  orario
 obbligatorio  di  attivita'  didattiche,  si'  che  l'esonero  da  un
 insegnamento  esclude  l'obbligo  di  presenza.  Parimenti   pacifica
 sarebbe   l'esistenza   di   un   tempo-scuola  differenziato  (orari
 flessibili e diversificati, tempo normale  o  prolungato,  ecc.)  non
 uniforme  ma  viceversa sempre corrispondente agl'insegnamenti che si
 frequentano.
    In  conclusione  l'obbligo  di  permanenza dei non avvalentisi non
 potrebbe essere riguardato come garanzia di non  discriminazione  per
 chi  sceglie  l'insegnamento (il quale esercita viceversa un diritto,
 garantito dallo Stato ed organizzato a spese della  collettivita')  e
 la sua esclusione parrebbe il logico corollario della sentenza n. 203
 del 1989, la quale, a parere  delle  parti  private,  non  puo'  aver
 sanzionato     l'illegittimita'     dell'insegnamento     alternativo
 obbligatorio per poi legittimare lo "studio individuale" ovvero altre
 forme di presenza.
                         Considerato in diritto
    1.  - Il Pretore di Firenze, con ordinanza del 4 maggio 1990 (R.O.
 n. 477 del 1990), in riferimento agli artt.  2,  3,  19  e  97  della
 Costituzione,   solleva   questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 9, numero 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121, e del punto
 5,  lettera  b),  numero  2, del relativo Protocollo addizionale, per
 duplice  discriminazione  negativa   derivante   dalla   collocazione
 dell'insegnamento  di religione cattolica nell'ordinario orario delle
 lezioni ai non  avvalentisi,  sia  in  quanto  obbligati  a  rimanere
 inattivi   nella   scuola   durante  l'insegnamento  della  religione
 cattolica, sia per la riduzione di altra attivita' didattica  per  lo
 spazio temporale riservato al detto insegnamento.
   2.  -  Il  Presidente  del  Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura dello Stato, eccepisce nell'atto di intervento
 la  inammissibilita' della questione per due motivi: a) non prendendo
 posizione il Pretore rimettente in ordine alla interpretazione  delle
 norme  denunciate, non risulta quale sia la rilevanza della questione
 nel giudizio a quo; b) versando la doglianza  di  parte  sull'assetto
 organizzatorio  derivante  da  circolari  ministeriali,  e  dunque in
 materia  di  competenza  del  giudice  amministrativo,   risulterebbe
 difetto di giurisdizione del Pretore rimettente.
    La  prima  eccezione  e' superabile se si considera che il petitum
 mira ad ottenere una piu'  ampia  individuazione  della  portata  del
 concetto  di  "stato  di  non-obbligo" degli studenti non avvalentisi
 dell'insegnamento di religione cattolica, con  conseguenze  circa  la
 legittimita'   del   regime   di   non   discriminazione   introdotto
 dall'Amministrazione della pubblica istruzione.
    Quanto   alla  seconda  eccezione,  questa  Corte  ribadisce  che,
 "versandosi in materia di diritto soggettivo, qual e' il  diritto  di
 avvalersi   o   di   non  avvalersi  dell'insegnamento  di  religione
 cattolica,  non  e'  contestabile  la   giurisdizione   del   giudice
 ordinario" (sentenza n. 203 del 1989).
    3.  -  Ferma  restando  la ratio di quella sentenza, nel senso che
 "l'insegnamento  di  religione  cattolica,  compreso  tra  gli  altri
 insegnamenti  del  piano didattico, con pari dignita' culturale, come
 previsto  nella  normativa  di  fonte  pattizia",  non  e'  causa  di
 discriminazione e non contrasta - essendone anzi una manifestazione -
 col principio supremo di laicita' dello Stato, il thema decidendum in
 ordine  alla  questione  ora  sollevata  si  circoscrive attorno alla
 portata dello "stato di non-obbligo" degli studenti che  scelgono  di
 non avvalersi dell'insegnamento di religione cattolica.
    Come stabilito dalla sentenza n. 203 del 1989, "La previsione come
 obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi  sarebbe  patente
 discriminazione   a   loro   danno,   perche'   proposta   in   luogo
 dell'insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l'una  e
 l'altro  lo  schema  logico  dell'obbligazione alternativa (...). Per
 quanti decidano di non avvalersene  l'alternativa  e'  uno  stato  di
 non-obbligo".
    Per    corrispondere    al   non-obbligo,   l'Amministrazione   ha
 predisposto, con circolari n. 188 del 25 maggio 1989 e n. 189 del  29
 maggio  1989,  moduli  sia per la scelta di avvalersi o non avvalersi
 dell'insegnamento di religione cattolica sia per la scelta ulteriore,
 da   parte  dei  non  avvalentisi,  di:  a)  attivita'  didattiche  e
 formative; b) attivita' di studio  e/o  di  ricerca  individuali  con
 assistenza   di   personale   docente;   c)  nessuna  attivita',  che
 l'Amministrazione interpreta come  libera  attivita'  di  studio  e/o
 ricerca senza assistenza di personale docente.
    E'   evidente   che   tale   modulazione  di  scelta  nell'intento
 dell'Amministrazione aveva per fine la realizzazione di un  contenuto
 liberamente  voluto  cosi'  da  non  contraddire  ma  anzi fedelmente
 tradurre lo "stato di non-obbligo".
    Per  coloro  tuttavia  che non esercitino nessuna delle tre scelte
 proposte sorge questione se lo "stato di non-obbligo" possa avere tra
 i suoi contenuti anche quello di non presentarsi o allontanarsi dalla
 scuola.
    4.  - Occorre qui richiamare il valore finalistico dello "stato di
 non-obbligo",  che  e'  di  non  rendere  equivalenti  e  alternativi
 l'insegnamento  di  religione  cattolica ed altro impegno scolastico,
 per  non  condizionare  dall'esterno  della   coscienza   individuale
 l'esercizio  di  una  liberta' costituzionale, come quella religiosa,
 coinvolgente l'interiorita' della persona.
    Non  e'  pertanto  da  vedere nel minore impegno o addirittura nel
 disimpegno scolastico dei non avvalentisi una causa  di  disincentivo
 per  le  future  scelte degli avvalentisi, dato che le famiglie e gli
 studenti che scelgono l'insegnamento  di  religione  cattolica  hanno
 motivazioni  di  tale serieta' da non essere scalfite dall'offerta di
 opzioni diverse. Va anzi ribadito che  dinanzi  alla  proposta  dello
 Stato  alla  comunita'  dei cittadini di fare impartire nelle proprie
 scuole l'insegnamento di religione cattolica, l'alternativa e' tra un
 si'  e un no, tra una scelta positiva ed una negativa: di avvalersene
 o di non avvalersene. A questo punto  la  liberta'  di  religione  e'
 garantita: il suo esercizio si traduce, sotto il profilo considerato,
 in quella risposta affermativa  o  negativa.  E  le  varie  forme  di
 impegno  scolastico presentate alla libera scelta dei non avvalentisi
 non hanno piu' alcun rapporto con la liberta' di religione.
    Lo  "stato  di  non-obbligo"  vale  dunque  a  separare il momento
 dell'interrogazione  di  coscienza  sulla  scelta  di   liberta'   di
 religione  o  dalla  religione,  da  quello  delle  libere  richieste
 individuali alla organizzazione scolastica.
    5.  -  Alla  stregua  dell'attuale  organizzazione  scolastica  e'
 innegabile che lo "stato di non-obbligo"  puo'  comprendere,  tra  le
 altre  possibili,  anche  la  scelta  di  allontanarsi  o  assentarsi
 dall'edificio della scuola.
    Quanto  alla  collocazione dell'insegnamento nell'ordinario orario
 delle lezioni, nessuna violazione dell'art. 2 della  Costituzione  e'
 ravvisabile.  Questa Corte ha gia' sottolineato nella sentenza n. 203
 del  1989  che  "l'insegnamento  della  religione   cattolica   sara'
 impartito,  dice  l'art.  9 (scil. della legge 25 marzo 1985, n. 121)
 'nel quadro delle finalita' della scuola', vale a dire con  modalita'
 compatibili con le altre discipline scolastiche".
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata nei sensi di cui in motivazione la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 9, numero 2, della legge  25
 marzo   1985,  n.  121  (Ratifica  ed  esecuzione  dell'accordo,  con
 protocollo addizionale, firmato a  Roma  il  18  febbraio  1984,  che
 apporta  modificazioni  al  Concordato  lateranense  dell'11 febbraio
 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede),  e  del  punto  5,
 lettera b), numero 2, del relativo Protocollo addizionale, sollevata,
 in relazione agli artt. 2, 3, 19 e 97 della Costituzione, dal Pretore
 di Firenze con l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1991.
                          Il Presidente: CONSO
                         Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 14 gennaio 1991.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 91C0040